Applicazione dell’Islam alla vita quotidiana
I Musulmani giustamente ritengono che l’lslam non sia sempli-
cemente un ideale astratto concepito soltanto per meri fini
devozionali o un idolo vuoto che debba essere riverito
in ogni momento. L’Islam è una norma di vita, una forza vivente
che si manifesta in ogni aspetto dell’esistenza umana. Inoltre
i Musulmani ritengono che l’individuo sia il centro di gravità
e lo strumento essenziale per I’instaurazione dell’Islam, o di qua-
lunque altro sistema che debba entrare in azione su vasta scala.
E’ per questo che l’Islam comincia sempre con l’individuo e invaria-
bilmente antepone la qualità alla quantità.
Cominciamo laddove comincia l’Islam, ossia dall’individuo.
Esaminiamo la natura dell’individuo e vediamo in che modo 1’Islam
consideri questa natura. Per chiarire le cose nel migliore dei
modi, senza impantanarci in discussioni filosofiche o controversie
astratte, possiamo definire l’uomo come un esseri composto di due
nature intimamente connesse fra loro e continuamente interagenti.
Sono la natura interna e quella esterna. Oppure si potrebbe dire
che 1’uomo ha una natura unica, con due sezioni difficilmente separa-
bili l’una dall’altra. Una è interna e l’altra è esterna. La natu-
ra interna dell’uomo si riporta a ciò che in termini coranici è detto
Ruh (Spirito, Sè, Cuore) e Aql (Intelletto).
Nella nostra descrizione della natura interiore dell’uomo,
avremo a che fare con due aspetti: 1) quello spirituale ed etico,
2) quello intellettuale. Il resto delle attività ed operazioni
dell’essere umano dovrà essere ascritta alla sua natura esteriore.
Dopo tutto, è un fatto universalmente ammesso che l’uomo non vive
di solo pane.
La vita spirituale
L’Islam organizza la vita spirituale dell’uomo in modo tale
da fornirgli tutto quel nutrimento spirituale di cui egli ha bisogno
per la sua religiosità e 1a sua giustizia, per la sua sicurezza e la
sua pace. La prescrizione islamica per la vita spirituale dell’uomo
garantisce, quando sia fedelmente applicata, i risultati piu positivi
per la crescita e la maturazione spirituale dell’uomo. I punti prin-
cipali in questa prescrizione islamica sono:
1. Le orazioni rituali (salah);
2. La zakah, o decima rituale;
3. I1 digiuno (sawm);
4. I1 pellegrinaggio (hajj);
5. L’amore per DIO e per i1 Suo Messaggero, l’amore per la verità
e l’umanità per la causa di DIO;
6. Speranza e fiducia in DIO in ogni momento;
7. Sacrificio per la causa di DIO in grazia di un’abnegazione effettiva.
Vari aspetti di questi punti sono già stati discussi in
alcuni loro particolari, e qui dobbiamo solo aggiungere che
senza questi fondamentali elementi non può esservi un’autentica
Fede, per quanto concerne l’Islam. Consigliamo al lettore di
riferirsi alle precedenti sezioni di quest’opera.
La vita intellettuale
La natura intellettuale dell’uomo, come abbiamo già detto,
consiste nell’intelletto, o intelligenza, o facoltà raziocinan-
te. A questo aspetto 1’Islan rende un’attenzione straordinaria
e costruisce la struttura intellettuale dell’uomo sulle basi
più integre e solide, che possono essere classificate nel modo
seguente:
1. Vera conoscenza basata su prove evidenti e dimostrazioni
indiscutibili, acquisite grazie all’”esperienza” o alla constata-
zione ovvero grazie all’una e all’altra. Sotto questo rapporto
possiamo dire, al di là di ogni dubbio, che il Qur’an è la prima
autorità che prescriva una zelante ricerca della conoscenza attra-
verso l’”esperienza” e la constatazione diretta, attraverso la
meditazione e l’osservazione della realtà. Infatti, è un ordine
divino che coinvolge ogni Musulmano, maschio o femmina, quello
secondo cui la conoscenza va perseguita nel senso più ampio della
parola e la verità va ricercata con ogni mezzo. La natura e l’in-
tero universo sono tesori aperti e continuamente rivelatori
di verità, e il Qur’an è stato il primo libro che abbia indicato
queste ricche fonti di conoscenza. Esso non accetta le “verità”
ereditate o i fatti mancanti di prove e di dimostrazioni che li
sostanzino. Per quanto ne possiamo sapere, il Qur’an è stata la
prima Scrittura a dire “Perchè” e ad esigere prove a sostegno
delle convinzioni e dei punti di vista (Qur’an, 2, 11 e 21, 24).
I1 Qur’an stesso costituisce un’eminente sfida intellettuale;
esso sfida 1’intelletto umano a discutere ogni verità coranica o
a produrre qualcosa di simile al Qur’an. Aprite un qualunque
capitolo del Qur’an e troverete il più ardente appello alla ricerca
della conoscenza attraverso le infinite risorse della natura.
La devozione alla vera conoscenza è considerata dall’Islam devo-
zione a DIO, nel senso più completo.
2. La seconda parte di questo punto è la fede in DIO, una
fonte di conoscenza da cui deriva una rivelazione continua,
una contemplazione spirituale degl’innumerevoli campi del pen-
siero. Nell’Islam la fede in DIO è la pietra d’angolo dell’in-
tera struttura religiosa. Ma per rendere valida la fede in DIO,
1’Islan richiede che essa sia fondata su una certezza saldissima,
su convinzioni incrollabili. Queste, a loro volta, non possono
essere acquisite senza una adeguata applicazione dell’intelletto.
Un intelletto fiacco o indifferente, un intendimento limitato,
non può attingere il vertice della Verità Suprema, DIO, nè può
raggiungere 1’autentica profondità della Fede.
L’Islam non riconosce La fede quando questa consiste in
cieca imitazione, quando è accettata in modo irriflessivo
e automatico. Ciò è della massima importanza laddove si tratta
della vita intellettuale dell’uomo. L’Islam richiede la fede
in DIO e il Qur’an in parecchi punti esorta alla fede in DIO.
Ma il significato di tali esortazioni non va messo in un
cassetto dello studio o in un angolo della mente. I1 signi-
ficato di tali esortazioni è che esse costituiscono un fervido
invito ed un urgente appello all’intelletto affinchè rimanga
desto e funzioni, ponderi le cose e le mediti. E’ vero che il
Qur’an rivela la verità essenziale e la realtà fondamentale per
quel che concerne DIO, ma è ugualmente vero che esso non vuole
che l’uomo si comporti come un erede pigro il quale non compia
alcuno sforzo di propria volontà. Vuole, invece, che l’uomo ar-
ricchisca il proprio patrimonio intellettuale mediante uno
sforzo serio ed onesto, sicchè divenga intellettualmente sicuro.
L’Islam disapprova una fede che vada e venga alla leggera. L’I-
slam vuole che la fede in DIO sia effettiva e permanente, vuole
che essa illumini ogni recesso del cuore dell’uomo e prevalga in
ogni aspetto della sua esistenza. La fede che va e che viene
non può fare ciò, e l’Islam non la accetta.
Quando 1’Islam richiede la fede in DIO sulla base della
conoscenza e della ricerca, esso lascia ampiamente aperti
dinanzi all’intelletto tutti i campi del pensiero, affinchè
l’intelletto li esplori nella massima profondità possibile.
L’Islam non frappone alcuna restrizione al “libero cercatore”
che persegue la conoscenza per ampliare la propria visione e
dilatare i confini della propria mente. Esso lo sollecita
a ricorrere a tutti gli strumenti della conoscenza, siano
puramente razionali o siano sperimentali. Appellandosi in questo
modo all’intelletto, 1’Islam mostra la sua più alta considerazione
nelle possibilità intellettuali dell’uomo e ripone in esse la
propria fiducia, perché intende liberare la mente umana dagli
impacci e dalle limitazioni della sfera sensibile. Vuole elevare
l’individuo e dotarlo di fiducia in se stesso, di autorità
celeste, affinchè il dominio della sua mente si possa estendere
a tutti i campi del pensiero: fisici e metafisici, scientifici e
filosofici, intuitivi e sperimentali, organici e altro. E’ così
che la fede in DIO nutre l’intelletto e rende prospera e produttiva
la vita intellettuale. Quando le attività spirituali e intellet-
tuali dell’uomo sono organizzate secondo gl’insegnamenti dell’I-
slam nel modo suddetto, la natura interiore dell’uomo diventa
integra e sana. E quando l’uomo è interiormente sicuro e sano,
la sua vita esterna sarà della medesima natura.
LA NATURA ESTERIORE
La natura esteriore dell’uomo è complessa, sottile e ampia
quanto la sua natura interiore. Dobbiamo nuovamente rilevare il
fatto che l’integrità della prima dipende in notevole misura dal-
l’integrità della seconda e viceversa, poichè la natura completa
dell’uomo è fatta di ambedue gli aspetti. A scopo di chiarezza,
una volta di più, dobbiamo introdurre divisioni e suddivisioni nella
natura esteriore dell’uomo. Dobbiamo però tenere sempre a mente
che qualsiasi squilibrio nel sistema della natura umana può di-
ventare distruttivo e fatale. I1 fatto è che la natura esterna e
la natura interna dell’uomo agiscono e interagiscono fra loro,
e che 1’Islam ha esteso la propria divina portata a tutti quanti gli
aspetti della vita, interni ed esterni.
La vita personale
L’Islam tratta la vita personale dell’uomo in maniera da as-
sicurargli purezza e pulizia, in maniera da assegnargli una dieta
sana e insegnargli i modi più giusti per vestirsi, comportarsi,
adornarsi, esercitare il fisico e così via.
1. Purezza e pulizia
E’ prescrizione islamica che prima di eseguire l’0razione il
Musulmano compia un’abluzione, a meno che non ne abbia già fatta
una in precedenza e la abbia mantenuta valida. Questa abluzione
obbligatoria è talvolta parziale, talvolta completa, a seconda della
condizione del Musulmano. Ora, se pensiamo che un Musulmano deve
eseguire almeno cinque orazioni abbligatorie al giorno, in purezza
di cuore e di anima, col corpo e gli abiti, puliti,
un’area pura e con intenzione pura, possiamo vedere assai bene
l’effetto vitale e i benefici risultati che questo atto riveste per
l’uomo (cfr, Qur’an, 4, 43; 5,7).
2. Dieta
Per mantenere puro il cuore e pura la mente, per nu-
trire un’anima tesa verso l’alto e un corpo sano e pulito, bisogna
attribuire un’attenzione speciale alla dieta dell’essere umano,
E’ proprio questo che 1’Islam fa. Alcuni individui superficiali
possono pensare che il cibo e la bevanda non esercitino alcun effetto
diretto e importante sulle condizioni generali della persona che si
riempie lo stomaco regolarmente. Ma non è certo questo il punto
di vista dell’Islam, che prende sul serio questa questione. Sotto
questo riguardo, il principio generale dell’Islam è il seguente:
tutte le cose che sono pure di per sè e buone per l’uomo
sono lecite per la sua dieta, se vengono assunte in quantità mode-
rata. Tutte le cose che sono impure e cattive o dannose sono anche
illecite, in tutte le circostanze ordinarie. C’è sempre spazio
e flessibilità per le eccezioni, nei casi di assoluta necessità
(Qur’an, 7, 157; cfr., più sopra, la sezione sull’etica islamica).
Al di là di questo principio generale, vi sono certi cibi
e bevande che DIO dichiara specificamente proibiti. Fra questi
vi sono: 1a carne animali e uccelli morti da sè, la carne di
porco e quella di qualunque animale che sia stato ammazzato invo-
cando un nome che non sia quello di DIO (2, 173; 5, 4). Le be-
vande che 1’Islam considera dannose e distruttive per il fisico
come per la psiche sono indicate nel versetto coranico che proi-
bisce tutte le sostanze intossicanti e tutte le forme di scommes-
sa o di gioco d’azzardo. (5, 93-94).
La proibizione di questi cibi e bevande non è assolutamente
un atto arbitrario o un decreto dispotico di DIO. Si tratta innan-
zitutto di un intervento divino nell’interesse precipuo dell’uomo
e per il suo bene specifico. Quando il Qur’an descrive negativa-
mente queste cose proibite e 1e qualifica impure e dannose, esso
rivolge la sua attenzione alla morale e alla saggezza dell’uomo,
alla sua salute e alla sua ricchezza, alla sua religiosità e alla
sua condotta; tutti elementi preziosi nella prospettiva del1’I-
slam. Le ragioni che stanno dietro questo divino intervento sono
molteplici. Sono di natura intellettuale e spirituale, etica e menta-
le, fisica ed economica. I1 solo scopo consiste nell’insegnare
all’uomo il modo in cui svilupparsi secondo un modello etico elevato,
per essere un elemento integro e sano nella struttura della famiglia,
poi in quella della società e infine nell’ampio contesto dell’umanità.
Medici e sociologi sono ora in grado di verificare i benefici di
queste norme islamiche.
L’Islam è ortodosso ed esente da compromissioni per quanto
attiene al nutrimento organico dell’uomo, poichè esso agisce
sul fondamento dalla sua realtà spirituale e della sua crescita
intellettuale. Ciò risulta chiaro laddove si consideri che alcuni
alimenti sono vietati in via generale, come si è detto più sopra,
mentre altri sono leciti o vietati a seconda della quantità. Le
cose che sono lecite per il Musulmano debbono essere assunte in
dosi moderate, senza indulgere o eccedere (Qur’an, 7, 31). Se da un
lato evita tutti gli alimenti proibiti come genere e come quantità,
dall’altro il Musulmano è esortato da DIO a godere dei Suoi doni
generosi e a mostrare gratitudine al Misericordioso
Sostentatore (2, 168, 172; 5, 90-91) (1).
(1) Ci si perdoni questa parziale ripetizione, che ha lo scopo di
dare rilievo al punto in questione. In rapporto con tutto quanto
l’argomento, si veda più sopra il concetto di morale e si veda inoltre
Ebrahim Kazim, M.D., “Medical Aspects of Forbidden Foods in Islam”,
AL-ITTIHAD (The Muslim Students Association of the United States
and Canada), 1391/1971, vo1.8, n°i, pp.4-6. questo articolo termina
con un’eccellente bibliografia di fonti mediche e religiose.
3. Abbigliamento e ornamenti
Riguardo l’abbigliamento e gli ornamenti della persona, 1’Islam
prende in seria considerazione i principi della decenza, della mode-
stia, della castità, della severità, dell’austerità. Tutto ciò che
nell’abbigliamento a negli ornamenti sia incompatibile con la salva-
guardia, il rispetto a lo sviluppo di queste qualità è ritenuto ille-
cito dall’Islam. Gli abiti e le mode che possano stimolare arroganza,
orgoglio e vanità sono rigorosamente proibiti. Idem per quegli orna-
menti che possano indebolire la moralità dell’uomo o minacciare la sua
virilità. L’uomo deve restare fedele alla sua natura virile, che gli
è stata data da DIO, e salvaguardarla da tutto quanto possa indebolire
e mettere in pericolo questa caratteristica. E’ per questo motivo
che 1’Islam ammonisce l’uomo a non usare materiali come la seta pura
e certe pietre preziose, ad esempio l’oro, a scopo di ornamento.
Questi sono materiali che si adattano solo alla natura femminile.
La bellezza dell’uomo non sta’ nel portare pietre preziose o nell’osten-
tare abiti di seta pura, bensì consiste in un tipo di vita improntato
a un’etica elevata, a maniere affabili, a una condotta irreprensibile.
Quando 1’Islam consente alla donna di usare le cose che sono
proibite all’uomo e sono adatte alla sola natura femminile, esso
non lascia andare la donna per la sua strada, senza controllarla.
L’Islam le permette le cose adeguate alla sua natura e, contempo-
raneamente, la mette in guardia contro tutto ciò che potrebbe scon-
volgere tale natura. I1 modo in cui le donne devono vestirsi, truc-
carsi, camminare e addirittura guardare costituisce una questione
assai delicata e 1’Islam rivolge ad essa un’attenzione tutta spe-
ciale. La posizione dell’Islam a tale proposito si incentra sul
bene generale delle donne. L’Islam ha esortato uomini e donne ad
aiutare in particolar modo il sesso femminile
a tutelare e sviluppare la propria dignità e castità, a salvaguardar-
la chiacchiere vuote, da pettegolezzi maliziosi, dai sospetti.
L’esortazione è contenuta in questi versetti coranici:
Di’ ai fedeli che essi devono abbassare lo sguardo e tutelare
1a loro medestia; ciò sarà per loro causa di maggiore purezza. E DIO
è bene informato di tutto quel ch’essi fanno. E di alle Fedeli che
esse devono abbassare lo sguardo e tutelare la loro modestia; che
non devono esporre la loro bellezza e i 1oro ornamenti, se non quanto
(normalmente) si vede; che devono tirarsi il velo sul petto e non
esporre la 1oro bellezza se non davanti ai mariti, ai padri… (e
certi altri membri della famiglia); e che non devono
battere i piedi sì da attrarre l’attenzione sui loro ornamenti na-
scosti (24, 30-31).
L’Islam è molto sensibile al modo di vestire e di adornarsi.
Esso dichiara in maniera cristallina che uomini e donne devono atte-
nersi alla loro natura specifica, al fine di salvaguardare le loro
inclinazioni naturali e dotarle di modestia e moralità elevata. Si
tramanda che il Profeta Muḥammad dicesse che DIO condanna gli uomini
che si comportano a agiscono in maniera effeminata, così come condanna
le donne che si comportano o agiscono in maniera mascolina. Nondimeno,
bisogna tener presente che l’Islam non stabilisce restrizioni circa
i capi di vestiario e gli ornamenti, proclamandoli dannosi o adeguati. In realtà,
il Qur’an da a tali oggetti il nome di doni di DIO e rimprovera coloro
che li reputano proibiti (7, 32-33)?
4. Giochi e divertimenti
E’ interessante notare come 1a maggior porte delle forme islami-
che di culto (orazioni rituali, digiuno, pellegrinaggio ecc.) pre-
sentino caratteristiche igieniche e addirittura “ginniche”, benchè
siano essenzialmente e naturalmente ordinate a fini spirituali. Ma
chi può negare la costante interazione fra l’elemento fisico e l’ele-
mento morale dell’uomo? Ma non è questo tutto quello che l’Islam
ha da dire circa l’argomento dei giochi e dei divertimenti. Tutto
quello che provoca una sana riflessione o rinfresca la mente e rivi-
talizza il corpo per tener l’uomo in forma, viene incoraggiato e
positivamente considerato dall’Islam, fin dove non comporti o non
agevoli il peccato o procuri un danno ovvero ostacoli e ritardi l’a-
dempimento di altri obblighi. Precetto generale in questa materia
è la dichiarazione del Profeta secondo cui tutti i Fedeli di DIO
hanno buone qualità, ma il più robusto è meglio del più debole.
Si riferisce inoltre che egli approvasse quei giochi e quegli eser-
cizi che temprano il fisico e rafforzano il morale.
Costituisce uno spiacevole errore l’associare ai giochi e ai
divertimenti quelle attività che non sono nè ginniche nè ludiche.
Alcuni considerano il gioco d’azzardo e il bere come passatempi
leciti e divertimenti innocui, ma questo non è il punto di vista
de11’Islam. La vita è degna di essere vissuta e ci è donata per
uno scopo ben preciso. Nessuno ha il diritto di abusarne lascian-
dola andare per conto suo o mettendosi alle dipendenze della sorte
e del caso. Dunque non si ha nè intrusione nè violazione dei “di-
ritti dell’uomo” quando 1’Islam estende il suo divino intervento
fino a organizzare l’esistenza umana negli aspetti
privati dell’individuo. Infatti la vita è il Bene più prezioso del-
l’uomo ed è preordinata a nobili scopi; quindi 1’Islam ha indicato
all’uomo il modo per viverla in maniera giusta e piacevole. Fra
le misure adottate a questo fine vi è la proibizione del gioco
d’azzardo: il gioco d’azzardo è più una causa di tensione che una
causa di distensione. Significa abusare gravemente della vita se
la si sottopone al caso e alla sorte. E’ una deviazione dal corso
normale della vita l’affidare il proprio successo economico alla
ruota della roulette o affidare le proprie sostanze
ai capricci della fortuna a un tavolo da gioco.
Per proteggere l’uomo da tutte queste non necessarie tensioni men-
tali, da questo logorio inutile del sistema nervoso, e per renderlo
capace di vivere una vita secondo natura nei mezzi come nei fini,
1’Islam ha vietato le scommesse e i giochi d’azzardo di ogni genere
e specie.
Analogamente, è una fuga vergognosa dalla realtà e un insulto
irresponsabile al più nobile elemento presente nell’essere umano,
vale a dire l’intelletto, l’impantanarsi nel vizio del bere. Le
minacce e le tragedie dell’intossicazione sono troppo evidenti per
dover essere descritte. Molte esigenze sono quotidianamente distrut-
te a causa di questo vizio. Molte famiglie si dissolvono sotto
questa minaccia. Miliardi e miliardi vengono bevuti ogni giorno.
Dietro innumerevoli porte si nascondono la miseria e l’infelicità
prodotte dall’abitudine al bere. Oltre alla distruzione
della salute, ci sono la depressione psichica, l’intorpi-
dimento mentale, il dissolvimento della ricchezza, la disintegra-
zione delle famiglie, la rinuncia alla dignità umana, il sabotaggio
della morale. L’umiliante fuga dalla realtà; ognuno dei cosiddetti
“bevitori sociali” è potenzialmente un alcoolizzato. L’Islam non
può tollerare queste minacce nè può permettere che l’uomo abusi
della propria vita in questa maniera tragica. E’ questa la ragione
per cui 1’Islam non fa rientrare il bere e il gioco d’azzardo
nella categoria dei passatempi e dei divertimenti innocui, ma,
invece, li bandisca una volta per tutte. Per apprezzare il punto
di vista dell’Islam sotto questo rapporto, è sufficiente esaminare
qualche statistica, leggere un resoconto medico, visitare un’agenzia
di servizio sociale, considerare qualche caso processuale. Fra
tutti i problemi sociali, l’alcoolismo è di gran lunga il più serio.
Più di mezzo milione di americani diventano alcoolisti ogni anno.
Un individuo su dieci o dodici che bevono il primo bicchiere in un
determinato anno è destinato a diventare alcoolista. Tutte queste
dolorose tragedie, tutti questi disastri reali parlano molto più
forte di qualunque argomentazione teologica o economica.
Vi sono state molte definizioni e descrizioni della famiglia.
Per il nostro obiettivo, adotteremo la definizione seguente. La
famiglia è un gruppo sociale umano i cui membri sono tenuti insieme
da vincoli di sangue e/o da relazioni coniugali.
II vincolo familiare comporta reciproci diritti e doveri che
sono prescritti dalla religione, messi in vigore dalla Legge e os-
servati dai membri della comunità. Di conseguenza, i membri, della
famiglia assolvono a determinate funzioni. Queste riguardano l’i-
dentità familiare e il sostentamento della famiglia, l’eredità e
le decisioni, l’affettuosa protezione dei più giovani e la garanzia
della sicurezza per i più anziani, il massimo dello sforzo per
garantire la continuità della vita famigliare.
Coma si può agevolmente dedurre da ciò, le basi della famiglia
in Islam sono date dai vincoli di sangue e/o dai vincoli coniugali.
Adozione, libera unione, coincidenza di interessi, consenso indivi-
duale all’intimità sessuale, semplice convivenza non danno
luogo a una famiglia intesa in senso islamico. L’Islam costruisce
la famiglia su solide basi, che sono 1a capacità di garantire una
ragionevole continuità, del nucleo, vera sicurezza e intimità matura.
Le basi della famiglia devono essere così salde e naturali da garan-
tire sincera reciprocità e gratificazione morale. L’Islam ritiene
che non esista rapporto naturale che non sia rapporto di sangue
e che non esista giusto mode11o di intimità sessuale
diverso da quello in cui si uniscono morale e gratificazione.
(2) Questa dissertazione è semplicemente uno schema del più accurato
saggio dell’autore su The Family Structure in Islam, di imminente
pubblicazione presso le American Trust Publications.
L’Islam riconosce la virtù religiosa, la necessità sociale
e i vantaggi morali del matrimonio. I1 comportamento normale per
l’individuo musulmano comporta una scelta a favore della famiglia
e la ricerca di una famiglia propria. Matrimonio e famiglia sono
istituzioni centrali nell’ordinamento islamico. Vi sono molti
passi del Qur’an e molti detti tradizionali del Profeta che arrivano
a dire che, quando un Musulmano si sposa, ha con ciò stesso
adempiuto a metà della religione; gli rimane da essere timorato di
DIO a attento all’altra metà.
Gli studiosi musulmani hanno dedotto dal Qur’an che il ma-
trimonio è un dovere religioso, una salvaguardia morale, un com-
pito sociale. Come dovere religioso, deve essere adempiuto; ma,
come tutti gli altri doveri islamici, esso viene imposto solo a
coloro che sono in grado di far fronte alle responsabilità che
esso comporta.
1. Il significato del matrimonio
Qualunque sia il significato che si attribuisca al matrimonio,
l’Islam considera tale istituzione come un vincolo possente (mitha-
qun ghaliz), un dovere nel senso vero e proprio del termine. E’
un obbligo imposto alla vita, alla società, alla sopravvivenza
della specie umana. E’ un obbligo che i coniugi assumono l’uno
di fronte all’altro e ambedue dinanzi a DIO. E’ un dovere nel
quale essi trovano reciproco adempimento e autorealizzazione, amore
e pace, compassione a serenità, conforto e speranza. Tutto questo,
perché in Islam il matrimonio è considerato innanzitutto come un
atto giusto, un atto di devozione responsabile. I1 controllo ses-
suale può essere una vittoria morale, la riproduzione una
necessità comunitaria o un servizio, l’integrità della salute un
gratificante stato mentale. Ma questi valori e questi obiettivi del
matrimonio assumono un significato speciale e si trovano irrobusti-
ti qualora si combinino armonicamente con l’idea di DIO, qualora
vangano concepiti come doveri religiosi e interiorizzati come
benedizioni divine. E questo sembra essere il punto focale del
matrimonio in Islam. Per parafrasare alcuni versetti coranici,
agli uomini viene rivolto l’appello ad essere responsabili nei
riguardi di DIO, Che li ha creati da un’unica anima e da essa
ha creato la sua compagna, e dall’uno a dall’altra ha tratto mol-
ti uomini e donne (4, 1). E’ stato DIO Che ha creato l’umanità
da un’unica anima vivente e da quell’anima ha tratto una sposa,
sicchè l’uomo vi trovasse conforto e riposasse in lei (7, 107).
Ed è un segno di DIO che Egli abbia creato per gli uomini, da loro
stessi, della spose, affinchè essi cercassero nella compagnia
di queste la pace e la tranquillità, e che Egli abbia posto amore
e misericordia reciproca fra loro. Certamente in ciò vi sono dei
segni per coloro che riflettono (30, 21). Anche nei periodi più
agitati della vita coniugale e nel bel mezzo delle controversie e
delle liti legali, il Qur’an ricorda le parti della legge di DIO;
esso prescrive di essere gentili gli uni con le altre, animati da
vera carità reciproca a soprattutto di essere responsabili dei
propri doveri dinanzi a DIO.
Questa è la base su cui riposano tutti i doveri della moglie
e da cui essi derivano. Per adempiere a questo dovere fondamentale,
la moglie deve essere fedele, leale, onesta. In particolare, non
deve ingannare il suo sposo evitando deliberatamente il concepi-
mento, per non privarlo di una legittima prole. Nè deve consentire
ad alcun altro di avere accesso a ciò che è diritto esclusivo del
marito, ossia l’intimità sessuale. Corollario di ciò è che la moglie
non deve ricevere o intrattenere estranei in casa senza che il ma-
rito ne sia a conoscenza e vi consenta. Nè può accettare doni da
parte di estranei senza il consenso del marito. Ciò mira probabil-
mente a evitare gelosie, sospetti, chiacchiere ecc. e anche a ga-
rantire l’integrità di tutte le parti interessate. La proprietà
del marito è deposito fiduciario presso la moglie. Se questa
ha accesso a qualche parte di tale proprietà o se
le viene affidata una qualche somma, ha il dovere di compiere
il suo dovere con avvedutezza e parsimonia. Non può
prestare o adoperare senza il permesso del marito ciò che appar-
tiene a lui.
Quanto ai rapporti intimi, la moglie deve rendersi desiderabi-
le; deve essere attraente, comprensiva, deve collaborare. Una mo-
glie non può negarsi al marito, poichè il Qur’an parla dei coniugi
come di un conforto reciproco. Salute e decenza hanno, ovviamente,
la dovuta considerazione. Inoltre, la moglie non ha il permesso
di fare quelle cose che possono rendere la sua compagnia meno
desiderabile, o meno gratificante. Se agisce così o se si trascura,
il marito ha il diritto di intervenire sulla sua libertà per correg-
gere la situazione. Per assicurare il massimo di felicità per am-
bedue, egli non ha il diritto, da parte sua, di fare ciò che possa
impedire la gratificazione della moglie.
4. Rapporto genitori figli
A. I diritti del figlio; i doveri dei genitori. L’approccio
generale dell’Islam ai figli può essere sintetizzato in poche affer-
mazioni di principio. Primo, è comando divino che nessun figlio
divenga causa di danno per i suoi genitori (Qur’an, 2, 233). Se-
condo, i genitori devono fare in modo che il figlio non danneggi
nessuno di loro due. I1 Qur’an riconosce molto esplicitamente
che i genitori non sono sempre imnuni da preoccupazioni eccessive di
protezione o da negligenza. Sulla base di questo riconoscimento,
esso ha perciò stabilito certe linee direttrici e ha evidenziato
certe realtà in rapporto ai figli. Esso afferma che i figli sono
motivi di gioia così come sono fonti di orgoglio, causa di vanità
e di falsa sicurezza, motivi di distrazione e di tentazione. Ma
esso si affretta a porre in risalto le grandi gioie dell’anima e
a mettere in guardia i genitori contro la fiducia eccessiva, il
falso orgoglio, le azioni ingiuste che possono essere causate dai
figli. I1 principio religioso e morale di questa posizione è che
ogni individuo, genitore o figlio, dipende direttamente da DIO ed
è autonomamente responsabile delle proprie azioni. Nessun figlio
potrà assolvere il genitore nel Giorno del Giudizio. Nè un genitore
può intercedere per il proprio figlio. Infine, 1’Islam è estremamente
sensibile alla dipendenza cruciale del figlio dai genitori. I1 loro
ruolo decisivo nella formazione della personalità del figlio è espli-
citamente riconosciuta dall’Islam. In un suo detto molto suggestivo,
il Profeta dichiarò che ogni bambino nasce entro la malleabile natura
della fitrah (cioè, il puro stato naturale di Islam): sono i suoi ge-
nitori che ne fanno, a mano a mano, un giudeo, un cristiano o un paga-
no.
In conformità con queste direttive e più in particolare, uno dei
più inalienabili diritti del bambino in Islam è il diritto alla vita
e a eque possibilità di vita. La preservazione della vita del bambino
è il terzo comandamento nell’Islam (6, 151, cfr. 17, 23 ss.).
Un altro diritto parimenti inalienabile è il diritto alla legitti-
mità, secondo il quale ogni bambino deve avere un padre e un padre
soltanto. Un terzo gruppo di diritti concerne la socializzazione,
la crescita e la cura generale. Prendersi cura dei bambini è in Islam
una delle azioni più lodevoli. I1 Profeta era innamorato dei bambini
ed espresse la propria convinzione che la comunità musulmana si sarebbe
distinta fra tutte quante per la sua amabilità coi bambini. E’ carità
di grado elevato occuparsi del loro bene spirituale, delle loro esigen-
ze educative, del loro benessere generale. Interesse e responsabilità
per il bene dei bimbi sono questioni di primaria importanza. Secondo
1e istruzioni del Profeta, nel settimo giorno il bambino deve avere
un nome bello e piacevole e la sua testa deve essere rasata, oltre a
tutte le altre misure igieniche richieste per una crescita in salute.
Ciò deve dar luogo a un’occasione di festa contrassegnata dalla gioia
e dalla carità.
Responsabilità e compassione verso i1 bambino sono un fatto
di rilievo religioso e di importanza sociale. Che i genitori siano
vivi o morti, presenti o assenti, noti o sconosciuti, il bambino
devo ricevere il massimo delle cure. Qualora vi siano dei parenti
abbastanza stretti per essere ritenuti responsabili del bene del
bimbo, saranno loro a dover adempiere a questo dovere. Ma se non
c’è nessun parente, la cura del bimbo diventa una congiunta responsa-
bilità di tutta quanta la comunità musulmana, dei funzionari designati
e della gente comune.
B. I doveri del figlio; i diritti dei genitori. I1 rapporto
fra genitore e figlio è complementare. Genitori e figli, in Islam,
sono vincolati fra loro da mutui doveri e da
obblighi reciproci. Ma la differenza d’età è talvolta così grande
che fa crescere i genitori fisicamente e mentalmente deboli.
Ciò si accompagna spesso a impazienza, degenerazione delle energie,
ipersensibilità, talvolta cattivo giudizio. Ciò può dar luogo ad
abusi dell’autorità dei genitori o a estraniazione e
disagio connesso alla diversità di generazione, qualcosa di simile a
ciò che viene ora chiamato il “gap generazionale”. L’Islam ebbe
presenti tali considerazioni quando rivolse la propria attenzione
a certi fatti e assunse misure essenziali atte a governare il rapporto
dell’individuo coi suoi genitori.
I1 fatto che i genitori siano avanzati in età e ritengano gene-
ralmente di avere maggiore esperienza non convalida di per sè le loro
vedute e non sancisce i loro schemi. Analogamente, la giovinezza non
è di per se stessa la sola fonte d’energia, di idealismo o di saggezza.
In vari contesti, il Qur’an cita esempi in cui i genitori sbagliavano
nel loro rapporto coi figli ed esempi in cui i figli giudicavano male
le posizioni dei loro genitori (Qur’an, 6, 74; 11, 42-46; 19, 42-48).
. Più rilevante, forse, è il fatto che consuetudini, usi, costu-
mi, oppure il sistema di valori dei genitori e i loro schemi non co-
stituiscono, di per sè, la verità e la giustizia. In vari passi il
Qur’an rimprovera duramente quelli che si allontanano dalla verità
per il solo motivo che essa risulta loro nuova, oppure contraria
ai valori della loro famiglia o incompatibile col sistema di valori
dei loro genitori. Inoltre, esso mette a fuoco il fatto che, se la
lealtà e l’obbedienza verso i genitori può allontanare l’individuo
da DIO, allora egli deve mettersi dalla parte di DIO. E’ vero, i
genitori meritano considerazione, amore, compassione e misericordia.
Ma se essi si scostano dalla loro linea di marcia e contestano i
diritti di DIO, allora bisogna tracciare e osservare una linea netta
di demarcazione.
I1 Qur’an riassume l’intera questione nel concetto principale
di ihsan, che denota ciò che è buono, giusto, bello. L’applicazione
pratica del concetto di ihsan nei rapporti coi genitori comporta
attiva simpatia e pazienza, gratitudine e compassione, rispetto per
loro e preghiere per le loro anime, rispetto delle loro funzioni
legittime e intervento con suggerimenti sinceri.
Una dimensione basilare dell’ihsan è la deferenza. I genitori
hanno il diritto di attendersi l’obbedienza dai loro figli in parziale
restituzione di quanto essi hanno fatto per loro. Ma se i genitori
pretendono l’ingiustizia o richiedono una cosa sbagliata, allora
la disobbedienza diventa non solo giustificata, ma anche necessaria.
