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Le regole della buona creanza (adab) della tarīqa Naqšbandīya

Sayyid Jamaluddin al-Ghumuqi al-Husayni

Sheikh Jamaluddin al-Ghumuqi al-Husayni

Le regole della buona creanza (adab) della tarīqa Naqšbandīya

Al Adab al-marḍiya fil-tarīqati n-Naqšbandiya

a cura dello shaykh Jemaleddin di Kazikumukh, tratto da una traduzione russa condotta su un originale arabo – che non è accessibile – e apparsa in Sbornik Svedenij o Kavkazskich Gortsach, Tbilisi 1869-2-22).

Prefazione del figlio Sayid Abdurrahman al manoscritto di Jemaleddin di Kazikumukh

Mio padre, Sayid Jemaleddin, era nativo di Kazikumukh. Fu, da giovane, segretario del khan di Kazıkumukh, Aslan Khan. Il khan gli era affezionato e, per ricompensarlo del suo zelo e della sua fedeltà, gli donò tre villaggi nel khanato di Kurin, che portavano tutti e tre il nome di Astal. Gli abitanti di quei villaggi versavano l’imposta a mio padre. Proprio allora, divenuto d’un tratto consapevole della vanità della Vita mondana, mio padre si volse a Dio e si pentì di tutti i peccati che aveva commesso quando era al servizio di Aslan Khan, giacché coloro che frequentano il mondo dei tiranni passano la loro vita nel peccato, salvo quelli che la misericordia divina protegge. Per cominciare si recò dal maestro della tarīqa Naqšbandiya, lo shaykh Muhammad Efendi di Kurin, nel villaggio di Yaraglar. Ottenuta la tarīqa dallo shaykh, ricevette il permesso di condurre coloro che volevano procedere in direzione del Vero. Ritornò a Kazikumukh con l’autorizzazione dello shaykh a guidare discepoli. Non si può diventare shaykh o muršid senza il permesso di uno shaykh perfetto che abbia conseguito la visione di Dio

Proprio per questo alcuni Shaykh hanno detto: «Coloro che non hanno shaykh, hanno il diavolo per shaykh».

Ritornato a Kazikumukh, mio padre trascorse il suo tempo in solitudine, in preghiera e a dirigere sulla via del vero quelli che venivano a visitarlo. Ciò avveniva al tempo di Aslan Khan. La fama di mio padre si diffuse anche in regioni lontane, attraverso i monti e per la pianura. È certo che Ghazi Muhammad e Shamil avevano anch’essi sentito dire che a Kazikumukh era apparso il santo shaykh Jemaleddin che compiva miracoli. Entrambi desiderarono rendergli visita e riceverne la tarīqa. Ma Ghazi Muhammad volle prima mettere alla prova mio padre e accertare se era davvero uno shaykh capace di penetrare i misteri, come voleva la sua fama. Si recò dunque a Kazikumukh con un compagno e, giunto davanti alla nostra casa, diede ordine al compagno di presentarsi per primo innanzi a mio padre. Poi, entrato nella casa, andò in una stanza isolata al piano superiore e sedette in silenzio presso la porta. In questo modo voleva sapere se mio padre fosse capace di riconoscere il nome e il clan di ogni suo visitatore, anche se costui gli fosse del tutto sconosciuto. Ghazı Muhammad stava dunque seduto vicino alla porta, quando mio padre gli disse: «Salve, Ghazi Muhammad, Siediti più vicino a me, non è là il tuo posto». Stupefatto, Ghazi Muhammad gli chiese: «Come sai che io sono Ghazi Muhammad? Mi hai forse già visto o hai sentito parlare di me? «Non sai che sta scritto nel libro: “Guardatevi dalla perspicacia del servo: guarda con la luce di Dio”? Dubiti forse che io sia un buon servo, domandò mio padre sorridendo, poi, rivolto al compagno di Ghazi Muhammad, gli disse:

O fratello, sarebbe stato cento volte meglio per te se tu fossi riconciliato con il padre tuo, con il quale sei in urto già da tre anni, piuttosto che venire a rendermi visita. Se sei venuto nella speranza di ottenere la mia benedizione, sappi che non te la concederò finché tu non abbia fatto la pace con lui. Ritorna a casa e va’ a chiedergli perdono per le tue male parole, poi ritorna a trovarmi.

Udito ciò, l’uomo si meravigliò, impallidì e tremò innanzi alla sagacia di mio padre. Ghazi Muhammad ritornò una seconda volta da mio padre con Shamil, e ricevette da lui la tarīqa.

