La Realtà Muhammadiana (Haqîqa Muhammadiyya)
di Denis Gril
Per tutti i musulmani, Muhammad (s.A.’a.s.) è l’Inviato di Dio, conformemente alla seconda parte della professione di fede (shahâda), allorché la prima afferma l’assoluta unicità di Dio. La sua funzione fu, prima di tutto, quella di trasmettere il messaggio divino, consegnato per iscritto quand’era ancora in vita e riunito dopo la sua morte: quel che chiamiamo Corano. Ebbe anche, per missione, spiegare e precisare, col suo insegnamento ed il suo esempio, la Parola divina:
«Dì: “Obbedite a Dio ed obbedite all’Inviato”…» (Corano XXIV 54).
L’insieme dei suoi detti, fatti e taciti consensi, raccolti negli ahâdît, costituisce la Sunna. Essa ha svolto, nell’istituzione dell’Islâm come religione e come legge, un ruolo assai più importante del Corano stesso, spesso molto succinto sui riti e sulle pratiche sociali. La missione del Profeta (s.A.’a.s.), anche da un punto di vista exoterico, non si limita a ciò. Secondo il Corano e le sue proprie affermazioni, dopo aver sigillato la profezia sulla Terra, intercede il Giorno della Resurrezione per tutta l’umanità rivelando pienamente, allora, la sua missione di misericordia. L’Islâm esoterico, ed il sufismo in particolare, per mezzo del Corano e della Sunna, percepisce, nella persona di Muhammad (s.A.’a.s.), una dimensione al tempo stesso più interiore ed ancor più universale.
Il maestro spirituale
La vita del Profeta (s.A.’a.s.) (Sîra) comporta due fasi: l’una ascendente, l’altra discendente. Ascendente, a partire dalla sua nascita e dalla sua infanzia, fino all’età di quarant’anni quando, fuggendo il culto degli idoli che ingombrava la Ka’ba, fa dei ritiri nella grotta del monte Hirâ’, presso La Mecca. È là che va a trovarlo Gabriele, che gli ingiunge di recitare i primi versetti del Corano:
«Recita!…» (Corano XCVI 1)
Per tre volte, quello che diventò allora il Profeta (s.A.’a.s.), risponde: “Non so recitare (o: leggere)”. Per tre volte l’Arcangelo lo serra contro di sé tanto forte da fargli credere di morire. Alla terza volta, alla fine può recitare la Parola divina. Questa triplice pressione dell’angelo può essere assimilata ad un atto di maieutica spirituale, facendo accedere ad una nuova nascita nei tre mondi. Per i sûfî, questo episodio del monte Hirâ’ rappresenta il passaggio dalla santità (walâya) alla profezia (nubuwwa) ed alla trasmissione del messaggio (risâla). Inizialmente rivolto esclusivamente verso Dio, il Profeta (s.A.’a.s.) dovrà rivolgersi verso gli uomini, senza però deviare dalla sua orientazione essenziale. Da un punto di vista iniziatico, quest’avvenimento fonda il magistero spirituale.
Per quanto fosse l’Eletto di Dio, Muhammad (s.A.’a.s.) non avrebbe potuto ritrasmettere l’ordine di Dio se non l’avesse ricevuto prima con la mediazione di un maestro. Quando il discepolo si sarà ritirato abbastanza dal mondo ed avrà espulso al di fuori di sé tutte le concezioni false e limitative di Dio, il maestro potrà trasmettergli il permesso di dirigere i discepoli sulla Via, trasmessa da maestro a maestro, ispirata dallo Spirito. Altri avvenimenti miracolosi avevano già annunciato l’elezione di Muhammad (s.A.’a.s.), soprattutto quando, giovanissimo, due angeli gli avevano aperto il petto per lavargli il cuore ed estrarne il punto nero tramite il quale Satana ispira il male.
La sua iniziazione profetica è resa compiuta quando, poco tempo prima della sua migrazione per Medina (hijra), bersagliato dall’opposizione sempre più dura della sua tribù, i Quraysciti, per giunta avendo da poco subìto la perdita della prima moglie, Hadîja, Gabriele lo conduce durante il viaggio notturno (isrâ’) dalla Ka’ba alla sede del Tempio di Gerusalemme, ove dirige la preghiera dei profeti.
Da là, l’ascensione celeste (mi’râjj) lo porta, attraverso i sette Cieli nei quali risiedono i profeti, fino ad un a faccia a faccia con Dio. Ne ritorna con l’obbligo di cinquanta preghiere quotidiane, ridotte, grazie a Mosè, a cinque. Il rito principale dell’Islâm dunque comporta, a parte altro, in virtù delle sette posizioni, la realizzazione virtuale d’un’ascensione fino alla massima vicinanza di Dio, nella prosternazione. I santi dell’Islâm realizzeranno, su imitazione del Profeta (s.A.’a.s.), la loro propria ascensione celeste in spirito, mentre Muhammad (s.A.’a.s.) l’aveva compiuta con la totalità del suo essere.