In un caso o nell’altro, l’atteggiamento dei figli verso i genitori
non può essere categoricamente qualificata come sottomissione o
sfida irresponsabile.
L’ultima parte integrante dell’ihsan che dobbiamo menzionare qui
è che i figli sono responsabili del mantenimento dei genitori. E’ un
dovere religioso inderogabile che ci si occupi dei genitori in caso
di bisogno e li si aiuti a vivere nel modo più agiato.
5. Altri aspetti della vita famigliare
Strettamente connesso con la vita familiare è il trattamento
dei “servi”, degli altri membri della famiglia, dei parenti acqui-
siti e dei vicini. A coloro che tengono una servitù permanente il
Profeta Muḥammad ha dato consigli e suggerimenti. I padroni devono
trattare i servi come dei fratelli, non come delle cose, perché se uno
tratta bene il suo servo, ha detto il Profeta, DIO gli renderà facile
e gradevole la morte, cioè un momento che di norma è penoso e diffici-
le. I servi hanno diritto alla giustizia, all’affabilità, alla compas-
sione, a cibo, vestiario e altre spese personali. I1 Profeta arriva
al punto di dire che devono essere nutriti e vestiti
col cibo e col materiale usato dai loro padroni; a ciò debbono prov-
vedere i padroni, come a una parte dei loro doveri verso i servi.
questi non devono essere vessati o insultati o sovraccaricati di la-
voro. Questa norma mostra come 1’Islam riconosca la dignità dell’uomo
e onori il lavoro, senza eccitare alla lotta di classe o alla tirannide
proletaria. L’essere servo o lavoratore non comporta che si sia
privati dei diritti o che si soffra nella dignità di essere umano.
Nè favorisce l’assuefazione alla droga dell’utopia proletaria.
Tutti i membri di una vera comunità islamica si trovano su
piede di parità, perché l’Islam non riconosce il sistema di clas-
se o la cittadinanza di seconda categoria. La sola superiorità
riconosciuta dall’Islam è quella che si fonda sulla religiosità e
sulle azioni giuste al servizio di Dio (Qur’an, 9, 105; 49, 13).
L’uomo ha da DIO l’ordine di estendere il massimo del suo
aiuto e della sua amabilità agli altri familiari e parenti, di
mostrar loro autentici sentimenti di amore e di cura. Può essere
interessante notare che in arabo La parola significante “parentela”
deriva da una radice che significa “misericordia” (rahim rahmah).
L’amabilità verso i propri congiunti conduce al Paradiso, che è d’al-
tronde interdetto a coloro che trascurano i loro doveri sotto questo
rispetto. L’estensione del trattamento amabile ai congiunti è de-
scritta dal Profeta come una benedizione divina
sopra la vita e i beni di un individuo. E’ sacro dovere essere buoni
con i congiunti, anche se questi eventualmente non corrispondano
in maniera analoga. Questo dovere e prescritto da DIO a deve essere
osservato per la causa di DIO, indipendentemente dalla risposta
del congiunto (Qur’an, 2, 177; 4, 36; 16, 90; 17, 23-26).
La condizione di vicino di casa è altamente considerata dal
punto di vista dell’Islam. I vicini di ogni specie godono di un
gran numero di privilegi che l’Islam conferisce loro. Nel suo
commento ai precetti coranici relativi a questo punto, il Profeta
Muḥammad disse che nessuno può essere un vero Fedele se i suoi
vicini non si sentono sicuri e tranquilli per quanto
riguarda lui. Ancora: nessuno può essere un vero Fedele se i suoi
vicini passano la notte affamati mentre lui ha lo stomaco pieno.
Chi sarà il migliore coi suoi vicini, disse il Profeta, godrà del
vicinato di DIO nel Giorno della Resurrezione. Fra vicini bisogna
scambiarsi doni ed omaggi e comunicarsi gioie e dolori.
In un altro discorso il Profeta disse: “Sapete quali sono i diritti
di un vicino? Aiutatelo se chiede il vostro aiuto; dategli conforto
se cerca il vostro conforto; fategli un prestito se ne ha bisogno;
mostrategli interesse se è addolorato; curatelo quando è malato;
andate ai suoi funerali se muore; felicitatevi con lui se gli tocca
qualche buona ventura; confortatelo se lo incoglie una qualche diagrazia;
non toglietegli l’aria innalzando la vostra casa senza il suo consen-
so; non disturbatelo; quando comprate della frutta, dategliene una
parte; se non gliela date, portate i vostri acquisti direttamente in casa
vostra e non lasciate che i vostri figli li portino fuori ed eccitino
la fame dei suoi figli”. Inoltre, si tramanda che il Profeta disse
che i diritti dei vicini erano tenuti dall’angelo Gabriele in cosi
grande considerazione, che riteneva i vicini dovessero ricevere parte
dell’eredità di un individuo (Cfr. anche i versetti indicati nel
paragrafo precedente).
La vita sociale
La vita sociale del vero Musulmano è basata su principi
supremi e deve garantire felicità e prosperità all’individuo
così come alla società. Lotta di classe, esclusivismi di categoria
e dominio di individui sulla società o viceversa sono fatti estranei
alla vita sociale dell’Islam. In nessun punto del Qur’an o delle
tradizioni del Profeta Muḥammad si
parla di superiorità in virtù dell’appartenenza a un ceto, dell’o-
rigine familiare o della ricchezza. Al contrario, vi sono molti
versetti del Qur’an e detti di Muḥammad che rammentano agli uomini
i fatti vitali dell’esistenza, fatti che servono contemporaneamente
cone principi della struttura sociale della vita islamica. Fra
questi, c’è il fatto che l’umanità costituisce una famiglia sola,
nata dal medesimo padre e dalla medesima madre, una famiglia che
aspira agli stessi obiettivi ultimi.
L’unità del genere umano è concepita alla luce della comune
discendenza da Adamo ed Eva. Ogni essere umano è un membro della,
famiglia universale fondata dal Primo Padre e dalla Prima Madre
e ha perciò i titoli per godere dei vantaggi comuni, così come
è tenuto a partecipare delle comuni responsabilità. Quando gli
uomini si rendono conto che tutti quanti discendono
da Adamo ed Eva e che i due progenitori furono creature di DIO, non
c’è più spazio per il pregiudizio razziale o l’ingiustizia sociale
o la cittadinanza di seconda categoria. Gli uomini si trovano allora
uniti nella loro condotta sociale, poichè sono uniti, sul piano
naturale, dal vincolo della parentela comune. Nel Qur’an e nelle
tradizioni di Muḥammad c’è un costante riferimento a questo
fatto importante: l’unità dell’umanità nella sua natura e nelle
sue origini, Questo serve a eliminare l’orgoglio razziale e le
pretese alla superiorità nazionale o etnica e prepara la strada
alla genuina fratellanza. (Qur’an. 4, 1; 7, 189; 49, 10-13).
L’unità dell’umanità è non solo nella sua origine, ma anche nei
suoi fini ultimi. Secondo 1’Islam, il fine ultimo dell’umanità è
DIO. Da Lui veniamo, per Lui viviamo e a Lui tutti quanti ritornere-
mo. Infatti, il solo scopo della creazione quale ci viene descritto
dal Qur’an è l’adorazione di DIO e il servizio della Sua causa, la
causa della verità o della giustizia, dell’amore e della misericordia,
della fratellanza e della giusta morale (Qur’an. 51, 56-58).
I rapporti fra persona e comunità si basano su questa unità
di origine e su questo fine ultimo, intesi come retroterra della
vita sociale nell’Islam. Il ruolo della persona è complementare
a quello della società. Fra l’una e l’altra vi sono solidarietà
sociale e mutua responsabilità. L’individuo è responsabile del
bene comune e della prosperità della sua società. Questa respon-
sabilità non è solo verso la società, ma anche verso DIO. In tal
modo l’individuo opera con una giusta coscienza comunitaria
e un genuino senso di responsabilità ineluttabile. La sua funzione
sta nel fare del suo meglio per la sua comunità e contribuire al
bene comune di essa. D’altronde, anche la comunità è responsabile
dinanzi a DIO del bene della persona singola. Quando il singolo
ne è in grado, egli è il contribuente e la comunità è la beneficiaria.
In compenso, egli ha diritto alla sicurezza e alla cura, nel caso
che diventasse inabile. In questo caso il beneficiario è lui,
mentre la società è la parte contribuente. Così diritti e do-
veri si corrispondono armonicamente. Responsabilità e obblighi
sono reciproci. Non c’è uno Stato che opprima l’individuo ed
elimini la sua personalità. Analogamente, non c’è un individuo
o una classe di individui che sfruttino la società e corrompano
lo Stato. C’è armonia, pace e sicurezza reciproca. C’è un’inte-
razione costruttiva fra persona e comunità.
Oltre all’unità del genere umano nella sua origine e nel
suo fine ultimo e oltre a questa reciprocità di responsabilità
e di obblighi, la vita comunitaria dell’Islam è caratterizzata
dalla cooperazione nella bontà e nella misericordia. Essa è
contrassegnata da un completo riconoscimento della persona e
dei suoi sacrosanti diritti alla vita, alla proprietà e all’o-
nore. E’ anche contrassegnata da un’efficace funzione della
persona singola nel dominio dell’etica comunitaria. In una
comunità islamica, la persona singola non può essere indiffe-
rente. Essa è tenuta a svolgere una parte attiva nella
instaurazione di un’etica comunitaria integra mediante l’appello
al bene e l’opposizione al male sotto qualsiasi forma, usando
tutti i mezzi leciti a sua disposizione. Facendo così, non
solo combatte il male e fa il bene, ma aiuta anche gli altri
a fare lo stesso. L’individuo che si sente indifferente nei
confronti della comunità è un peccatore egoista; la sua morale
è in disordine, la sua coscienza è nel caos, la sua fede è
asfittica.
La struttura della vita comunitaria nell’Islam ha caratteri
di nobiltà e di integrità. Fra gli elementi sostanziali di questa
struttura vi sono l’amore sincero per gli altri esseri umani,
la misericordia per i giovani, il rispetto per gli anziani,
il conforto e la consolazione per gli sventurati, l’interesse
affettuoso per i malati, la compassione per gli afflitti, il
genuino sentimento di fratellanza e solidarietà comunitaria; il
rispetto per l’altrui diritto alla vita, alla proprietà, all’o-
onore; la mutua responsabilità fra persona e comunità. E’ fre-
quente incontrare affermazioni del Profeta come queste:
Chi allevia un essere umano da un dolore di
questo mondo, DIO allevierà lui da un dolore nel Giorno del
Giudizio.
Chi non ha misericordia per i più giovani e rispetto
per i più anziani non è uno di noi Musulmani.
Nessuno di voi è un vero Fedele dell’Islam se non desi-
dera per il suo prossimo ciò che desidera per se stesso.
Chi esorta gli altri al bene è come chi fa il bene e
sarà ricompensato in maniera adeguata, ma chi istiga al male
è come chi fa il male e sarà punito in conformità.
Nel Qur’an, d’altronde, si trovano moltissime istru-
zioni divine come queste:
O voi che credete! temete DIO come deve essere temuto
e non morite se non in stato di Islam. E tenetevi stretti, tutti
insieme, alla Corda di Dio, senza dividervi fra voi.
E ricordate con gratitudine i favori di DIO su di voi;
perché eravate nemici e Lui ha unito i vostri cuori nell’amore, così
che per Sua Misericordia siete diventati fratelli; eravate sull’or-
lo dell’abisso del Fuoco e Lui vi ha salvati. E’ così che DIO vi
rende manifesti i Suoi Segni, affinchè possiate essere guidati.
Fate che sorga in mezzo a voi un gruppo di uomini che esorti a
tutto ciò che è buono, ordinando ciò che è giusto e vietando ciò
che è sbagliato. Sono loro quel1i che raggiungono la felicità
(3, 102-104).
0 voi che credete! Adempiete a tutti gli obblighi,.. e soccor-
retevi a vicenda in giustizia e pietà, ma non soccorretevi nel pec-
cato e nel rancore. Temete DIO; chè Dio è rigoroso nel castigo
(5, 1-3).
In aggiunta a quanto è stato detto, le direttive sociali dell’I-
slam possono essere viste, una volta di più, nell’ultimo discorso
del Profeta Muḥammad durante il pellegrinaggio. Rivolgendosi alle
decine di migliaia di pellegrini, egli disse fra l’altro:
Uomini! ascoltate le mie parole, perché io non so se un altro
anno mi sarà concesso di trovarmi fra voi in questo luogo.
Le vostre vite e proprietà sono sacre e inviolabili fra di voi,
fino a quando vi presenterete al Signore, così come questo giorno
di questo mese è sacro per tutti. E ricordate che dovrete presentarvi
al vostro Signore, il quale vi chiederà conto di tutte le vostre azioni.
Uomini! Voi avete dei diritti sulle vostre mogli ed esse hanno
dei diritti su di voi. Trattate le vostre mogli con amore e con gar-
bo. In verità le avete prese come deposito fiduciario di Dio e avete
reso lecite a voi le loro persone sulla base delle parole di Dio.
Siate sempre fedeli al deposito che vi è stato affidato ed evitate
i peccati.
D’ora in poi, la vendetta del sangue praticata nei giorni
dell’ignoranza e del politeismo è proibita e ogni faida è abolita.
Quanto ai vostri schiavi, fate in modo di nutrirli con lo
stesso cibo di cui vi nutrite voi e vestiteli col materiale di cui
vi vestite voi; se commettono un errore che voi non siete inclini
a perdonare, allontanatevi da loro, perché essi sono i servi di DIO
e non devono essere trattati con durezza.
Uomini! Ascoltate le mie parole e comprendetele. Sappiate che
tutti i Musulmani sono fratelli fra loro. Voi costituite una Sola
Fratellanza. Nulla di quanto appartiene a uno è lecito al suo fra-
tello, a meno che non sia dato spontaneamente. Guardatevi dal com-
mettare l’ingiustizia.
Come questo giorno di questo mese in questo territorio sacro e
inviolabile, cosi DIO ha reso inviolabili la vita, la proprietà e
l’onore di ciascuno di voi, fino a quando vi presenterete al vostro
Signore.
Chi è presente riferisca ciò a chi è assente. Colui al quale
le mie parole verranno riferite se le ricorderà forse meglio
di chi le ha udito direttamente.
In verità, io ho compiuto la mia missione. Ho lasciato
fra voi, come chiaro comandamento, il Libro di DIO e prescrizio-
ni inequivocabili. Se vi atterrete ad esse, non sbaglierete.
La vita economica
La vita economica dell’Islam è basata anch’essa su solide
fondamenta e su istruzioni divine. Guadagnarsi da vivere con
un’onesta fatica è non solo un dovere, ma anche una grande virtù.
La dipendenza di una persona abile da qualcun altro che le pro-
curi da vivere costituisce un peccato dal punto di vista religioso,
una spina sociale e un’umiliazione vergognosa.
Un Musulmano ha da parte di DIO l’ordine di essere autosuf-
ficiente e di evitare di dipendere da chiunque altro. L’Islam
rispetta ogni genere di lavoro inteso a guadagnare il necessa-
rio per vivere, purchè non comporti indecenza o peccato. Con
la coscienza limpida e il dovuto rispetto da parte della comunità,
il Musulmano può rimboccarsi le maniche e intraprendere ogni genere
di lavoro disponibile, per provvedere a sè e a chi dipende da lui.
Si tramanda che il Profeta Muḥammad dicesse che è molto meglio
andare a tagliar legna e venderla per poter mangiare e fare l’ele-
mosina, che non andar a mendicare presso g1i altri, siano o non
siano in grado di dargliene. Secondo l’Islam, la qualifica di
onesto lavoratore non può essere sminuita a seconda del tipo
di lavoro che uno fa per vivere. Tuttavia i lavoratori non hanno
limiti per migliorare la loro condizione ed elevarla il più pos-
sibile. Essi hanno pari possibilità a loro disposizione e godono
di libertà d’iniziativa.
Tutto ciò che l’individuo fa o guadagna con mezzi leciti
è suo possesso personale, che non può essere reclamato nè dallo
Stato nè da chiunque altro. In cambio, egli deve solo adempiere
a certi obblighi verso la comunità e pagare certe tasse allo
Stato. Quando questo è fatto, egli ha pieno diritto a esser pro-
tetto dallo Stato e la sua libertà economica è sicura e garantita.
Nell’ordinamento islamico, non sorge mai la minaccia dell’avarizia
capitalista e della sovversione comunista. I1 soggetto
economico è responsabile della prosperità dello Stato e lo Stato,
a sua volta, è responsabile della sicurezza della persona. I con-
flitti di classe vengono sostituiti dalla cooperazione e dall’armo-
nia; paura e sospetto sono sostituiti dalla sicurezza e dalla fi-
ducia reciproche.
L’ordinamento economico dell’Islam non è costruito alla
luce dei soli calcoli aritmetici e delle sole capaci-
tà di produzione. Anzi, esso è costruito e concepito alla luce
di un completo sistema morale. La persona che lavora
per un’altra persona o per una ditta o un’istituzione ha da DIO
l’ordine di compiere il suo lavoro con efficienza e onestà. I1
Profeta disse che se uno dei Musulmani comincia a fare un lavoro,
DIO ama vederglielo fare bene e con efficienza. Una volta compiuto
il lavoro, il lavoratore ha diritto a un compenso adeguato al suo
servizio. La mancata ricompensa da parte del datore di lavoro o
il tentativo di ridurlo è un’azione che merita d’esser punita, in
conformità con la Legge di DIO.
Le transazioni commerciali sono oggetto di una grande
attenzione da parte dell’Islam. I1 commercio onesto è permesso
e benedetto da DIO. Esso può essere svolto individualmente
oppure in maniera associata. Ma tutti gli affari debbono esse-
re conclusi con franchezza e onestà. La truffa, l’occultamento
dei difetti della merce ad opera dei venditori, lo sfruttamento
delle necessità dei compratori, il monopolio delle merci inteso
a far salire i propri prezzi, sono tutte azioni colpevoli, che
la Logge Islamica punisce. Se si è tenuti a vivere in maniera
decente, lo si deve fare con mezzi onesti e lavorando seriamente.
Diversamente, le condizioni cambiano facilmente, e non solo
questo; chiunque si nutra di provviste illecite, dice il Profe-
ta, nel Giorno del Giudizio brucerà entro il Fuoco infernale.
Per combattere la truffa e lo sfruttamento, 1’Islam richiede
l’onestà negli affari, ammonisce i truffatori, incoraggia il
lavoro onesto e vieta l’usura, ovvero la riscossione del tasso
di interesse. Questo per mostrare all’uomo che egli possiede
a pieno diritto solo ciò per cui ha lavorato, e che lo sfrut-
tamento delle pressanti necessità altrui è irreligioso, inumano
e immorale. DIO dice nel Qur’an:
Quelli che mangiano l’usura non staranno se non come sta
colui che il Maligno ha sospinto alla pazzia col suo contatto.
Questo perché essi dicono: “il commercio è come l’usura”. Ma Dio
ha permesso il commercio e ha proibito l’usura. Quelli che,
dopo aver ricevuto l’orientamento dal loro Signore, desistono,
saranno perdonati per il passato; il loro caso è per DIO (da giu-
dicare). Ma quelli che rinnovano (la colpa) sono
Compagni del Fuoco; ed ivi dimoreranno (per sempre). DIO pri-
verà l’usura di ogni benedizione, ma aumenterà le benedizio-
ni per le opere di carità chè Egli non ama le creature ingrate
e perverse (2, 274-276).
E ha innalzato il Firmamento e ha drizzato 1a Bilancia (della
Giustizia) affinchè voi non trasgrediste l’equilibrio (giusto).
Stabilite perciò il peso con giustizia e non rubate sul peso
(55, 7-9). Ciò vale a guidare l’uomo sulla via della gius-
tizia e della correttezza in tutte le transazioni e in tutti
gli affari. Il futuro dei truffatori è spaventoso e la loro
dimora è angosciosa. Ecco come il Qur’an tratta l’argomento:
Guai a coloro che operano la frode, coloro che, quando
devono ricevere dagli altri esigono la misura colma, ma quando
devono dare in misura o in peso agli altri, allora danno meno
del dovuto. Non pensano che saranno chiamati al resoconto
in un giorno tremendo, un Giorno in cui (tutta) l’umanità starà
davanti al Signore dei Mondi (83, 1-6) ?
Oltre a ciò, vi sono numerosi detti tradizionali del Profeta
Muḥammad che escludono dal novero dei veri Musulmani i truffato-
ri, gli sfruttatori, i monopolisti e gli uomini d’affari disonesti.
Ogni affare che comporti l’ingiustizia o la truffa o lo sfrutta-
mento è rigorosamente vietato e può essere cancellato dalla Legge
anche dopo che è stato concluso. Lo scopo principale della legi-
slazione islamica sull’economia e il commercio è di assicurare
i diritti della persona e mantenere la solidarietà comunitaria,
introdurre un’etica elevata nel mondo degli affari e mandare in
vigore la Legge di DIO in tale sfera d’attività. E’ logico e
conseguente che 1’Islam si interessi ad aspetti come questi,
poichè esso non è una formula spirituale e nient’altro,
ma un completo sistema di vita.
Ai proprietari 1’Islam rammenta continuamente che essi sono
in realtà dei semplici “agenti” di DIO, da Lui nominati affinchè
amministrino le loro sostanze. Non c’è nulla nell’Islam che im-
pedisca al Musulmano di costruirsi una ricchezza e di adoperarla
a fini di miglioramento materiale tramite mezzi leciti e
vie oneste. Resta tuttavia il fatto che l’uomo giunge in questo
mondo con le mani vuote e con le mani vuote si allontana
da esso. L’effettivo e reale proprietario delle
cose è soltanto DIO, di Cui ogni proprietario è semplicemente
un agente di fiducia, un mero incaricato. Questa non è solo la
realtà della vita, ma ha anche un peso notevole sul comportamento
umano. Questa realtà rende il proprietario sempre disponibile a
spendere sulla via di DIO e a contribuire a cause meritevoli.
Lo rende responsabile verso le esigenze della sua comunità e gli
dà un’importante funzione da svolgere una missione sacra alla
quale adempiere. Lo salva dal peccato dell’egoismo, dell’ava-
rizia e dell’ingiustizia. Questa è la vera concezione della pro-
prietà nell’Islam e questo è il vero statuto dei proprietari.
I1 Qur’an considera il possesso della ricchezza come una prova, un
esame, e non come un contrassegno di virtuosa eccellenza o di
privilegio o uno strumento per sfruttare gli altri. DIO dice:
“E’ Lui che vi ha fatti (Suoi) luogotenenti, eredi della terra:
vi ha elevati a ranghi, alcuni al di sopra degli altri,
per mettervi alla prova nei doni che vi ha dati. In verità il vostro Signore è rapido nel castigo, e tuttavia è Indul-
gente, Misericorde” (6, 165).
Inoltre, il Qur’an riferisce agli uomini un interessante di-
scorso avvenuto fra Mosè e la sua gente. Ecco come esso si svolse:
Disse Mosè al suo popolo: Invocate l’aiuto di DIO e aspettate
con pazienza e costanza, perché la terra è di DIO. Egli la dà in
eredità a quello dei Suoi servi che preferisce; e la fine è migliore
per i giusti.
Essi dissero: Noi abbiamo avuto solo triboli, prima e dopo
che tu sei venuto fra noi. – E lui disse: Può darsi che il vostro
Signore distruggerà i vostri nemici e vi farà Suoi eredi sopra la
terra, per mettervi cosi alla prova con le vostre azioni. (7, 128-129).
Questo discorso fra Mosè e la sua gente non comporta in alcun
modo il riconoscimento di una categoria privilegiata di uomini
in grazia del1a loro origine razziale o della loro identità etnica.
Nè significa affatto che il Qur’an approvi la condotta e le
concezioni dei seguaci di Mosè nei secoli successivi. I1 tono del
testo contiene rimprovero e critica verso i dubbiosi e afferma che
ogni cosa sulla terra appartiene a DIO, i1 quale distribuisce tutto
fra i Suoi servi sotto specie di depositi ereditari e oggetti di
prova. I1 Qur’an ritorna spesso su questo punto. Ad esempio,
esso dice:
A Lui appartiene il dominio dei cieli e della terra e tutte
le cose sono rinviate a DIO… Credete in DIO e nel Suo Messag-
gero e spendete (in carità) parte delle sostanze di cui vi ha fatti
eredi. Quelli di voi che credono e spendono (In carità), per loro
c’è un grande compenso. E qual motivo avete per non spendere nella
causa di DIO? Chè a DIO appartiene l’eredità dei cieli e della ter-
ra (57, 5, 7, 1O).
Diversamente dal comunismo, 1’Islam sostituisce all’artificiale
egemonia totalitaria dello Stato comunista la benefica egemonia di
DIO; alla teoria comunista della lotta di classe, sostituisce l’e-
tica integra della responsabilità reciproca e della mutua coopera-
zione. D’altro canto, dà le più grandi garanzie contro l’avarizia
capitalista e l’impietoso sfruttamento dei proprietari. L’ordina-
mento economico dell’Islam garantisce pieno riconoscimento dell’en-
tità “indipendente” della persona e delle sue naturali aspirazioni
al lavoro e alla proprietà. Tuttavia esso non concepisce la persona
umana come assolutamente autonoma da DIO o dall’universo. Non dei-
fica l’uomo o il suo capitale, nè deifica il proletariato o abolisce
l’impresa personale. Accetta l’uomo nella maniera in cui è stato
creato e lo tratta in conformità, facendo concessioni alle sue aspira-
zioni naturali e al suo limitato potere. L’uomo è uomo, e deve
essere accettato e considerato come tale. Non è nè un dio nè un
semidio, che possa arrogarsi poteri assoluti e indiscutibile infal-
libilità. Nè è un essere senza valore e senza significato. E’ un
essere che deve venire riconosciuto nella sua condizione effettiva
e nella sua natura, che non va nè esagerata nè eccessivamente deprez-
zata. Non si trova nè al di sopra nè al di fuori del resto dell’uni-
verso, ma è una parte di un ordine integrale, un elemento della
struttura universale.
Benchè l’uomo sia incoraggiato a operare, sia libero di intra-
prendere, abbia il diritto di guadagnare e possedere, il fatto che
egli sia un semplice fiduciario fornisce la misura necessaria per
collocare nella giusta luce le sue proprietà e i suoi affari. Egli
ha il potere di guadagnare, di investire e di spendere. Tuttavia,
nel fare ciò è guidato da elevati principi che lo salvano dalle de-
viazioni. Per illustrare questo punto può bastare un esempio. I pro-
prietari non sono assolutamente liberi di spendere il loro denaro
o di maneggiare la loro proprietà nel nodo che più piace loro. Vi
sono certe norme che debbono essere seguite nello spendere.
Secondo le parole del Qur’an, DIO ordina al proprietario di adem-
piere ai suoi obblighi finanziari verso i suoi simili e di essere
moderato nelle sue spese private. All’uomo viene sempre ricordato che
è DIO il Vero Provveditore, il Vero Proprietario. Ecco l’affermazione
dal Qur’an:
E rendete i giusti diritti ai parenti, ai bisognosi, al viandan-
te. Ma non dissipate (la vostra ricchezza) come i prodighi. In veri-
tà i prodighi sono fratelli dei malvagi e il malvagio è ingrato verso
il suo Signore.
Non fate in modo che la vostra mano vi rimanga attaccata al collo
(come quella degli avari), nè protendetela con la palma aperta al
massimo (come fanno gli stolti prodighi), Per non andare incontro al
rimprovero e alla miseria. In verità il vostro Signore provvede ab-
bondantemente a sostentare chi Egli vuole, e vi provvede in giusta
misura. Chè Egli conosce ed osserva tutti i Suoi servi (17, 26-27,
29-30).
La vita politica
Come la vita sociale ed economica, così anche la vita politica
dell’Islam si basa su solide fondamenta spirituali ed etiche ed è
orientata dalle istruzioni divine. L’ordinamento politico dell’Islam
è unico nella sua struttura, nella sua funzione, nel suo obiettivo.
Non è pragmatico o strumentale. Non è un regime di tipo clericale,
ossia un sistema in cui una determinata categoria di persone presume
di detenere diritti divini, acquisiti ereditariamente o per altra via,
e si pone al di sopra degli altri cittadini, al di là di ogni respon-
sabilità. E neppure è un dispotismo proletario, dove il potere è
in mano a operai animati dal risentimento. Tanto meno si tratta di
una democrazia, di un governo del popolo. E’ qualcosa di diverso
da tutto questo. Per apprezzare la dottrina politica dell’Islam
bisogna semplicemente rendersi conto che essa si basa sui seguenti
principi:
1. Ogni atto dei Musulmani, come persone singole o come gruppi di
persone, deve essere ispirato e guidato dalla Legge di DIO, dal Qur’an,
che è la “costituzione” scelta da DIO per i Suoi veri servi. E se
alcuni non giudicano (o governano) secondo quanto DIO ha rivelato,
questi sono gl’infedeli… sono loro i malfattori… sono loro i
ribelli (5, 47-50). In verità il Qur’an guida a ciò che è giusto
e buono in massimo grado (17, 9).
2. Nello Stato Islamico la sovranità non appartiene nè agli uomini
di governo nè al popolo. Essa appartiene a DIO; il popolo, inteso
come totalità unitaria, la esercita come qualcosa che DIO egli ha affida-
to in deposito, allo scopo di mandare in vigore 1a Sua legge e realiz-
zare la Sua volontà. L’uomo di governo, lo statista, è soltanto un
esecutore che la comunità popolare ha scelto affinchè serva
il bene comune in conformità della Legge di DIO. Questa è la base
dello Stato Islamico ed è coerente con la veduta islamica circa l’u-
niverso, del quale è DIO il Creatore e nel quale è DIO l’Unico Sovrano.
Nel Qur’an si trovano concetti come questi: Autorità, potere e sovra-
nità non appartengono se non a DIO ovvero: Benedetto sia Colui nelle
Cui mani è il comando, ed Egli su tutte le cose ha potere (Qur’an, 67,
1); o ancora: In verità DIO vi ordina di restituire i depositi a colo-
ro cui essi sono dovuti; e quando giudicate (o governate) fra la gente,
giudicate con giustizia. Come è eccellente l’insegnamento che Egli
vi dà! (4, 58); e ancora: E a DIO appartiene il dominio dei cieli
e della terra e tutto quanto si trova fra quelli e questa; e a Lui
è la definitiva destinazione (di tutti gli esseri) (5, 20).
3. Lo scopo dello Stato Islamico è di amministrare la giustizia
e di garantire a tutti i cittadini la sicurezza a la protezione,
indipendentemente dal colore della loro pelle o dal loro credo,
in conformità con quanto DIO ha stabilito nella Sua costituzione,
il Qur’an. La questione delle minoranze religiose o razziali non
insorge finchè esse sono minoranze rispettose della legge e della
pace comunitaria. I1 Qur’an dice:
0 voi che credete! Rimanete saldi a difesa della giustizia,
come testimoni del retto agire, e non lasciate che l’odio di altri
individui verso di voi vi induca a deviare verso l’errore e ad
allontanarvi dalla giustizia. Siate giusti: è così che si è
vicini alla religiosità; e ricordatevi di DIO, chè DIO è bene in-
formato di tutto quello che voi fate (5, 9; cfr. 4, 135).
In verità DIO difenderà coloro che credono, ……. coloro i
quali, se Noi li installiamo sopra la terra, istituiscono orazioni
rituali ed elargiscono la decima rituale, prescrivono ciò che è
giusto e proibiscono ciò che è sbagliato. Con Dio riposa il fine
(e la decisione) di tutte le cose (22, 38-41).
4. Costituito in vista dei fini suddetti e per la realizzazione della
Legge di DIO, lo Stato Islamico non può stare sotto il controllo di
alcun partito politico che sì basi su fondamenta non islamiche o sia
soggetto a potenze straniere. Esso deve essere indipendente per e-
sercitare, 1a dovuta autorità in nome di DIO e per la Sua causa.
Ciò deriva dal principio secondo cui il Musulmano è uno che si
sottomette soltanto a DIO ed è leale verso la Sua Legge, offrendo
il massimo della cooperazione e dell’appoggio a quanti amministra-
no la vera Legge e ne osservano i dettami. E’ incompatibile con
1’Islam, perciò, che una nazione musulmana appoggi un
partito politico non basato sull’Islam o difenda un governo non
islamico, di derivazione e obiettivi extraislamici. DIO non garan-
tirà mai agli infedeli il modo (di trionfare o di esercitare
il governo) sopra i Fedeli (4, 141). La risposta dei Fedeli, quando
sono convocati da DIO e dal Suo Messaggero affinchè egli possa
giudicare (o governare) fra loro, non è altro che questa: “Noi a-
scoltiamo e ubbidiamo” – dicono,….. DIO ha promesso, a quelli
tra di voi che credono e operano la giustizia, che Egli con ogni
certezza li renderà Suoi luogotenenti sopra la terra, cosi come ha
fatto con quelli che li hanno preceduti; ha promesso che conferirà
rango di autorità alla loro religione, la sola che Egli abbia scelta
per loro; e che cambierà la loro situazione, dopo i1 timore nel
quale sono vissuti, in una situazione di sicurezza e di pace: “Essi
adoreranno Me solo e non Mi assoceranno alcun condòmino” (24, 51; 55).
DIO ha decretato: “Siamo Io e i Miei Inviati a dover prevalere. In
verità DIO è pieno di potenza, capace di mandare in esecuzione la
Sua volontà. Non troverete nessuno che creda in DIO e nell’Ultimo
Giorno e ami coloro i quali resistono a DIO e ai Suoi Inviati, anche
se si tratta dei loro padri e dei loro figli, dei loro fratelli o
dei loro parenti. Per tali Fedeli Egli ha inscritto la Fede nei
loro cuori e 1i ha rafforzati con uno spirito per Lui” (58, 21-22).
5. Lo statista, qualunque statista, non è il sovrano del suo
popolo. E’ un dignitario nel quale i1 popolo si riconosce e
deriva la propria autorità dall’obbedienza del popolo alla Legge
di DIO, la Legge che vincola governanti e governati mediante un
patto solenne, sul quale è DIO a sovrintendere.
I1 contratto politico dell’Islam non è un semplice contratto fra
amministrazione e popolo. E’ un patto che vede da una parte go-
vernanti e governati e dall’altra parte Allah; è un patto che è
moralmente valido e vincolante finchè i contraenti umani adem-
piono ai loro obblighi verso la controparte divina. I goveman-
ti che il popolo riconosce come i migliori nell’applicazione
della parola di DIO hanno diritto all’appoggio e alla collabora-
zione del popolo, finchè essi osservano la parola di DIO. Se
i governati o qualunque membro della comunità non rendesse a tali
governanti il dovuto appoggio e la dovuta collaborazione, un atto
del genere sarebbe ritenuto un’offesa irresponsabile contro il
governo e contro DIO Stesso. Analogamente, se il governo si al-
lontana dal Sentiero di Dio o non osserva la Legge di DIO, esso
non soltanto commette il medesimo peccato contro DIO, ma non
ha nemmeno più i1 diritto all’appoggio e alla lealtà del popolo.
Dice il Qur’an:
0 voi che credete! Ubbidite a DIO, ubbidite al Messaggero
(di DIO) e a quelli che fra voi hanno il carico dell’autorità. Qualora
divergiate in qualcosa fra voi, portate la questione dinanzi
a DIO o al Suo Messaggero, se credete in DIO e nell’Ultimo Giorno.