Quando Aslan Khan apprese che molte persone rendevano visita a mio padre, temette l’espandersi della tarīqa e del muridismo nel khanato di Kazikumukh. Fece chiamare mio padre presso di sé più volte e gli consigliò di non ricevere visitatori e di non vivere nell’isolamento, offrendogli il suo aiuto in tutto ciò di cui potesse aver bisogno. Mio padre rispose che non invitava nessuno, ma che non aveva intenzione di respingere dal proprio cospetto quelli che venivano a fargli visita. Allora l’atteggiamento di Aslan Khan verso mio padre divenne ostile. Giunse a desiderare di ucciderlo, ma Dio lo preservò da questo delitto. Un giorno lo fece venire con l’intenzione di ucciderlo. Quando mio padre fu condotto alla presenza del khan, stette innanzi a lui appoggiato a un bastone. D’improvviso il khan sbiancò in volto e, alzatosi precipitosamente, lasciò la stanza come se fosse spaventato. «Lasciatelo andare – disse – e non toccatelo. Le sue dita brillano come ceri. Un’altra volta Aslan Khan disse a mio padre: «Si dice che tu abbia raggiunto la santità e compia miracoli. Mostramene uno e ti riconoscerò santo».

«Non sono un santo, ma un servo di Dio, lasciami in pace», rispose mio padre. «Se tu non mi mostri una delle tue visioni o dei tuoi miracoli, ti ucciderò», disse il khan.

Quando mio padre vide che era impossibile sfuggire al khan, gli chiese che uno dei suoi servi l’accompagnasse sulla strada maestra.

La giunto, tracciò un quadrilatero e disse:

Qui è sepolta una donna di nome Haykhanat, morta molto tempo fa durante la guerra contro i kāfir. Il suo corpo è intatto nel suo lenzuolo».

Il servo del khan si mise a ridere e disse: «Come può una tomba trovarsi in mezzo alla strada dove c’è solo sporcizia? Se sei in errore il khan ti ucciderà». In quello stesso momento si avvicinò un discepolo di mio padre che conduceva un bue e disse: «Se qui c’è una tomba, offro questo bove in sacrificio», e si mise a scavare per terra. Quando ebbero scavato la tomba indicata da mio padre, vi trovarono il corpo della donna intatto, come se fosse stato messo nella bara quello stesso giorno. Il servitore impallidì, stupito e corse per narrare l’accaduto al khan il quale, da quel giorno, fu persuaso della santità di mio padre e lo lasciò in pace. II discepolo di mio padre immolò il bue in sacrificio per la defunta. Ma, poiché il khan rimaneva sempre ostile a mio padre, costui, temendo per la propria vita, lasciò Kumukh e si trasferì a Tsudakhar, dove dimorò fino alla morte di Aslan Khan. Poi mio padre fece ritorno a Kumukh, dove visse fino alla venuta di Shamil: allora andò presso di lui. Le tribù del Dagestan e della Cečenia e gli abitanti della pianura, quando proclamarono Shamil loro imam, fecero di mio padre il loro ustād. Shamil sposò mia sorella, Zahidat, mentre mio fratello e io abbiamo sposato le sue figlie. Cosi le famiglie di Shamil e di mio padre in qualche modo diventarono un’unica famiglia.

Dopo la conquista del Dagestan mio padre emigrò in Turchia, dove il sultano turco l’onorò con il titolo di «shaykh del Dagestan».

All’epoca dell’imāmato di Ghazi Muhammad mio padre non era d’accordo con lui quando combatteva i russi e sollevava la popolazione del Dagestan. Gli scrisse per consigliarlo di rinunciare a quelle azioni, se voleva continuare a chiamarsi suo murīd, secondo la tarīqa. Ghazi Muhammad non volle ascoltare mio padre e mostrò le lettere allo shaykh Muhammad di Kurin [che fu murīd di Jemaleddin], domandandogli l’autorizzazione di far guerra ai russi. Allora egli scrisse: «Dio Altissimo ordina nel suo libro di far guerra agli infedeli e ai senza Dio, ma Jemaleddin non me ne dà il permesso. Quali ordini devo seguire?» «Gli ordini di Dio devono essere eseguiti prima di quelli degli uomini, rispose lo shaykh Muhammad e le cose poi andarono come andarono.

In principio Ghazi Muhammad non credeva agli shaykh della tarīqa perché non li comprendeva, ma quando s’avvide della loro santità e scorse i loro miracoli, allora si penti dei suoi peccati e compose addirittura poemi in onore degli adepti della tarīqa.

Sayid Abdurrahman

shaykh Jamaluddin di Kazikumukh

Nel nome di Dio, il Clemente e il Misericordioso. Lode a Dio che conserva il mondo, gloria ai suoi grandi Profeti e ai loro successori fino al giorno della Risurrezione!

Ci sono numerose tarīqa nell’Islam, ma fra di esse sono quattro le più importanti e le più note. La prima via comincia con il magg1ore dei califfi, Abū Bakr, che la ricevette dall’Inviato di Dio Muhammad, e Muhammad da Dio stesso. Questa via si chiama la tarīqa Naqšbandi ya, poiché appartiene al khwajagan Muhammad Naqshband.

La seconda via risale al secondo dei califfi, ‘Omar, che la ricevette dal Profeta e il Profeta da Dio. Questa via si chiama la via della Qadirīya, perché appartiene al polo della santità e al modello della vera purezza, il nobile Abd al-Qadir Ghilani.

La terza via discende dal terzo dei califfi, °Utmān, possessore della perfezione della fede e genero del Profeta. Si chiama questa via la via di Djanturi.