Muhammad (s.A.’a.s.) visse attorniato dai suoi Compagni, pochi alla Mecca, molto numerosi a Medina. Non ha, però, le stesse relazioni con tutti. Per la cerchia di discepoli che si sforza d’imitarlo in ogni cosa, egli incarna il maestro spirituale che indovina i loro minimi pensieri, riconducendoli incessantemente verso lo scopo della Cerca. È il loro educatore (murabbî), il loro direttore spirituale (murshîd). Un aneddoto illustra perfettamente questo rapporto. Abû Hurayra abitava nella moschea di Medina con un gruppo di Compagni poveri, denominati “La Gente della Panca” (Ahl al-suffa), spesso considerati come il modello dei poveri in Dio (fuqarâ’). Un giorno, attanagliato dalla fame, tenta invano di farsi invitare. Il Profeta (s.A.’a.s.), cui era appena stata offerta una scodella di latte, lo scorge. Invece di fargli bere, gli domanda d’invitare tutti i Compagni poveri che si trovavano all’interno della moschea. Sconsolato, Abû Hurayra obbedisce, facendoli entrare, dieci alla volta, alla presenza del Profeta (s.A.’a.s.). Tutti bevono a sazietà.
Alla fine, il Profeta (s.A.’a.s.) lo chiama, gli fa bere tanto che ha l’impressione che il latte gli esca dalle unghie. A quel punto, il Profeta (s.A.’a.s.) finisce la scodella. Prima di tutto, inculca nel discepolo una delle virtù cardinali della Via: la futuwwa ovvero la qualità del nobile, che dà sempre la preferenza agli altri e sacrifica la sua anima. Il miracolo del latte sovrabbondante rende tangibile l’Onnipotenza divina e fortifica la fede. Il latte, infine, come dimostrato anche da altre tradizioni, simboleggia la scienza sacra. Il maestro ha, quindi, prima di tutto predisposto il discepolo a ricevere la scienza, dopodiché glie l’ha trasmessa.
Ebbene, questo stesso discepolo, Abû Hurayra, diceva: “Ho ricevuto dall’Inviato di Dio due recipienti di scienza. Ne ho diffuso uno: l’altro, se l’avessi diffuso, mi avreste tagliato la gola”.
È quindi la prova, per i sûfî, di un insegnamento esoterico trasmesso dal Profeta (s.A.’a.s.) all’élite dei suoi compagni, oltre a quello che era tenuto a fare pervenire a tutti in quanto Inviato. Se questo insegnamento non traspare affatto al primo sguardo, è perché passava spessissimo attraverso gli avvenimenti più ordinari oppure tramite le ingiunzioni della Legge.
I riti iniziatici non si distinguono neppure, formalmente, da quelli praticati da tutti, eccezione fatta per la loro intensità ed il loro orientamento, come l’invocazione (dikr) e, più particolarmente all’epoca del Profeta (s.A.’a.s.) ed agli inizi dell’Islâm, la preghiera di veglia (qiyâm al-layl), pratica specifica del Profeta (s.A.’a.s.) e dell’élite dei Compagni.
La dimensione iniziatica della vita del Profeta (s.A.’a.s.), redatta come un racconto storico, non si lascia svelare facilmente, soprattutto durante i dieci anni della sua permanenza a Medina, dedita a guerre incessanti ed all’istituzione dell’Islâm. Eppure, quest’ultima parte della sua vita comincia con l’egira e prosegue con una sequela ininterrotta di spedizioni guerriere definite dal Corano ‘combattimento sulla via di Dio’ o ‘jihâd‘, ‘sforzo teso a qualcosa’. Quale che sia la finalità terrestre di questa migrazione e di questo combattimento e la loro efficacia quale cemento comunitario, è chiaro che La Mecca rappresentava anche tutti i vincoli che deve rompere l’itinerante verso Dio ed i nemici le tendenze contrarie dell’anima umana. È quel che è reso esplicito da quest’hadît:
“L’emigrante, è colui che lascia tutto quel che Dio ha proibito ed il combattente, colui che combatte la sua anima”.
Lanciando senza sosta i suoi Compagni in spedizioni spesso difficili da sopportare, il Profeta (s.A.’a.s.) voleva far prendere loro coscienza del fatto che questa lotta è senza fine, fino al ritorno a Dio e far loro desiderare il martirio (shahâda), testimonianza diretta e vivificante della grazia divina.
La luce di Muhammad (s.A.’a.s.)