Questa è la cosa migliore e la più adatta per la determinazione
finale (4, 59),
L’obbedienza verso coloro che detengono
l’autorità è condizionata dalla loro stessa obbedienza alla Legge
di DIO e alla Tradizione del Suo Messaggero. In una delle sue
proclamazioni conclusive, Muḥammad disse che non c’è obbedienza
o lealtà verso alcun essere umano, statista o altro, se
questi non è lui stesso obbediente a DIO e non è vincolato
dalla Sua Legge. I primi successori di Muḥammad compresero assai
chiaramente questo principio e dichiararono nei loro primi proclami
politici che essi dovevano essere obbediti e aiutati dal popolo
finchè rimanevano obbedienti a DIO, mentre non avrebbero piu avuto
alcun diritto all’obbedienza da parte del popolo qualora si fossero
laro stessi allontanati dalla Via di Dio.
6. Gli statisti e i capi politici devono essere selezionati
fra i cittadini meglio qualificati sulla base dei meriti della
virtù, dell’adeguatezza e della competenza. L’origine etnica, il
prestigio familiare, le condizioni economiche non rendono
più o meno qualificati per i pubblici uffici i potenziali candida-
ti. Tali fattori non aumentano nè diminuiscono i meriti dell’indi-
viduo. Ogni candidato deve essere giudicato per i suoi propri
meriti; prestigio famigliare, ricchezza, razza ed età non costi-
tuiscono, in quanto tali, elemento determinante.
I candidati possono essere riconosciuti dal popolo mediante
plebiscito oppure possono essere scelti e investiti dalle
guide del popolo, le quali sono riconosciute come guide dal
consenso universale dei vari settori della comunità. Così
uno Stato Islamico può avere consigli rappresentativi o go-
verni municipali finchè vuole. I1 diritto all’elezione o alla
selezione e il governo dello Stato sono sottoposti alla norma-
tiva della Legge di DIO e devono mirare al bene della comunità
intesa come realtà integrale. I1 Profeta Muḥammad disse-
“Chi affida a un uomo un pubblico ufficio quando nella comuni-
tà c’è un uomo migliore di quello, costui ha tradito la fi-
ducia di DIO, del Suo Messaggero e dei Musulmani”. In senso
politico, ciò significa che il popolo non può, moralmente
parlando, essere indifferente al fatti d’interesse pubblico
e che esso deve effettuare la sua scelta dopo accurata accerta-
mento e dopo profonda meditazione. In tal modo lo Stato può
esercitare la miglior salvaguardia della sicurezza comunitaria,
in maniera responsabile: cosa, questa, che non si verifica
negli Stati democratici contemporanei.
7. Dopo che il popolo ha espresso il suo parere attraverso
il plebiscito o mediante la selezione dei suoi uomini di
governo, ogni cittadino è tenuto a sorvegliare, coi mezzi che
ha a disposizione, il funzionamento del governo e a controllare
il modo in cui vengono trattati gli affari di pubblico interesse,
quando vede che c’è qualcosa di sbagliato. Se il governo tra-
disce la fiducia di DIO e il pubblico, allora non ha più nessun
diritto di continuare a svolgere il suo compito, Deve essere
esautorato e sostituito con un altro, ed è responsabilità di
ogni cittadino vedere che ciò sia fatto nell’interesse generale.
I1 metodo del potere ereditario o del governo a vita è perciò
inapplicabile in uno Stato Islamico.
8. Benchè lo statista sia riconosciuto e nominato dal popolo,
la sua prima responsabilità è di fronte a DIO; poi, di fronte
al popolo. La sua carica non e semplicemente decorativa
nè la sua funzione è astratta. Egli non è una marionetta che
abbia soltanto il ruolo di firmare pezzi di carta o di eseguire
invariabilmente la “volontà della nazione”, sia essa giusta o
sbagliata. Egli deve esercitare il potere per conto del popolo
e per il bene del popolo in conformità con la Legge di DIO, per-
chè le sua responsabilità è duplice. Da una parte egli è respon-
sabile a DIO della sua condotta e dall’altra è responsabile di-
nanzi al popolo, che ha riposto in lui la sua fiducia. Sarà
pienamente responsabile davanti a DIO del modo in cui avrà trat-
tato il popolo o i rappresentanti di esso. Ma governante e go-
vernati dovranno render pienamente conto a DIO del modo in cui
avranno trattato il Qur’an, del modo in cui avranno considerato
la Legge di DIO, che Egli ha data loro come forza vincolante.
E’ sulla base della responsabilità verso il popolo che il gover-
nante deve occuparsi delle questioni pubbliche, nell’interesse
comune, ed è sulla base della sua responsabilità verso DIO che
egli deve fare così, secondo la Legge di DIO. Quindi l’ordina-
mento politico del1’Islam è fondamentalmente diverso da tutti
gli altri sistemi e ideologie politiche note al genere umano,
e il governante non deve governare il popolo secondo i desideri
particolari del primo o del secondo. Egli deve servire il popolo
facendo della giustizia una legge comune, facendo della genuina
obbedienza al Signore Sovrano dell’universo una regolare funzione
dello Stato e facendo di un’etica sana ed integra un nobile com-
pito della direzione dello Stato.
9. Benchè il Qur’an sia la costituzione dello Stato Islamico,
i Musulmani hanno da DIO l’ordine di affrontare le loro questioni
comuni mediante metodi consultivi. Ciò dà spazio a consigli le-
gislativi e corpi consultivi sul piano locale, nazionale e inter-
nazionale. Ogni cittadino nello Stato Islamico ha il dovere di
dare il suo parere più saggio circa le questioni comuni e deve
avere il diritto di farlo. Per assicurare l’adempimento di que-
sto obbligo in modo pratico e vantaggioso, i governanti devono
ricercare il consiglio delle persone più istruite e fornite di
esperienza che vi siano nello Stato. Ma ciò non toglie assoluta-
mente il diritto di parola al cittadino medio,
che deve esprimere il suo parere quando si presenta l’occasione.
In tal modo ogni cittadino dello Stato Islamico ha un obbli-
go da adempiere ed è profondamente interessato, direttamente o
per altra via, nella condotta della cosa pubblica. La storia del-
1’Islam fornisce esempi autentici del modo in cui i capi e i ca-
liffi vennero interrogati, consigliati e corretti dalla gente
comune, uomini e donne. I1 principio della reciproca consulta-
zione è così fondamentale nell’Islam, che non solo bisogna ma-
nifestare la propria opinione, ma bisogna anche farlo nella ma-
niera più sincera ed efficace, per il bene della comunità. I me-
todi consultivi in politica o in qualunque altro campo non sono
una formula democratica di governo, ma un procedimento prescritto
dalla religione, un dovere morale dei governanti e dei governati.
Oltre alla sua pratica costante di questo principio, il Profeta
disse che è parte essenziale della religione il dare buoni con-
sigli. Lo scopo di tali consigli è di far sì che la Legge di DIO
venga osservata, che i diritti dei cittadini siano onorati e
i loro doveri vengano adempiuti. Per prevenire la nascita del
politicantismo professionale e contrattaccare i politicanti op-
portunisti, il Profeta, parlando dell’autorità di DIO, disse che
chiunque parla in forma di consiglio o in qualunque altra for-
ma deve dire cose buone e giuste; altrimenti è meglio che non
parli. Questo per mettere in guardia consiglieri e consulenti
contro le inclinazioni egoistiche e le tentazioni personalistiche.
Ciò serve a garantire che il consiglio sia dato con le intenzioni
più sincere e nel miglior interesse del popolo, perché il consi-
glio è autorizzato da DIO, formulato in Suo nome e diretto
al bene comune. La richiesta di consigli da parte del governante
e la sua emissione da parte dei governati non è un fatto di libera
scelta o una decisione volontaria. E’ un articolo di fede, un
dovere religioso. Muḥammad stesso, per quanto fosse sapiente,
“infallibile” e disinteressato, non era al di sopra della norma
nè costituiva eccezione alla regola. DIO lo istruisce cosi:
E’ per misericordia di DIO che li avete trattati con affabilità
(la vostra gente). Se foste stati duri di cuore o troppo severi,
essi si sarebbero allontanati da voi. Perdonate dunque i loro
sbagli e chiedete per loro l’indulgenza (di DIO); e consultateli
sulle questioni (di una certa importanza). Poi, quando avete presa
una decisione, riponete la vostra fiducia (in Lui) (3, 159).
Enumerando le caratteristiche dei fedeli, il Qur’an annovera
inequivocabilmente i1 mutuo consiglio fra gli articoli di fede. I
fedeli sono coloro che credono in DIO e ripongono la loro fede nel
loro Signore, evitano i peccati più grandi e le azioni vergognose
e perdonano anche quando sono adirati; sono coloro che ascoltano
il loro Signore, istituiscono l’orazione rituale, eseguono le loro
faccende consultandosi reciprocamente e spendono (in carità) una
parte di quanto abbiamo loro elargito come sostentamento; sono co-
loro i quali, quando viene loro inflitto un torto oppressivo, (non
si lasciano intimidire, ma) si danno da fare e si difendono (42,
36-39).
10. Nell’ordinamento politico dell’Islam, ogni cittadino ha il
diritto di godere della libertà di fede e di coscienza e della libertà
di pensiero e di espressione. E’ libero di sviluppare le sue pote-
zialità e di migliorare la propria condizione, di lavorare e di com-
petere, di guadagnare e possedere, di approvare e disapprovare le
cose, a seconda del proprio onesto discernimento. Ma la sua libertà
non è e non può essere assoluta, altrimenti produrrebbe
il caos e l’anarchia. Essa è garantita dalla Legge di DIO ed è go-
vernata dalla medesima Legge. Finchè è in linea con questa Legge,
la libertà e legittimo privilegio di ogni cittadino; ma se essa tra-
sgredisce i limiti della Legge o si scontra con l’interesse comune,
allora diventa una violazione della Legge di DIO e deve perciò essere
sottoposta a controllo. Il singolo è parte di tutto quanto l’universo,
per cui deve adeguarsi alla Legge e all’ordine di DIO, la Legge da
cui è amministrato l’intero universo. D’altra parte, egli è
membro della sua comunità e della sua nazione e deve perciò armonizzare
i suoi diritti e interessi con quelli degli altri in maniera recipro-
camente vantaggiosa. Se i1 singolo assume una posizione indipen-
dente per quanto concerne una questione di pubblico interesse e
si rende conto che tutti gli altri assumono un atteggiamento diverso
dal suo, allora è lui che alla fine dovrà schierarsi con gli altri,
per mantenere 1a solidarietà e la cooperazione, purchè la decisione
degli altri non sia contraria alla Legge di DIO. Tuttavia nel pro-
cesso di formazione dell’opinione popolare egli ha tutto il diritto
di esprimere il proprio parere e di persuadere gli altri delle sue
convinzioni, senza dar luogo a disordini e ad agitazioni. Quando
è evidente che gli altri hanno scelto una via diversa dalla sua,
egli è tenuto ad adeguarsi, perché non si tratta più di considerazioni
o di decisioni individuali, ma di una questione che riceve
una risposta massiccia (3, 102-105; 8, 46).
11. I1 governo dello Stato Islamico è un deposito fiduciario pub-
blico, che è affidato ai governanti dalla parola di DIO e,
in via subordinata, dal consenso comunitario del popolo. Essendo
DIO il Supremo Sovrano dello Stato, chi lo rappresenta nella carica
più elevata deve essere fedele all’Autorità che gli affida tale
carica, deve essere un credente in DIO. E se la gran parta della
popolazione è musulmana, chi assume la carica di presidente o di
califfo deve essere un autentico Musulmano. Queste misure sono
adottate allo scopo di servire i1 bene comune e di adempiere a tutti
i doveri dello Stato verso DIO e verso i cittadini. Esse sono pure
intese ad assicurare e ad onorare i diritti delle cosiddette minoranze
religiose o razziali.
E’ una disgrazia per l’umanità che questo sistema di governo
dell’lslam sia stato scarsamente compreso e malamente distorto.
La realtà è che questo tipo di governo non discrimina le
minoranze, ma anzi protegge e difende i loro diritti.
Chiunque voglia essere un cittadino dello Stato Islamico, un cittadino
rispettoso della sua legge, è benvenuto in tale Stato e condivide
con gli altri i doveri e le prerogative di una cittadinanza respon-
sabile. I1 fatto che egli sia un non Musulmano non umilia la sua
condizione nè lo fa’ retrocedere a1 rango di cittadino di seconda
classe, finchè egli obbedisce alla Legge dello Stato, che è valida
per tutti quanti, ed esercita i propri diritti in maniera responsa-
bile. Ad esempio, se vuole versare la tassa rituale (zakah) e altre
imposte di Stato, al pari degli altri cittadini musulmani, per far
fronte alle necessità dello Stato e per ricambiare la sicurezza e il
benessere che 1o Stato gli garantisce, può benissimo farlo. Ma se
pensa che versare la tassa islamica (zakah) sia umiliante per la sua
dignità o offensivo per i suoi sentimenti dato che egli non è un
Musulmano, allora può pagare le tasse in maniera diversa, in forma
di “tributi”, o gizyah; in tal modo egli gode di una libertà di
scelta che i Musulmani stessi non hanno. In cambio del suo contri-
buto alle esigenze dello Stato, egli ha pieno diritto a esser pro-
tetto e garantito dai funzionari dello Stato e dalla comunità.
Analogamente, se un tale cittadino vuole regolare la propria
vita personale (per quanto concerne matrimonio, divorzio, alimenta-
zione, eredità e così via) secondo la Legge Islamica, il suo desiderio
deve essere accolto e i suoi diritti debbono essere rispettati.
Ma se vuole regolare questi affari secondo il suo proprio punto di
vista religioso, è assolutamente libero di farlo e nessuno può impe-
dirgli di esercitare i suoi diritti sotto questo rispetto. Così,
nelle cose personali o sentimentali, può ricorrere agli insegnamenti
della sua religione o alle norme pubbliche. Per quanto invece con-
cerne i domìni di pubblico interesse e i rapporti con il
resto della popolazione, deve rimettersi alla Legge dello Stato, la
Legge di DIO. Indipendentemente dalla sua scelta, egli ha in ogni
caso il diritto di esser protetto e garantito, nè più nè meno degli
altri cittadini. Tutto ciò non è il sogno di un paradiso in terra
che deve ancora venire. E’ l’insegnamento del Qur’an, la prassi
di Muḥammad, la norma della storia islamica. Si rammenta ad esempio
che Omar ibn al-Khattab, il secondo Califfo dopo Muḥammad, passava
un giorno in un luogo nel quale trovò un vecchio giudeo in condizioni
pietose. Omar chiese notizie di quell’uomo e venne a sapere quanto
fosse miserabile la sua situazione. Disse quindi amaramente a quel
vecchio: “Noi abbiamo raccolto i tributi (le tasse) da te quando
eri abile a guadagnare. Adesso sei solo e abbandonato. Come è stato
ingiusto Omar con te!” Terminate le sue considerazioni, ordinò che
l’uomo ricevesse una regolare pensione e l’ordine divenne immediata-
mente esecutivo. Omar e altri governanti ricevettero l’istruzione
politica da Muḥammad in persona, il quale a sua volta era stato
istruito da DIO. Questi insegnamenti sono registrati nel Qur’an in
versettì come quelli seguenti:
DIO non vi proibisce, riguardo a coloro che non vi combattono
per la (vostra) Fede e non vi cacciano dalle vostre case, di trat-
tarli umanamente e secondo giustizia. DIO infatti ama coloro che sono
giusti. DIO vi pone dei divieti solo in rapporto a coloro che vi
combattono per la (vostra) Fede e vi cacciano dalle vostre case e
appoggiano altri nel cacciarvi: Egli vi proibisce di rivolgervi a
loro per averne amicizia e protezione. Quelli che si rivolgono
a loro per averne amicizia e protezione sono malfattori (60, 8-9).
Infine, è un errore categorico paragonare lo Stato Islamico
e la sua necessità di avere un capo musulmano con lo Stato
secolare, nel quale è teoricamente concepibile che vi sia un capo
di Stato appartenente a un gruppo minoritario. I1 paragone è
fallace e deviante per varie ragioni. Primo, esso presuppone che
il secolarismo, per quanto superficiale, sia migliore della dottrina
islamica. Una tale supposizione o premessa è pretestuosa. Secondo,
i doveri e i diritti di un capo di Stato sotto l’Islam sono del
tutto diversi da quelli delLa sua controparte nel regime secolare,
come è stato rilevato più sopra. Terzo, lo spirito secolare mo-
derno è qualcosa di totalmente estraneo all’Islam.
Inoltre, il capo di uno Stato secolare, “laico”, può appartenere
a una minoranza razziale, etnica, religiosa. Ma deve inevitabil-
mente appartenere a una fazione maggioritaria. Si ha così il
risultato pratico che una maggioranza politica sostituisce la mag-
gioranza religiosa, e ciò costituisce difficilmente un vantaggio
per le condizioni della minoranza, in quanto tale. Ancora: la tesi
secolare, nella sua integrità, presuppone che la guida dello Stato
sia un diritto o un privilegio che possa venir conferito o tolto
all’individuo. La posizione Islamica è radicalmente diversa. Nel-
1’Islam, la direzione dello Stato comporta innanzitutto e in primo
luogo degli obblighi, dei doveri, delle dure responsabilità. Sa-
rebbe quindi ingiusto che 1’Islam imponesse tali responsabilità
a persone non musulmane.
La vita internazionale
Nell’Islam la vita internazionale è data dal complesso delle
relazioni che intercorrono fra uno Stato o una nazione islamica e
altri Stati e nazioni. Come gli altri aspetti della vita islamica,
anche questo ha le sue radici nella guida divina e segue schemi
divini. Si basa sui fondamenti seguenti:
1. Fede incrollabile nell’unità del genere umano per quanto concerne
la sua origine, la condizione umana e gli obiettivi (Qur’an, 4, 1;
7, 189; 49, 13).
2. Dovuto rispetto per il bene degli altri popoli e i loro diritti alla vita, all’onore e alla proprietà, finchè essi non ostacolano i di-
ritti dei Musulmani. Questo perché l’usurpazione, la trasgressione
e l’iniquità di ogni tipo sono severamente proibite (2, 190-193; 42,
42).
3. La pace come stato normale dei rapporti, con scambio di missioni
di buona volontà e tentativi reciprocamente onesti per la causa del-
l’umanità, della quale tutti i popoli ugualmente partecipano (cfr,
più sopra e Qur’an, 8, 6l).
4. Non ammissibilità delle intromissioni e delle prevaricazioni nei
rapporti internazionali. Se qualcuno fosse tentato di violare i
diritti dello Stato Islamico o di turbarne la pace, di metterne in
pericolo la sicurezza, di sfruttarne la politica pacifica, lo Stato
deve correre subito ai ripari e sopprimere ogni tentativo di questo
genere Solo in tal caso, in tali circostanze, 1’Islam giustifica
la guerra. Ma anche in questo caso vi sono dei principi etici da
seguire, per limitarne al minimo gli effetti e protrarla solo finchè
è necessario. La legge sulla guerra e la pace nell’Islam è altamente
etica; è una legge organica, comprensiva ed equa. Meriterebbe uno
studio speciale sotto il profilo giuridico e sotto quello etico, cosa
che la nostra opera non può fare. Comunque bisogna notare che L’Islam
non giustifica la guerra d’aggressione nè ammette la distruzione
di raccolti, animali, case ecc., perché non ne fa degli obiettivi
bellici. Esso non ammette nemmeno l’uccisione di donne non combat-
tenti, di bambini e di vecchi, nè tollera la tortura dei prigionieri
di guerra o l’imposizione della propria dottrina agli sconfitti.
La guerra è per l’Islam soltanto una misura difensiva, giustificata
dai princìpi pratici dell’lslam finchè nel mondo esistono l’iniquità,
l’ingiustizia e l’aggressione (2, 190-195, 216-218; 22, 39-41; cfr.
anche, più oltre, la discussione sul Jihad).
5. L’adempimento degli obblighi contratti dallo Stato Islamico
e il rispetto dei trattati conclusi fra lo Stato Islamico e altri
Stati. Ciò è vincolante solo se le altre parti rimangono fedeli
ai loro obblighi e onorano i patti. Altrimenti, non possono esservi
validità di trattati o obblighi vincolanti (5,1; 8, 55-56, 58;
9, 3-4).
6. Mantenimento della pace e della sicurezza interna e genuino con-
tributo alla comprensione umana e alla fratellanza universale sul
piano internazionale.
Sono queste le fonti che ispirano la vita internazionale di
uno Stato Islamico. Lo stato Islamico non vive soltanto per sè
e per i suoi sudditi. Esso ha un vasto campo d’azione e un’importante
missione sul piano internazionale. Per ordine dell’Islam, esso
deve operare per la prosperità e il bene dei suoi cittadini in ogni
aspetto dell’esistenza; per ordine dell’Islam, esso deve dare validi
contributi all’umanità nel suo complesso. Ciò procura relazioni
amichevoli, nel più ampio significato del termine, con popoli e stati.
Lo Stato Islamico ha il dovere di svolgere una funzione vitale
per il bene dell’umanità, a livello internazionale, nell’istruzione
e nell’economia, nell’industria e nella politica e cosi via. Tale
funzione cominciò a essere svolta da Muḥammad stesso e i suoi suc-
cessori continuarono a svolgerla nel corso delle generazioni
successive.
Prima di concludere questo capitolo, dobbiamo rilevare che
tutto quanto è stato qui oggetto di discussione si basa sui più
autentici, genuini ed integri principi dell’Islam cosi come si
trovano enunciati nel Qur’an e nelle tradizioni di Muḥammad. Que-
sto è 1’Islam che Muḥammad e i suoi fedeli seguaci praticarono
ed esemplificarono nella maniera più eccellente. Non è 1’Islam
di questo o quel teologo, di questo o quel giurista o statista par-
ticolare. E’ invece, riteniamo, 1’Islam quale esso è in realtà
e quale deve essere.
Bisogna anche tenere presente che il sistema islamico di vita
è unico e differente da tutti gli altri sistemi e ideologie. Lo
si consideri da un punto di vista spirituale o etico, intellettuale
o culturale, politico o economico o da qualunque altro punto di
vista, si può facilmente vedere che è contraddistinto da specifiche
caratteristiche. A fini di illustrazione, si possono menzionare
alcuni esempi.
1. La fonte della dottrina islamica è diversa. Non è di origine
umana. Non è il prodotto di politicanti sovversivi nè di econo-
misti animati dal risentimento. E neppure è opera di moralisti
pragmatici o di industriali egoisti. E’ opera di DIO, è creazio-
ne dell’Uno Infinito, originata per il bene più elevato del genere
umano inteso come tutt’uno. Per sua natura esso è vincolante
ed è venerato da tutti i Fedeli. E’ intelligibile a ogni intelletto
sano, perché è esente da rompicapi enigmatici, da esclusivismi e da
prerogative riservate.
2. Anche gli scopi della dottrina islamica sono diversi. Essa non
tende al dominio mondiale o all’espansionismo fisico. Essa mira in-
vece a sottomettere il mondo alla Volontà di DIO e a circoscriverlo
entro i limiti della Legge di DIO. I1 suo scopo principale è di
compiacere DIO e coltivare l’uomo in maniera tale da aiutarlo a
obbedire alla Legge del Creatore e ad essere un fedele luogotenente
del Signore. Per raggiungere questo scopo, esso regola ogni aspet-
to dell’esistenza; il suo fine è di sviluppare nell’uomo una mente
limpida, uno spirito puro, una coscienza viva, un corpo sano, dei
sentimenti di generosità. Una persona con queste qualità non può
mancare di obbedire DIO e adottare la condotta più irreprensibile.
Quindi gli obiettivi della dottrina islamica sono lungi dall’essere
semplicemente umani o temporali.
3. La dottrina islamica ha tutti gli elementi e tutte le possibilità
che la rendono comprensiva e praticabile, moderata e flessibile.
La sua origine divina rivela solo i princìpi fondamentali e invio-
labili, lasciano il debito spazio all’intelligenza umana, perché
essa elabori i particolari e compia l’adattamento necessario.
In qualunque modo la si consideri, si può vedere che la dottrina
islamica è costituita di principi comprensivi, praticabili e frut-
tuosi. Sono comprensivi perché affrontano tutti i più importanti
aspetti della vita; praticabili perché sono stati messi in pratica
e tradotti in realtà in un tempo o in un altro; moderati perché
non favoriscono il capitalista o il proletario; non riguardano e-
sclusivamente il “mondo” o il dominio spirituale; non sono limitati
nè a questo mondo nè alla vita futura. Segnano il punto
Mediano fra gli estremi e costituiscono un orientamento
per una vita moderata e stabile. Al di là di questi prin-
cìpi, c’è un ampio margine di flessibilità per l’elaborazione
di particolari adatti a regioni e tempi differenti. Questa
flessibilità è una realtà di fatto, una necessità, perché la
dottrina è opera di DIO e in essa, come in tutte le Sue opere,
c,è ampio spazio per la mente umana e le prove umane.
CAPITOLO V
DISTORSIONI DELL’ISLAM
Questo capitolo si prefigge di trattare certi aspetti del-
1’Islam che sono stati trascurati da alcuni Musulmani e sono
stati distorti da praticamente tutti gli altri. Faremo qui uno
sforzo per presentare tali aspetti nella loro vera luce e nel
loro contesto genuino. Così facendo, non cercheremo di compiere
nessuna apologia, perché 1’Islam non ha bisogno di apologie. Nè
vi è da parte nostra alcuna intenzione di tranquillizzare, di con-
dannare o di lusingare chicchessia, perché 1’Islam non tollera un
comportamento del genere, ma prescrive un retto pensare e un retto
operare. Lo scopo, perciò, è semplicemente di far emergere la ve-
rità in ordine a tali aspetti, di presentarla cosi com’è alla mente
del non musulmano e far sì che ciascuno veda e giudichi da solo,
da essere razionale intelligente e responsabile.
I Musulmani che vivono nel mondo occidentale o hanno familiari-
tà con la letteratura occidentale si trovano spesso di fronte a
questioni sorprendenti e a considerazioni stupefacenti, fatte da
alcuni occidentali. Le questioni della “Guerra Santa”, “dell’Islam
nemico di Gesù”, della “poligamia”, del “ripudio”, della “condizione
femminile nell’Islam” e così via sono le più frequenti. E’ per
rendere un servizio alla verità e per la causa delle persone oneste
che si trovano fra gl’innocenti e disinformati autori di queste o-
biezioni, che cerchiamo qui di esaminare brevemente tali questioni.
1. La Guerra Santa (Jihad
L’Islam è stato diffuso con la punta della spada? I1 sim-
bolo dell’Islam è stato davvero “il Qur’an o la spada”? I Musul-
mani sono stati degli imperialisti, protesi alla potenza mondana o
al bottino? Alcuni sembrano nutrire su di ciò un’opinione afferma-
tiva; altri sembrano avere un parere negativo, mentre altri ancora
sono indecisi, perplessi e riluttanti. Ma il Qur’an da che parte
sta? Che cosa ci è rivelato, riguardo a ciò, dalla storia di Muḥammad?
0gni persona onesta che abbia rispetto per la verità e la dignità
umana ha l’obbligo morale di informarsi e di rivelare agli altri i
risultati della propria ricerca.
Il Qur’an dichiara che, lo si voglia oppure no, la guerra è una
necessità dell’esistenza, un dato di fatto della vita, finchè esiste-
ranno nel mondo l’ingiustizia, l’oppressione, le ambizioni capriccio-
se, le rivendicazioni arbitrarie. Ciò può suonare strano. Ma non
è forse un dato di fatto storico che l’umanità, dalla prima alba della
sua esistenza fino ad oggi, ha sofferto di conflitti locali, civili
e mondiali? E’ non è forse un dato di fatto che, piuttosto spesso,
gli alleati vittoriosi risolvono con guerre e minacce di guerra le
controversie che insorgono circa i loro guadagni e circa le condi-
zioni da imporre ai nemici sconfitti? Ancora oggi l’umanità vive
nel timore costante di una guerra e assiste a molte guerre locali
nei cosiddetti “punti caldi” del globo. Poteva DIO trascurare
queste realtà dell’esistenza? Poteva il Qur’an evitare di trattare
l’argomento in maniera realistica ed efficace? Certamente no!
e questo perché 1’Islam ha riconosciuto la guerra come un atto
lecito e giusto per l’autodifesa e la restaurazione della giusti-
zia, della libertà e della pace. I1 Qur’an dice:
Vi è prescritto il combattimento, ed esso è a voi sgradito.
Ma è possibile che vi sia sgradita una cosa che è buona per voi
e che voi invece amiate una cosa che per voi è cattiva. Dio sa,
e voi non sapete (2, 216).
E se Dio non avesse messo alla prova un gruppo di uomini per
mezzo di un altro gruppo, 1a terra sarebbe colma di sovversione:
ma DIO è colmo di misericordia per tutti i mondi (2, 251).
E se DIO non avesse messo alla prova un gruppo di persone per mezzo
di un altro gruppo, sarebbero stati certamente abbattuti monasteri
e chiese e sinagoghe e moschee, dove il none di DIO è menzionato
in abbondante misura (22, 40).
Per quanto realistico nel suo modo di affrontare la questione,
1’Islan non tollera mai l’aggressione, nè da parte propria nè da
parte di altri, nè combatte guerre d’aggressione, nè dà inizio ad
aggressioni militari. I Musulmani hanno ricevuto da DIO l’ordine di
non dare inizio alle ostilità, di non compiere nessun atto di ag-
gressione, di non violare i diritti degli altri. In aggiunta a
quanto è stato già detto nel capitolo precedente vi sono alcuni
versetti del Qur’an che hanno un peso significativo. Dice DIO:
Combattete nella causa di DIO coloro che vi combattono e non
trasgredite i limiti (non date inizio voi alle ostilità), perché
Dio non ama i trasgressori. Uccideteli dovunque li coglierete
e cacciateli da dove essi hanno cacciato voi, perché la sovversione
e l’oppressione sono peggio della strage; però non combatteteli
presso la Moschea Sacra, a meno che non siano loro a combattervi
(per primi) in quel luogo; ma se essi vi combattono, uccideteli.
Tale è la ricompensa per coloro che opprimono la Fede. Se però
desistono, DIO è indulgente, Misericordiosissimo. E continuate
a combatterli finchè non vi siano più persecuzione ed oppressione
e prevalgano la giustizia e la fede in DIO; ma se essi desistono,
allora non vi sia più ostilità, se non per quelli che praticano
l’oppressione (2, 190-193).
La guerra non è un obiettivo dell’Islam ne è la guerra la con-
dizione normale di vita per i Musulmani. E’ solo l’extrema ratio
e viene usata nelle circostanze più straordinarie, allorchè tutte
le altre misure sono inutili. Questo è il vero statuto della guerra
in Islam. L’Islam è la religione della pace: il significato di
Is1am è “pace”; uno dei nomi di DIO è “Pace”; il saluto quotidiano
dei Musulmani e degli angeli è “Pace”; il Paradiso è la Casa della
Pace; l’aggettivo muslim significa “pacifico”. Pace e la natura
dell’Islam; pace è il suo significato, il suo motto, il suo scopo.
Ogni essere ha il diritto di godere la pace dell’Islam e la cortesia
dei pacifici Musulmani, indipendentemente dalle considerazioni
religiose, geografiche o razziali, finchè non vi siano aggressioni
contro 1’Islam o i Musulmani. Se i non musulmani sono pacifici
coi Musulmani o quanto meno sono indifferenti verso 1’Islam,
non c’è nessun motivo e nessuna ragione per dichiarar loro
guerra. Non esiste niente che somigli a una guerra di reli-
gione per imporre 1’Islam ai non Musulmani, perché, se non emerge
da convinzioni radicate, dall’intimo dell’essere, l’Islam non
è accetto a DIO, nè può recare alcun beneficio a chi lo pro-
fessa. Se esiste una religione o un ordinamento che garantisce
una pacifica libertà di religione e proibisce la costrizione nel
dominio religioso, questa religione è 1’Islam e solo l’Islam.
Su questo punto il Qur’an si pronuncia nel modo seguente:
Non vi sia costrizione nella religione: la Verità si di-
stingue dall’errore in tutta la sua chiarezza. Chiunque re-
spinga il male e creda in DIO ha afferrato l’appiglio più si-
curo, che non si spezza. E DIO ode e sa tutto, (2, 256).
Anche nella diffusione dell’Islam il Musulmano non solo
ha il divieto di usare la forza, ma ha pure l’obbligo di usare
i metodi più pacifici. DIO dice a Muḥammad:
Invita (tutti) sulla Via del tuo Signore con saggezza
e belle parole; e discuti con loro nel modo migliore e più
affabile, chè il tuo Signore sa meglio di chiunque chi si è
allontanato dal Suo sentiero e chi riceve l’orientamento (16, 125).
E non discutere con la Gente del Libro (giudei e cristiani)
se non con metodi migliori (della mera discussione), a meno che
non si tratti di quelli di loro che vi infliggono torti (e offese).
Ma di: Noi crediamo nella Rivelazione che è discesa a noi e
in quella che discese a voi; il nostro DIO e vostro DIO è
Uno; ed è a Lui che noi ci inchiniamo (nell’Islam) (29, 46).
Ora, se 1’Islam è così proteso verso la pace e se i Mu-
sulmani sono cosi dediti alla pace e se il Qur’an è favorevole
alla pace, perché allora Muḥammad dichiarò delle guerre e
diresse dei combattimenti? Perchè il Qur’an dice “uccideteli”
e “combatteteli” ? Per esaminare questo problema, apparente-
mente innocente, è indispensabile menzionare alcuni fatti sto-
rici che accompagnarono e anticiparono le guerre musulmane contro
gli infedeli.
Dopo aver ricevuto la Missione da DIO, Muḥammad indisse
un pubblico convegno e parlò all’assemblea di ciò che egli aveva
ricevuto, esortandoli a rinunciare alla loro idolatria e a cre-
dere nell’Unico Vero DIO. Il suo primo appello, pacifico e
fondato sulle argomentazioni logiche, incontrò non solo opposi-
zione, ma anche derisione, scherno, dileggio. Egli cercò conti-
nuamente di far partecipe la sua gente di quell’appello bene-
detto, ma ebbe scarso successo. Non essendo lasciato libero
di diffondere apertamente 1’Islam, dovette ricorrere alla pre-
dicazione privata per alcuni anni, al fine di salvare la vita
dei suoi pochi seguaci e di mitigare le loro difficoltà. Quando
da parte di DIO gli giunse l’istruzione di predicare apertamente,
le persecuzioni e i tormenti aumentarono e vennero brutalmente
inflitti ai Musulmani. Ma più le persecuzioni aumentavano,
e più aumentava il numero dei Musulmani. Gli infedeli tentarono
di ridurre al silenzio l’appello di DIO con ogni genere di
pressioni e di lusinghe. Ma più si facevano frequenti questi ten-
tativi, più Muḥammad e i Musulmani diventavano saldi. Quando gli
infedeli si resero conto che non potevano far vacillare la fede
dei Credenti con le loro minacce, pressioni, espropriazioni, deri-
sioni ecc., organizzarono un feroce boicottaggio, una dura campagna
di ostracismo contro i Musulmani. Per alcuni anni i Musulmani fu-
rono costretti a restare entro una cerchia associativa molto limita-
ta, impossibilitati a predicare, a comprare, a vendere, a contrarre
matrimonio e a mantenere contatti coi loro concittadini della Mecca.
Ma nemmeno ciò valse a far vacillare 1a fede dei Musulmani. Il boi-
cottaggio continuò finchè gl’infedeli non si stancarono di praticarlo
e lo revocarono.