La quarta via risale al quarto dei califfi, il leone di Dio vittorioso, Ali, lo sposo della figlia del Profeta e figlio di suo zio, Abu-Talib. ‘Ali ricevette la tarīqa dal Profeta e costui da Dio. Si chiama questa via la grande via.

Cosi il Profeta di Dio è la fonte principale delle quattro vie fra le quali la più conosciuta è la via della Naqšbandi ya. Questa tarīqa è l’unica che sia nota nel Dagestan e nelle regioni circostanti.

Narrerò adesso quale fu la silsila della sublime tarīqa Naqšbandi elencando i principali successori, dalle origini fino ai giorni nostri (possa Iddio accordarti la conoscenza di ciò che non conosci), come gli uomini pii di un tempo solevano, per insegnare la pietà ai loro discepoli, far conoscere loro i costumi dei loro shaykh e la loro

genealogia. Anch’io ti esporrò la silsila naqšbandī, e comincerò il mio discorso volgendo l’anima mia al re delle creature, al polo dei profeti, al cuore degli uomini pii, al maestro di tutte le vie dell’lslam, colui che le ricevette da Dio altissimo mediante il suo messo l’arcangelo Gabriele, Muhammad, l’eletto di Dio fra tutti gli uomini. Il profeta trasmise questa via al re, nostro signore, il più onorato tra tutti gli imām e il primo in fedeltà, Abū Bakr. Possa Dio essere soddisfatto di lui! Abū Bakr trasmise la via a Salman al-Farsi, il pellegrino che fu considerato come un membro della famiglia del Profeta.

Salman trasmise la via al piissimo imām, possessore dei doni di Dio, Qasim di Abū Bakr, che morì a Medina nel II secolo dell’egira e fu sepolto nel cimitero di Baqi.

Qasim trasmise la via all’imām degli imām che agısce secondo la Verità Ja’far figlio del fedele Muhammad [Ja’far al-Sadiq]. Era discendente di Ali, mori a Medina nel 148 dell’ egira e fu sepolto al Baqi accanto al padre e al nonno.

Ja’far trasmise la via all’imām fortificato dalla forza di Dio, al sovrano di quelli che conoscono Dio, Abu Yazid (Bayazid) Bistami, possa il suo mistero essere santificato.

Abu Yazid trasmise la via all’amico di Dio e rifugio di tutti coloro che aspirano a Dio, Abul Hasan Kharaqani.

Abul Hasan la trasmise all’imām, al polo dei poli, Abu Ali Kharmali.

Abu Ali la trasmise allo shaykh Yusuf [Abu Yaqub Yusuf| Hamadani.

Yusuf trasmise la via al rifugio del popolo, Abd al-Khaliq Ghijduvani.

Abd al-Khaliq la trasmise all’imām che s’era spogliato del suo involucro umano, al polo dei santi, lo shaykh Aref Rivgari.

Arif la trasmise all’imam che aveva rinunciato alle mire del mondo, allo shaykh degli shaykh, Mahmud Andjir al-Hanawi.

Mahmud Andjir la trasmise all’imām che s’immerse nel suo amore per Dio, noto con il nome di Hazrat Azizan, Ali al-Ramati.

Ali la trasmise all’imām che, volto interamente a Dio, dimenticò ogni altra cosa, al polo dei santi, Muhammad Baba al-Samasi.

Muhammad Baba la trasmise alla fonte dei meriti della conoscenza di Dio, al re dei grandi uomini, all’imām Sayid Amir al-Kulali.

Sayid Amir la trasmise all’imām della tarīqa, rifugio degli uomini, possessore della sublime ispirazione, al luminoforo, noto con il nome di shaykh Naqshband, ornamento della fede, Muhammad Uwais al-Bukhari.

Muhammad la trasmise a colui che fu il capo del tesoro dei misteri, al polo dei poli, lo shaykh Muhammad al-Bukhari, noto con il nome di Alauddin Attar.

Costui la trasmise all’imām, nostro signore (maulana Yaqub Charkhi di Hissar).

Costui la trasmise allo shaykh Abdallah di Samarkanda, noto con il nome di Khwaja Ahrar.

Costui la trasmise allo shaykh degli shaykh, maulana Muhammad Zahid.

Costui la trasmise a suo nipote, allo shaykh, imām, maulana Darvish Muhammad.

Costui la trasmise al suo onorevole figlio, maulana Khwaja al-Samarkandi al-Amkanji.

Costui la trasmise al polo che riempi i vasi dell’amore di Dio, al forte nella sua fede, lo shaykh Muhammad Baqi.

Costui la trasmise all’imām rivelatore dei miracoli e fonte dei misteri, allo shaykh Ahmed Faruqı Sirhindi, noto con il nome di imām Rabbani, che visse al principio del secondo millennio dell’egira.

Costui la trasmise a suo tiglio, depositario dei suoi segreti, allo shaykh degli shaykh, Muhammad Masum.

Costui la trasmise a suo figlio, sommerso nel mare delle verità, al re degli amici di Dio, allo shaykh Saifuddin.

Costui la trasmise all’imam, possessore della visione divina e della contemplazione di Dio, al re dei grandi, al sayyid Nur Muhammad di Badvan.