Si racconta che i Compagni del Profeta (s.A.’a.s.) stavano, davanti a lui, così immobili che gli uccelli avrebbero potuto posarsi sulle loro teste. Un tale atteggiamento di venerazione dimostra che essi avevano coscienza di trovarsi di fronte ad un essere che esulava dall’umanità ordinaria. Il Corano lo ricorda loro, allorché essi rinnovano, in un momento solenne, il patto con lui:
«… Quei che stringon patto con te, lo stringono in realtà con Dio; la mano di Dio è sopra le loro…» (Corano XLVIII 10).
La Presenza divina si manifesta, quindi, tramite quella del suo Profeta (s.A.’a.s.). Numerose tradizioni rivelano questa dimensione sovra-individuale: “Ero già il servitore dei Dio ed il Sigillo dei profeti, quando Adamo era ancora disteso nella sua argilla. Vi dirò ove ciò è annunciato: l’invocazione di mio padre Abramo, l’annuncio di mio fratello Gesù e la visione che ebbe mia madre”. Il Profeta (s.A.’a.s.) allude, qui, ad un passo del Corano, nel quale Abramo, mentre costruisce la Ka’ba, chiede a Dio la venuta d’un futuro Profeta (s.A.’a.s.) e ad un altro in cui Gesù annuncia la venuta d’un Profeta (s.A.’a.s.) dal nome Ahmad. Ricorda, anche, la visione di sua madre quando lo mise al mondo: una luce uscì dal suo ventre, espandendosi fino ai confini della Siria. Questo genere di tradizioni originò, a partire dal XIII secolo e sotto l’influenza degli ambienti sûfî, la commemorazione del Mawlid, la nascita di Muhammad (s.A.’a.s.). Questa commemorazione consacra la larga diffusione, a quell’epoca, della dottrina esoterica della Luce Muhammadiana, che trae la sua origine da quei dati scritturali, ma anche dal Corano, che conferisce al Profeta (s.A.’a.s.) questa autorità:
«Ed allorché stringemmo il patto con i profeti, con te, con Noè, con Abramo, con Mosè e con Gesù figlio di Maria; e stingemmo con loro un patto solenne…» (Corano XXXIII 7).
In questa stessa sura Muhammad (s.A.’a.s.), dopo esser stato qualificato di ‘Sigillo dei profeti’, è chiamato ‘lampada luminosa’ (Corano VII 46). Sahl al-Tustarî fu uno dei primi, seguìto da al-Hallâj, a chiarire tale dottrina, che fa della Luce Muhammadiana l’origine non soltanto dell’umanità, ma addirittura di ogni cosa. Per via di questa luce trasmessa di Profeta (s.A.’a.s.) in Profeta (s.A.’a.s.), il mondo ritorna al suo principio. L’intercessione del Profeta (s.A.’a.s.) nella ‘Stazione lodata’ (maqâm mahmûd) rappresenta questa funzione finale che coincide, allo stesso tempo, con quella d’intermediario, con la quale l’Essere passa dall’Uno al molteplice. Il termine che significa ‘intercessione’ (shafâ’a) è della stessa radice di shaf’, ‘pari’. Mentre Dio è dispari, la parità di quest’intercessione permette agli esseri di accedere ad un nuovo ciclo d’esistenza.
Questa dimensione esoterica della profezia è stata particolarmente sviluppata nella dottrina dell’Uomo perfetto od universale (al-Insân al-kâmil). Quest’essere, somma di tutte le perfezioni, una faccia rivolta verso Dio, l’altra verso gli uomini, rifrange la Luce divina per illuminare l’inesistenza tenebrosa degli esseri possibili ed i cuori pronti a ricevere la conoscenza.
La Realtà Muhammadiana (haqîqa Muhammadiyya), come la chiama Ibn ‘Arabî, costituisce, pertanto, il principio manifestato di ogni manifestazione ed il suo mezzo di ritorno. Su di essa si modella ogni santità, erede della profezia. Non per questo Muhammad (s.A.’a.s.) resta meno vicino ai cuori di tutti i credenti a causa della sua profonda umanità, per il modello incessantemente ricordato della sua vita e del suo insegnamento, con la pratica della preghiera sul Profeta (s.A.’a.s.), compiuta non appena è pronunciato il suo nome, oppure come una forma d’invocazione.
I maestri del sufismo non hanno smesso di comporre formule di preghiera su di lui, che sono altrettante esemplificazioni della dottrina dell’Uomo universale. Questa non fa che sviluppare la seconda parte della shahâda ed il senso di questi tre nomi: Ahmad, il Lodatissimo (da tutta l’eternità); Muhammad (s.A.’a.s.), il Lodato incessantemente (come modello per gli uomini); Mahmûd, il Lodato senza fine (nell’Aldilà). Nel passato, nel presente e nel futuro, tramite lui la lode di Dio è proclamata per sempre.
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