La fine del boicottaggio non significò, da parte degli infedeli,
nè pace nè distensione. Al contrario, le pressioni e
le persecuzioni continuarono con un rapido incremento, ma fu tutto
inutile. Alla fine, gli infedeli tennero un congresso a porte chiuse
par discutere sul da farsi allo scopo di eliminare 1’Islam e liberarsi
di Muḥammad una volta per tutte. Fu adottata una risoluzione unani-
me secondo la quale si doveva scegliere un uomo forte da ogni tribu
e uccidere Muḥammad nel suo letto. Ma la missione di Muḥammad non
era destinata a finire in quel modo. Così DIO gli suggerì di lasciare
la Mecca, la sua cara città natale, e di emigrare a Medina per ricon-
giungersi coi Musulmani originari di questa seconda città e con quelli
che prima di lui avevano abbandonato la Mecca per emigrare a Medina
(cfr· Qur’an, 8, 30; 9, 40). Questo fu il grande evento dell’Egira
Hijrah) o Emigrazione, con cui ha inizio la storia dell’Islam e da
cui ha inizio il calendario musulmano.
Abbandonando la Mecca, i Musulmani furono costretti da una se-
rie di circostanze a lasciare dietro di se tutte le loro proprietà
e anche le loro famiglie. Appena si stabilirono a Medina, Muḥammad
riprese la sua pacifica predicazione e i suoi affabili inviti
all’Islam. Alcuni cittadini originari di Medina risposero favore-
volmente all’Appello di DIO e diventarono immediatamente membri di
pieno diritto della comunità musulmana. Altri non abbracciarono l’I-
slam, ma conservarono le loro convinzioni tradizionali. E siccome
era amante della pace, Muḥammad concluse dei trattati coi non mu-
sulmani, garantendo loro libertà e sicurezza e creando nella loro
anima, per la prima volta, una coscienza nazionale e sociale in
luogo di una ristretta coscienza tribale.
Mentre Muḥammad era occupato in questa azione, cercando di orga-
nizzare la comunità musulmana a Medina e di gettare le basi di una
società stabile e pacifica nella quale Musulmani e non musulmani
vivessero fianco a fianco, i suoi avversari della Mecca non davano
tregua. I1 loro odio verso i Musulmani era intenso e la loro deter-
minazione a eliminare 1’Islam diventava ogni giorno più forte.
Sottoposero a revisione la loro tattica e, appena ebbero perfezionato
il loro piano, cominciarono a tradurlo in pratica. Decisero di
creare confusione contro i Musulmani, dall’esterno e dall’interno.
Furono organizzate delle incursioni militari contro Medina,
che attaccavano e depredavano e poi facevano ritorno
alla Mecca con tutta la preda che vi potevano trasportare.
I non musulmani di Medina diventavano sempre più
invidiosi della popolarità dell’Islam e del nuovo spirito di
fraternità che regnava fra i Musulmani: una realtà che loro, in-
vece, non avevano mai sperimentata e che avrebbero voluto speri-
mentare. Così gli avversari meccani si affrettarono a sfruttare
la situazione e ad attizzare disordini contro i Musulmani. La
risposta degli invidiosi non musulmani di Medina all’istigazione
dei meccani fu sollecita e manifesta, sicchè in tutta Medina
si ebbero gravi disordini.
Ora i Musulmani erano costantemente minacciati: all’interno,
dai non musulmani di Medina, all’esterno, dalle incursioni orga-
nizzate dai meccani. Arrivarono a al punto in cui non poterono
piu tollerare persecuzioni e minacce. Erano stati costretti
a separarsi dalle loro famiglie. Si erano visti confiscare le
proprietà. Avevano sparso il loro sangue. Erano stati
costretti a lasciare la loro città natale in tre ondate migratorie:
due in Abissinia e una a Medina. Avevano sopportato per tredici anni.
Di fronte alla nuova tattica dei nemici meccani non c’era più via di scampo per i Musulmani: potevano solo attendere la loro eliminazione definitiva
in un Massacro generale oppure di difendersi contro l’oppressione e
la persecuzione.
Potrà esser sembrato un paradosso. L’Islam era venuto per
garantir loro dignità e potenza, libertà e sicurezza; era venuto
per renderli alleati di DIO, Suprema Fonte del bene e del potere,
del soccorso e della pace. Ora invece si trovavano privi di soc-
corso e preda dell’ansia, minacciati e terrorizzati. L’Islam
aveva loro prescritto di instaurare la pace, di comandare ciò che
è giusto e di proibire ciò che è ingiusto, di appoggiare gli
oppressi e di liberare i soggiogati, di dimostrare come DIO sia
dispensatore di soccorso per i Suoi servi. Ma come potevano
farlo, se loro stessi erano oppressi, soggiogati e privi di ogni
soccorso?
Ciò che soprattutto li lasciò perplessi, fu che il Qur’an
non aveva parlato di questa situazione e non aveva dato
loro specifiche istruzioni su1 da farsi. La loro perplessità non
durò a lungo e DIO alleviò la loro ansia con una divina risoluzione
che doveva porre un termine ai loro problemi e a quelli di
chiunque si potesse trovare in condizioni analoghe. Ecco come
DIO formulò tale risoluzione:
In verità DIO difenderà coloro che credono: DIO certo non
ama chi è traditore della Fede o si mostra ingrato. A coloro contro
i quali viene fatta guerra è dato il permesso (di combattere),
perché sono oggetto di ingiustizia; e certamente DIO è il più
Potente per aiutarli; (essi sono) coloro che furono espulsi dalle
loro dimore in dispregio del diritto, (per nessun motivo) se non
perché dicono “I1 nostro Signore è DIO”. Se Dio non avesse messo
alla prova un gruppo di uomini per mezzo di un altro gruppo
sarebbero stati certamente abbattuti monasteri e chiese, sina-
goghe e moschee, dove il nome di DIO viene menzionato in abbon-
dante misura. DIO certamente aiuterà coloro che aiutano la Sua
(causa); chè davvero DIO è pieno di forza, Eminente nel
potere, (capace di mandare in vigore la Sua Volontà). Sono quelli
che, se Noi li installiamo sulla terra, istituiscono l’orazione
rituale e versano ritualmente la decima, prescrivono ciò ch’è giu-
sto e proibiscono ciò ch’è sbagliato, Con DIO sta la fine (e la
decisione) di tutte le questioni (22, 38-41).
Con questo permesso da parte di DIO non vi fu più persecuzione
e oppressione a danno dei Musulmani. Vi fu, da parte di questi,
una perseveranza intesa al recupero della tranquillità, al
recupero della pace e della libertà, al ricongiungimento con le
loro famiglie e al recupero delle loro proprietà. Vi furono bat-
taglie e guerre contro i malvagi infedeli, che negavano apertamente
ai Musulmani la pace e la libertà. Ma non vi fu mai nessuna aggres-
sione da parte musulmana, nè alcuna distruzione di case, raccolti,
vettovaglie ecc., nè uccisione di bambini, donne, vecchi, inabili,
civili non combattenti in genere. I Musulmani osservarono queste
norme e rimasero entro i limiti di DIO. Fu una cosa che non si era
mai verificata in precedenza, nè fu mai più vista in seguito. Fu
in tali circostanze che i Musulmani dovettero combattere, e fu gra-
zie a questi princìpi e istruzioni divine che alla fine conseguirono
vittorie decisive.
E’ stato detto e scritto moltissimo circa i “rozzi” Musulmani
che uscivano dagli infuocati e assetati deserti della sconosciuta
Arabia per conquistare i protettorati bizantini e persiani e anche
per avventurarsi intorno alle fortificazioni dell’Europa occidentale.
Molti hanno espresso l’opinione secondo cui quei Musulmani erano
spinti da zelo religioso e volevano diffondere 1’Islam con la forza
fin dove potevano giungere. Molti altri ritengono che tale opinione
sia stupida e ingenua, perché 1’Islam, per sua natura, non può essere
imposto con la forza; e anche se fosse stato eventualmente imposto
con la forza ai popoli sottomessi, non sarebbe durato a lungo, sicchè
i non musulmani lo avrebbero eliminato dalle regioni conquistate.
La storia invece dimostra che l’islam è sopravissuto dovunque è
arrivato, eccezion fatta per la Spagna, per determinate ragioni, e
che i conquistatori musulmani vissero fianco a fianco coi nativi
non musulmani in tutte le regioni in cui posero piede. Inoltre,
si può obiettare, non è possibile imporre una religione come 1’I-
slam a chiunque e trovare poi tutti quanti sinceri e onesti
nella religione, come fu invece il caso dei neofiti musulmani delle
regioni inglobate dall’Islam. E’ necessario ben più della costrizione
per trasformare in cosi buoni Musulmani i membri di un popolo sconfitto;
ci vuole ben a1tro che non la repressione, per renderli saldi nella
religione “imposta” e fargliela amare.
Un altro orientamento contraddistingue il pensiero di alcuni
che amano definirsi intellettuali o critici illuminati e pretendono
di essere delle autorità. Costoro non si accontentano dell’opinio-
ne ingenua e rozza secondo cui l’Islam si è diffuso con la violenza.
Essi attribuiscono l’espansione dell’Islam alle guerre aggressive
scatenate dai Musulmani, che soffocavano nel caldo e nell’arsura
dell’Arabia ed erano semplicemente sollecitati da necessità e cir-
costanze economiche. Quelle guerre e quelle avventure non erano
di marca religiosa o spirituale, ma erano semplicemente l’effetto
di esigenze pressanti. Ciò può essere indizio del fatto che gli
Arabi non si erano elevati a un così alto livello di sacrificio e
devozione o che dopo la morte di Muḥammad i suoi successori avevano
perso interesse nella religione e se ne erano serviti per soddisfare
i loro bisogni immediati. Ciò può inoltre essere indizio del fatto
che 1’Islam è incapace, di per se, di generare fervore e zelo in
quei guerrieri arabi musulmani. Le deduzioni da
trarre sono molteplici e gli “intellettuali” di questa tendenza
sono incerti circa la preferenza da attribuire all’una o all’altra
soluzione.
C’è poi un altro orientamento, adottato da alcuni i quali
attribuiscono le guerre musulmane fuori dall’Arabia a un gusto
appassionato per il saccheggio e le incursioni a cavallo. Co-
storo non sanno vedere alcun’altra motivazione nè sanno apprez-
zare alcuna sollecitazione nei Musulmani, se non la sete di sangue
e il desiderio della preda. Essi rifiutano di vedere nell’Islam
alcuna virtù e rifiutano di attribuire ai Musulmani motivazioni
elevate.
La discussione fra i seguaci di queste tendenze è molto seria
e talvolta assume la forma di disputa accademica. Sia come sia,
la realtà è che nessuno di questi critici ha mai fatto un serio
tentativo di comprendere l’intera questione e presentare la verità
in maniera onesta. Nessuno di loro ha avuto la lucidità necessaria
e il coraggio morale per presentare la vera versione del fenomeno.
Come sarà pesante il loro fardello quando scopriranno, un bel gior-
no, che hanno fatto deviare, con le loro informazioni sbagliate,
milioni di persone! Come sarà tremenda la loro responsabilità
quando sapranno di aver commesso gravissime offese contro la verità,
contro i Musulmani e contro i loro stessi seguaci!
Sarà impossibile presentare qui, nei suoi aspetti particolari,
il punto di vista dell’Islam circa ogni guerra o battaglia. Comun-
que, vi sono certi punti fermi che, una volta stabiliti, daranno
un’idea corretta di tutta quanta la questione.
1. Bisogna ricordare che Muḥammad, che fu inviato da DIO come una
misericordia per tutta l’umanità, cercò di avvicinare i governanti
dei territori circostanti, esortandoli ad abbracciare 1’Islam e ad
aver parte della misericordia di DIO. Bisognerebbe pure rammentare
che essi non solo respinsero le sue cortesi esortazioni, ma per di
più lo derisero e dichiararono guerra aperta contro i Musulmani.
Nel periodo della sua vita, i soldati bizantini e persiani attraver-
sarono le frontiere musulmane in vari attacchi. Così, al momento
della sua morte, i Musulmani si trovavano involontariamente in guerra
con i loro vicini.
Quello stato di cose continuò e tutto quel che avvenne
piu tardi, nel corso delle generazioni successive, deve es-
ser visto nel contesto di quei primi avvenimenti. Ciò signi-
ficava a quel tempo che tutta la cristianità, compresa la Spa-
gna e la Francia, era in guerra contro il mondo emergente dell’I-
alam. L’avventura dei Musulmani in Europa deve essere considerata
anche alla luce di tali circostanze. I1 fatto che tutta la cri-
stianità operava come una sola potenza è dimostrato dall’autorità
di cui godeva, in sommo grado, il papato romano sopra i cristiani.
E’ anche provato dalla mobilitazione generale delle potenze cri-
stiane contro 1’Islam durante il periodo delle Crociate del Medio
Evo e anche nel primo quarto di questo xx secolo.
Così, quando Roma sanzionò la guerra contro 1’Islam, ai
Musulmani non si poteva negare il pieno diritto di rispondere
con le armi sui campi di battaglia: in Palestina o nella zona
della Mezzaluna Fertile, in Italia o in Ungheria. E’ questo
che avvenne in Spagna a nella Francia meridionale. I Musulmani
non potevano accettare di venire accerchiati tutt’intorno dalle
potenze bizantina e persiana. Nè potevano star fermi ad aspet-
tare che li si spazzasse via dalla faccia della terra. Da Bi-
sanzio fu emanato l’ordine di uccidere Muḥammad o di recarne
in omaggio la testa alla Corte reale: la stessa cosa che i Ro-
mani pagani avevano fatto coi primi diffusori del cristianesimo.
Comunque, bisogna ammettere che alcune guerre dei secoli succes-
sivi non ebbero alcun rapporto con 1’Islam, per quanto
fossero combattute da Musulmani. Non furono guerre combattute
per la diffusione dall’Islam. Furono invece motivate da ragioni
locali e, forse, personali. L’aggressione è aggressione, proven-
ga da parte musulmana o sia diretta contro i Musulmani, e la
posizione islamica verso l’aggressione è nota e immu-
tabile. Così, se vi fu aggressione in quelle guerre successive,
essa non può essere giustificata dall’Islam nè può essere accetta
a DIO.
2. Nessuno dei suddetti critici cerca di comprendere la natura
e le circostanze di quei primi secoli. La comunicazione di mas-
sa allora non esisteva. Non c’erano ne stampa nè radio nè tele-
visione e neppure un regolare servizio postale. Non c’era ri-
spetto per la vita, per la proprietà, per l’onore, per i diritti
degli individui e delle nazioni deboli. Non c’era sicurezza nè
libertà di espressione. Chiunque difendesse una nobile causa
o bandisse idee impopolari veniva minacciato. Ciò risulta eviden-
te dalla storia del filosofo greco Socrate, dalla storia dei
primi cristiani, da quella dei primi Musulmani. Molti messaggeri
incaricati di consegnare speciali messaggi ai capi di Stato e ai
governatori non ritornarono vivi. Furono uccisi a sangue freddo
o catturati dai loro stessi soldati.
I Musulmani dell’Arabia dovettero far fronte a tutte
queste difficoltà e dovettero agire in tali circostanze.
Essi avevano un messaggio da consegnare al ge-
nere umano, un contributo da dare all’umanità, una formula
di salvezza da offrire. I1 Qur’an dice: Esortate alla Via
di DIO con saggezza e bel parlare e argomentate nella maniera
più cortese. Ma chi era preparato ad ascoltare il pacifico
Appello di DIO? E’ un dato di fatto che molti infedeli erano
soliti evitar di ascoltare il Profeta, per non essere persuasi
dalla sua predicazione pacifica. Essi resistevano anche con
la farfa al pacifico Appello dell’Islam. La prima esperienza
dell’Arabia insegnò ai Musulmani che è più efficace assere
pacifici e contemporaneamente stare in guardia; che ci si
può muovere pacificamente solo se si è abbastanza forti per garan-
tire la propria pace; che una voce pacifica manda un’eco più
bella quando si è in grado di resistere alle pressioni e di
eliminare l’oppressione.
Ora essi dovevano, per ordine di DIO, render noto 1’Islam
al mondo esterno, ma non c’era nè sistema di telecomunicazioni
nè stampa nè alcun altro mezzo di comunicazione di massa. C’era
una sola via da percorrere: quella dei contatti personali o
diretti, e ciò significava che i Musulmani dovevano passare le
frontiere. Ma essi non potevano fare ciò in gruppi piccoli o
disarmati. Quindi si dovettero muovere a grandi gruppi, armati,
i quali dovevano necessariamente sembrare un eser-
cito, mentre non si trattava di un esercito vero e proprio.
Essi attraversavano i confini in varie direzioni e in diversi
periodi. Ciò che avvenne allora merita di essere considerato.
In alcune regioni venivano accolti calorosamente dagli abitanti,
che erano stati oppressi per lungo tempo, soggiogati dalle poten-
ze straniere di Bisanzio e della Persia. In altre regioni essi
dovettero offrire l’Islam a uomini che erano preparati
ad accoglierlo, ed erano molti. A quelli che non accoglievano
1’Islam si richiedeva di versare dei tributi equivalenti alla
tassa islamica (zakah). Le ragioni per cui veniva richiesta
questa tassa erano: 1) che volevano esser certi che il contribuente
sapesse quello che faceva e che l’Islam gli era stato offerto,
ma lui lo aveva respinto di sua spontanea volontà e per sua libera
scelta; 2) che assumevano la protezione del contribuente e ne
garantivano sicurezza e libertà in misura uguale a quella del
Musulmano stesso, perché ogni rischio corso dal contribuente non
musulmano era un pericolo per il compatriota musulmano, sicchè,
per difendere il Musulmano, dovevano difendere anche il non musul-
mano e garantirne la sicurezza; 3) che il nuovo stato di cose
esigeva l’appoggio e la cooperazione di tutti i settori, Musul-
mani e non musulmani: i primi cooperavano mediante la zakah,
i secondi mediante i tributi, che venivano parimenti spesi nel-
l’interesse comune; 4) che volevano esser certi che il contri-
buente non musulmano non fosse ostile a loro e ai loro
nuovi fratelli o che non fosse proclive a creare fastidi ai
suoi compatrioti musulmani.
Coloro i quali respingevano 1’Islam o rifiutavano di pagare
i tributi in collaborazione con gli altri settori per soste-
nere l’economia del loro Stato si mettevano in una condizione dif-
ficile. Essi ricorrevano a un comportamento ostile fin dall’inizio
e intendevano creare confusione, non tanto per i Musulmani soprag-
giunti da poco, quanto per i Musulmani neofiti loro compatrioti,
quelli che versavano l’imposta. Da un punto di vista nazionale,
il loro comportamento era da traditori; da un punto di vista umano,
mediocre; da un punto di vista sociale, negligente; da un punto
di vista militare, provocatorio. Agli effetti pratici, essa ri-
chiedeva di essere represso, non tanto per la tranquillità dei Mu-
sulmani sopraggiunti dall’esterno, quanto per la causa dello Stato
in cui vivevano questi veri e propri traditori. Fu questa la sola
circostanza in cui venne usata la forza per ridurre alla ragione
individui del genere o metterli dinanzi alle loro responsabilità:
o come Musulmani che accoglievano liberamente 1’Islam o come leali
cittadini che versavano i1 tributo e potevano
quindi vivere coi loro compatrioti musulmani dividendo con loro
diritti e doveri.
3. Sarebbe una cosa saggia se questi critici studiassero il Qur’an
con intenzione onesta per vedere che cosa esso prescrive circa la
guerra e la pace. Ancor più saggio sarebbe, da parte loro, indagare
la condizione dei popoli “conquistati”, la condizione in cui vive-
vano prima e dopo il loro contatto con 1’Islam. Che cosa diranno,
se troveranno che i sudditi dei protettorati persiani e bizantini
inviavano pressanti appelli ai Musulmani, affinchè venissero a li-
berarli dall’oppressivo governo straniero? Che cosa penseranno,
se capiterà loro di scoprire che i “conquistatori” musulmani erano
accolti con gioia sia dalla gente comune sia dai patriarchi reli-
giosi, che desideravano la protezione musulmana e la giustizia mu-
sulmana nell’amministrazione? Come potrebbero spiegare il fenomeno
per cui alcuni dei popoli “conquistati” non solo accoglievano a
braccia aperte gli “invasori” musulmani, ma anche combattevano al
loro fianco contro gli oppressori? Come potrebbero spiegare la pro-
sperità, la libertà e lo sviluppo rigoglioso delle regioni “invase”
sotto 1’Islam, in confronto con quanto c’era stato precedentemente
nelle medesime regioni?
Non stiamo discutendo un particolare punto di vista sull’argo-
mento nè stiamo traendo conclusioni affrettate. Crediamo semplice-
mente che la questione merita di essere nuovamente considerata e
merita d’essere oggetto di serie indagini. I risultati saranno certa-
mente interessanti e significativi. Forse la mentalità occidentale
può comprendere meglio, se tutta la questione viene considerata alla
luce delle condizioni che prevalgono nel mondo odierno. I1 profondo
interesse degli alleati occidentali per Berlino, gli appelli degli
oppressi dappertutto, l’angoscia dei Sudcoreani, i timori dei Laotia-
ni, gli affari della NATO, quelli della SEATO, l’instabilità dei sa-
telliti comunisti: tutto ciò può aiutare la mentalità occidentale
a capire gli eventi di quei secoli remoti e la politica dei Musulmani
di quei giorni.
4. L’idea che le guerre musulmane nel mondo esterno furono
motivate dalle esigenze economiche degli Arabi è anch’essa de-
gna di considerazione. Benchè apparentemente sicuri delle loro
affermazioni, i sostenitori di una tale opinione non hanno stu-
diato il caso in maniera seria. Pensano essi onestamente che
le necessità economiche furono i motivi che spinsero i Musulmani
ad attraversare i confini arabi? Su quale base essi affermano
che 1’Arabia -coi suoi antichi centri di affari, le sue valli
e le sue oasi- non era piu in grado di produrre a sufficienza
per i Musulmani? Hanno mai svolto un’indagine seria per stabilire
quale fu la parte che gli “invasori” musulmani tennero per sè e
quale fu invece quella che distribuirono alla gente nel corso del
loro governo e quale, infine, fu la parte che mandarono all’ammi-
nistrazione centrale di Medina, di Damasco, di Baghdad o del Cairo?
Hanno confrontato i redditi provenienti dai territori “invasi”
prima e dopo 1’Islam e hanno stabilito se gli “invasori” erano
dei semplici avventurieri, interessati unicamente ad affari egoi-
stici? Hanno qualche ragione di credere che quei Musulmani
presero per sè più di quanto non diedero, o che prelevarono più
di quanto non depositarono, o che consumarono più di quanto non
investirono? Hanno mai trovato una prova che dimostri che il
governo centrale dell’Arabia ricevette dai pro-
tettorati “conquistati” tributi o tasse di cui ci sarebbe stato
bisogno per lo sviluppo di quegli stessi protettorati; se è così,
quanto ricevette, e meritava una tale somma che si affrontasse
un’avventura in un mondo sconosciuto? Hanno raccolto qualche
informazione degna di fede la quala possa dimostrare che 1’Arabia
veniva privilegiata o anteposta nell’ordine delle preferenze, quando
si trattava di stabilire programmi di spesa o di sviluppo nelle
aree “invase”? Infine, si può dire che 1’Arabia avvertisse la
minaccia di un’improvvisa “esplosione demografica” da cui i Musul-
mani erano costretti a intraprendere guerre avventurose e/o esplo-
razioni economiche?
I1 tentativo di interpretare in termini di necessità econo-
miche i contatti dei Musulmani coi non musulmani può sembrare
attraente, ma non ci sembra che racchiuda molta verità o che
possa avere una grande influenza su un’intellettualità seria.
La minima obiezione che si può fare nei riguardi di tale tentativo
è che esso è lungi dall’essere soddisfacente e completo. C’è an-
cora molto da fare in termini di ricerca, investigazione, analisi
e comparazione. Finchè ciò non sarà stato fatto, nessun critico
ha il diritto morale di spacciare per valide e vincolanti
le proprie assunzioni teoriche. Ciò comporta un’altra cortese esor-
tazione dell’Islam a tutti i critici, affinchè compiano tentativi
più seri per scoprire la verità.
5. Non c’è un gran bisogno di prendere sul serio le opinioni di
coloro i quali considerano le guerre musulmane in termini di sac-
cheggio e bottino. Che cosa c’è di più banale e di più stereo-
tipo di una tale opinione? E’ un modo molto facile per risolvere
certi problemi intellettuali e morali, ma è molto lontano dal
costituire la verità. La stessa questione dei punti 3 e 4 può
essere riproposta, proprio per scoprire quanto bottino gli avven-
turieri musulmani presero per sè o mandarono in Arabia e quanti
dei loro uomini fecero ritorno in patria con le spoglie di guer-
ra. Questo per non parlare del rigoglio, della rinascita e della
prosperità che i territori “saccheggiati” conobbero sotto questi
“saccheggiatori”. Per non parlare nemmeno delle dure persecuzioni
e delle ingenti perdite di vite umane e di beni subite dai Musul-
mani, nè delle provocazioni e delle minacce di cui essi furono
oggetto. Vogliamo semplicemente invitare coloro i quali
nutrono una siffatta opinione a compiere studi più accurati circa
il fenomeno o a trarre conclusioni più responsabili. Comunque,
costoro debbono ricordare che il bottino raccolto dai Musulmani
fu in ogni caso minore rispetto a quanto
essi dovettero perdere in seguito alle confische, alle usurpazioni,
allo persecuzioni o alle altre azioni provocatorie compiute contro
di loro da parte degli avversari.
Sia che i critici delle varie tendenze accettino il punto
di vista di questa panoramica, sia che non lo accettino, resta
il fatto che 1’Islam è la religione della pace nel senso più
completo del termine; che fra i suoi insegnamenti non
ci fu mai la giustificazione della guerra ingiusta; che esso
non predicò mai nè tollerò mai l’aggressione; che esso non fece
mai uso della violenza per imporre la religione a chicchessia;
che l’espansione dell’Islam non fu mai dovuta alla costrizione
o all’oppressione; che l’appropriazione indebita non è mai stata
perdonata da DIO nè è mai stata accettata dall’Islam; che chiun-
que distorce o falsifica gl’insegnamenti dell’Islam recherà danno
a se stesso e ai suoi soci più che all’Islam. Siccome 1’Islam
è la religione di DIO e il diritto sentiero che conduce a Lui,
asso è sopravvissuto nelle circostanze più difficili e sopravvi-
verà per essere il ponte sicuro verso un’eternità felice. Se i
nostri critici nutrono qualche dubbio riguardo a ciò, non hanno
che da studiare approfonditamente 1’Islam, rileggere il Qur’an
e rinfrescare lo loro cognizioni storiche.
I1 fatto che l’espansione dell’Islam nelle regioni “conquistate”
sia stata seguita dalla prosperità economica e dalla rinascita cul-
turale non significa necessariamente che i Musulmani abbiano inse-
guito i guadagni economici e le spoglie di guerra. Anche se tali
presunti guadagni e il bottino diventarono degli incentivi nei più
tardi periodi della storia dell’Islam, non se ne può dedurre che
1’Islam preferisca la guerra alla pace e che i Musulmani agognino
il bottino di guerra. Esistono spiegazioni migliori. Una di queste
dovrebbe essere assai chiara a coloro che hanno dimestichezza con la
discussione classica circa “l’etica protestante e lo spirito del
capitalismo”, secondo la quale il protestantesimo, insieme con altri
fattori, portò alla nascita del capitalismo moderno. Nessuno potrà
seriamente affermare che i protestanti svilupparono la loro etica
al fine di diventare economicamente prosperi o che il capitalismo
modemo dipende ancora dall’etica protestante.
2. GESU, figlio di Maria
Uno dei problemi più controversi della storia umana è la
questione di Gesù. Fu egli completamente divino o soltanto
umano, oppure fu semidivino e quindi semiumano? Era davvero
Gesù o si trattava di un impostore che pretendeva di essere
Gesu? Nacque in maniera ordinaria da un padre e da una madre
come qualunque altro bambino? Nacque in inverno o in estate?
Molti interrogativi di questo genere furono e sono tuttora solle-
vati dai cristiani e dai non cristiani. Discussioni e contro-
versie su tali argomenti si sono succedute ininterrottamente dal
tempo di Gesù fino ad oggi. Fra i cristiani, molte denominazioni
sono sorte sulla base di piccole divergenze sull’interpretazione
di qualche aspetto insignificante di tali questioni. Tutto ciò
è noto ai cristiani come ai non cristiani. Ma 1’Islam
su che posizioni si trova? Può 1’Islam offrire una qualche
spiegazione che risolva questi problemi assillanti? (1)
Prima di poter dire qualcosa, bisogna aver ben chiari tre
punti. Primo: un Musulmano è completamente a proprio agio finchè
si tratta della posizione dell’Islam circa Gesù; la sua mente
è limpida, la sua coscienza è a posto, la sua fede è salda.
Secondo: la concezione islamica di DIO, della
religione, della missione profetica, della rivelazione o dell’uma-
nità fanno si che un Musulmano accetti Gesù non solo come un fatto
storico, ma anche come uno dei più illustri Messaggeri di DIO.
Bisogna quì ricordare che l’accettazione di Gesù da parte dei Mu-
sulmani è nell’Islam un fondamentale articolo di fede e che un
Musulmano non può considerare Gesù in termini avvilenti. I1 Mu-
sulmano non ha la libertà di diffamare Gesù o qualunque altro
profefa di DIO.
(1) Non c’è nulla di significativo, nella vita di Gesù, su cui
esista concordia di pareri: come, quando, dove nac-
que, visse, ricevette l’investitura profetica, morì e fu sepolto;
se realmente compì dei “miracoli” e di che genere; se, quando e
come risuscitò da morte. La mancanza di spazio e il carattere
diffamatorio e blasfemo delle argomentazioni ci costringono a li-
mitare la discussione di queste provocatorie questioni. Per una
panoramica critica e un’eccellente bibliografia, vedi Qadi Muḥammad
Barakatullah, Jesus Son of Mary, Fallacy and Factuality, Philadel-
phia, Dorrance & Company, 1973.
Terzo: ciò che diremo in questa sede e quanto viene detto
e insegnato dal Qur’an. Per quanto assai impopolari fra i cri-
stiani, il punto di vista islamico concernente Gesù non intende
in alcun modo diminuirne la funzione o sottovalutarne
la figura o dagradarne la grande personalità. Al contrario, il
punto di vista islamico presenta Gesù in termini molto
rispettosi e lo colloca ad un livello che è quello su cui DIO
stesso lo ha collocato. In realtà, il Musulmano ha per Gesù un
rispetto maggiore di quello che ne hanno parecchi cristiani.
Ma la posizione dell’Islam non deve essere
interpretata in maniera distorta. Non deve essere interpretata
come il frutto di un compromesso o come un tentativo di stabilire
une via di mezzo, un accordo. Deve essere considerata come la
verità, in cui il Musulmano saldamente crede e continuerà a credere.
E’ la verità di ieri, la verità di oggi, la verità di domani.
L’ambiente in cui Gesù nacque e crebbe merita qualche atten-
zione. Gli uomini ai quali egli fu inviato avevano dei caratteri
molto particolari, fra cui: 1) manipolavano e interpretavano
in maniera sbagliata le Scritture di DIO, nella lettura e nello
spirito; 2) avevano respinto alcuni dei loro profeti, come
avvenne pure con Gesù, e ne avevano uccisi alcuni; 3) erano
duri e irresponsabili in ciò che concerneva la ricchezza, I1
Qur’an dice:
Non è vero che, quando viene a voi (figli di Israele) un
messaggero con ciò che voi non desiderate, sbuffate con superbia?
Alcuni li avete chiamati impostori, altri li uccidete! (2, 87).
DIO ha udito l’insulto di coloro che dicono: Davvero DIO
è indigente, e noi siamo ricchi! Noi certamente ricordiamo la
loro parola e (la loro azione) di uccidere i profeti a sfida
della giustizia e diremo: Assaggiate la pena del Fuoco che
brucia! (3, 181).
Dio per un certo tempo fece un patto coi Figli d’Israele.
Ma siccome infransero il Patto, Noi li maledimmo e abbiamo fatto
indurire i loro cuori: essi cambiano le parole dal (giusto) posto
e dimenticano una buona parte del Messaggio che era stato inviato
loro (5, 13-14).
Questa era l’indole della gente a cui fu mandato Gesù.
Quanto alla data della sua nascita, i cristiani non sono stati
in grado di fissare una stagione precisa dell’anno. “Gli astro-
nomi non hanno ancora fornito una spiegazione scientifica della
stella di Betlemme… Nè l’anno della nascita di Cristo nè la
stagione dell’anno in cui essa (la stella) si mostrò sono noti
con certezza… Gli storici, nel fissare tale data, vanno dal-
1’11 a.C. al 4 a.C… Inoltre (….) se il periodo dell’anno
in cui si verificò la sua nascita non è stato accertato come si
vorrebbe, molto probabilmente essa ebbe luogo in primavera, piut-
tosto che in dicembre…” (Mrs, Simone Daro Gossner dell’U.S.
Naval Observatory, cit. a p. 12 di “The Edmonton Joumal”, 23
dicembre 1960).
Comunque sia, per il Musulmano la questione più importante è
quella della nascita di Gesù. Fino al tempo di Gesù avevano avuto
luogo tre specie di creazione, in ciascuna delle quali era manifeata-
mente apparsa la sapienza e la saggezza di DIO Creatore. Dapprima
vi fu un essere umano creato senza concorso o presenza di padre o
madre umani conosciuti, e fu Adamo. Poi vi fu un essere umano crea-
to senza che prima esistesse una madre o un antenato di sesso femmi-
nile, e fu Eva. Essa fu anticipata da Adamo, al quale possiamo pensa-
ro come al padre simbolico o emblematico del genere umano. Infine,
vi furono milioni di esseri umani creati attraverso l’ordinario
rapporto intimo fra padri e madri. Qualche mente speculativa po-
trebbe aver considerato la possibilità di una quarta specie di crea-
zione, ossia alla creazione di un essere umano senza il concorso
fisico di un padre umano. Questa possibilità sembra essere stata tra-
dotta in realtà da DIO nella creazione di Gesù, forse per compiere
il numero delle quattro possibilità di creazione e per manifestare
la potenza del Creatore in ogni modo e in ogni forma. La nascita
di Gesù alla pia Maria fu un fatto miracoloso, un atto della volontà
di DIO. La scelta di questa modalità di creazione, in quel particolare
periodo, può essere comprensibile cosi come è interessante. Sembra
che la medicina fosse molto popolare in un modo o nell’altro, in una
regione o in un’altra. I contemporanei di Gesù si erano allontanati
parecchio dal Sentiero di DIO e per di più erano ostinati e testardi.
DIO mostrò loro la Sua potenza in una nuova forma di creazione.
Mostrò loro che la Sua potenza è infinita e che la loro salvezza poteva
derivare soltanto dalla sottomissione a Lui e dalla fede in Lui.
Questa dimostrazione avvenne in maniera da colpire
la mente umana: con la creazione di Gesù. Questa, forse, fu anche
un’anticipazione de1 genere di miracoli che Gesù avrebbe compiuti
in seguito con l’aiuto di DIO, miracoli che furono più o meno di
natura medica.
Bisogna sottolineare che questa interpretazione ipotetica della
nascita di Gesù non si basa sull’autorità del Qur’an o sulle tradi-
zioni di Muḥammad. Queste quattro forme di creazione logicamente
possibili e l’induzione che la nascita di Gesù costituisce 1a quarta
e definitiva modalità di creazione sono vedute personali di chi scri-
ve e sue ipotesi particolari. Questo punto di vista individuale
non fa appello all’autorità del Qur’an e delle tradizioni di Muḥammad.