Costui la trasmise al sublime imām, l’eletto del sole di verità, Habibullah Maravjani.

Costui la trasmise al polo dei santi, modello della purezza, possessore della perfezione esteriore e interiore, allo shaykh Abdullah Dilhawi.

Costui la trasmise all’imām polo della rettitudine, pellegrino e adoratore di Dio, al nostro signore, luce della fede, allo shaykh Khalid di Suleymaniyeh.

Costui la trasmise all’imām rifugio del popolo e capo dei tesori della verità, al grande imām, lo shaykh Ismail di Kurdemir.

Costui la trasmise all’imām che guidava i suoi discepoli fino alla soglia della sicurezza, lo shaykh Khas Muhammad di Sirvan.

Costui la trasmise all’imām, modello delle lodi e della grandezza, nostro signore e re, lo shaykh Muhammad Efendi di Yaraglar di Kurin: possa Dio purificare il suo grande mistero!

Costui la trasmise al povero peccatore, lo schiavo che ha bisogno dell’aiuto di Dio, al Sayyid Jamaleddin di Kazikumukh: possa Iddio ornarlo delle grande grazie della sua contemplazione!

E questa la silsila degli shaykh della tarīqa, dei sublimi ustād della via Naqsbandi. Questa tarīqa fu trasmessa dallo stesso Iddio, per mezzo dello spirito dell’arcangelo, al suo profeta Muhammad, nativo della Mecca, della tribù dei hashemiti, del clan di Qurais.

Esporremo adesso le regole di questa tarīqa: possano essere chiariti i grandi misteri dei suoi adepti e possa Dio gratificarci della sua alta ispirazione!

La tarīqa Naqšbandīya consiste in una pratica costante delle migliori preghiere, cioè il ricordo (ḍikr) di Dio. Le condizioni primarie di questa via sono le seguenti:

  • colui che decide di avanzare su questa via deve innanzi tutto ubbidire totalmente al Libro e seguire il Profeta,
  • rafforzare le sue convinzioni secondo le opinioni dei successori del Profeta;
  • pentirsi Sinceramente dei propri peccati;
  • poi espiare per tutti i torti commessi;
  • avanzare senza deviazioni sulla via di Muhammad;
  • domandare perdono agli offesi;
  • applicare strettamente le prescrizioni della šarī’a;
  • sforzarsi di star lontano da tutto ciò che è contrario a Dio,
  • evitare tutti gli atti la cui origine sta nella tentazione dell’egoismo;
  • ritenere tutto ciò che compie come obbligatorio e non tralasciare nulla senza una ragione valida;
  • considerare il permesso a rinunciare a un obbligo come una proibizione e non farlo senza reale necessità;
  • preoccuparsi in ogni azione dell’essenziale;
  • praticare costumi lodevoli;
  • astenersi dal cibo copioso, dal sonno e dalla conversazione eccessiva;
  • non mangiare nulla che non sia lecito;
  • sentire un bisogno costante di Dio,
  • ricorrere a Lui dimenticando totalmente se stesso in ogni azione;
  • rigettare fuori di sé la passione per questa dimora fallace (il mondo) ed
  • essere contento della propria sorte.

Colui che assimilerà tali qualità, andrà fino al luogo della presenza del Signore Iddio.

2. Come lo shaykh riceve il giuramento (ahd) del suo discepolo (murīd) e come, nel momento in cui questi è ammesso nella tarīqa, gli conferisce l’iniziazione (taqin)

Secondo la šarī’a il termine ahd significa prendere l’impegno di compiere un atto pio e religioso, come per esempio il giuramento fatto dagli abitanti di Medina di proteggere il profeta Muhammad come proteggevano le loro mogli e i loro figli.

Talqin significa legare i cuori l’uno con l’altro finché giungano allo stesso Inviato di Dio e da lui al Signore Dio. Quest’ultimo atto è il fine sommo della silsila della tarīqa Naqšbandi ya.

Per quanto possibile gli shaykh Naqšbandi riuniscano i loro discepoli e ricevano da essi il giuramento (ahd). Prima di tutto il discepolo deve presentarsi al cospetto dello shaykh in stato di purezza assoluta. Lo shaykh pone la sua mano sulle mani del discepolo e gli dice: «Compio il ‘ahd nel nome di Dio fra te e me, sul Corano e nella via del Profeta; non commettere più gravi peccati e non persistere più nei peccati minori. Quando cadi in tale sventura, affrettati a fare penitenza e a lavare i tuoi peccati. Adempi costantemente le preghiere obbligatorie e osserva regolarmente le preghiere non obbligatorie ma utili. Agisci costantemente con ferma intenzione e ricusa i mancamenti alle regole della fede in vigore, siano essi autorizzati o no. Noi siamo tutti fratelli in Dio. Colui che sarà salvato il giorno del Giudizio ultimo prenderà il suo fratello per mano. Noi siamo i successori dell’imām della tarīqa, Muhammad Uweis al-Bukhari al-Naqshbandi, e avanziamo sulla sua via. Rammentati di Dio a ogni istante; tale ricordo [ḍikr] fa risplendere i cuori ed è la fonte di ogni bene che si ricerca».