Sia o no valida questa ipotesi circa le quattro specie di creazione,
essa non coinvolge in nessun modo la fede del Musulmano nella veridi-
cità del Qur’an e l’affermazione dì quest’ultimo, secondo cui la na-
scita di Gesù è volontà e opera di DIO, volontà e opera miracolosa.
Comunque, l’argomento merita di essere approfondito.
Ora, se qualcuno vuole chinare Gesù “figlio di Dio” o “Dio”
per il fatto che egli venne creato senza il concorso di un padre
umano e per il fatto che DIO stesso lo avrebbe adottato e avrebbe
agito con lui come un padre, allora bisogna applicare il medesimo
ragionamento, e in maniera più appropriata, ad Adamo, il quale non
ebbe nè padre nè madre. E se la paternità di Dio è interpretata in
senso figurato, allora essa deve applicarsi a tutto quanto il genere
umano, in particolare a coloro che si sono distinti nel servizio del
Signore Sommo. Gli esseri umani sono una meravigliosa creazione di
Dio e in un certo senso sono Suoi figli. Che la paternità divina
venga interpretata letteralmente o simbolicamente,
sarebbe del tutto arbitrario limitarla al solo Gesù, escludendo
Adamo nella prima interpretazione e il resto del genere umano nella
seconda. I1 Qur’an rivela la nascita di Gesù nel modo seguente:
E riferisci (o Muḥammad) nel Libro (la storia di) Maria,
quando si allontanò dalla sua famiglia per recarsi in un luogo
ad oriente. Pose uno schermo (per ripararsi) da loro; poi Noi
le inviammo il nostro angelo ed egli si presentò a lei sotto le
sembianze di un uomo. Ella disse: Cerco rifugio da te nel (Dio)
Misericordiosissimo: (non avvicinarti) se temi Dio. E lui disse:
Io sono solo un messo da parte del tuo Signore, (per annunciarti)
il dono di un puro figliolo che cresce. E lei: Come potrò avere
un figlio, dal momento che nessun uomo mi ha toccata e io non
vengo meno alla castità? Quegli rispose: Così (avverrà); il tuo
Signore ha detto: Questo per Me è facile e (Noi vogliamo) fare
di lui un Segno per gli uomini e una Misericordia da parte Nostra.
E’ una cosa decretata cosi. Quindi ella lo concepì e si ri-
tirò con lui in un luogo deserto. E le doglie del parto la spinse-
ro al tronco di una palma, Ah! -gridò (nella sua angoscia)-
come vorrei esser morta prima d’ora! come vorrei essere una cosa
dimenticata o trascurata! Ma una voce gridò a lei ai piedi
della palma: Non angustiarti, chè il tuo Signore ha disposto un ruscello
ai tuoi piedi; e scuoti verso di te il tronco della palma: essa
farà cadere sopra di te datteri freschi. Mangia e bevi e
ristorati la vista. E se vedi un uomo, di: Ho fatto voto di
digiunare al (DIO) Misericordiosissimo e in questo giorno non
parlerò con alcun essere umano. Infine 1o recò alla sua gente
portandolo(fra le braccia). Dissero: O Maria! Hai fatto dav-
vero una casa stupefacente! 0 sorella di Aronne, tuo padre non
era un uomo malvagio nè tua madre fu donna peccatrice! Ella in-
dicò il bimbo. E quelli dissero: Come possiamo parlare con uno
che è un bimbo nella culla? E lui: Io sono in realtà un servo
di DIO: Egli mi ha dato la rivelazione e ha fatto di me un profeta;
e ha fatto si che io sia benedetto dovunque mi trovi e mi ha prescritto
preghiera e carità, finchè io viva; e mi ha reso dolce con mia
madre, non prepotente o miserabile; cosi è pace su di me nel giorno
in cui sono nato, nel giorno in cui morirò e nel giorno in cui
sarò (nuovamente) suscitato alla vita! Tale (fu) Gesù figlio di
Maria. E’ dichiarazione di verità, su cui essi vanamente discutono.
Non è degno del (la Maestà di) Dio che Egli generi un figlio.
Gloria a Lui! Quando Egli decide una cosa, dice soltanto: Sii’,
ed essa è. In verità DIO è il mio Signore e il Signor vostro:
Lui dunque dovete servire, e questa e una Via diritta, (l9, 16-36;
cfr. 3, 42-64; 4, 171-172; 5, 17, 72-75; 25, 2; 43, 57-65).
Poi DIO dirà: “O Gesù figlio di Maria, proclama la Mia
grazia verso di te e verso tua madre. Guarda! Io ti rafforzai
col santo spirito, sicchè tu parlasti agli uomini nell’infan-
zia e nell’età adulta. Guarda! Io ti insegnai il Libro e la
Sapienza, la Legge e il Vangelo. E considera: tu fai con la
creta la figura di un uccello, col Mio permesso; e vi soffi
sopra, ed esso diventa un uccello col Mio permesso; e guarisci
i ciechi nati e i lebbrosi, col Mio permesso. Guarda:
col Mio permesso fai risuscitare i morti. Guarda, Io trattenni
i figli d’Israele dal (farti violenza) quando tu mostrasti loro
i Segni Evidenti e gl’infedeli fra loro dissero: Questa non è
se non magia evidente. E guarda! Dio dirà: 0 Gesù figlio di
Maria, fosti tu a dire agli uomini: Adorate me e mia madre quali
dèi a deroga di DIO? Egli dirà: Gloria a Te! Io non ho mai
potuto dire quello che non ho alcun diritto (di dire)… Io non
ho mai detto loro nulla, se non quello che Tu mi ordinasti di
dire, cioè: Adorate DIO, mio Signore e vostro Signore; e io fui
testimone dinanzi a loro finchè dimorai fra di loro; quando Tu
mi prendesti, fosti Tu il loro Custode e Tu sei Testimone
di tutte le cose’ (5, 110-117).
Questi versetti ne rappresentano moltissimi altri analoghi,
sparsi per tutto il Qur’an. Essi mettono tutti quanti in risal-
to il fatto che Gesù non pretese mai di essere un DIO o il figlio
di DIO, e che egli fu soltanto il servo e l’apostolo del Signore
sul modello di quelli che lo avevano preceduto. I1 Qur’an sotto-
linea questa verità nel modo seguente:
E sulle loro orme (dei profeti) mandammo Gesù, il figlio di
Maria, a confermare la Legge che era venuta prima di lui: una
guida e un monito per coloro che temono di dispiacere a DIO (5,
46).
Sono blasfemi coloro che dicono DIO è Cristo, il figlio
di Maria’. Cristo invece disse: 0 figli d’Israele, adorate DIO,
mio e vostro Signore. Chiunque associa a DIO altri dei, DIO gli
interdirà il Giardino e sua dimora sarà il Fuoco. Per i mal-
fattori non vi sarà nessuno che li soccorra’. Bestemmiano coloro
che dicono: DIO è uno di tre in una Trinità, perché non c’è
DIO sa non il Solo DIO. Se non desistono dalla loro parola (bla-
sfema), in verità cadrà sui blasfemi tra loro un grave castigo.
Perchè non si rivolgono a DIO e non chiedono il Suo perdono?
Chè DIO è sommamente Misericordioso, sommamente Misericorde, e
Cristo il figlio di Maria non fu niente più che un Suo
Apostolo; molti furono gli apostoli che morirono prima di lui.
Sua madre fu una donna di verità. Ambedue dovevano mangiare
il loro cibo (quotidiano). Vedi come DIO rende loro evidenti
i Suoi Segni; e vedi tuttavia in che modo vengono allontanati
dalla verità! … Di: O Gente del Libro, non superate nella
vostra religione i limiti (di ciò che è giusto), oltrepassando
la verità. E non seguite i vani desideri di gente che errò in
epoche passate, gente che indusse molti in errore e deviò essa
stessa dalla vera Via (5, 72-75; cfr. 4, 171-172).
Gli inizi di Gesù furono controversi. E così la sua fine.
Fra gli uni a l’altra, ogli fu perseverante nell’eseguire la pro-
pria missione, rafforzato dal Libro di DIO, dalla sapienza, dai
Segni Evidenti a dal santo spirito. Tuttavia furono pochissimi
quelli che lo accolsero a cuore aperto. Per quanto
tollerante e pacifico, Gesù non poteva tollerare l’ipocrisia dei
figli d’Israele e la loro devozione alla lettera della Legge a
spese dello spirito di essa. Egli fu respinto e combattuto da
loro, tanto che progettarono di farlo morire di morte
violenta. Era un fatto ordinario, fra i figli d’Israele, che
alcuni dei loro profeti fossero respinti a che altri fossero uc-
cisi. Gesù non fece eccezione alla regola. Per poco essi non
lo uccisero sulla croce. Erano davvero convinti di averlo
crocifisso. L’episodio fu narrato in termini di
grande drammaticità e i lamenti sulla morte di Gesù diventarono
liturgia sacra per i cristiani, cosi come le lamentazioni per
i giudei.
Fu ordito un complotto per crocifiggere Gesù; ebbe luogo
una reale esecuzione sulla croce; qualcuno fu veramente crocifisso.
Ma non si trattò di Gesù; fu qualcun altro a essere crocifisso al
suo posto.
Quanto a Gesù, DIO lo trasse in salvo e lo sottrasse ai suoi
nemici. DIO coronò la sua missione sulla terra salvandolo dalla
morte violenta e sollevandolo a Sè in Cielo. Per la fede islamica
non ha una grande importanza sapere se Gesù venne elevato nel
suo rango in termini di eminenza o se fu innalzato da vivo con
l’anima e col corpo o se fu innalzato solo con l’anima dopo che
morì di morte naturale. Non è articolo di fede, perché quello
che è importante e vincolante per un Musulmano è quello che
è rivelato da DIO; e DIO ha rivelato che Gesù non fu crocifisso,
ma fu innalzato a Lui. I1 Qur’an riferisce la fine di Gesù nel
modo seguente:
La Gente del Libro ti chiede (o Muḥammad) di far scendere
loro un libro dal cielo: in realtà essi chiesero a Mosè un
(miracolo) ancora più grande, perché dissero: ‘Mostraci DIO in
pubblico’. Ma per la loro presunzione ebbero un tuono e un
fulmine. Tuttavia adorarono il Vitello anche dopo che furono
giunti loro Segni Evidenti; anche così Noi li perdonammo; e demmo
a Mosè prove manifeste di autorità. E per il loro Patto Noi in-
nalzammo su di loro (la torreggiante altezza) del monte (Sinai); e
(in un’altra occasione) dicemmo: Entrate per la porta con umil-
tà’; e (un’altra volta) ordinammo loro: Non trasgredite in materia
di Sabato. E accettammo da loro un Patto solenne. (Essi sono
incorsi nella collera divina) perché hanno infranto il Patto,
perché hanno respinto i Segni di DIO, perché hanno ucciso i Messaggeri
a sfida della giustizia, perché hanno detto: I nostri cuori
sono gl’involucri (che custodiscono la parola di DIO; non ce ne
servono altri); invece DIO ha posto il sigillo sui loro cuori
per la loro bestemmia e poco è quello che
credono; perché hanno respinto la Fede; perché hanno pronunciato
contro Maria una accusa grave e falsa; perché hanno detto
(vantandosi e schernendo): ‘Noi abbiamo ucciso Cristo, Gesù, il
figlio di Maria, l’apostolo di DIO. Però essi non lo uccisero,
nè lo crocifissero, ma così parve loro. E coloro che
divergono nelle loro opinioni riguardo a ciò sono pieni di
dubbi, con nessuna conoscenza (sicura), ma seguono solo delle
congetture, perché certamente non lo uccisero. Anzi, DIO lo
innalzò a Sè; e Dio è Eccelso in Potenza, è Sapiente (5, 153-
158; cfr. 3, 52-59).
L’Islam respinge la dottrina della crocifissione di Gesù
ad opera dei nemici di DIO e anche i fondamenti della dottrina.
Questo rifiuto si basa sull’autorità di DIO stesso, così come
è rivelata nel Qur’an, e su un più profondo rifiuto del sacrificio
cruento e dei capri espiatori. L’Islam insegna che il primo
peccato di Adamo fu perdonato dopo che lui stesso lo espiò; che
ogni peccatore, se non è perdonato da DIO, sarà responsabile
egli stesso per i propri peccati; che nessuno può espiare i
peccati di un altro. Ciò non lascia alcuno spazio alla dottrina
del sacrificio cruento o dell’espiazione per conto di un’altra
persona. Comunque, alcune delle prime correnti cristiane non
credettero che Gesù era stato ucciso sulla croce. I Basilidiani
credevano che al suo posto fosse stato crocefisso qualcun altro.
I Docetisti ritenevano che Gesù non avesse mai avuto un fisico
reale o un corpo naturale, ma solo un corpo apparente, e che
apparente fosse stata la sua crocifissione, non reale. I1 Vangelo
marcionita (circa 138 d.C.) negava che Gesù fosse nato e diceva
semplicemente che era apparso in forme umane. I1 Vangelo di
San Barnaba (del quale esiste una traduzione inglese nella biblio-
teca di Stato di Vienna e una traduzione araba nel mondo arabo)
conforta la versione della sostituzione sulla croce.
Per quanto concerne la fine di Gesù, il Musulmano è a suo agio,
così come per quel che concerne gl’inizi. I1 Musulmano crede che
Gesù non fu nè ucciso nè crocifisso, ma che DIO lo innalzò a Se
in onore e grazia. I1 pensiero del Musulmano è lucido riguardo a
tutta quanto l’argomento. 11 Qur’an ha risolto per lui ogni con-
troversia, una volta per tutte. La credenza nella crocifissione
di Gesù solleva una serie di inevitabili interrogativi, alcuni
dei quali possono essere presentati qui di seguito:
1) La crocifissione di Gesù, così com’è concepita dalle chiese
cristiane, è compatibile con la giustizia, la misericordia, la
potenza e la sapienza di DIO?
2) E’ giusto, da parte di DIO o da parte di chiunque, far sì che
uno si penta per i peccati o gli errori degli altri, peccati nei
quali il pentito non ha parte alcuna?
3) E’ coerente con la misericordia e la sapienza di DIO credere
che Gesù fu umiliato e ucciso nel modo in cui viene raccontato?
4) E’ un adempimento della promessa di DIO (quella secondo cui
Egli difende i Suoi alleati e protegge i Suoi prediletti)
l’essere stato Gesù abbandonato al punto da diventare facile
preda per i nemici di DIO? Questo evento deve forse essere conside-
rato un modo di adempimento di un impegno o una maniera per
onorare la propria parola?
5. E’ giustificabile e credibile che DIO, 1’Indulgentissimo,
sia stata incapace di perdonare Adamo e i suoi figli per il pec-
cato originale e che li tenne in sospeso e in aspettativa finchè
non venisse Gesù a espiare col suo sangue?
6) La credenza della crocifissione e del sacrificio cruento appare
in qualche religione, oltre che in quelle dei pagani greci e romani,
degl’Indiani, dei Persiani ecc.?
7) C’è un evento parallelo a quello di Gesù nella storia umana,
al di fuori delle figure simboliche di Dioniso, Apollo, Adone,
Horo e altri dèi nati da vergini?
8) Non ci viene nuova luce se confrontiamo le parole attribuite a
Gesù con quelle di Dioniso, il quale disse di essere l’alfa e l’omega
del mondo e di esser venuto a redimere l’umanità col suo sangue?
L’analogia esistente fra queste parole e quelle attribuite a Gesù
in epoca successiva non stimola un’indagine intesa a scoprire la
verità in tutta la questione?
9) Che cosa avevano contro Gesù le autorità di Roma? Egli non
costituiva alcuna minaccia al loro dominio. Anzi, egli
compì molte azioni a beneficio di eminenti personalità romane
e delle loro famiglie. Egli insegnava ai suoi seguaci a dare a
Cesare quello che era di Cesare e a DIO quello che era di DIO. Era
un predicatore pacifico e giovava grandemente alle autorità romane
nel mantenimento della legge e dell’ordine nella regione. Perchè
avrebbero dovuto crocifiggerlo e perdere un suddito così rispettoso
della legge e così vantaggioso?
10) Che cosa sappiamo circa la persona del governatore
romano, Pilato? Era in buoni rapporti coi giudei del suo tempo,
che si appellavano a Roma contro di lui? I1 suo governo in Giudea
non risentiva del suo disprezzo e della sua avversione nei loro
confronti? Era possibile corromperlo? Perchè doveva darsi da fare
per eseguire i loro voleri e realizzare i loro desideri? Perchè non
avrebbe dovuto accettare il donativo di un ricco ammiratore di Gesù
cone Giuseppe d’Arimatea? Questo Giuseppe d’Arimatea, secondo Luca,
era ricco e aveva un grande interesse per Gesù e, come membro del
sinedrio, non concordò con il parere di far crocifiggere Gesù. Non
può aver cercato, anche mediante donativi intesi a corrompere il
governatore, di salvare Gesù dalla crocifissione dopo che non era
riuscito a impedire la decisione del sinedrio?
11) In che modo molti discepoli affrontarono l’evento dell’asserita
crocifissione di Gesù e quali furono le loro reazioni? Può esser ve-
ro quello che dice Matteo (26, 56), ossia che tutti i discepoli
lo abbandonarono e fuggirono via? E’ questa la purezza e la fermezza
d’animo dei grandi discepoli di un grande maestro? Si dice che solo
Giovanni, il prediletto, fosse presente alla scena. Ma quanto durò
la sua presenza e quanto tempo era necessario perché un con-
dannato morisse sulla croce, a quel tempo? Secondo alcune fonti
storiche autorevoli (v, artic. “Croce”, The Chambers
Encyclopedia, l950) ci volevano in genere alcuni giorni perché il
condannato morisse sulla croce. Perchè dunque nel caso di Gesù ci
vollero solo poche ore e non i consueti pochi giorni? E perché egli
“morì” sulla croce mentre i suoi due compagni gli sopravvissero?
Che cosa bisogna pensare della tenebra che oscurò tutta la terra per
tre ore nel periodo della crocifissione (Matth. 27, 45; Marc. 15, 53;
Luc. 23, 44)? In quel periodo di oscurità o confusione non può darsi
che abbia avuto luogo una sostituzione di persona, sotto la tunica
rossa di Gesù?
12. Quali rapporti avevano con Gesù quei soldati romani che gli
avevano imposto la croce? Come potevano essere sicuri che si trat-
tesse della persona giusta? Lo riconobbero davvero quando andarono
a prenderlo? Avevano, qualche interesse o urgenza particolare per
identificare Gesù nel momento in cui si celebrava una festa pubblica
ed era pressante il timore di un’esplosione popolare?
13. Un credente può ritenere che Gesù (il quale fu uno
dei cinque messaggeri di DIO più decisi e perseveranti) abbia parlato
a DIO dalla croce nel modo che ci è stato riportato, ossia in tono
di rimprovero o quanto meno di angoscia? Si addice a un profeta
di primo rango quale Gesù dire, in un momento di prova suprema, che
DIO lo ha abbandonato? Un tale atteggiamento deve essere assunto a
modello nel rivolgersi a DIO o nel reagire alle esperienze in cui
siamo messi a dura prova?
14. DIO, il Misericordiosissimo, 1’Indulgentissino, 1’Altissimo,
non era in grado di perdonare i peccati degli uomini? Doveva neces-
sariamente infliggere questa crocifissione crudele e umiliante a un
uomo che non solo era innocente ma si era anche consacrato al servizio
e alla causa di DIO nel modo più egregio? E’ così che si manifesta
la misericordia e l’indulgenza di DIO? E’ questo un riflesso della
Sua giustizia e del Suo amore?
Un’indagine delle circostanze di quell’epoca, lo studio del com-
portamento delle autorità politiche, delle reazioni popolari, della
concezione di DIO, dello statuto attribuito all’uomo, dello scopo
della religione e della vita – uno studio su tutto ciò può
dar luogo a considerazioni interessanti, simili a quelle svolte dallo
scrivente. Finchè non si trovi una soddisfacente risposta a tali in-
terrogativi, il credente non può essere a proprio agio, nè può godere
di una vera tranquillità d’animo. Sarebbe dunque consigliabile ef-
fettuare, per tutti gli aspetti della questione, uno studio ap-
profondito e adottare un più serio metodo di ricerca.
Comunque, per quanto concerne il Musulmano, tali interrogativi
non si presentano mai e tali perplessità sono irrilevanti, perché
1’Islam è fermo nel ritenere che Gesù non fù crocifisso o ucciso,
ma fu onorato ed elevato a DIO Stesso. Nella letteratura cristiana
si dice che Gesù apparve, dopo la sua crocifissione, ad alcuni disce-
poli. Tale apparizione è del tutto possibile e non contraddice in
alcun modo con la versione islamica. Se è vero che egli apparve,
il Musulmano crede che tale apparizione non ebbe luogo dopo la morte
sulla croce, ma dopo il ritiro che egli effettuò per ordine di DIO,
come un passo nel piano di DIO per salvarlo e contrattaccare l’odio-
sa cospirazione dei nemici. Invece di essere crocifisso e umiliato
come era stato progettato dai suoi nemici, egli fu ancor più esaltato
nel suo rango e a ancor più onorato: questo fu il contrattacco di Dio.
La grandezza di Gesù e l’eminenza della sua funzione, secondo
i Musulmani, non derivano dalla credenza cristiana secondo cui egli
sarebbe stato crocifisso a sangue freddo a causa dei suoi insegna-
menti e in espiazione dei peccati dell’umanità. Se questa cre-
denza volgare fosse valida, si potrebbe essere tentati di dire che
il sacrificio espiatorio di Gesù avvenne invano, perché il peccato
non è stato eliminato. Oppure si potrebbe anche dire che vi sono
migliaia di grandi eroi come Gesù, i quali morirono per la loro
causa, degna o no che fosse. Tali cause possono essere trovate
ovunque: fra i Tedeschi, i comunisti, i soldati dell’ONU, i guer-
rieri religiosi, i patrioti ecc. E se una morte violenta di tal
genere deifica il morto, allora il genere umano ha innumerevoli
dèi e divinità, per cui sarebbe arbitrario da parte di chiunque
riservare una divinità di questo tipo esclusivamente a Gesù, senza
considerare gli altri eroi che morirono in situazioni analoghe.
Ma il Musulmano non tiene conto di un paradosso di questo
genere. Egli crede che la grandezza di Gesù derivi dal fatto che
egli venne scelto da DIO e fu onorato con la Sua parola; che gli
furono affidate le rivelazioni di DIO e fu incaricato di
diffondere il Suo messaggio; che fu un profeta di rango e di va-
glia; che fu sincero interiormente ed esternamente; che combattè
l’ipocrisia e l’empietà; che fu eccellente all’inizio, quando
nacque, e alla fine, al momento della sua ascensione; e che fu
un Segno per gli uomini e una misericordia da parte di DIO,
Pace su di lui e sui profeti come lui.
La natura di questa panoramica non ci consente di trattare
in maniera massiccia le affermazioni del Qur’an circa Gesù e la
sua missione. Quello che è stato detto qui costituisce solo la
parte fondamentale. Per uno studio e un’indagine ulteriore, il
lettore può riferirsi al Qur’an stesso. Per agevolare i riferi-
menti, presentiamo qui di seguito una tabella indicante i capitoli
e i versetti del Qur’an che hanno, a tale proposito, il maggior
rilievo.
CAPITOLO VERSETTO
2 87, 136, 253
3 42-59, 84
4 156-159, 171-172
5 17, 46, 72, 75, 78,
110-118
6 85
9 30-31
19 1-40
23 50
33 7
42 13
43 57-65
57 27
61 6, 14
3. Poligamia (pluralità delle mogli)
A rigor di termini, poligamia significa pluralità di coniugi.
Più in particolare, se un uomo ha contemporaneamente più mogli,
si dovrebbe parlare di poliginia. Ma, siccome il lettore ordinario
non fa nessuna distinzione fra i due termini, questi verranno usati
indifferentemente. Quando diciamo poligamia in questo contesto,
il termine significa attualmente poliginia
nel vero senso di quest’ultima parola. D’altro canto, se una donna
ha più di un coniuge, si parla di poliandria. Se si tratta di
una mescolanza di uomini e donne, si ha allora un matrimonio di
gruppo o matrimonio comune.
Questi tre tipi fondamentali di matrimonio plurimo sono stati
più o meno praticati da differenti società in differenti epoche in
differenti circostanze. I1 modello più comune è la poliginia; essa
è tuttavia necessariamente limitata a un’infima minoranza di una
data popolazione, per varie ragioni. Questo è il solo modello di
matrimonio plurimo ammesso dall’Islam. Gli altri due, la pluralità
dei mariti (poliandria) e i matrimoni di gruppo sono assolutamente
proibiti nell’Islam.
In ogni caso, non è corretto affermare che giudaismo e cri-
stianesimo siano sempre stati Monogamici o categoricamente contra-
ri alla poligamia; non lo sono nemmeno oggi. Alcuni importanti
studiosi giudei, ad es. Goitein (pp. 184-185) informano che
immigrati ebrei poliginici procurano alle autorità israeliane
difficoltà e disagio. La posizione dei cristiani mormoni e ben
conosciuta. Analogo è il punto di vista di quei vescovi afroasiatici
cho preferiscono la poliginia all’adulterio, alla fornicazione,
alla convivenza. Solo negli USA, sembra che coloro i quali convi-
vano senza essere sposati siano centinaia di migliaia.
E’ interessante notare come vi sia una stretta relazione fra
la monogamia rigorosa e formale e la frequenza della prostitu-
zione, dell’omosessualità, dei rapporti illegittimi, degli adulteri,
del lassismo sessuale in genere. La storia delle civiltà
greco-romana e giudaico-cristiana è ancor più rivelatrice sotto
questo rispetto, come può mostrare una sommaria storia dell’istituto
familiare dal punto di vista sociologico (2).
Rivolgendoci al caso dell’Islam, nel mondo occidentale troviamo
molta gente la quale ritiene che un Musulmano sia un uomo posseduto
dalle passioni fisiche e in possesso di un numero limitato o illimi-
tato di mogli e concubine. Molti individui, fra costoro, si mostrano
sorpresi allorchè vedono un Musulmano con una sola moglie o addirittura
scapolo. Essi credono che il Musulmano abbia la completa libertà
di andare da una moglie all’altra o da un gruppo di mogli a un altro
gruppo di mogli e che ciò sia facile come 1o spostarsi da un appartamento
a un altro o come cambiarsi d’abito. Questo atteggiamento mentale
è aggravato in parte dalle raffigurazioni di tipo romantico
e dai romanzi da quattro soldi e in parte dal comportamento irrespon-
sabile di alcuni Musulmani. L’inevitabile risultato di questa si-
tuazione è che milioni di persone non possono vedere la vivida luce
dell’Islam e la sua filosofia sociale, proprio a causa di tali scher-
mi che si sono frapposti. E’ per tali persone che cercheremo di
discutere la questione dal punto di vista musulmano, dopo di che
ciascuno sarà libero di trarre le proprie conclusioni.
La poligamia come tale è stata praticata nel corso di tutta
la storia umana. Fu praticata da profeti quali Abramo, Giacobbe,
Davide, Salomone ecc.; da re e uomini di governo; da gente comune
dell’0riente e dell’0ccidente nei tempi antichi come in quelli mo-
derni. Ancor oggi, essa viene praticata fra Musulmani e non musul-
mani d’0riente e d’0ccidente sotto varie forme, alcune delle quali
sono lecite, mentre altre sono illecite e ipocrite; a volte in se-
greto e a volte pubblicamente. Non c’è bisogno di fare delle grandi
ricerche per scoprire dove e come un gran numero di individui spo-
sati mantengano rapporti intimi con amanti, coniugate o nubili, le
frequentino o si accompagnino occasionalmente con
altre donne, sotto la protezione della legge. Piaccia o non piaccia
ai moralisti, resta il fatto che la poligamia è un dato di fatto
e può esser vista dappertutto e trovata in ogni periodo storico.
Al tempo delle rivelazioni bibliche, la poligamia era comune-
mente accettata e praticata. Era accettata religiosamente, social-
mente e moralmente; e nessuno aveva alcunchè da obiettare. E’ for-
se questo il motivo per cui la Bibbia non ha trattato l’argomento:
proprio perché la poligamia era una cosa normalissima, una realtà
ordinaria. La Bibbia non la proibisce, non la regola nè la limita.
Alcuni hanno interpretato la parabola evangelica delle vergini
come la manifestazione di un assenso a tale istituzione: in parti-
colare, un assenso al mantenimento di dieci mogli contemporaneamente.
Quando 1’Islam venne ripresentato da Muḥammad, la pratica della
poligamia era comune e profondamente radicata nella vita sociale.
I1 Qur’an non ignorò tale pratica e non la condannò, ma nemmeno
la lasciò proseguire senza regolamentarla e senza disciplinarla.
I1 Qur’an non poteva essere indifferente di fronte a tale questione
e non poteva tollerare il caos e l’irresponsabilità che si possono
accompagnare alla poligamia. Così come fece con altre consuetudini
sociali e altre usanze, il Qur’an intraprese a organizzare l’istitu-
zione e a purificarla in maniera tale da sradicarne i mali endemici
e da garantirne i vantaggi. I1 Qur’an se ne occupò per il fatto che
asso doveva essere realistico e non poteva tollerare alcuna confu-
sione nell’ambito famigliare, che costituisce l’autentico fondamento
della società. I1 benefico intervento del Qur’an introdusse queste
norme:
1. La poligamia è lecita a certe condizioni e in certe circostanze.
Si tratta di un permesso condizionato, non di un articolo di fede o
di una pratica necessaria.
2. Questo permesso è valido fino a un massimo di quattro mogli.
Prima dell’Islam non c’erano limiti e garanzie di nessun genere.
3. La seconda o la terza moglie, se viene sposata, gode dei mede-
simi diritti e privilegi della prima. Ha pieno diritto a tutto ciò
che è dovuto alla prima. La parità fra le mogli in fatto di
trattamento, alimenti e cortesia è un requisito preliminare della
poligamia, una condizione che deve essere adempiuta da chi tiene
più di una moglie. Questa parità dipende ampiamente dalla coscienza
intima dell’individuo.
4. Questo permesso costituisce un’eccezione al corso ordinario
delle cose. E’ l’extrema ratio, l’ultimo tentativo per risolvere
alcuni problemi sociali e morali e per far fronte a difficoltà inevitabili.
Insomma, è una misura d’emergenza e deve rivestire
un significato di questo genere.
I1 passo coranico attinente all’argomento recita cosi:
Se temete di non poter trattare con giustizia gli orfani (che
voi sposate o le cui Madri vi prendete in mogli), sposate donne
di vostra scelta, due o tre, o quattro; ma se temete di non poterle
trattare con giustizia, allora una so1a, o (una prigioniera) che
la vostra mano destra possiede. Ciò sarà più conveniente per
prevenirvi dal commettere ingiustizia (4, 3).
I1 passo fu rivelato dopo la battaglia di Uhud, nella quale
furono uccisi molti Musulmani, sicchè rimasero vedove e orfani;
i sopravvissuti dovevano quindi garantire loro l’assistenza necessa-
ria. Il matrimonio era un nodo per proteggere quelle vedove e
quegli orfani. I1 Qur’an diede questo avvertimento e indicò questa
possibilità di scelta per proteggere i diritti degli orfani e
impedire ai tutori di commettere ingiustizia a danno dei loro
tutelati.
Da questo contesto risulta chiaro che non fu 1’Islam
a inventare la poligamia e che, introducendo le regole suddette,
esso non la incoraggia come norma. Esso non la abolì, perché, se fosse
stata abolita, lo sarebbe stata solo in teoria e la gente avrebbe
continuato a praticarla, come possiamo notare oggi fra altre popo-
lazioni, le cui leggi e consuetudini sociali non ammettono la po-
ligamia. L’Islam è venuto per essere tradotto in
pratica, per essere vissuto, per essere messo in vigore, e non
per restare nei libri o per essere considerato mera teoria.
Esso è realistico e la sua visione della vita è praticabilissima.
E’ questo il motivo per cui esso consente una poligamia condiziona-
ta e ristretta; se fosse stato interesse del genere umano fare a
meno di tale istituzione, DIO avrebbe certamente ordinato che
essa cessasse di esistere. E chi è più sapiente di DIO?
C’è una serie di motivi per cui 1’Islam permette la poligamia.
Non c’è bisogno di immaginare tali motivi o di far delle congetture.
Si tratta di motivi reali, che possono essere visti ogni giorno,
dappertutto. Esaminiamone alcuni.
1. In alcune società le donne sono più numerose degli uomini.
Ciò avviene in particolare nelle zone industriali e commerciali,
e anche in regioni che siano teatro di conflitti bellici. Ora,
se una società musulmana si trova a far parte di tale categoria
e se 1’Islam dovesse proibire la poligamia e limitare a una
sola moglie il matrimonio legale, che cosa farebbero le donne
non sposate? Dove e come potrebbero trovare la compagnia che
la natura le spinge a desiderare? Dove e come potrebbero tro-
vare comprensione, amore, appoggio e protezione? Le impli-
cazioni del problema non sono semplicemente fisiologiche; so-
no anche morali, sentimentali, sociali, affettive, naturali.
Ogni donna normale -anche se lavora nel mondo degli affari
o all’estero o nel servizio di controspionaggio- desidera una sua
casa, una famiglia. Ha bisogno di qualcuno di cui occuparsi
e di qualcuno che si occupi di lei. Desidera svolgere una fun-
zione sociale e famigliare. Anche se! consideriamo la cosa da
un punto di vista strettamente fisiologico, la implicazioni
sono tuttavia molto serie e noi non le possiamo ignorare; al-
trimenti, i complessi psicologici, gli esaurimenti nervosi, il
disgusto sociale e l’instabilità mentale
sarebbero i risultati dei problemi lasciati insoluti. Le di-
mostrazioni cliniche di tutto ciò sono sovrabbondanti.
Questi desideri naturali e aspirazioni sentimentali devono
trovare una realizzazione. L’esigenza di appartenere a qualcu-
no, di prendersi cura di qualcuno, di esser oggetto di cura
da parte di qualcuno, devono essere soddisfatte in un modo o
nell’altro. In una tale situazione le donne non trasformano
la loro natura nè conducono una vita di tipo angelico. Sen-
tono invece che hanno ogni diritto a godere della vita e ad
avere la parte che loro spetta. Se non possono averla in ma-
niera lecita e decente, non mancano di trovare altre vie, ben-
chè rischiose e precarie. Pochissime sono le donne che posso-
no fare a meno di una compagnia maschile permanente e sicura.
La stragrande maggioranza delle donne nubili, in una tale so-
cletà, trova la maniera di incontrare gli uomini. Organizza-
no ricevimenti, cocktails, e così via. I1 risultato di questa
caccia disperata non è sempre morale o decente. Un uomo sposa-
to può rivolgersi a qualche donna e questa cercherà di farlo
suo, in maniera legale o altrimenti. Qualche donna può anche
attrarre un uomo, che può trovarsi demoralizzato o depresso
per una qualche ragione. Quest’uomo cercherà di avere rap-
porti intimi con lei, più o meno nascostamente,
con le garanzie della legge o al di fuori di queste. Ciò avrà
sicuramente degli effetti gravi sulla vita famigliare dell’uomo
sposato in questione e rovinerà dall’interno la morale della
società. Le mogli saranno abbandonate o trascurate; i figli
saranno abbandonati; le faniglie si dissolveranno e così via.