Poi lo shaykh esige dal discepolo il pentimento dei suoi peccati e degli atti contrari alla fede che ha potuto commettere nella vita passata, ed entrambi dicono per tre volte: «Chiedo perdono a Dio il Grande, l’Unico, non c’è altro Dio fuori di Lui, il Vivente, l’Eterno e io ritorno a Lui». Poi lo shaykh benedice il discepolo leggendo il passo seguente del Corano:

إِنَّ الَّذينَ يُبايِعونَكَ إِنَّما يُبايِعونَ اللَّهَ يَدُ اللَّهِ فَوقَ أَيديهِم ۚ فَمَن نَكَثَ فَإِنَّما يَنكُثُ عَلىٰ نَفسِهِ ۖ وَمَن أَوفىٰ بِما عاهَدَ عَلَيهُ اللَّهَ فَسَيُؤتيهِ أَجرًا عَظيمًا

ʾinna lladhīna yubāyiʿūnaka ʾinnamā yubāyiʿūna llāha yadu llāhi fawqa ʾaydīhim fa-man nakatha fa-ʾinnamā yankuthu ʿalā nafsihī wa-man ʾawfā bi-mā ʿāhada ʿalayhu llāha fa-sa-yuʾtīhi ʾajran ʿaẓīman

In verità coloro che prestano giuramento [di fedeltà], è ad Allah che lo prestano: la mano di Allah è sopra le loro mani. Chi mancherà al giuramento lo farà solo a suo danno; a chi invece si atterrà al patto con Allah, Egli concederà una ricompensa immensa. (sura 48, versetto 10).

Dopo questo atto ambedue posano le mani sulle ginocchia, chiudono gli occhi e lo shaykh pronuncia in cuor suo per tre volte il nome di Dio con l’intenzione di trasmettere al cuore del discepolo, anche il discepolo pronuncia in cuor suo per tre volte il nome di Dio. Poi levano le mani e lo shaykh pronuncia una preghiera cui il discepolo risponde: «Amen,» Dopo la preghiera entrambi si asciugano il volto con le mani, il discepolo bacia il ginocchio dello shaykh, si alza e, ricevutone il permesso, va a compiere ciò che lo shaykh gli ordina.

Dovrà per sempre preservare le sue relazioni con lo shaykh e adempiere immancabilmente il giuramento fino alla morte.

3. Regole obbligatorie di deferenza del discepolo verso il suo shaykh

Sappi che colui che entra in relazione con gli shaykh deve osservare verso di essi regole obbligatorie di deferenza e di venerazione, poiché gli shaykh sono interlocutori di Dio e le relazioni con loro sono le stesse che con Dio, e l’osservanza delle regole di rispetto a Dio è il primo dovere di ogni uomo in ogni tempo. II Profeta di Dio ha detto:

«Colui che desidera sedersi con Dio, si sieda con gli uomini di Dio».

Perciò bisogna piegarsi alle regole di deferenza, e quelli che non le seguono si allontanano dalla via giusta.

Junayd di Baghdad, possa Dio purificare il suo mistero, ha detto:

«Colui che va a sedersi con questa compagnia, cioè i seguaci della tarīqa, senza mostrar loro cortesia, questi vedrà la sua fede abbandonarlo e perirà per la collera di Dio». Nel libro del Profeta è detto: «A colui che non venera il proprio maestro Dio manderà tre sventure mortali: la prima, il giorno della sua morte la lingua non potrà attestare l’unicità di Dio; la seconda, s’impoverirà durante la vita; e la terza, dimenticherà tutto ciò che sapeva».

Le regole di deferenza consistono in ciò che segue.

Il discepolo (murīd) deve compiere le proprie abluzioni prima di comparire davanti al suo maestro, perché la pulizia del corpo è la condizione necessaria per la comprensione; deve pentirsi dei suoi peccati, purificare il cuore da ogni sorta di pensieri e d’immagini delle cose.

Non deve mai entrare dal suo shaykh senza averne prima domandato il permesso e, quando entra, deve farlo con umiltà, a testa bassa, salutarlo in cuor suo e non già con parole e, dopo aver baciato la sua destra, indietreggiare fino alla porta e li rimanere finché lo shaykh non l’autorizzi a sedere nel luogo indicato.

Non deve camminare sul tappeto dello shaykh mentre gli bacia la mano, ma avvicinarglisi in ginocchio.

In presenza dello shaykh non deve intrattenere nel suo cuore alcun pensiero di questo mondo giacché i pensieri si riflettono nel cuore dello shaykh e potrebbero nuocergli. Non deve pensare di lasciare lo shaykh né mai alzare voce, ma parlare a voce bassa in modo che solo lo shaykh l’intenda,

né deve mai fissare a lungo il volto dello shaykh, poiché ciò sarebbe contrario alla convenienza, sminuirebbe la grandezza dello shaykh nel cuore e potrebbe arrestare la sua inspirazione.

Il discepolo dovrà essere come un ladro davanti a un sovrano terribile. Non deve cambiare atteggiamento verso lo shaykh, nemmeno se quello gli dice una parola brutale e lo umilia davanti ai suoi compagni.