La donna che incontra un compagno in tali circostanze non
ha sicurezza nè dignità nè diritti di alcun genere? 11 suo com-
pagno, o il suo amante professionale, può essere accanto a lei,
mantanerla, frequentare la sua casa recandole doni, esser pronto
a riversare su di lei espressioni di amore appassionato e roman-
tico. Ma qual’è la garanzia che essa ne trae? Come può essa
impedire che egli se ne vada quando gli pare e l’abbandoni proprio
nel momento in cui la sua presenza sarebbe più necessaria e la
sua compagnia più desiderata? Che cosa gli inpedirà di disatten-
dere queste esigenze? La morale? La coscienza? La legge? Nulla
di tutto ciò sarà di alcun aiuto; la morale è andata a quel paese
quando ha avuto inizio questo genere di relazione intima; la coscien-
za è rimasta paralizzata quando i due si sono concesso que-
sto rapporto contrario a tutte le regole di DIO e dell’uomo; la
logge della società non riconosce relazioni intime al di fuori
di quelle con la propria moglie. Cosi, l’uomo può godere di questa
facile compagnia finchè lo desidera e una volta che i suoi senti-
menti si sono raffreddati può andare a cercarsi un’altra donna e
ripetere 1o stesso dramma senza responsabilità o obblighi da parte
sua.
La donna che ha avuto questa esperienza può essere ancora
attraente e piacevole o piena di desiderio. Può anche cercarsi
un altro uomo e fare una seconda prova. Ma potrà riceverne
sicurezza, garanzia, dignità, diritti? Continuerà a percorrere
il medesimo circolo vizioso, cacciando e sperando di essere caccia-
ta. I1 suo fardello acquisterà sempre maggior peso, specialmente
se ci sono dei figli di mezzo. Alla fine sarà dimenticata da tutti.
Ciò non si addice alla dignità umana o alla delicatezza femminile.
Qualunque donna, in questa situazione, è destinata a diventare
o una malata di nervi o una ribelle animata dal risentimento e
dall’avversione per la morale.
D’altronde, nessuno può pretendere che tutti gli uomini spo-
sati siano felici, contenti e soddisfatti del loro matrimonio.
Sia per colpa sua o per colpa di sua moglie, il marito infelice
cercherà un’altra compagnia e chiederà comprensione a
qualche altra donna. E’ facile che sia così quando le donne sono
piu numerose degli uomini. Se ciò non può essere ottenuto per
una via onesta, sarà per altri mezzi, col risultato di rapporti
intimi caratterizzati dall’immoralità e dall’indecenza, rapporti
che possono comportare prole illegittima, aborti e altri innume-
revoli effetti negativi. Sono cose brutte e amare, ma si tratta
di questioni reali e scottanti. Devono quindi essere risolte in
un modo che dia garanzie all’individuo, maschio o femmina, e
salvaguardi la società.
La soluzione che 1’Islam offre sotto questo riguardo è il
permesso, dato al marito infelice e insoddisfatto, di sposare una
seconda moglie e vivere con lei alla luce del sole, in maniera
responsabile e adempiendo egualmente a tutti i doveri verso la
prima e la seconda moglie. In questo nodo, le donne nubili
possono soddisfare le loro esigenze, realizzare i loro desideri,
le loro aspirazioni legittime e i loro appetiti naturali.
L’Islam dà loro il permesso di unirsi agli uomini in matrimonio
e di godere di tutti i diritti e privilegi di cui godono le mogli
legittime. In tal modo 1’Islam non cerca di scansare la
questione o di ignorare il problema. Esso è realistico e franco,
preciso e pratico. La soluzione offerta dall’Islam è legale,
decente e benevola. L’Islam suggerisce questa soluzione perché
esso non potrà mai tollerare l’ipocrisia nei rapporti umani.
Esso non può accettare come lecito e morale l’atteggiamento di
un uomo che secondo la legge è sposato con una sola moglie e
nella pratica ha rapporti intimi con altre donne, rapporti che
rimangono segreti. D’altronde, 1’Islam è nemico mortale
dell’adulterio e non può ammetterlo. Il castigo per gli adulteri
e le adultere può arrivare alla pena capitale, quella per i for-
nicatori consiste nel frustare ciascuno di loro con cento staffi-
late. Per l’ipocrisia, l’infedeltà e l’adulterio, che sono proi-
biti, non c’è altra alternativa se non la concessione della poli-
gamia legale. E questo è quanto 1’Islam ha fatto, con le norme
e condizioni suddette.
Se alcuni ritengono che ciò sia inaccettabile, devono ricorrere
ad altre alternative non accettate o comunque non particolarmente
favorite dall’Islam. E se qualcun altro può esercitare
il controllo su di sè e può disciplinarsi sotto ogni riguardo,
allora non c’è bisogno di poligamia. Lo scopo principale del1’Islam
è di garantire la dignità e la sicurezza della persona e di
proteggere l’integrità e la morale della società.
Qualcuno ora si potrà chiedere che cosa sia meglio per una
società di questo genere. E’ bene lasciare che il caos e la con-
dotta irresponsabile rovinino le basi stesse della società, o
è meglio ricorrere alla soluzione islamica e applicarla?
E’ interesse della società ignorare i problemi sociali più scottan-
ti, tollerare l’ipocrisia e l’indecenza, ammettere l’adulterio e
i rapporti intimi clandestini? E’ una cosa sana sopprimere
i legittimi desideri e gli appetiti naturali di uomini e donne,
soppressione che nella realtà non può essere efficace e che li può
solo portare a sbocchi illeciti e immorali? Considerata che
sia da un punto di vista sociale o morale o umano o spirituale o
da qualunque altro punto di vista, la questione potrà esserc ri-
solta solo nel senso che per la società e di gran lunga meglio
consentire ai singoli di unirsi su una base legale e in maniera
responsabile, con la salvaguardia della legge e sotto la
superstisione delle autorità competenti.
Anche se consideriamo la cosa dal punto di vista della donna,
apparirà evidente che con questa soluzione l’Islam garantisce
alla donna il dovuto rispetto, le assicura diritti e integrità,
riconosce il suo legittimo desiderio di una compagnia maschile,
le dà spazio nella società cui essa appartiene, le dà tutte le
possibilità di occuparsi di qualcuno che le sia
caro a di ricevere le cure di qualcuno. Ciò può suonare sgrade-
vole a una donna che abbia già un marito e non possa immaginare
che un’altra donna abbia accesso all’amore e alla protezione di
lui, nè possa concepire di dover dividere con una seconda moglie
lo tenerezze e l’affetto del marito. Ma quali sono i sentimenti
delle altre donne, quelle che non hanno un marito o un
compagno sul quale fare affidamento? Dobbiamo ignorare la loro
esistenza e credere che non abbiano diritto ad alcun genere
di sicurezza e soddisfazione? Se le ignoriamo, sarà questo a
risolvere il loro problema o a dar loro qualche soddisfazione?
Che sentimenti e che reazioni avrebbe questa moglie qualora
fosse lei a trovarsi in una situazione simile a quella delle
donne senza un compagno? Non desidererebbe forse di apparte-
nere a qualcuno e di essere rispettata e considerata? Non
accetterebbe eventualmente un marito “in comune”, se non po-
tesse averne uno tutto per sè? Non sarebbe più felice, aven-
do una qualche protezione e sicurezza, anzichè restarne total-
mente priva? Che cosa accadrebbe a lei e ai suoi figli, se
suo marito venisse attratto da una di quelle donne “in sovrap-
piu”, a un cocktail o a una festa danzante? Che ne sarebbe
di lei qualora egli abbandonasse la famiglia o trascurasse
le proprie responsabilità per dedicarsi completamente alla
nuova attrazione? Come si sentirebbe qualora venisse a sapere
che l’unico uomo della sua vita ha dei rapporti con altre
donne e tiene clandestinamente un’amante o frequenta qual-
che prostituta? Un uomo di tal fatta non è solo un fallimento
ma anche una minaccia. E’ ignobile e perverso. Sicuro! Ma
il riconoscimento di tali qualità non reca nessun vantaggio
a chi ha a che fare con lui. E’ la donna -la moglie legittima
cosi come la compagna illegittima- a soffrire di un simile
stato di cose. Non è meglio, dunque, che entrambe le donne
partecipino in giusta misura delle cure di quell’uomo e abbiano
parimenti accesso alla sua compagnia, essendo entrambe ugualmente
protette dalla legge? Un uomo del genere, in realtà, non è
più il marito di una sola moglie. E’ uno spregevole ipocrita,
ma il male è fatto e l’anima ne risente. E’ per proteggere
tutte le parti in causa, per combattere l’immoralità,
per prevenire un danno di questo genere e per salvare le anime
dagli oltraggi, che 1’Islam interviene con benevolenza e con-
sente all’uomo sposato di sposarsi un’altra volta, se c’è una
buona ragione o una giustificazione.
2. In alcuni casi, 1a moglie non è in grado di avere figli,
per un motivo o per un altro. Per avere una vita famigliare
nel vero senso della parola e contribuire alla continuità della
specie umana, è fondamentale la presenza dei figli. Oltre a ciò,
questo è uno degli scopi piu importanti del matrimonio e l’uomo
desidera per natura di avere dei figli che preservino il suo
nome e rafforzino i vincoli familiari. In una situazione del
genere, l’uomo ha ordinariamente una o tre alternative:
a) dimenticare e reprimere il suo naturale desiderio di
aver figli; b) ripudiare la moglie sterile; c) adottare dei
bambini e dar loro il proprio nome.
Nessuna di queste alternative si adatta alla concezione
islamica della vita e della natura. L’Islam non incoraggia nè
approva la repressione dei desideri legittimi e delle aspira-
zioni naturali. Esso aiuta invece a realizzare queste aspira-
zioni e questi desideri in maniera decente e lecita, perché
il ricorso alla repressione, in tal caso, non fa parte del suo
sistema. In tali circostanze il ripudio non è giustificabile,
perché non è colpa della donna il non poter avere figli. Inol-
tre, il ripudio è fra le cose lecite la più detestabile agli
occhi di DIO ed è permessa solo quando non vi sia altra alternativa.
D’altronde, la moglie può aver bisogno dell’aiuto e della compagnia
di suo marito. Sarebbe crudele abbandonarla quando è bisognosa e
disperata e quando non ha nessuno che si interessi di lei, dal
momento che non è in grado di aver figli.
Anche l’adozione è fuori discussione, perché 1’Islam ordina
che ogni bambino venga chiamato col nome del suo vero padre e che,
qualora tale nome sia sconosciuto, sia chiamato fratello nella fe-
de (Qur’an, 33, 4-5). Ciò, naturalmente, non significa che un bam-
bino privo di padre conosciuto o di qualcuno che si occupi di lui
debba soffrire di privazioni o di mancanza d’affetto. Lungi da ciò.
Significa solo che l’adozione, così come viene praticata attualmente,
non è il modo migliore per dare a quel bambino una vita sicura e
prospera. Nessuno può sostituirsi in maniera perfetta al vero padre
o alla vera madre. I1 corso quotidiano degli eventi, le procedure
e i casi legali complicati, 1e liti tra famiglie testimoniano
che l’adozione non risolve mai il problema. Quanti sono oggi nei
tribunali i casi nei quali i veri genitori chiedono la restituzio-
ne dei loro figli, che sono stati adottati da famiglie estranee e
sono stati introdotti in ambienti diversi? Fino a quando può un
padre o una madre normale vedere il proprio figlio in una casa e-
stranea? Fino a quando possono affidare a genitori fittizi il com-
pito di allevare il loro figlio nel modo giusto e di dargli la cura
dovuta? Come si sentirà il ragazzo quando crescendo si renderà con-
to che i suoi veri genitori lo hanno ceduto ad altri e che
ha avuto dei genitori putativi? Come reagirà quando scoprirà che
i suoi veri genitori sono degli sconosciuti o che sua madre 1o ha
ceduto per paura della miseria o per vergogna o per mancanza di
sicurezza? Fino a che punto il bambino adottato è amato dagli altri
membri della famiglia che lo ha adottato? Hanno piacere, costoro,
che un bambino estraneo prenda il loro stesso nome de erediti i beni
di cui essi sono gli eredi potenziali? Che cosa proveranno quelli
che lo hanno adottato quando i veri genitori chiederanno la resti-
tuzione del loro figlio o quando il ragazzo stesso vorrà ricongiun-
gersi ai suoi genitori autentici? Tutto ciò comporta molte compli-
cazioni. L’istituto dell’adozione è indubbiamente poco sano e può
provocare molto danno al bambino, ai genitori (putativi a reali),
agli altri membri della famiglia che ha adottato, alla società in
generale. L’adozione è una delle cause cha maggiormente incoraggia-
no molti individui a indulgere in attività e rapporti irresponsabili.
Ai giorni nostri è diventata un commercio. Vi sono molte persone
che mettono in “vendita” i loro bambini, come viene riportato dalla
stampa. E ciò non accade nelle giungle dell’Africa o dell’Asia:
avviene proprio qui da noi, in Canada e negli USA. A causa di tutto
questo, 1’Islam non accetta un tale istituto nè vede di buon occhio
tale pratica fra i Musulmani (cfr, Qur’an, 33, 4-6).
Scartate queste tre alternative per le ragioni esposte più
sopra, 1’Islam offre la propria soluzione. Esso consente a un uomo
che si trovi in una tale situazione di risposarsi, di soddisfare le
suo esigenze naturali e contemporaneamente tenersi la moglie sterile,
la quale probabilmente ha ora bisogno di lui più di prima. Questa
è una concessione, una soluzione che un uomo disperato può adot-
tare, in luogo dell’adozione, del ripudio o dell’innaturale
repressione delle proprie aspirazioni. E’ un altro caso nel quale
il risposarsi costituisce 1a miglior scelta possibile, un’altra
via d’uscita da una situazione difficile, per aiutare gli uomini
a vivere una vita normale e sicura sotto ogni riguardo.
3. Vi sono casi e momenti nei quali la moglie non è in grado
di adempiere ai suoi doveri coniugali. Può non essere in grado
di essere la compagna piacente che dovrebbe o che vorrebbe.
Può trovarsi in uno stato in cui non riesca a dare al marito tutto
l’amore, la soddisfazione e l’attenzione che egli merita e desidera.
Ciò può accadere ed effettivamente accade. Non è sempre colpa della
moglie: può essere anche un fatto imputabile alla natura. Può
trattarsi di una lunga malattia, di un periodo di degenza, o anche
di indisponibilità periodica. Non tutti gli uomini possono
avere la pazienza necessaria o esercitare l’autocontrollo o adot-
tare una condotta angelica. Alcuni cadono nel peccato dell’immo-
ralità, dell’inganno, dell’ipocrisia e dell’infedeltà. Esistono
casi in cui alcuni mariti si innamorano delle cognate o delle nu-
trici o delle inservienti che vengono in casa a badare
alla famiglia durante la malattia della moglie o durante il suo
periodo di degenza. E’ accaduto spesso che, mentre le mogli
erano sottoposte a difficili operazioni chirurgiche o stavano
partorendo, i loro mariti vivevano esperienze romantiche con altre
donne. La sorella o l’amica della donna ammalata è il personaggio
più frequente in tale dramma. Con tutte le migliori intenzioni,
forse, essa viene ad aiutare la sorella o l’amica ammalata e a
badare ai bambini o alla casa per un dato periodo: di qui 1e cose
si sviluppano e si complicano. Quando la moglie è ammalata a
casa o all’ospedale, il marito si sente solo o depresso. L’altra
donna presente in casa, si tratti della sorella della moglie o
della sua amica, ritiene che rientri nel suo compito mostrare al
marito la propria simpatia e un pò di comprensione, che può esser
sincera e onesta, così come può essere diversamente. Alcuni uo-
mini o donne sfruttano questa semplice manifestazione
di simpatia e la usano per i loro scopi. I1 risultato è
talvolta un cuore infranto, e probabilmente anche una famiglia
infranta.
Problemi di questa specie non sono nè immaginari nè rari.
Si presentano spesso alla gente. I giornali parlano
talvolta di tali questioni. Anche le udienze dei tribunali sono
una prova di questa realtà. L’agire dell’uomo sotto questo
rispetto può esser chiamato meschino, immorale, indecente, vizioso
ecc. Sicuramente! Ma questo risolve il problema? Serve a cam-
biare lo cose o a mutare la natura umana? L’azione è compiuta
l’ingiuria è commessa ripetutamente, un problema scottante esige
una soluzione praticabile e decente. I legislatori possono essere
soddisfatti di una condanna esemplare di un uomo del genere e della
sua azione? Devono permettere che mandi in rovina la propria inte-
grità e distrugga le basi morali della società? Devono ammettere
che l’ipocrisia e l’immoralità si sostituiscano all’o-
nestà o alla fedeltà? I divieti e le condanne non hanno impedito
ad alcuni uomini di commettere l’offesa o non hanno ravvivato 1a
loro coscienza. Anzi, hanno dato via libera all’ipocrisia, all’in-
fedeltà clandestina e all’irresponsabilità, cose contro le quali
1a legge e i legislatori non possono far niente.
Ora 1’Islan non può non far niente. Non può scendere a com-
promessi circa la morale o tollerare l’ipocrisia e l’infedeltà.
Non può ingannare sè stesso o l’uomo con soddisfazioni fasulle e
formali. Nè 1’Islan può negare l’esistenza del problema o sem-
plicemente ricorrere alla condanna e alla proibizione, perché
ciò non attenua il danno. Per salvare un uomo di tal fatta
dalla sua propria anima, per proteggere la donna che ha a che fa-
ra con lui (si tratti di sua moglie o della sua amante clande-
stina) contro le complicazioni non necessarie, per mantenere l’in-
tegrità morale della società, per ridurre il male al minimo, 1’I-
slam ha concesso il ricorso alla poligamia con le riserve o alle
condizioni menzionate più sopra. Ciò deva essere applicato come
misura d’emergenza ed è certamente una cosa molto piu sana della
monogamia puramente nominale e dei rapporti irresponsabili fra
uomo e donna. Uomini e donne che si trovino in una situazione
disperata o in un pasticcio inestricabile possono ricorrere a
questa soluzione. Se però esiste il timore dell’ingiustizia e
del danno contro una delle parti, allora la regola è la monoga-
mia.
4. La natura stessa esige certe cose e azioni dell’uomo in par-
ticolare. E’ l’uomo che ordinariamente compie viaggi
d’affari e stà lontano da casa per diversi periodi, nel corso di
viaggi lunghi o brevi, nel territorio nazionale o all’estero.
Nessuno può assumersi la responsabilità di accertarsi che tutti
gli uomini in tali circostanze rimangano fedeli e casti. L’espe-
rienza insegna che la maggior parte degli uomini cadono e com-
mettono atti immorali con donne estranee durante il periodo di
assenza da casa, che può durare mesi o anni. Alcuni individui
sono deboli e non possono resistere nemmeno alle tentazioni più
facili da respingere. Come risultato, cadono in peccato e ciò
può causare una rottura nella famiglia. Questo è un altro caso
in cui si può applicare una moderata poligamia. E’ molto
meglio per un uomo di questo genere avere una seconda casa
con una seconda moglie legale, che esser libero di commettere
azioni immorali e irresponsabili. Ciò è molto meglio anche per
la moglie; quando sa che suo marito è legato da vincoli legali
e da principi morali nei suoi rapporti con un’altra donna, mol-
to probabilmente si irriterà meno di quando
egli gode della medesima intimità in altra maniera. Naturalmen-
te la moglie non gradisce che il suo uomo venga condiviso da
un’altra donna. Ma quando si trova in una situazione nella quale
l’uomo deve scegliere fra l’essere legalmente responsabile e
moralmente vincolato e, dall’altra parte, l’unirsi illecitamente
e immoralmente con un’altra donna, allora la moglie sceglierà
sicuramente la prima alternativa e accetterà la situazione.
Comunque, se la moglie e danneggiata o i suoi diritti vengono
violati, può sempre appellarsi alla legge o ottenere
il divorzio, se questo è il suo interesse.
Applicando la poligamia islamica a questo caso, si salva-
guarderanno l’integrità dell’uomo, la dignità della seconda donna
e i valori etici della società. Questi casi non hanno bisogno
di essere approfonditi. Sono dati di fatto nella vita di tutti
i giorni possono essere rari, ma la pratica della poligamia fra
i Musulmani è ancor più rara. I Musulmani che ricorrono alla
poligamia sono certamente più rari dei mariti e delle
mogli infedeli che vivono nelle società monogamiche.
Benchè sia rischiosa e contingente in molti dei suoi requi-
siti preliminari, come si è già spiegato, la poligamia è di gran
lunga meglio della negligenza e dell’adulterio, dell’ipocrisia e
della mancanza di sicurezza, dell’immoralità e dell’indecenza.
Essa aiuta gli uomini e le donne a risolvere i loro difficili
problemi su una base di realismo e di responsabilità. Essa ri-
duce al minimo molte complicazioni psicologiche, naturali ed e-
mozionali della vita umana. E’ una misura precauzionale da ap-
plicare nell’interesse di tutte le parti in causa. Tuttavia essa
non costituisce affatto, nell’Islam, un articolo di fede nè si
tratta di un’ingiunzione; è semplicemente un permesso da parte di
DIO, una soluzione per alcuni dei più difficili problemi nei
rapporti umani. I Musulmani ritengono che la poligamia legale
e condizionata sia preferibile ad altri tipi di condotta che
ai nostri giorni vengono adottati da molti
uomini, uomini che vanno orgogliosi del matrimonio
formale e della monogamia superficiale. La posizione del Mu-
sulmano è questa: in circostanze normali, la monogamia non solo
è preferibile, ma è la norma. Diversamente, la poligamia può
essere presa in considerazione e applicata se è necessario.
Per completare la discussione, è opportuno esaminare i ma-
trimoni del Profeta Muḥammad. Questi matrimoni non costituisco-
no un problema per un Musulmano che intenda il carattere ideale
del Profeta e le circostanze in cui ebbero luogo i suoi matrimoni.
Spesso però tali matrimoni impediscono ai non musulmani di com-
prendere la personalità del Profeta e inducono a conclusioni ir-
responsabili e premature, le quali non giovano al credito del-
1’Islam o del Profeta. In questa sede non trarremo le nostre
conclusioni nè denunceremo quelle di altri. Presenteremo certi
fatti e lasceremo giudicare i lettori.
1. L’istituzione del matrimonio come tale gode nell’Islam di
un’elevata considerazione. E’ altamente raccomandabile ed es-
senziale per una sana sopravvivenza della comunità.
2. Muḥammad non disse mai di essere immortale o divino. Più
d’una volta mise l’accento sul fatto che egli era un morta-
le scelto da DIO per consegnare all’umanità il Messaggio divino.
Per quanto esemplare e unica nel suo genere sia sta-
ta la sua vita, egli visse e morì come un uomo. Il matrimonio,
perciò, fu per lui una cosa naturale, non un atto eretico o con-
dannabile.
3. Egli visse in un clima estremamente caldo, dove i desideri
fisici gravano pesantemente sull’uomo, dove gl’individui
raggiungono la maturità fisica in età assai precoce, dove la
facile soddisfazione era una cosa comune fra la gente
d’ogni categoria. Nondimeno, Muḥammad non toccò mai donna fin-
chè non raggiunse i venticinque anni, età alla quale si sposò
per la prima volta. In tutta quanta 1’Arabia egli era noto per
il suo carattere impeccabile ed era chiamato Al Amin, epiteto
che designa l’elevatissimo rango della sua etica.
4. I1 suo primo matrimonio, avvenuto in un’età che per quella
zona era eccezionalmente avanzata, fu quello con Khadija, una
gentildonna due volte vedova che aveva quindici anni più di lui.
Fu lei stessa a sollecitare il contratto di matrimonio ed egli
accolse la proposta nonostante l’età più avanzata della moglie
e nonostante che ella fosse vedova due volte. Alla sua età,
Muḥammad avrebbe potuto agevolmente trovare molte ragazze più
carine, molte mogli più giovani ai lui, se fosse stato un uomo
dominato dalle passioni o dalla ricerca dei godimenti fisici.
5. Con questa sola moglie egli visse finchè raggiunse i cin-
quant’anni e da lei ebbe tutti i suoi figli, a eccezione di I-
brahim. Ella visse con lui finchè ebbe toccato i sessantacin-
que anni; finchè Khadija visse, Muḥammad non sposò nessun’altra
donna e non ebbe rapporti intimi con nessun’altra all’infuori di lei.
6. Quando proclamò il Messaggio di DIO, Muḥammad era sui
cinquant’anni e Khadija sui sessantacinque. Il Profeta e i
suoi seguaci dovevano ora affrontare di continuo persecuzioni
e pericoli. Nel frattempo Khadija morì. Dopo la morte di lei,
egli rimase senza moglie per qualche tempo. Poi ci fu Sawdah,
che nei primi anni delle persecuzioni si era rifugiata con suo
marito in Abissinia. Al ritorno in patria, il marito morì e
Sawdah aveva bisogno di un uomo che la proteggesse. La cosa
più naturale per lei era di rivolgersi al Profeta, per la
missione del quale suo marito era morto. I1 Profeta estese su
di lei 1a sua protezione e la sposò. Ella non era particolar-
nente giovane o bella e piacente. Era una semplice vedova dal
carattere vivace e rilassato. Più tardi, nel medesimo anno,
il Profata fece una proposta di matrimonio a una ragazza di
sette anni, Aishah, figlia del suo caro compagno Abu Bakr.
I1 matrimonio venne consumato solo qualche tempo dopo l’e-
migrazione a Medina. I motivi di questi due matrimoni, è
più che evidente, non sono certo da ricercarsi nella passione e
nell’attrattiva fisica. Comunque, egli visse con le due mogli
cinque-sei anni, fino all’età di cinquantasei anni, senza spo-
sare nessun’altra donna.
7. Dal cinquantaseiesimo al sessantesimo anno, il Profeta
contrasse nove matrimoni in rapida successione. Negli ultimi
tre anni della sua vita non contrasse alcun matrimonio. La
maggior parte di questi matrimoni fu contratta in un periodo
di circa cinque anni nel quale egli stava passando la fase
più difficile della sua missione. Era a quel tempo che i Mu-
sulmani si trovavano impegnati in battaglie decisive ed erano
inpantanati in una serie indefinita di difficoltà d’ordine in-
terno ed esterno. Era il periodo in cui la legislazione isla-
mica era in via di formazione e venivano gettate le basi di
una società islamica. I1 fatto che Muḥammad fosse la figura
predominante in questi avvenimenti ed il centro attorno al quale
essi si svolgevano, e che la maggior parte dei suoi matrimoni
avesso luogo in quel particolare periodo, è un fenomeno estre-
mamente interessante. Esso merita l’attenzione di storici,
sociologi, legislatori, psicologi ecc. Non può essere interpre-
tato semplicemente in termini di attrazione fisica e di passione
sensuale.
8. Muḥammad visse una vita estremamente semplice, austera,
sobria. Durante il giorno era l’uomo più attivo della sua
epoca, essendo egli capo di Stato, magistrato supremo, coman-
dante in capo dell’esercito, maestro ecc. contemporaneamente.
Di notte era l’uomo più devoto. Era solito trascorrere uno
o due terzi della notte vegliando in preghiera e in meditazio-
ne (Qur’an 73, 20). I1 suo mobilio consisteva in stuoie,
brocche, coperte e cose semplici di questo genere,
benchè fosse il re e il capo supremo dell’Arabia. La sua
vita era così severa ed austera, che le sue mogli una volta
lo esortarono alle comodità, senza però riuscirvi (cfr. Qur’an
33, 48). Evidentemente non era, la sua, la vita di un uomo
passionale e sensuale.
9. Le mogli che egli si prese erano tutte vedove o ripudiate,
a eccezione li una ragazza giovanissima, Aishah. Nessuna di
queste donne vedove o ripudiate era particolarmente nota per
il suo fascino o le sue bellezze fisiche. Alcune di loro erano
più vecchie di lui e praticamente tutte cercavano da lui pro-
tezione e difesa o gli erano state date come doni e lui le
aveva prese come mogli legittime.
Questo è lo sfondo generale dei matrimoni del Profeta;
non se nè può certo trarre l’impressione che tali matrimoni
rispondessero a esigenze fisiche o a pressioni sensuali. E’
inconcepibile pensare che egli si tenesse un così gran numero
di mogli per motivi di soddisfazione personale o di esigenze
fisiche. Chiunque, amico o nemico, dubiti dell’integrità, mo-
rale o dell’eccellenza spirituale del Profeta a motivo di questi
matrimoni deve trovare spiegazioni soddisfacenti per interro-
gativi come questi: perché si sposò per la prima volta a ven-
ticinque anni, dopo che non si era mai unito
con nessuna donna? Perchè scelse una donna rimasta vedova
due volte che aveva quindici anni più di lui? Perchè rimase
con lei fino alla sua morte, quando egli
aveva passato i cinquant’anni? Perchè accettò di sposare
tutte quelle donne vedove e ripudiate che non possedevano
particolari attrattive fisiche? Perchè condusse una vita
così austera e severa, mentre poteva vivere in maniera facile
e comoda? Perchè contrasse la maggior parte dei suoi matri-
moni nei cinque anni più impegnati della sua vita, quando
la sua missione e la sua carriera erano a una svolta? Come sarebbe
potuto riuscire a essere quello che fù, se fosse stato preso
dalla vita del harem e dalle passioni? Vi sono molti altri
interrogativi che potrebbero essere sollevati. La cosa non
può essere interpretata semplicemente in termini di amore
mondano e di desiderio erotico. C’è bisogno di un esame serio
ed onesto.
Esaminando a uno a uno i matrimoni di Muḥammad, si possono
trovare le autentiche ragioni dietro ciascuno di essi. Tali
ragioni possono essere classificate nella maniera seguente.
1. I1 Profeta venne al mondo per essere un modello ideale
per l’umanità e così agli fu in ogni aspetto della sua vita.
I1 matrimonio in particolare evidenzia questa sua funzione.
Egli fu il marito più dolce, il compagno più amoroso e delicato.
Egli si sottopose a tutte le prove dell’esperienza umana e ad
ogni esame morale. Visse con una sola moglie e con diverse mo-
gli, con mogli più anziane a con mogli più giovani, vedove e
ripudiate, piacenti e meno piacenti, illustri e umili; ma
in tutti i casi fu un modello di affabilità e di dolcezza.
Egli fu destinato a sperimentare tutti i vari aspetti della con-
dotta umana. Ciò può non essere sta-
to per lui un piacere fisico; fu una prova etica e un compito
umano, e un compito difficile.
2. Il Profeta venne a instaurare un codice etico e a garantire
ad ogni Musulmano la sicurezza, la protezione, l’integrità mora-
le e una vita decente. La sua missione fu messa alla prova nel
corso della sua vita e non rimase allo stadio fisso di dottrina.
Di solito egli assunse sopra di sè la parte più difficile e fece
la sua parte nel modo più scomodo. Guerre e persecuzioni lascia-
rono ai Musulmani un fardello di numerose vedove, orfani e donne
sule. Queste donne dovevano essere protette e mantenute dai Mu-
sulmani sopravvissuti. Fu sua pratica costante aiutare queste
donne a trovarsi una nuova sistemazione sposandosi coi suoi com-
pagni. Alcune di loro furono rifiutate dai compagni del Profeta
e altre cercarono la sua protezione e la sua garanzia personali.
Realizzando pienamente tali condizioni e sacrificandosi per la
causa dell’Islam, egli dovette fare qualcosa per alleviare la
loro condizione. Un modo per farlo consisteva nel prendersele
come mogli e accettare la sfida di gravi responsabilità. Così
egli fece e si tenne più d’una moglie contemporaneamente, il
che non era nè un divertimento nè una cosa facile. Dovette
prender parte attiva al reinserimento di quelle vedove, orfane
e ripudiate, perché non poteva chiedere ai suoi compagni di fare
cose che lui non ora pronto a fare o alle quali non era pronto
a prendere parte. Queste donne erano a carico dei Musulmani e do-
vevano essere mantenute tutte quante. Quello che egli fece,
dunque, fu la sua parte di responsabilità e come sempre la sua
parte fu la piu grande e la piu gravosa. Fu per questo che egli
ebbe più d’una moglie ed ebbe più mogli di qualunque suo compagno.
3. C’erano molte prigioniere di guerra catturate dai Musulmani
e bisognose di sicurezza e protezione. Esse non furono uccise
nè venne loro negato alcun diritto, nè sul piano generale del-
l’umanità nè su quello particolare dei rapporti
fisici. Anzi, vennero aiutate a sistemarsi mediante matrimoni
legali coi Musulmani, anzichè esser prese come concubine e con-
viventi ordinarie. Questo fu un altro fardello morale per i Mu-
sulmani e dovette essere portato comunitariamente, come respon-
sabilita di tutti quanti. Qui, ancora una volta, Muḥammad fece
la sua parte e si assunse le proprie responsabilità sposando due
di quelle prigioniere.
4. I1 Profeta contrasse alcuni dei suoi matrimoni per ragioni
socio-politiche. La sua principale preoccupazione era il futuro
dell’Islam. I1 suo desiderio più grande era di rafforzare i Mu-
sulmani mediante ogni sorta di relazioni. Fu per questo che spo-
sò la figlia giovanissima di Abu Bakr, il suo primo Successore,
e la figlia di Omar, suo secondo successore. Fu per mezzo del
suo matrimonio con Juwairiah che guadagnò all’Islam l’appoggio
di tutta la tribù dei Bani Mustaliq e delle tribù loro alleate.
Fu mediante il matrimonio con Safiyah che neutralizzò una gran
parte dei giudei d’Arabia che gli erano ostili.
Accettando come moglie Maria la Copta, che era originaria del-
l’Egitto, stabilì un’alleanza politica con un re di primo rango.
Fu parimenti per motivi di amicizia con un sovrano vicino che
Muḥammad sposò Zaynab, inviatagli come dono dal Negus dell’Abis-
sinia, nel cui territorio i primi Musulmani avevano trovato sicu-
ro rifugio.
5. Contraendo la maggior parte di questi matrimoni, il Profeta
intendeva eliminare il sistema di rigida separazione sociale, le
vanità tribali e nazionali, i pregiudizi confessionali. Sposò
alcuna donne fra le più umili e le più povere. Sposò una ragazza
copta dell’Egitto; una giudea, diversa per religione e per razza;
una ragazza negra dell’Abissinia. Non si accontentò di insegnare
la fratellanza e la solidarietà, ma credette in quello che inse-
gnava e tradusse in pratica la dottrina.
6. Alcuni matrimoni del Profeta avvennero per ragioni legisla-
tive e per abolire certe consuetudini corrotte. Tale fu il suo
matrimonio con Zaynab, ripudiata dal liberto Zayd. Prima dell’I-
slam, gli Arabi non consentivano alle donne ripudiate di rispo-
sarsi. Zayd venne adottato da Muḥammad e chiamato suo figlio,
chè tale era l’usanza fra gli Arabi prima dell’Islam. Ma l’Islam abrogò
questa usanza e disapprovò questa pratica. Muḥammad
fu il primo a esprimere tale disapprovazione in maniera pra-
tica. Cosi egli sposò la ripudiata del suo figlio “adottivo”,
per mostrare che l’adozione non rende il ragazzo
adottato vero e proprio figlio del padre che lo adotta e anche
per dimostrare che il matrimonio è legittimo per le ripudiate.
Per inciso, questa Zeynab era cugina di Muḥammad e gli era stata
offerta in sposa prima che se la prendesse Zayd. Allora egli
l’aveva rifiutata, ma dopo il ripudio la accettò per i due sud-
detti motivi di legislazione: la liceità del matrimonio per le
divorziate e il reale statuto dei figli adottivi. L’episodio
di Zaynab è stato associato da alcuni con ridicole invenzioni
circa l’integrità morale di Muḥammad. Queste viziose invenzioni
non meritano neppure di essere qui considerate (cfr. Qur’an, 33,
36, 37, 40).
Sono queste le circostanze che accompagnano i matrimoni del
Profeta. Per i Musulmani non esiste il minimo dubbio sul fatto
che Muḥammad mantenne il più alto livello morale e fu in ogni
circostanza il perfetto modello dell’uomo. Invitiamo i non mu-
sulmani a una seria discussione dell’argomento. Essi possono
riuscire a raggiungere conclusioni valide.
4. Matrimonio e Divorzio (3)
Una delle nozioni più distorte è il reale significato del
matrimonio nell’Islam. In aggiunta alle sintetiche affermazioni
fatte nella nostra precedente panoramica, saranno utili alcune
altre osservazioni. I1 matrimonio nell’Islam non è un affare
negoziato fra due soggetti economici, nè si tratta di un contrat-
to secolare in cui benefici e obblighi materiali siano valutato
gli uni in rapporto agli altri. E’ qualcosa di solenne, qualcosa
di sacro e sarebbe erroneo definirlo in semplici termini fisici
o materiali. Carità morale, elevazione spirituale, integrità
sociale, stabilità umana, pace e misericordia costituiscono gli
elementi di maggior rilievo nel matrimonio. E’ un patto nel
quale DIO stesso è il primo Testimone
e la prima parte in causa;
è sancito in Suo nome, in obbedienza a Lui e in conformità con
la Sue prescrizioni. E un’unione umana onorevole, autorizzata
e sancita da DIO. E’ un segno delle Sue benedizioni e
misericordia abbondante, come Egli dice chiaramente nel Qur’an
(30, 21).
E’ evidente perciò che il matrimonio nell’Islam è un mezzo
di permanente rapporto e continua armonia non solo fra l’uomo
e la donna, ma anche fra i coniugi e DIO. E’ pure evidente che,
quando due Musulmani si accordano su un contratto matrimoniale,
essi hanno ogni intenzione di produrre un successo durevole,
nella buona e nella cattiva fortuna.
Per garantire questo risultato, 1’Islam ha stabilito certe
norme, al fine di dare ogni possibile assicurazione che il ma-
trimonio servirà pienamente al suo obiettivo. Fra tali norme vi
sono lo seguenti:
1. Le due parti devono acquisire una corretta conoscenza reci-
proca in un modo che non comporti una condotta immorale, ingan-
nevole o contraria al bene di entrambi.
2. L’uomo in particolare è esortato a scegliere la sua compa-
gna sulla base dei valori permanenti di quest’ultima: devozione
religiosa, integrità morale, buon carattere ecc. e non sulla base
della ricchezza, del prestigio famigliare, della mera attrazio-
ne fisica.
3. Alla donna è dato il diritto di accertarsi che l’uomo che la
richiede sia un compagno adatto a lei, degno del suo rispetto e
del suo amore, capace di renderla felice. Su tale base, essa
può respingere la proposta di un uomo da lei ritenuto al di
sotto del suo livello o inadatto a lei, perché diversamente
la donna si troverebbe ostacolata nell’adempimento dei suoi do-
veri di moglie e potrebbe anche dissolvere l’eventuale matrimonio.
(3) In rapporto con questo punto, cfr. la sezione sulla “Vita
famigliare”, più sopra.
4. La donna ha il diritto di chiedere dal pretenden-
te una dote conforme al proprio livello
di vita e proporzionata alle possibilità di lui. Se vuole
ignorare questo diritto e accettare il pretendente con una pic-
cola dote o con nessuna dote addirittura, può farlo. L’obbli-
go della dote è imposto all’uomo al fine di garantire alla donna
tutto quanto di cui essa ha bisogno; inoltre, in tal modo l’uo-
mo si dispone a far fronte alla propria responsabilità, economi-
camente e sotto ogni riguardo. La dote è anche un gesto simbo-
lico indicante che la donna sarà sicura e che l’uomo non cerca
guadagni materiali con la stipula del matrimonio. Ciò traccia
una linea di demarcazione fra quello che ciascuna parte
deve attendersi dall’altra e quello che invece non deve atten-
dersi.
5. I1 matrimonio deve essere reso pubblico e celebrato nel
modo più gioioso. Il libero assenso di ambo le parti è una
condizione essenziale, senza cui il matrimonio non è valido.
6. Ogni matrimonio, per essere legale, deve avvenire in presen-
za di due testimoni adulti e deve essere registrato nei documen-
ti ufficiali.
7. I1 completo mantenimento della moglie è dovere del marito.
Essa ha il diritto a ciò in virtù del matrimonio. Se avviene che
essa abbia una qualche proprietà, quest’ultima sarà sua prima
e dopo il matrimonio; il marito non ha alcun diritto alla ben-
chè minima parte della proprietà della moglie. Lo sco-
po di tutto ciò è di restringere il matrimonio ai suoi nobili
fini e di liberarlo da tutti gli obiettivi indegni.
Da tutte queste misure è possibile vedere come 1’Islam
abbia dato tutte le possibilità per fare del matrimonio un
dolce rapporto e un solido fondamento di una continua armonia
e di una pace permanente. Ma, in vista del fatto che la con-
dotta umana è mutevole e talvolta imprevedibile, 1’Islam assu-
me una visione realistica della vita e concede delle vie d’uscita
per tutti gli eventi inaspettati. I1 matrimonio, come è stato
detto, ha fini nobili e degni che debbono essere realizzati.
L’Islam non accetta e non riconosce nessun matrimonio che non
sia funzionale ed efficace. Non può esistere un matrimonio no-
minale e inutile. 0 i1 matrimonio è matrimonio fruttuoso, o
non è affatto. Il matrimonio è un patto troppo solenne per
essere stazionario o inefficace. Quindi, se non serve al proprio
scopo o non funziona come deve, è bene che abbia termine
con lo scioglimento legale,
in cui le parti in causa conservano i loro diritti. Questo
perché non ha senso mantenere un vincolo nominale e indegno
è perché bisogna impedire che l’uomo sia ostacolato da obbli-
ghi che non possono essere adempiuti.
Quando il matrimonio islamico, che si basa sulle norme sud-
dette ed è governato dalle precauzioni di cui si è parlato, non
funziona adeguatamente, devono esserci ostacoli molto seri,
qualcosa che non può essere risolto da una riconciliazione dei
coniugi. In una situazione del genere, lo scioglimento del
matrimonio può essere applicato. Esso è comunque la soluzione
estrema, perché viene definita dal Profeta come la cosa più
detestabile fra tutte quelle lecite al cospetto di DIO. Ma, pri-
ma di intraprendere questo passo definitivo e disperato, devono
essere fatti alcuni tentativi, nell’ordine seguente.
1. Le due parti in causa devono cercare di risolvere fra
loro le controversie e i problemi.
2. Se non ci riescono, dovranno intervenire due arbitri, uno
della famiglia del marito e uno della famiglia della mo-
glie, i quali avranno il compito di metter pace fra i coniugi
e appianare le loro divergenze.
3. Se anche questo tentativo fallisce, si può sciogliere il
matrimonio.
Perchè si possa sciogliere il matrimonio in una situazione
così difficile, la Legge islamica esige che su tale soluzione
vi sia accordo fra ambo le parti e garantisce a ciascuna di
esse il diritto di promuovere lo scioglimento del matrimonio.
La Legge islamica non concede tale diritto esclusivamente al-
l’uomo o esclusivamente alla donna. Entrambi possono eserci-
tarlo. Se una delle due parti non si sente sicura o felice
con l’altra, la quale arbitrariamente rifiuta di concedere lo
scioglimento del matrimonio o se la richiesta di scioglimento
è ritenuta giustificabile, il tribunale deve inter-
venire a aiutare la parte cui viene rifiutato
lo scioglimento del vincolo. E’ dovere degli amministratori
della Legge vedere che tutti i diritti siano preservati e che
il danno sia ridotto al minimo.
Dopo che la separazione dei coniugi ha avuto luogo, c’è
un periodo di attesa, in genere dai tre ai dodici mesi, nel
quale la donna è completamente mantenuta dall’ex marito. Essa
non può sposare un altro uomo prima che tale periodo sia espi-
rato. I1 periodo d’attesa offre ad ambedue un’altra possibilità
per riconsiderare la loro posizione in maniera più seria e de-
cidere sugli effetti della loro separazione. Se nel corso di
tale periodo essi desiderano ricongiungersi, hanno il permesso
di farlo. In realtà, sono incoraggiati a farlo, perché una
separazione di tal fatta normalmente li spinge ad apprezzarsi
meglio. Allorchè il periodo d’attesa è espirato, la donna è
libera di sposare un altro uomo. I due non hanno più nessun
obbligo reciproco.
Se poi vi sarà una nuova unione fra la donna e l’ex mari-
to, il loro matrimonio sarà un matrimonio del tutto nuo-
vo. Se i loro rapporti non migliorano, potranno ricorrere alla
medesima soluzione dello scioglimento del vincolo, dopo di che
potranno riunirsi in un nuovo matrimonio, se lo vorranno. Ma
se nemmeno questo secondo ricongiungimento ha successo, allo-
ra la separazione che avrà luogo sarà definitiva.
Concedendo la possibilità di sciogliere il vincolo matri-
moniale nel primo caso, l’Islam conferma che esso non può am-
mettere matrimoni infelici, freddi e stagnanti, perché questi
sono molto più dannosi di uno scioglimento del matrimonio.
Concedendo la possibilità di un secondo e di un terzo ricon-
giungimento dei coniugi, 1’Islam offre ogni possibilità
immaginabile per rendere saldo e fruttuoso il matrimonio.
Qui 1’Islam è pronto a far fronte a ogni genere di problemi e
a risolvere tutte le situazioni. Non mette in pericolo il
matrimonio, con la concessione della possibilità di sciogliere
il vincolo coniugale. Anzi, con tale misura esso lo rafforza,
poichè la parte che è in torto sa che la parte che subisce il
torto può liberarsene ricorrendo allo sciogli-
mento del vincolo. Essendo consapevoli che il matrimonio è
vincolante solo finchè è funzionale e fruttuoso, ambo le parti
fanno del loro meglio per far sì che il matrimonio consegua il
suo scopo, prima di commettere qualche azione che pregiudichi
la continuità del rapporto coniugale. Ciò fa si che
ciascuna parte abbia cura nello scegliere il coniuge e nel
comportarsi con lui nel corso del matrimonio.
Quando 1’Islam dichiara che lo scioglimento del vincolo
matrimoniale è ottenibile per mutuo consenso o per intervento
del tribunale su sollecitazione della parte che subisce il tor-
to, esso si pone saldamente a difesa della morale e della digni-
tà umana. Esso non costringe un essere umano a soffrire l’in-
giustizia e il danno derivanti da un coniuge infedele. Esso
non spinge gli esseri umani all’immoralità e all’indecenza.
Esso dice loro: o vivete insieme in maniera lecita e felice-
mente, oppure separatevi in maniera dignitosa e convenien-
te. Quella che è moralmente e umanamente la cosa più notevole
sotto questo rispetto nell’Islam, è che esso non costringe nes-
suno ad abbassare la propria dignità e a degradare la propria
moralità, per ottenere lo scioglimento del vincolo ma-
trimoniale. Per un Musulmano non è necessario “separarsi le-
galmente” dal coniuge per alcuni anni, prima che gli venga ri-
conosciuto lo scioglimento del vincolo. Ne tale scioglimento
dipende dalla condizione dell’adulterio. La “separazione lega-
le” imposta da molti sistemi giuridici può comportare e sicura-
mente comporta azioni immorali e indecenti. In una “separazione
legale” di questo tipo l’individuo non può nè godere dei propri
diritti nè adempiere ai propri obblighi. L’uomo o la donna sono
ufficialmente sposati, ma in quale misura possono godere della
vita coniugale? L’uomo “legalmente separato” da una parte è
soggetto a vincoli estremamente restrittivi, dall’altra è così
rilassato che non avverte nessuna restrizione. Non può ottenere
il divorzio e risposarsi, ma esiste qualche limitazione legale
ai rapporti extraconiugali che ha la possibilità di intrattenere?
Egli può stare insieme con chiunque gli pare, senza nessun con-
trollo e nessuna restrizione. Sono cose che avvengono ogni
giorno e non hanno bisogno di nessun approfondimento. Una “sepa-
razione legale” di questo genere può servire a ottenere prima
o poi il divorzio, ma quanto risulta costosa per la morale e
come è alto il prezzo che una società deve pagare per essa!
Questa è una cosa che 1’Islam non potrà mai accettare nè im-
porre, perché ciò violerebbe l’intero sistema di valori etici
caro all’Islam.
Considerando il caso dell’adulterio e la sua necessità in
alcuni sistemi perché vi sia una base per il divorzio, noi pos-
siamo solo dire questo: è umiliante per la dignità umana ed è
rovinoso per la morale che una persona debba commettere adulte-
rio o affermi di averlo commesso per ottenere lo scioglimento
del vincolo coniugale. IL punto di vista islamico circa l’adul-
terio è stato espresso più in alto. Ciò che comunque avviene
nella maggioranza dei casi è questo: la gente non divorzia perché
ha commesso adulterio o pretende di averlo commesso, ma commette
adulterio o pretende di averlo commesso al fine di ottenere il
divorzio, che altrimenti non sarebbe conseguibile. Che procedi-
mento mostruoso e perverso nelle relazioni fra gli esseri umani!
Questa è la posizione dell’Islam nella questione? So come
estremo rimedio bisogna ricorrere allo scioglimento del vincolo
matrimoniale, questa soluzione deve essere garantita con la digni-
tà e il rispetto necessari. Se 1’Islam viene applicato alla vita
coniugale, non vi sarà più spazio per la “separazione legale” o
per “l’adulterio” quali basi del divorzio. Nè vi sarà più quel
divorzio facile di tipo hollywoodiano, che nasce come estrema
reazione a un’estrema rigidità. Ogni
ordinamento che si applica alla natura umana deve essere reali-
stico ed equilibrato, deve comportare concessioni per
ogni circostanza e deve essere preparato a far fronte ad ogni
condizione. Altrimenti sarà autodistruttivo e privo di fondamen-
ti, cosa di cui 1’Islam è assolutamente esente (cfr. Qur’an,
2, 224-232; 4, 34-35; 4, 127-130).
Concluderemo questa discussione con un’osservazione finale.
Praticamente in ogni società e religione conosciuta esistono modi
per porre termine al matrimonio. Le percentuali di divorzio nel
mondo industriale aumentano vertiginosamente e le leggi sul divor-
zio vengono liberalizzate sempre più. Comunque, nell’Islam lo
scioglimento del vincolo matrimoniale resta un considerevole atto
morale. DIO raccomanda ai coniugi di essere dolci e pazienti
e ricorda loro come possa dispiacere a un uomo o a una donna
quello che nel proprio coniuge è bene e virtù. Ai coniugi e
garantito l’aiuto di DIO, se intendono stare insieme nel modo mi-
gliore. Se invece intendono dividersi, lo scioglimento del matri-
monio va effettuato senza intenzione di arrecare ingiuria o danno.
Se si dividono dignitosamente e onorevolmente, DIO garantisce loro
che li arricchirà con tutta la Sua misericordia infinita. Tutto
quanto il contesto coniugale, dal principio alla fine, si incentra
nella fede in DIO ed è orientato da essa. I versetti che trat-
tano dello scioglimento del vincolo coniugale non sono fredde
norme legali: essi cominciano o terminano con esortazioni etiche
di alto livello. I doveri morali delle due parti si estendono
ben al di là dello scioglimento del vincolo matrimoniale. In real-
tà, tutta quanta la questione viene in tal modo integrata in un
ordinamento altamente morale, sicchè lo scioglimento del matrimo-
nio viene correttamente considerato come un atto essenzialmente
morale.
5. Lo statuto della donna nell’Islam
Lo statuto della donna nell’Islam non costituisce affatto un,
problema. La posizione del Qur’an e dei primi Musulmani reca te-
stimonianza del fatto che la donna è d’importanza vitale per l’uo-
mo, almeno quanto l’uomo stesso, e che essa non è inferiore a lui
nè fa parte di una specie inferiore. Se non fosse stato per l’in-
flusso di civiltà estranee e per influenze esterne, tale questione
non sarebbe mai sorta fra i Musulmani. La condizione della donna
venne riguardata come pari a quella dell’uomo. Era una realtà
indiscussa, un dato di fatto, e nessuno quindi pensava che potesse
esistere una questione del genere.
Per capire che cosa 1’Islam abbia stabilito per la donna,
non c’è nessun bisogno di deplorare la situazione di quest’ultima
nell’era preislarnica o nel mondo contemporaneo. L’Islam ha dato
alla donna diritti e privilegi di cui essa non ha mai goduto in
altri sistemi religiosi o costituzionali. Lo si può comprendere
se si studia l’argomento nel suo insieme, in maniera comparativa,
anzichè parzialmente. I diritti e le responsabilità di una donna
sono pari a quelli di un uomo, ma non sono necessariamente gli
stessi. Parità e identità sono due cose completamente diverse.
Questa differenza è comprensibile perché l’uomo e la donna non
sono identici l’uno all’altrà, ma sono creati pari l’uno all’al-
tra. Se si tiene presente questa distinzione, non esiste proble-
ma. E’ praticamente impossibile trovare due uomini o due donne
identici.
Questa distinzione fra parità e identità è di importanza
fondamentale. La parità è desiderabile, giusta, buona; non co-
sì l’identità. Gli esseri umani non vengono creati identici,
bensì pari. Considerando una tale distinzione, non c’è spazio
per immaginare che la donna è inferiore all’uomo. Non esistono
basi per pretendere che essa sia meno importante di lui per il
fatto che i suoi diritti non sono esattamente gli stessi dell’uo-
mo. Se lo statuto della donna fosse stato identico a quello del-
l’uomo, essa sarebbe stata semplicemente una copia dell’uono,
cosa che invece non è. I1 fatto che 1’Islam le dia diritti pari
ma non identici- dimostra che esso la tiene nella dovuta con-
siderazione, la riconosce e le attribuisce una personalità
autonoma.
Non è nello stile dell’Islam dipingere la donna come un pro-
dotto del diavolo o la semenza del peccato. Nè il Qur’an fa del-
l’uomo il padrone della donna, alla quale non resta che sotto-
mettersi al suo dominio. E non è stato certamente 1’Islam a porre
la questione se la donna abbia o no un’anima. Nella storia del-
1’Islam nessun Musulmano ha mai posto in dubbio lo statuto
umano della donna o il suo possesso di un’anima e di altre nobili
qualità spirituali. Diversamente da altre credenze volgari, 1’I-
slam non attribuisce alla sola Eva il cosiddetto “peccato origi-
nale”. I1 Qur’an afferma chiaramente che sia Adamo sia Eva ven-
nero tentati; che sia l’uno sia l’altra trasgredirono la prescri-
zione divina; che il perdono di DIO venne garantito ad entrambi
dopo il loro pentimento; che DIO si rivolse a loro congiuntamen-
te (2, 35-36; 7, 19, 27; 20, 117-123). In realtà il Qur’an dà
l’impressione che Adamo fosse più da biasimare per quel “peccato
originale”, dal quale emergeva pregiudizio contro la donna e
sospetto per le azioni di lei. Ma 1’Islam non giustifica un tale
pregiudizio o sospetto, poichè sia Adamo sia Eva erano parimenti
in errore, sicchè, se dobbiamo biasimare Eva, dobbiamo biasimare
anche Adamo, in egual misura o anche di più (4),
(4) In rapporto con questa discussione, cfr. più sopra il concetto
di peccato.
Lo statuto della donna nell’Islam è qualcosa di unico, qual-
cosa di nuovo, qualcosa che non trova analogie in nessun altro si-
stema. Se guardiamo al mondo comunista dell’est o alle nazioni
democratiche dell’ovest, ci rendiamo conto che la donna non si tro-
va in una situazione felice. La sua condizione non è invidia-
bile. Essa deve lavorare sodo per vivere e talvolta può trovarsi
a svolgero il medesimo lavoro di un uomo, ma il suo stipendio è
inferiore. Essa godo di una libertà che in certi casi equivale
a licenza. Per trovarsi nella situazione in cui si trova oggi, la
donna ha lottato duramente per decenni e secoli. Per ottenere il
diritto allo studio e la libertà di lavorare e guadagnare, essa ha
dovuto fare grandi sacrifici e rinunciare a molti dei suoi di-
ritti naturali. Per affermare la propria condizione di essere u-
mano in possesso di un’anima, ha pagato un prezzo elevatissimo.
Tuttavia, nonostante tutti questi costosi sacrifici e queste lotte
dolorose, non ha acquisito quello che 1’Islam ha stabilito per 1e
donne musulmane con un decreto divino.
I diritti della donna dei tempi moderni non sono stati ri-
conosciuti volontariamente o per cortesia. La donna moderna ha
raggiunto la sua attuale posizione con la forza, non attraverso un
processo naturale o sulla base di un mutuo consenso o di insegna-
menti divini. Essa ha dovuto aprirsi il passo a forza e varie cir-
costanze sono sopraggiunte in suo soccorso. La diminuzione del-
l’elemento maschile nel corso delle guerre, la pressione delle
esigenzo economiche e la necessità di uno sviluppo industriale
hanno costretto la donna ad uscire di casa per lavorare, per
studiare, per combattere la lotta dell’esistenza, per mostrarsi
uguale all’uomo, per gareggiare con lui nella gara della vita.
La donna è stata costretta dalle circostanze e si
è costretta a sua volta, acquisendo in tal modo il suo nuovo sta-
tuto. Che tutte le donne si siano rallegrate del fatto che
tali circostanze stavano dalla loro parte e che si siano trovate
allegre e soddisfatte dei risultati di tale processo, è un altro
paio di maniche. Resta il fatto che, quali che siano i diritti
goduti dalla donna moderna, il livello di tali di-
ritti è inferiore a quello della controparte musulmana. Quello
che L’Islam ha stabilito per la donna, è quanto è a lei conforme
per natura: essa si trova completamente garantita e protetta
contro ogni circostanza avversa e contro ogni incertezza della
vita. Non c’è bisogno qui di approfondire il discorso sulla
condizione della donna moderna e sui rischi che essa corre gua-
dagnandosi da vivere e vivendo in maniera autonoma. Non c’è nem-
meno il bisogno di indagare sulle miserie e i retroscena che la
circondano, come risultato dei cosiddetti “diritti della donna”,
Nè intendiamo manipolare la situazione di molte famiglie infelici
che si sfasciano proprio a causa della “libertà” e dei “diritti”
di cui la donna moderna va fiera. La maggior parte delle donne
esercita oggi il diritto di libertà per uscire di casa senza ren-
der conto a nessuno, per lavorare e guadagnare, per pretendere di
essere uguale all’uomo; ma tutto questo, purtroppo, avviene a spese
delle loro famiglie. Tutto ciò è noto e scontato. Quello che
non è altrettanto noto, è 1o statuto della donna dell’Islam.
Nelle pagine seguenti cercheremo di riassumere la posizione
dell’lslam riguardo alla donna.
1. L’Islam riconosce la donna come compagna dell’uomo nella
procreazione di esseri umani, compagna di pari dignità.
L’uomo è padre, la donna è madre; ambedue sono essenziali per
la vita. I1 ruolo di lei non è meno vitale di quello di lui.
Grazie a questa unione, essa riceve
la parte che le è dovuta, sotto ogni riguardo; essa ha diritto
a quanto le spetta; essa ha le sue responsabilità; ha qualità
e umanità cosi come ne ha il suo compagno. Circa questa equa di-
stribuzione di compiti nella riproduzione della specie umana,
DIO dice:
0 esseri umani! In verità Noi vi abbiamo creati da una
sola coppia di un maschio e di una femmina e abbiamo
fatto di voi nazioni e tribù, affinchè poteste conoscervi
reciprocamente… (Qur’an, 49, 13; cfr. 4, 1).
2. La donna è pari all’uomo nell’avere responsabilità personali
e comunitarie e nel ricevere il dovuto compenso per le sue azioni.
Essa è riconosciuta come personalità autonoma, in pos-
sesso di qualità umane e degna di aspirazioni spirituali. La
sua natura umana non è nè inferiore nè laterale rispetto a
quella dell’uomo. Ambedue sono membri l’uno dell’altro, DIO
dice:
E il loro Signore ha accettato (le loro preghiere) e ha
risposto loro (dicendo): Io non farò mai che vada perduta
l’opera di uno di voi, sia maschio o femmina; voi siete
membri l’uno dell’altro… (3, 195; cfr. 9, 71; 33,
35-36; 66, 19-21).
3. La donna è pari all’uomo nell’acquisizione dell’istruzione
e della conoscenza. Quando 1’Islam prescrive ai Musulmani la
ricerca della conoscenza, esso non fa alcuna distinzione fra
l’uomo e la donna. Circa quattordici secoli or sono Muḥammad
dichiarò che la ricerca della conoscenza è un dovere che incom-
be su ogni Musulmano, maschio o femmina. Questa dichiarazione
fu molto chiara e venne applicata dai Musulmani nel corso della
storia.
4. La donna ha diritto quanto l’uomo alla libertà di espressio-
ne. Le sue opinioni fondate vengono prese in considerazione e
non possono essere disprezzate per il semplice fatto che chi le
formula appartiene al sesso femminile. Nel Qur’an e nella storia
dell’Islam si riferisce che la donna non solo espresse liberamen-
te la sua opinione, ma anche argomentò e partecipò a serie di-
scussioni col Profeta stesso e con altri capi musulmani (Qur’an,
58, 1-4; 60, 1O-12). Inoltre, vi sono state circostanze in
cui le donne musulmane hanno espresso il loro punto di vista
su argomenti giuridici di pubblico interesse contraddicendo i
Califfi, i quali accolsero le opinioni fondate di queste donne.
Un caso specifico si verificò durante il califfato di Omar Ibn
al-Khattab.
5. Gli annali storici narrano che delle donne parteciparono
alla vita pubblica coi primi Musulmani, specialmente in periodi
d’emergenza. C’erano donne solite accompagnare gli
eserciti musulmani nelle spedizioni militari, per curare i feriti,
preparare lew vettovaglie, fungere da ausiliarie e così via. Co-
storo non furono certamente tenute in reclusione nè vennero con-
siderate creature indegne e prive di anima.
6. L’Islam garantisce alla donna equi diritti nello stipulare
contratti, nell’intraprendere affari, nel guadagnare e nel posse-
dere in maniera indipendente. La sua vita, la sua proprietà, il
suo onore sono sacri come quelli dell’uomo. Se commette un rea-
to, la pena non è nè inferiore ne superiore a quella dell’uomo
che commetta il reato analogo. Se subisce un torto o un’ingiuria,
essa riceve la dovuta riparazione nella stessa misura a quella
che riceverebbe un uomo nella stessa circostanza (2, 178; 4, 45,
92-93).
7. L’Islam non stabilisce questi diritti in via teorica
per poi ignorarli. Esso ha preso ogni misura adatta a salvaguar-
darli e a metterli in pratica come articoli integrati della fede.
Esso non tollera affatto coloro che sono inclini al pregiudizio
contro le donne o alla discriminazione fra i due sessi. Più d’una
volta il Qur’an rimprovera coloro che ritengono la donna
inferiore all’uomo (16, 57-59, 62; 42, 47-50; 43, 15-19; 53, 21-
23).
8. Oltre a riconoscere la donna come essere umano autonomo
considerato essenziale quanto l’uomo alla sopravvivenza dell’u-
manità, 1’Islam le attribuisce una parte nell’eredità. Prima
dell’Islam, essa non solo veniva privata di tale parte, ma era
ritenuta lei stessa una proprietà che doveva essere ereditata
dall’uomo. Da proprietà trasferibile che era, 1’Islam ha fatto
di lei un’erede, riconoscendo in lei innate qualità umane. Sia
moglie o madre, sorella o figlia, essa riceve una certa parte
della proprietà del parente defunto, una parte che dipende dal
suo grado di parentela col defunto stesso e dal numero degli ere-
di. Questa parte è sua, e nessuno può togliergliela o diseredar-
la. Anche se il defunto avesse voluto privarla della sua par-
te redigendo un testamento in favore di altri parenti o comunque
di altri eredi, La Legge non ammette un’azione del genere. Ogni
proprietario ha il permesso di scegliersi gli eredi entro i li-
miti della terza parte della sua proprietà, sicchè non gli è
possibile ignorare i diritti di coloro che hanno i titoli per
essere eredi, uomini e donne. Nel caso dell’eredità,
ritorna la questione della parità e dell’identità. In linea
di principio, l’uomo e la donna hanno pari diritto a ereditare
la proprietà dei parenti defunti, ma le porzioni che essi
ereditano possono variare. In taluni casi l’uomo riceve due
porzioni laddove la donna ne riceve una sola. Ciò non significa
che all’uomo sia attribuita una preferenza o una supremazia a
scapito della donna. Le ragioni per cui l’uomo riceve di più
in questi casi particolari possono essere classificate nel modo
seguente.
Primo, l’uomo è la sola persona responsabile del completo
mantenimento della moglie, della sua famiglia e degli altri pa–
renti bisognosi. Egli ha per Legge il dovere di assumersi tutte
le responsabilità finanziarie e di mantenere in maniera adeguata
le persone che dipendono da lui. E’ inoltre suo dovere contri-
buire economicamente a tutte le giuste cause della sua società.
Tutti i pesi economici sono portati da lui solo.
Secondo: la donna, diversamente da lui, non ha responsabilità
economiche, fatta eccezione per una minima parte delle sue spese
personali, per gli oggetti di gran lusso che eventualmente
desideri possedere. Essa è finanziariamente al sicuro e sotto ga-
ranzia. Se è moglie, è il marito a sostentarla; se è madre, è il
figlio; se è figlia, è il padre; se è sorella, è il fratello; e
così via. Se non ha parenti dai quali dipendere, allora non esiste
problema di eredità, perché non c’è niente da ereditare e non c’è
nessuno che lasci qualcosa. Essa comunque non morirà di fame,
perché del mantenimento di una donna in tale situazione è responsa-
bile 1a comunità nella sua integrità, lo Stato. Essa può ricevere
un sussidio o un lavoro con cui possa guadagnarsi da vivere, e
tutto il denaro che ne ricaverà sarà suo. Essa non è responsabile
del mantenimento di chiunque altro all’infuori di lei stessa. Se
c’è un uomo che si trova nella sua condizione, questi sarà respon-
sabile della propria famiglia ed eventualmente dei parenti biso-
gnosi. Così nella situazione più difficile la responsabilità
economica della donna è limitata, mentre quella dell’uomo è illi-
mitata.
Terzo: quando una donna riceve meno di un uomo, non viene
privata di alcunchè per cui essa abbia lavorato. La proprietà
ereditata non è il risultato del suo lavoro. E’ qualcosa che pro
viene da una fonte neutra, qualcosa di addizionale o di extra.
E’ qualcosa per cui nè l’uomo nè la donna si sono dati da fare.
E’ una specie di sussidio, e ogni sussidio deve essere distribuito
secondo i bisogni e le responsabilità urgenti, specialmente quando
la distribuzione è regolata dalla Legge di DIO.
Ora, noi abbiamo da una parte un erede maschio, gravato di
ogni genere di responsabilità e di carichi finanziari. Dall’altra
abbiamo una donna con nessuna responsabilità econonica o al massimo
con una minima responsabilità economica. Davanti ai due c’è una
proprietà e un sussidio che deve essere distribuito per via di ere-
dità. Se priviamo completamente la femmina, si commetterà un’ingiu-
stizia nei suoi confronti, perché essa è parente del defunto. Ana-
logamente, se le diamo una parte uguale a quella del maschio, com-
metteremo un’ingiustizia nei confronti di quest’ultimo. Così, an-
zichè commettere un’ingiustizia nei confronti dell’una o dell’altra
parte, 1’Islam dà all’uomo una maggiore porzione della
proprietà ereditata, per aiutarlo a soccorrere alle necessità della
sua famiglia e a far fronte alle responsabilità sociali. Contem-
poraneamente, 1’Islam non dimentica la donna e le assegna una parte
con cui essa può soddisfare le sue esigenze personali. In
realtà, sotto questo rispetto 1’Islam è più benevolo verso la donna
che verso l’uomo. Quindi possiamo affermare che i diritti della
donna, considerati nel loro complesso, sono pari a quelli dell’uomo,
benchè non siano necessariamente identici (cfr. Qur’an, 4, 11-14,
176).
9. In alcuni casi di testimonianza in certi procedimenti civili,
si richiedno due uomini oppure un uomo e due donne. Anche quì,
non bisogna dedurne assolutamente che la donna sia inferiore all’uo-
mo. E’ una maniera per garantire i diritti delle parti processua
li, perché la donna, di norma, non ha nella vita pratica la stessa
esperienza dell’uomo. Tale mancanza d’esperienza può causa-
re una perdita a una delle parti in causa. Quindi la Legge richie-
de che accanto a un uomo rendano testimonianza almeno due donne.
Se una delle due testimoni dimenticherà qualcosa, sarà l’altra a
rammentarglielo. Se connetterà un errore dovuto a mancanza d’espe-
rienza, l’altra la aiuterà a correggersi. E’ questa una misura
precauzionale intesa a garantire transazioni oneste e rapporti
corretti fra le persone. Essa infatti conferisce alla donna un
ruolo da svolgere nella vita civile e la aiuta a operare per la
giustizia. In ogni caso, la mancanza d’esperienza nella vita civi-
le non significa necessariamente che la donna sia, nella sua
condizione, inferiore all’uomo. 0gni essere umano manca di una
cosa o di un’altra: non per questo il suo statuto di essere umano
viene posto in dubbio (2, 282) (5).
10. La danna gode di certi privilegi di cui l’uomo è privo.
Essa è esente da alcuni obblighi religiosi, quali ad esempio le
orazioni rituali e il digiuno, nei periodi di puerperio e
di mestruazione. Essa è esonerata dal presenziare all’orazione
rituale collettiva del venerdì. E’ esonerata da ogni responsabilità
economica. Come madre, gode di maggiore stima e di più grande
onore al cospetto di DIO (31, 14-15; 46, 15). I1 Profeta riconobbe
questa sua dignità allorchè dichiarò che il Paradiso sta sotto i
piedi delle madri. Essa ha diritto ai tre quarti dell’amore e
della dolcezza del figlio, mentre un quarto viene lasciato al
padre. Come moglie, ha i1 diritto di chiedere al futuro marito
una dote adeguata che apparterrà a lei. Ha il diritto al com-
pleto mantenimento e nutrimento da parte del marito. Non è tenuta
a lavorare o a condividere col marito le spese famigliari. E’ li-
bera di tenersi, dopo iI matrimonio, quello che possedeva prima,
e il marito non ha alcun diritto sulle sue proprietà. Come figlia
o sorella ha diritto alla sicurezza e al mantenimento da parte
del padre o del fratello, rispettivamente. Questo è un suo pri-
vilegio. Se vuole lavorare o essere autosufficiente e prender parte
(5) E’ interessante che la testimonianza di una donna in certe
materie è definitiva e la sua perizia è risolutiva. Non viene accet-
tata la testimonianza di nessun uomo e non c’è bisogno di più d’una
donna. Inoltre, il deporre testimonianze, in contratti e affari
commerciali non è un, privilegio, ma un dovere (Qur’an, 2, 282-283)
che deve essere adempiuto. Se la parte che ha la donna in questo
dovere viene alleggerita di metà, ciò può essere difficilmente
considerato come privazione di diritti; semmai, si tratta
di un favore o di un esonero.
alle responsabilità della famiglia, è completamente libera di farlo,
a patto che vengano salvaguardati il suo onore e la sua dignità.