Non deve rimproverare allo shaykh un atto contrario alla šarī’a e, se non lo comprende, dica a se stesso: «Egli lo sa meglio di me», e rammenti la storia di Khidr e Musa. Non deve mai opporsi a un ordine dello shaykh, quand’anche costui gli comandasse di gettarsi nel fuoco, poiché la sventura viene dal disubbidire allo shaykh.

Non deve mai contraddirlo anche se ha ragione, perché ciò significherebbe rompere il giuramento.

Non deve chiedere né «perché?», né «a che scopo?»,

poiché sarebbe un rimprovero. Deve essere convinto che lo shaykh fa parte dei santi di Dio e che lo protegge dai suoi avversari. Deve credere che il suo shaykh sia il sommo degli shaykh, che la sua via è la migliore di tutte, perché, se il discepolo non ne è convinto, potrà allora scegliere un altro shaykh e un’altra via, ma prenderà dapprima l’ispirazione dal suo primo shaykh.

Non deve girar troppo intorno al suo shaykh, né immischiarsi nella sua compagnia se ciò non è richiesto dal regolamento della tarīqa.

Non deve restare troppo a lungo nella casa del suo shaykh, poiché ciò potrebbe ai suoi occhi sminuire l’amore e la grandezza dello shaykh e allora l’ispirazione si esaurirebbe.

Non deve nascondere né le sue visioni né i suoi atti, poiché ciò erigerebbe un ostacolo sul sentiero che conduce alla meta.

Se gli è rivelato uno dei segreti del suo shaykh, non dovrà confidarlo a nessuno, neanche sotto tortura.

Quando vuole allontanarsi dalla presenza del suo shaykh, dovrà innanzi tutto chiedere il suo permesso e, avendolo ottenuto, baciargli la mano e il ginocchio, poi indietreggiare senza mostrargli la schiena, finché qualcosa non lo nasconda agli occhi dello shaykh.

Colui che osserva rigorosamente tali regole di convenienza profitterà grandemente della comunione [con il suo shaykh] che lo condurrà a Dio.

In caso contrario tutte le sue iniziative e il suo stesso accesso alla frequenza degli shaykh non gli frutteranno che errori e collera divina.

4. Dell’utilità dell’amore e della sua necessità per il murīd

La condizione principale di questa sublime tarīqa è l’amore. È l’amore infatti che ispira il significato stesso di questa tarīqa, cioè la sottomissione accompagnata dal sacrificio e dall’umiltà

Abū Bakr ricevette dal Profeta il primato in questa tarīqa in virtù del peso dell’amore. Poi la trasmissione passo da lui agli altri Shaykh per la forza dell’amore, e perciò si chiama tarīqa-jaḍba, forza dell’amore, cioè quella che trasmette1 i sentimenti. Perché la pressione del sentimento è all’origine del suo attaccamento a qualcuno in particolare. Senza amore non c’è pressione del sentimento e senza questo non lo si potrà fissare su qualcuno in particolare. L’amore, per la sua essenza, allontana il murīd da se stesso e gli consente di annullarsi nel suo shaykh; l’amore in altre parole fa fondere a tal punto il murīd con il suo shaykh che nessun desiderio o pensiero può comparire nel murīd senza il volere dello shaykh. Allora l’amore aspira tutto ciò che esisteva nello shaykh (la conoscenza e la contemplazione di Dio) e lo trasfonde nel murīd, sicché questi diventa una copia del suo shaykh. L’amore, simile a un amante, attira tutte le qualità dell’amato verso l’amante e ciascuno diventa simile all’altro.

Ma tale amore appartiene alla categoria delle elargizioni; è un dono speciale di Dio con il quale Dio ricompensa i suoi servi. Non si può obbligare qualcuno ad acquisirlo, poiché la costrizione non cagionerebbe altro che disgusto e ostilità.

Lo shaykh Sira di Sakty ha detto: «L’amore non spunta fra due esseri finché l’uno non dice all’altro: io sono tuo.»

Il murīd ha il dovere di amare il suo shaykh, che diventa l’intermediario fra lui e Dio perché possa giungere a contemplarlo. Lo shaykh è lo specchio in cui riflettono la verità e il volto di Dio. Quando il murīd ama il suo Shaykh, allora si manifestano in lui le qualità [dello shaykh], egli stesso comincia a contemplare il Signore Iddio senza passare per il tramite dello shaykh e diventa perfetto come lo shaykh in tutte le sue qualità. Insomma il murīd si avvicina allo Shaykh in conformità del grado d’amore e quest’amore basta per avvicinarsi a Dio. Perciò l’amore di questo gruppo [degli adepti della tarīqa] è la verità.

5 Spiegazione delle basi di questa via (la tarīqa) che il murīd deve osservare

Colui che entra in questa via deve proteggere il suo cuore dall’oblio, affinché il suo cuore sia sempre con Dio a ogni suo respiro.

Conservare la vigilanza nella respirazione conduce il cuore a sentire Dio nella vita, giacche ogni inspirazione e ogni espirazione con il ricordo di Dio conferiscono quella vita che conduce [il murīd] alla presenza di Dio, mentre ogni inspirazione e ogni espirazione effettuate nell’oblio costituiscono una respirazione della morte che interrompe la comunione con Dio. Ma proteggere costantemente la respirazione dall’oblio è cosa difficile ai neofiti che aderiscono alla tarīqa. Perciò se subentra il minimo oblio essi devono chiederne perdono a Dio con le parole: «Perdona, o Signore», poiché queste parole purificano la respirazione e li guidano al bene.

Quando il murīd cammina deve guardare i propri piedi davanti a sé e non voltarsi, affinché le immagini dei vari oggetti non si fissino nella sua memoria e non formino un velo nel suo cuore. Per la maggior parte del tempo le immagini degli oggetti fissate nel suo cuore diventano un velo, poiché i cuori puri come specchi che riflettono tutte le qualità buone o cattive, e i pensieri che vengono da un cuore grossolano si palesano con un solo sguardo sul suo volto. Il murīd deve lanciarsi dalla creatura verso il Creatore, come disse Ibrahim: «Procedo verso il mio Dio e non da una città all’altra.

Tale viaggio è detto il viaggio interiore. Il saggio shaykh di Termidh non consentiva ai suoi murīd di viaggiare e diceva loro:

Chiave di ogni bontà, chiave di ogni benedizione è la pazienza innanzi al desiderio. Quando in te si manifesta il principio della benedizione tu andrai verso Dio, sia che ciò avvenga camminando nella natura o stando immobile».

Lo shaykh Abu Bakr Daqaq ha detto: «Le sventure del murīd provengono da tre azioni: il matrimonio, lo studio dei libri giuridici vani e il viaggio prima del perfezionamento di sé.»

Cuore di colui che entra nella via dev’essere costantemente alla Presenza di Dio e, trovandosi in mezzo agli uomini, [deve] allontanarsi dal mondo. Ciò si chiama muraqaba.

Sappi che la solitudine (khalwa) può essere di due specie: quella naturale o esteriore e quella interiore, cioè la contemplazione dei misteri della Verità. La prima. la solitudine esteriore, si esercita riguardo agli uomini, affinché il mondo non distragga il murīd dalla contemplazione interiore mediante la quale diventa una creatura distaccata da tutto. La solitudine interiore e la solitudine vera e propria e appartiene esclusivamente alla tarīqa Naqšbandīya, poiché i suoi adepti non si smarriscono nella natura ma si isolano interiormente, come diceva il nostro maestro Bahauddin Naqshband:

«La nostra tarīqa è un’assemblea e una buona unione».

Per giungere allo stadio della muraqaba, il murīd deve pronunciare con la lingua la formula di negazione-affermazione: «Non c’è altro dio all’infuori di Dio», un certo numero di volte al giorno:

5.000, 10.000 o anche di più; poiché il suo cuore, come le altre parti del suo corpo, è soggetto alla ruggine degli atomi. Quando la lingua pronuncia questa formula di negazione-affermazione il cuore si purifica dalla ruggine e attinge lo stato di vigilanza e, più avanti, quello della contemplazione di Dio.

Pronunciando la formula di negazione-affermazione il murīd deve dirigere i suoi pensieri verso questo nobile motto:

Ilahi anta maqsudi wa ridaka matlubi

«Mio Dio, Tu sei l’oggetto delle mie aspirazioni e ciò che io desidero è la Tua soddisfazione»,

perché queste parole corroborano il significato della formula negativa-affermativa e accordano al cuore di colui che compie il dhikr il mistero dell’unicità di Dio, a tal punto che nel suo sguardo sparisce l’esistenza del mondo e non sussiste altro che l’esistenza del Dio Unico.

Durante il ḍikr il murīd deve conservare nel proprio cuore la comprensione esatta del significato della formula negativa-affermativa, poiché se il cuore non è interamente colmato da essa, pensieri esteriori potrebbero penetrarvi e allora il cuore non conseguirebbe lo scopo del ḍikr, cioè la sua comunione con l’oggetto del dhikr. La protezione del cuore da ogni pensiero esteriore, non foss’altro che per una sola ora, è una grande opera per gli adepti della tarīqa. Durante il ḍikr il trattenimento della respirazione deve preservare la presenza di Dio nel cuore dell’adepto. Alcuni pensano che il murīd debba conservare sempre la presenza di Dio nel proprio cuore, ma ciò dipende dallo stadio della muraqaba.

Il murīd deve arrestarsi di quando in quando e cercare di conoscere quale momento sia trascorso nella presenza di Dio e quale altro nell’oblio. Quando l’oblio sopravviene, egli deve ricacciarlo dicendo: «Perdonami, o Dio» e deve ricondurre i suoi pensieri a Dio e fissarsi in Lui. La vita di un uomo che non osserva i suoi obblighi in ciò che concerne il dhikr di Dio e il compimento delle preghiere diventa insignificante e sprofonda nei peccati e nell’oblio.

La cognizione dei momenti del tempo e la loro preservazione da tutto ciò che è contrario a Dio e la costanza nel compimento delle preghiere sono fra le più alte qualità di un murīd.