11. I1 fatto che nell’orazione rituale la donna stia dietro l’uomo
non significa in nessun modo che essa sia inferiore a lui. La donna,
come già si è detto, è esonerata dalla partecipazione alle orazioni
collettive, che sono invece obbligatorie per l’uomo. Qualora la
donna vi prenda parte, deve collocarsi nelle file separate riser-
vate alle donne, cosi come i ragazzi più giovani costituiscono file
separate dietro gli uomini adulti. Questa è una norma disciplinare
nell’orazione, non una classificazione secondo l’importanza. Nelle
file degli uomini il capo dello Stato si trova spalla a spalla con
altri uomini di rango più modesto. L’ordine delle file nelle ora-
zioni comunitarie ha lo scopo di aiutare ciascuno a concentrarsi
nella propria meditazione. Questo è molto importante, perché le
orazioni rituali musulmane non sono semplici inni o canti o
salmodie. Esse comportano gesti, movimenti, posizioni erette,
inchini, prostrazioni ecc. Perciò, se gli uomini si mescolano con
le donne nelle medesime linee, è possibile che accada qualcosa che
distragga o disturbi. La mente può essere occupata da qualcosa di
estraneo all’orazione e può deviare dal luminoso sentiero della me-
ditazione. I1 risultato di ciò sarebbe una vanificazione dello
scopo dell’orazione, oltre che un, peccato di adulterio commesso
con gli occhi, perché gli occhi, guardando le cose proibite, pos-
sono rendersi colpevoli di adulterio tanto quanto il cuore. Inol-
tre nessun Musulmano, uomo o donna che sia, ha i1 permesso di toc-
care, durante l’orazione, il corpo di un’altra persona di sesso
diverso. Se uomini e donne stessero fianco a fianco nell’orazione,
non potrebbero evitare di toccarsi reciprocamente. Infine, se una
donna esegue l’orazione rituale davanti all’uomo o al suo fianco,
è molto probabile che una parte del suo corpo si scopra in seguito
a un movimento di inchino o di prostrazione. Può capitare benis-
simo, allora, che gli occhi dell’uomo si posino sulla parte scoper-
ta, col risultato che la donna resterebbe imbarazzata e l’uomo si
esporrebbe alla distrazione o anche a cattivi pensieri. Quindi,
per evitare imbarazzi e distrazioni, per favorire la concentrazio-
ne sulla meditazione e la purezza di pensiero, per mantenere l’ar-
monia e l’ordine fra gli oranti, per realizzare gli scopi dell’ora-
zione, 1’Islam ha prescritto l’organizzazione delle file, secondo
la quale gli uomini stanno nelle file davanti, i bambini dietro di
loro e le donne dietro i bambini. Chiunque abbia una qualche cono-
scenza della natura e dello scopo delle orazioni musulmane potrà
facilmente comprendere la saggezza di questa organizzazione delle
file degli oranti.
l2. La donna musulmana viene sempre associata all’antica
consuetudine nota come “l’uso del velo”. E’ islamico che la donna
si abbellisce col velo dell’onore, della dignità, della castità,
della purezza e dell’integrità. Essa deve astenersi da tutti gli
atti e i gesti che possono eccitare le passioni degli uomini diver-
si dal suo marito legittimo o possono far nascere sospetti
circa la sua moralità. Essa viene esortata a non esporre le sue
grazie e a non mettere in mostra le sue attrattive fisiche
davanti ag1i estranei. Il velo che essa deve indossare è una cosa
che può salvare la sua anima dalla debolezza, la sua mente dalla
distrazione, i suoi occhi da sguardi illeciti, la sua persona dall’im-
moralità. L’Islam è estremamente interessato all’integrità della
donna, per cui esso salvaguarda la sua moralità e protegge la sua
persona (cfr. Qur’an, 24, 30-31).
13. Adesso è chiaro che la condizione della donna nell’Islam
e incomparabilmente elevata e realisticamente conforme alla sua
natura. I suoi diritti e doveri sono pari a quelli dell’uomo,
ma non necessariamente o assolutamente identici ad essi. Se
sotto qualche riguardo essa è privata di qualcosa, viene però
pienamente compensata con qualcos’altro sotto altri rispetti.
I1 fatto che essa appartenga al sesso femminile non ha alcun
peso sulla sua condizione umana o sull’autonomia della sua per-
sonalità e non costituisce fondamento che giustifichi pregiu-
dizio contro di lei o ingiustizia contro la sua persona. L’I-
slam le dà tanto quanto le si richiede. I suoi diritti
stanno meravigliosamente al livello dei suoi doveri. L’equi-
librio fra diritti e doveri è mantenuto, e nessuno dei due
piatti della bilancia si discosta dall’altro. Tutto lo statuto
della donna è chiaramente espresso nel versetto coranico che
può esser tradotto nel modo seguente:
E le donne avranno diritti simili ai diritti sopra
di esse, secondo quello che è giusto; ma l’uomo
ha un grado (di vantaggio) sopra di loro (2, 228).
Questo grado non è un titolo di supremazia o un’autorizzazione
al dominio sopra la donna. Esso deve corrispondere alle maggio-
ri responsabilità dell’uomo e deve conferirgli
un qualche compenso per le sue illimitate responsabilità. Il
versetto sopra menzionato viene sempre interpretato alla luce
di un altro (4, 34) (6).
Sono queste maggiori responsabilità che danno all’uomo
un grado sopra la donna sotto alcuni riguardi. Non si tratta
di un grado più elevato in umanità o in carattere. Nè si tratta
del dominio dell’uno sull’altra o della repressione dell’una
da parte dell’altro. E’ una distribuzione dell’abbondanza di
DIO secondo le esigenze della natura, della quale DIO è l’ar-
tefice. Ed Egli sa meglio di chiunque che cosa è bene per la
donna e che cosa è bene per l’uomo. DIO è assolutamente veridi-
co allorchè dichiara:
O uomini riverite il Signore che vigila su di voi,
Colui che vi ha creati da un’unica persona e ha crea-
to la sua compagna di simile natura e da ambedue ha
sparso (come semi) innumerevoli uomini e donne (4, 1).
(6) Confrontare la sezione sulla “Vita familiare”, più sopra.
APPENDICE I
IL QUR’AN E LA SUA SAPIENZA
I1 Qur’an è il più grande dono di DIO all’umanità e la
sua sapienza è di un genere unico. In breve, lo scopo del
Libro è di conservare le rivelazioni precedenti e di restaura-
re la verità eterna di DIO, guidare l’umanità sul Diritto
Sentiero e sollecitare l’anima dell’uomo, risvegliare la co-
scienza umana a illuminare la mente dell’uomo.
I1 Qur’an è la Parola di DIO rivelata a Muḥammad per mezzo
del Santo Spirito Gabriele, per cui è al di là dell’umana imma-
ginazione produrre qualcosa simile ad esso. I contemporanei di
Muḥammad erano i più grandi artefici de11a 1ingua
araba, che avrebbero avuto moltissimi motivi per produrre un
testo rivale. Essi però non poterono produrre alcunchè di
simile al Qur’an nè per il contenuto nè per lo stile. Muḥammad
non ebbe nessuna istruzione scolastica regolare, nè faceva
mistero di ciò. Torna a suo massimo credito il fatto che egli
fosse un illetterato, proveniente da gente illetterata, e che
abbia insegnato all’umanità intera, a letterati e a illettera-
ti, il vero messaggio di DIO. Questo è il primo fatto circa
il Qur’an quale parola di DIO.
I1 secondo fatto circa questo Libro unico, è l’incontesta-
bile autenticità del suo contenuto: qualità che nessun altro
Libro di nessun genere ha mai avuto o potrà mai avere.
L’autenticità del Qur’an non lascia alcun dubbio circa la pu-
rezza, l’originalità, l’integrità del suo testo. Studiosi
seri musulmani e non musulmani, sono giunti alla conclusione,
al di là di ogni dubbio, che il Qur’an da noi usato oggi è il
medesimo Libro che Muḥammad ricevette, insegnò, tradusse in
pratica di vita e lasciò in eredità al genere umano, circa
quattordici secoli or sono. Alcune considerazioni possono
illustrare l’autenticità del Qur’an.
Il Qur’an è stato rivelato frammentariamente, un brano
alla volta, ma non è mai stato privo di una certa forma e
di un certo ordine. Il nome del Qur’an indica che esso era
un Libro fin dall’inizio (Qur’an, 2, 2; 41, 41-42). La siste-
mazione del Qur’an e la graduale rivelazione dei suoi brani
sono avvenuti per progetto e per volontà divina,
volontà alla quale Muḥammad e i suoi Compagni tennero fede
(25, 32; cfr. 75, 17).
2. Gli Arabi si distinguevano per il loro gusto letterario
estremamente raffinato, che li rendeva capaci di godere e di
apprezzare le buone opere letterarie. Il Qur’an, per consen-
so unanime, fu il capolavoro letterario più eminente, per il
loro gusto. Essi erano commossi dal suo tono toccante ed e-
rano attratti dalla sua bellezza straordinaria. Trovavano in
esso la più grande soddisfazione e la gioia più profonda, e
si impegnavano nella recita e nell’apprendimento mnemonico del
Libro. Esso fu, ed è ancora, ammirato, citato e prediletto
da tutti i Musulmani e da molti non musulmani.
3. E’ dovere di ogni Musulmano, uomo e donna, recitare
una parte del Qur’an nelle orazioni rituali quotidiane e
nelle veglie notturne. La recitazione del Qur’an è per i
Musulmani una sublime forma di culto e di pratica giorna-
liera.
4. Gli Arabi erano generalmente gente illetterata e do-
vevano fare completo affidamento sulla memoria per conser-
vare le poesie e i brani che essi prediligevano. Essi si
distinguevano per la memoria vivace, nella quale immagazzi-
navano il loro retaggio letterario. I1 Qur’an fu riconosciuto
come inimitabile da tutti gl’individui forniti di gusto let-
terario. Fu così che essi si affrettarono ad affidarlo alla
memoria, ma solo nel modo più rispettoso.
5. Durante il periodo in cui visse Muḥammad, c’erano scri-
vani esperti e trascrittori autorizzati delle Rivelazioni.
Tutte le volte che egli riceveva un versetto o un brano, im-
mediatamente istruiva i suoi scrivani affinchè lo registrassero
sotto il suo controllo. Tutto quello che essi registravano
era revisionato e autenticato dal Profeta stesso. Ogni parola
veniva riveduta e ogni passo veniva collocato al posto giusto?
6. Nel momento in cui le Rivelazioni furono complete, i
Musulmani si trovarono in possesso di molte registrazioni
integrali del Qur’an. Queste furono recitate,
imparate a memoria, studiate e usate per tutte le esigenze
quotidiane. Quando insorgeva una discordanza, la questione
veniva riferita al Profeta stesso, affinchè fosse lui a dare
la soluzione, si trattasse del testo, del significato o del-
1’intonazione.
7. Dopo la morte di Muḥammad, il Qur’an era ormai affidato
alla memoria di molti Musulmani e a numerose tavolette. Ma
nemmeno ciò soddisfece Abu Bakr, il primo Califfo, i1 quale
temeva che la morte in battaglia di un gran numero di memo-
rizzatori portasse a una grave confusione circa il Qur’an.
Egli consultò quindi le più eminenti autorità e incaricò
Zayd Ibn Thabit, capo dei trascrittori delle Rivelazioni di
Muḥammad, di compilare un archetipo
completo del Libro, nello stesso ordine che era stato autoriz-
zato da Muhamnad stesso. Fece ciò sotto la supervisione dei
Compagni del Profeta e col loro aiuto. La versione definitiva
e completa fu esaminata e approvata da tutti i Musulmani che
avevano ascoltato il Qur’an dalla bocca di Muḥammad e lo ave-
vano affidato alla propria memoria e al proprio cuore. Ciò
avvenne a meno di due anni dalla morte di Muḥammad. Le Ri-
velazioni erano ancora fresche e vive nella mente degli
scrivani, dei memorizzatori e di altri Compagni del
Profeta.
8. Durante, il califfato di Uthman, circa quindici anni dopo Mu-
hammad, le copie compilate del Qur’an furono largamente distribui-
te nei nuovi territori venuti a contatto con 1’Islam. La maggior
parte degli abitanti di questi territori non aveva nè visto nè
sentito Muḥammad. Per motivi locali e geografici, essi leggevano
il Qur’an con accento lievemente diverso. Uthman intervenne rapi-
damente per far fronte alla situazione. Dopo una mutua consulta-
zione con tutte le autorità eminenti, formò una commissione
composta di quattro uomini che avevano
trascritto le Rivelazioni. Tutte le copie in uso vennero raccolte
e rimpiazzate da un unico esemplare modello, che doveva essere
letto secondo l’accento e la parlata dei Quraysh, ossia secondo
l’accento e la parlata di Muḥammad stesso. Questa parlata venne
adottata e resa archetipica perché era la migliore fra tutte le
varianti linguistiche ed era la sola nella quale era stato
rivelato il Qur’an. Cosi i1 Qur’an fu ricondotto all’accento e
alla parlata dell’uomo che ne era stato il destinatario. Da quel
momento in poi, la stessa versione archetipica è rimasta in uso,
senza il minimo cambiamento nelle parole, nell’ordine, nella pun-
teggiatura.
Sulla base di queste osservazioni, g1i studiosi hanno concluso
che il Qur’an è oggi tale quale venne fatto discendere, e tale sem-
pre rimarrà. Esso non ha mai ricevuto alcuna aggiunta; nulla da
esso è stato tolto; esso non ha subìto nessuna corruzione. La sua
storia è chiara come la luce del giorno; la sua autenticità è fuo-
ri discussione; la sua completa preservazione è di là da ogni dub-
bio.
I1 Qur’an è pieno di una sapienza esemplare, riguardo alla sua
origine, alle sue caratteristiche e alle sue dimensioni. La sa-
pienza del Qur’an deriva dalla sapienza del suo Autore, che non può
essere stato altri che DIO stesso. Deriva anche dall’irresistibile
potenza del Libro, che è inimitabile e costituisce una sfida per
tutti gli uomini di lettere e di conoscenza. L’approccio realisti-
co del Qur’an, le soluzioni pratiche che esso offre ai problemi
dell’uomo, i nobili obiettivi che esso propone all’essere umano
designano la sapienza coranica come una sapienza di natura specia-
le e di caratteristiche tutte particolari.
Dinamismo
Una delle caratteristiche più salienti della sapienza coranica
è che essa non è di tipo statico, freddo. E’ una specie di sapien-
za dinamica, che sollecita la mente e stimola il cuore. In questa
sapienza vi sono un vivace dinamismo e una forza trascinante, qua-
lità attestate dall’evidenza storica come dallo stesso Qur’an.
Allorchè Muḥammad lanciò per la prima volta l’appello di DIO, il
suo unico potere era il Qur’an e la sua sola sapienza era la sapien-
za coranica. Il penetrante dinamismo del Qur’an è tremendo e irre-
sistibile.
Vi sono esempi tremendi che mostrano come le personalità
più dinamiche e gli argomenti più logici non riescano a egua-
gliare il livello della sapienza dinamica del Qur’an. DIO par-
la del Qur’an come di un ruh, cioè di uno “spirito” e “vita”,
di una luce da cui i servi di DIO vengono guidati sul Diritto
Sentiero (42, 52). Inoltre Egli dice: Se Noi avessimo fatto
scendere questo Qur’an sopra una montagna, tu certamente la avre-
sti veduta umiliarsi e spaccarsi in pezzi per paura di DIO.
Tali sono le analogie che Noi proponiamo agli uomini, affinchè
essi possano riflettere (53, 21). Le parole chiave sono qui
ruh e sad, le quali stanno a significare che il Qur’an dà
origine alla vita, stimola l’anima, irradia luce di guida e
muove gli oggetti in apparenza immobili. E’ questa la specie
di dinamismo spirituale di cui parla il Qur’an.
Praticabilità
Un’altra significativa caratteristica del Qur’an è la sua
praticabilità. Esso non indulge in
belle astrazioni. I suoi insegnamenti non chiedono l’impossibile,
non si librano su rosee nuvole di ideali irraggiungibili. Il
Qur’an considera l’uomo per quello che è e lo esorta a diventare
quello che può essere. Esso non marchia l’uomo
come creatura reietta e senza speranza, condannata dalla nascita
alla morte, immersa nel peccato dalla testa ai piedi, ma lo
tratteggia come un essere nobile, degno, rispettabile.
La praticabilità degli insegnamenti coranici è attestata
dall’esempio di Muḥammad e dei Musulmani nel corso delle età.
Lo specifico approccio del Qur’an stà nel fatto che le sue i-
struzioni mirano al bene generale dell’uomo e si basano su pos-
sibilità che stanno alla sua portata.
Moderazione
Una terza caratteristica è la moderazione o l’armonia fra
il divino e l’umano, lo spirituale e il materiale, il personale
e il comunitario e così via. Il Qur’an rende la dovuta attenzio-
ne a tutti gli aspetti della vita e a tutte le esigenze dell’uo-
mo e se ne occupa in modo da aiutare l’uomo a realizzare i nobili
scopi della sua essenza. E’ proprio in ragione di questo criterio
di moderazione che il Qur’an definisce i Musulmani come una Co-
munità Centrale (2, 143) e sulla base di tale “centralità” essi
vengono definiti il miglior popolo che si sia mai formato nel
genere umano, che essi prescrivono la giustizia, combattono l’er-
rore e credono in DIO (3, 110).
La sapienza coranico funziona secondo tre principali dimen-
sioni: all’interno, all’esterno,
verso l’alto. All’interno essa penetra negl’intimi recessi de1
cuore e raggiunge le profondità più remote della mente. Essa
mira a una sana coltivazione dell’individuo dall’interno. Questa
penetrazione interna è diversa, perché più profonda, da quella di
qualunque altro sistema giuridico o morale, perché il
Qur’an parla in nome di DIO e riferisce a Lui tutte le cose.
La funzione esterna del Qur’an copre ogni settore dell’esi-
stenza e contempla tutti i principi del campo delle attività umane,
dalle azioni più personali ai più complessi rapporti internazionali.
Il Qur’an raggiunge aree sconosciute a qualunque sistema
giuridico secolare, a qualunque codice morale, aree inaccessibili
alle ideologie e alle religioni ordinarie. Quello che è
notevole sotto questo riguardo, è che il Qur’an si occupa dei rap-
porti umani in maniera tale da dar loro un profumo divino e un gusto spi-
rituale. Esso fa sentire la presenza di DIO in ogni transazione
e riconosce DIO come la fonte originaria della guida e il traguardo
ultimo di ogni azione. Esso è la guida spirituale dell’uomo, il suo
ordinamento giuridico, il suo codice etico; insomma, è il suo modo
di vita.
Nella sua funzione verticale, il Qur’an pone
l’accento sull’Unico Supremo DIO. Tutto ciò che è stato, è e sarà
deve essere incanalato in questa prospettiva, visto da que-
sto punto d’osservazione: l’attiva presenza di DIO nell’universo.
L’uomo è semplicemente un fiduciario nel vasto dominio di DIO e
il solo scopo della sua creazione è di adorare DIO. Questo non
è un pretesto per l’isolamento o un passivo ritrarsi dalla vita.
E’ un aperto invito all’uomo affinchè sia sulla terra la vera per-
sonificazione delle eccellenti qualità di DIO. Quando il Qur’an,
nella sua dimensione verticale, indirizza l’attenzione su DIO, apre
davanti all’uomo orizzonti di pensiero, lo guida a modelli esempla-
ri di etica sublime, lo rende esperto dell’eterna fonte della pace
e del bene. Realizzare che DIO solo è 1o scopo definitivo dell’uo-
mo costituisce una rivoluzione contro le tendenze volgari che do-
minano il pensiero umano e le dottrine religiose, una rivoluzione
il cui obiettivo è di liberare la mente dal dubbio, liberare l’ani-
ma dal peccato ed emancipare la coscienza dall’asservimento.
In tutte le sue dimensioni, la sapienza coranica è conclusi-
va. Essa non condanna nè tormenta la carne, ma nemmeno dimentica
l’anima. Essa non “umanizza” DIO nè deifica l’uomo. Ogni cosa
è accuratamente collocata al suo posto nell’ordine totale della
creazione. C’è un rapporto proporzionale tra azioni e ricompense,
tra mezzi e fini. La sapienza coranica non è neutra. Essa avan-
za richieste e le sue richieste sono accolte con gioia da tutti
coloro che hanno ricevuto la benedizione dell’intelligenza e della
comprensione.
La sapienza del Qur’an fa appello alla sincerità nel pen-
siero e alla religiosità nell’azione, all’unità negli obiet-
tivi e alla buona volontà nell’intenzione. Così è il Libro; in esso
è guida sicura, senza esitazione… (2, 2). Questo è un Libro che
Noi ti abbiamo rivelato, affinchè tu possa guidare l’umanità fuori
dagli abissi della tenebra verso la luce… (14, 2).
APPENDICE II
MUHAMMAD, ULTIMO PROFETA
La convinzione dei Musulmani circa il carattere definitivo
e conclusivo della divina missione profetica di Muḥammad è stato
frainteso da molti ed esige perciò una spiegazione. Questa con-
vinzione non significa affatto che DIO abbia chiuso le porte del-
la Misericordia o sia diventato un
deus otiosus. Ciò non comporta nessuna restrizione circa
l’emergere di grandi personalità religiose, nè sbarra la strada
a grandi capi spirituali che eventualmente si presentino, nè
impedisce il sorgere di grandi uomini pii. E ciò non signi-
fica nemmeno, nella maniera più assoluta, che DIO abbia concesso
agli Arabi, dal novero dei quali Muḥammad venne scelto, la Sua
ultima grazia, con esclusione di tutti quanti gli altri uomini.
DIO non è parziale con nessun “popolo eletto”, con nessun’epoca
storica, con nessuna generazione di uomini e la porta della Sua
Misericordia è sempre aperta, sempre accessibile a coloro che
Lo cercano. Egli parla all’uomo in uno di questi tre modi:
1) per ispirazione, cioè in forma di suggerimenti o idee
poste da Dio nel cuore o nell’anima di uomini pii;
2) da dietro un velo che si presenta in forma di visioni
o di apparizioni, quando il ricettacolo umano qualificato si
trova in stato di sonno o di sopore;
3) attraverso il Messaggero celeste Gabriele, che viene
fatto discendere con effettive parole divine da recare al mes-
saggero umano prescelto (Qur’an, 42, 51). Quest’ultima forma
è la più sublime ed è quella in cui il Qur’an fu fatto scendere
su Muḥammad. Essa è riservata unicamente ai profeti, dei quali
Muḥammad è stato l’Ultino e il Sigillo.
Ma, di nuovo, ciò non toglie che vi sia un’esistenza o una
continuità di ispirazione nelle due altre forme, per chiunque sia
designato da DIO. Scegliendo Muḥammad come Sigillo dei Profeti,
DIO non ha perso il contatto con l’uomo nè il Suo
interesse verso quest’ultimo, e all’uomo non è stata sbarrata
la strada nella ricerca di DIO nè gli è stato vietato di aspirare
a DIO. Al contrario: scegliendo Muḥammad quale punto culminante
della Missione profetica e il Qur’an quale completamento e sin-
tesi della Rivelazione, DIO ha istituito un permanente tramite
di comunicazione fra Sè e l’uomo e ha innalzato un faro di luce
e di guida che irradia continuamente. Oltre a queste osservazio-
ni generali, vi sono altri punti specifici che mostrano perché
Muḥammad sia 1’Ultimo Profeta di DIO. Fra tali punti, possiamo
menzionarne alcuni.
1. I1 Qur’an dichiara in termini inequivocabili che Muḥammad
è stato inviato a tutti gli uomini come Apostolo di DIO, e a DIO
appartiene il dominio dei cieli e della terra (7, 158). Viene
anche dichiarato che Muḥammad è stato inviato solo come una Mise-
ricordia da parte di DIO a tutte le creature, umane e non umane
(21, 107) e che egli è il Messaggero di DIO e il Sigillo dei Pro-
feti (33, 40). I1 Qur’an è la parola di DIO e tutto ciò che esso
dice è verità, divina, sulla quale ogni Musulmano si basa e sulla
quale ogni uomo deve riflettere. I1 Messaggio di Muḥammad non fù
semplicemente un fenomeno di rinascita nazionale o il monopolio
di una razza o la momentanea liberazione dall’oppressione e dalla
servitù. Nè fu un cambiamento improvviso o un’inversione di ten-
denza nella direzione della storia. Il Messaggio di Muḥammad fu,
e ovviamente è ancora, una rinascita universale, una benedizione
per tutti, un retaggio sovranazionale una liberazione spirituale
durevole. Esso costituisce il perfezionamento e la
continuazione dei messaggi precedenti, una sintesi equilibrata di
tutte le rivelazioni precedenti. Esso trascende ogni confine di
razza, età, colore, indole regionale. Si rivolge all’uomo di
tutti i tempi ed è appunto quello di cui l’uomo ha bisogno. Così,
il Musulmano è convinto che Muḥammad sia 1’Ultimo Profeta, perché
il Qur’an reca veridica testimonianza di ciò, e perché il messaggio
di Muḥammad ha le più elevate qualità di un credo veramente univer-
sale e definitivo.
2. Muḥammad stesso dichiarò di essere l’Ultimo Profeta di DIO.
Un Musulmano, così come chiunque altri, non può contestare la veri-
dicità di questa affermazione. Nel corso della sua vita, Muḥammad
fu riconosciuto come estremamente veridico, onesto, equilibrato.
La sua integrità e la sua veridicità erano al di là di ogni dubbio,
non solo al cospetto dei Musulmani, ma anche nell’opinione dei suoi
oppositori più leali. Il suo carattere, le sue realizzazioni spi-
rituali, le sue riforme politiche sono senza paralleli nell’intera
storia dell’umanità. Resta quindi ancora da vedere se la storia
può produrre qualcosa simile a Muḥammad. Egli disse di essere 1’U1-
timo Profeta perché egli era la verità di DIO e non perché voles-
se una gloria personale o mirasse a guadagni personali. La vitto-
ria non lo privò delle sue eccellenti virtù, il trionfo non riu-
sci a indebolirle, il potere non potè corrompere il suo carattere.
Era incorruttibile, coerente, inaccessibile alla nozione stessa del
profitto o della gloria personali. Le sue parole dispiegano una
luce abbagliante di saggezza a di verità.
3. Muḥammad fu il solo profeta che potè adempiere alla propria
missione e potè completare la propria opera nel corso della sua vi-
ta. Prima che egli morisse, il Qur’an dichiarò che 1a religione
di DIO era stata completata o che la verità della rivelazione era
stata salvaguardata e sarebbe stata preservata nella sua integri-
tà (Qur’an, 5, 3 e 10, 3). Allorchè egli morì, la religione del-
1’Islam era completa e la comunità dei fedeli musulmani era bene
organizzata. I1 Qur’an venne memorizzato nel periodo in cui egli
visse e fu preservato nella sua versione totale a originaria. Tut-
to ciò significa che la religione di DIO è stata completata da Mu-
hammad nella dottrina come nella pratica e che il Regno di
DIO è stato instaurato qui sulla terra, la missione di Muḥammad,
il suo esempio e le sue realizzazioni hanno dimostrato che il Regno
di DIO non è un ideale irraggiungibile o qualcosa che appartiene
unicamente all’aldilà, ma è anche di questo mondo, qualcosa che è
esistito ed è stato florido nell’età di Muḥammad e può esistere e
fiorire in ogni epoca nella quale vi siano fedeli sinceri e uomini pii.
Perciò, se vi fu un uomo destinato a essere il culmine della
Missione profetica, chi è potuto
esserlo se non Muḥammad? E se un Libro è stato designato
quale completamento e sintesi della Rivelazione, quale è potuto
esserlo se non il Qur’an? L’effettivo adempimento della mis-
sione di Muḥammad sopra la terra e la registrazione fedele del-
l’intero Qur’an nel periodo della sua vita non lasciano traccia
di dubbio, nella nostra mente, per quanto concerne la convinzio-
ne che egli fu l’Ultimo Profeta.
4. Il decreto di DIO secondo cui Muḥammad è 1’Ultimo
Profeta si basa sulla pura e originaria autenticità del Qur’an,
sulle realizzazioni definitive e straordinarie
di Muḥammad, sull’universalità dell’Islam, sull’applicabilità
degl’insegnamenti coranici ad ogni situazione, ad ogni età, ad
ogni uomo. Questa è la religione che trascende tutti i confi-
ni e penetra oltre ogni barriera di razza, colore, età, condi-
zione econonica, prestigio sociale. E’ la religione che assicura
agli uomini, a tutti gli uomini, l’equità e la solidarie-
tà, la libertà e la dignità, la pace e l’onore, l’orientamento
e la salvezza. Questa è la pura essenza della religione di DIO
a il genere di aiuto che Egli ha sempre offerto all’uomo, fin
dai primordi dell’umanità. Muḥammad e il Qur’an segnano il cul-
mine del processo religioso. Ciò comunque non significa la fi-
ne della storia o la fine dell’esigenza umana di una guida divina.
E’ soltanto l’inizio di un nuovo processo, l’inaugurazione di
una nuova era, nella quale l’uomo si trova sufficientemente
provvisto di tutta la guida divina di cui ha bisogno, di tutti
gli esempi pratici che gli necessitano. Questa divina guida è
contenuta nel Qur’an, la più autentica e incorruttibile Rivela-
zione di DIO, e questi esempi pratici si trovano nella persona
di Muḥammad. Se dovessero venire un nuovo profeta o un nuovo
libro rivelato, che cosa potrebbero aggiungere alla qualità del-
la missione profetica o alla verità del Qur’an? Se è per preser-
vare la parola di DIO o salvaguardare la verità della Rivelazione,
questo è stato fatto con il Qur’an. Se è per mostrare che la
Legge di DIO può essere mandata in vigore nella storia o che il
Regno di DIO può essere instaurato sulla terra, tutto ciò è stato
dimostrato da Muḥammad. Se e per guidare l’uomo a DIO e sulla
Diritta Via della vita, ciò è stato fatto dal Qur’an e da Muham-
mad. L’uomo non ha bisogno di nuove rivelazioni o di nuovi
profeti. Ciò di cui ha più bisogno, è di svegliarsi, di aprire
la propria mente e stimolare il proprio cuore. Ciò di cui ha
bisogno adesso, è di far uso delle Rivelazioni già disponibili,
di adoperare le risorse già esistenti e trarre dagl’inesauribili
tesori dell’Islam quello che ha incorporato, preservato e perfe-
zionato la purezza delle rivelazioni precedenti.
5. DIO decretò che Muḥammad sarebbe stato 1’Ultimo Profeta,
e ta1e egli è stato. Nessun profeta prima di Muḥammad ha fat-
to, realizzato o lasciato ai posteri al pari
di Muḥammad. E dopo di lui nessuno fra coloro che hanno preteso
d’esser profeti ha fatto qualcosa di paragonabile a quanto fece
Muḥammad. Comunque, questo decreto divino anticipò i grandi
eventi storici che seguirono. Esso proclamò all’uomo la buona
novella che egli sarebbe entrato in una nuova fase di maturità
intellettuale e di vette spirituali e che da allora avrebbe dovuto
fare a meno di nuovi profeti e di nuove rivelazioni, per fare da sè,
aiutato dalla ricca eredità della missione profetica o delle rive-
lazioni, quali si trovano in Muḥammad e nei suoi predecessori. Fu
un’anticipazione del fatto che le culture, le razze e le regioni
del mondo sarebbero diventate sempre più vicine tra loro e che
l’umanità avrebbe potuto avvalersi nel migliore dei modi di una
religione universale in cui DIO occupa la posizione che Gli com-
pete e l’uomo realizza se stesso. Fu una solenne testimonianza
della grande funzione che la conoscenza sublime e le imprese intel-
lettuali avrebbero svolta nel portar l’uomo a DIO. Ed è vero che,
se l’uomo può combinare le proprie conoscenze più elevate e il suo
miglior potenziale intellettuale con gl’insegnamenti spirituali ed
etici del Qur’an, non può mancare di riconoscere l’esistenza di
DIO e adeguare se stesso alla Legge di DIO.
La fase ciclica della missione profetica è terminata con
Muḥammad, perché l’uomo avesse la dimostrazione che egli può
maturare di sua propria iniziativa, per dare alla scienza
umana l’opportunità di funzionare correttamente ed esplorare il
vasto dominio di DIO, per dare alla mente la possibilità di ri-
flettere e penetrare a fondo. La natura dell’Islam è tale, che
esso possiede grande praticabilltà e flessibilità e può risolvere
ogni nuova situazione. La natura del Qur’an è tale, che esso è
universale e sempre rivelatore; in esso vi è guida sicura,
esente da dubbio. La natura del Messaggio di Muḥammad è tale, che
si rivolge a tutti gli uomini e si indirizza a tutte le generazio-
ni. Muḥammad non fu semplicemente il capo di una razza o il libera-
tore di una nazione. Egli fu, ed è tuttora, un uomo della storia
umana, il modello migliore dell’uomo che cerca DIO. In lui ogni
uomo può trovare qualcosa da imparare ed eccellenti esempi di
nobiltà e di religiosità da seguire. In lui ogni generazione può
trovare la propria speranza nascosta.
APPENDICE III
IL CALENDARIO ISLAMICO
L’era islamica è cominciata col grande evento dell’Egira
da Mecca a Medina, cioè con 1’Emigrazione del Profeta Muḥammad
e dei suoi Compagni da Mecca a Medina. L’adozione di questo
evento quale inizio dell’Era Islamica ebbe luogo durante il Ca-
liffato di Omar Ibn al-Khattab, il secondo Califfo succeduto a
Muḥammad. Attualmente ci troviamo nel 1395 dell’Egira (1395 A,H,).
I1 calendario islamico è lunare e i suoi mesi sono determi-
nati dalle varie posizioni della luna. In ogni anno vi sono do-
dici mesi e ogni mese è di trenta o di ventinove giorni, a secon-
da della posizione dalla luna. I mesi sono: Muharram, Safar,
Rabi al-awwal, Rabi’ ath-thani, Jumada al-ula, Jumada ath-thaniyah,
Rajab, Sha’ban, Ramadan, Shawwal, Dhu’1-Qa’da e Dhu’l-hijjah.
In ogni settimana c’è un giorno speciale da ricordare e osser-
vare. Questo giorno è il Venerdì, e il suo rilievo deriva dalle
orazioni rituali collettive, alle quali deve parteci-
pare ogni Musulmano che ne abbia la possibilità. Vi sono altre
significative ricorrenze che devono essere osservate in maniera
speciale.
1. La Hijrah (Egira), che cade alla vigilia del primo giorno
di Muharram.
2. I1 Natività del Profeta, che cade alla vigilia del dodicesino
giorno di Rabi’ al-awwal.
3. Ramadan, il mese del Digiuno, nel quale fu rivelato il Qur’an.
4. La Notte del Decreto (Qadr), che può essere celebrata alla
vigilia dal ventitrè, del venticinque o del ventisette di
Ramadan.
5. ‘Id al-Fitr (Festa della Rottura del Digiuno di Ramadan),
che cade il primo giorno di Shawwal.
6. ‘Id al-Adha (Festa dei Sacrifici), che cade il 10 di Dhu’l-
Hijjah.
Vedi inoltre:
- Fiqh al-Akbar (il credo Islamico in italiano)
- Al-‘Aqidah At-Tahawiyah di Abu Ja’far At-Tawahi al-Misri
- L’Orario delle Preghiere