Durante il ḍikr il murīd deve trattenere il respiro e pronunciare la formula negativa-affermativa un numero dispari di volte: tre, cinque, sette, etc., fino a ventuno, durante ogni respirazione.

Quando il murīd giungerà allo stadio in cui potrà pronunciare un numero disparì dato della formula in un solo respiro, dovrà considerarne il risultato. Se ottiene qualche risultato, sarà tanto meglio, ma se non ottiene alcun risultato, lo si dovrà a qualche mancamento alle regole. II murīd deve ricominciare, sforzandosi di osservare rigorosamente tutte le regole prescritte.

Allo stesso modo colui che entra in questa via deve osservare il proprio cuore durante il ḍikr per proteggerlo dall’oblio e dai pensieri esteriori poiché, finche sussiste in lui un solo pensiero esteriore, il cuore non può presentarsi davanti all’oggetto del ricordo (Dio), anche se ci si ricordasse di Dio per tutta la vita. Mentre se il murīd sorveglia il suo cuore e lo dirige interamente verso l’Unico, si compirà in lui l’annullamento di sé in Dio; conseguirà allora lo stadio in cui non si avverte né la propria esistenza, né l’esistenza di nient’altro oltre al Creatore, e quando sarà giunto a questo stadio, allora tutto sarà compiuto.

Conclusione

Dell’utilità di frequentare gli shaykh, del loro amore e della loro venerazione

Sappi che, in tutte le sublimi tarīqa, la frequentazione degli shaykh è il mezzo più sicuro per giungere allo stadio più alto. In tutte le tarīqa la contemplazione del Creatore si ottiene con la frequentazione degli shaykh perfetti e con l’insegnamento dei maestri che sono pervenuti a Dio.

Nella piena accezione del termine, lo shaykh conduce il discepolo fino allo stadio della perfezione con la sua sola presenza, gli mostra la luce e la bellezza dell’Altissimo e gli svela il mistero dell’ascesa a Dio, senza il ricorso ad altri mezzi oltre alla pratica frequente del ḍikr, l’uso della riyaza [astensione dal cibo] e preghiere più numerose del solito. Senza l’accordo dello shaykh e senza attaccamento [rabita] a lui la riyaza non può che causare malintesi. Ciò che il murīd trova in un solo istante nell’amore dello shaykh, non lo troverebbe nella lettura di mille opere e in una solitudine che durasse mille anni. Uno shaykh perfetto guida il discepolo con l’amore e lo conduce fino allo stadio della contemplazione di Dio, stadio che non si potrebbe raggiungere con nessun altro mezzo, se non con la frequentazione degli shaykh.

Sappi che l’amicizia di uno shaykh perfetto, con tutto ciò che comprende: amore, fedeltà, concentrazione del cuore, dedizione, spirito di sacrificio, umiltà, ubbidienza, è sufficiente a riflettere la luce di Dio nel cuore di colui che cerca e ad adornarlo di quella luce.

L’attaccamento [rabita] allo shaykh e la sua frequentazione bastano a ottenere il riflesso e la bellezza del suo cuore, anche se si è lontani da lui, giacché la rabita pone il murīd sotto la tutela dello Shaykh che lo protegge in ogni circostanza, al punto che il murīd scompare nell’immagine dello shaykh, abbandona la sua propria volontà e finisce per non esistere fuori del volere dello shaykh. Allora, per il tramite dello shaykh, la luce di Dio penetra nel cuore del murīd.

Costui resta dunque in compagnia del suo shaykh finché raggiunge il grado di autonomia e finché la luce di Dio si manifesta nel suo cuore senza la mediazione dello shaykh. Perciò alcuni teologi hanno detto:

«Fai entrare il tuo shaykh nel tuo cuore, tienivelo e non farlo uscire finché tu stesso non sia diventato un conoscitore di Dio per mezzo di lui, giacché lo shaykh è la fonte d’ispirazione di Dio e colui che fa entrare quella fonte nel proprio cuore attingerá lo

stadio dell’ispirazione.» Per questo la rabita, dovunque l’adepto la compia, è tanto più utile all’adepto che è entrato in questa via [la tarīqa Naqšbandi] del ḍikr e della conservazione della purezza di cuore.

Commento del traduttore del documento

Le regole sopra esposte sono quelle della tarīqa del nobile Shaykh, fonte delle conoscenze e della grandezza, Khwaja Bahauddin Naqshband. Questa tarīqa è oggi conosciuta nel Daghestan e nei paesi vicini con il nome di tarīqa Khalidiya-Naqšbandiya.

Oggi abbiamo soltanto questa tarīqa. Colui che la segue sarà salvato dalla perdizione nella vita futura e coloro che la rinnegano o la rifiutano precipiteranno nella sventura, così come noi abbiamo potuto costatare. Ho trascritto queste regole, ed alcuni altri brani dal libro Al-Adab al-marḍiya, opera della luce dei miei occhi, del mio maestro e mio padre, che fu altresì maestro di tarīqa di tutti i dagestani, čečeni e degli altri popoli vicini, il Sayyid Jemaleddin di Kazikumukh.

Sayyid Abdurrahman

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