Muhammad-leads-earlier-Prophets-and-Angels-in-prayer
Muḥammad-leads-earlier-Prophets-and-Angels-in-prayer

Muḥammad (saw) leads earlier Prophets and Angels in prayer in Masjid al-Aqsa, Jerusalem during his Night Journey, miniature painting from Siyer-i Nebi, Istanbul, 1594-95

Secondo la tradizione, il patriarca Abramo condusse sua moglie Agar e il loro figlio Ismaele (su di loro sia la Pace) verso l’interno dell’immenso deserto a nord della penisola Araba, in una desolata valle a sud della terra di Canaan. Vennero presi dalla sete e Agar, temendo per la vita del bambino, salì su una roccia per vedere se vi fosse qualcuno che poteva aiutarli. Non vedendo nessuno corse verso un altura, anche questa volta senza esito. In preda al panico, la donna corse sette volte da un punto all’altro, finché alla fine della settima corsa, stremata, sedette a riposare su una roccia. Apparve l’angelo, che le ordinò di alzarsi e di sollevare il fanciullo. Le annunciò che Dio avrebbe creato, per mezzo di Ismaele, una grande nazione. Quando riaprì gli occhi, Agar vide una sorgente d’acqua scaturire dalla sabbia proprio nel punto in cui in tallone del bambino aveva premuto il terreno.

Da allora la valle divenne luogo di sosta per le carovane che percorrevano il deserto, poiché l’acqua era buona e abbondante: il pozzo prese il nome di Zamzam. Un giorno Abramo fece visita al figlio e Dio gli mostrò il punto esatto, vicina al pozzo, sul quale lui e Ismaele dovevano edificare un santuario. Spiegò loro come doveva essere costruito: il nome dell’edificio, derivato dalla sua forma, sarebbe stato Ka’bah, ovvero cubo. I quattro angoli dovevano essere orientati secondo i punti cardinali, e in quello orientale doveva essere collocata l’oggetto più santo: una pietra d’origine celeste e di colore nero. II grande pellegrinaggio alla Mecca, così come venne istituito da Abramo, doveva avere luogo una volta l’anno, ma altri minori potevano essere compiuti in qualsiasi momento. In numero sempre crescente, da tutte le patti dell’Arabia e da altri paesi, i pellegrini iniziarano il loro afflusso alla Mecca.

Il pellegrinaggio

Quando l’edificio della Ka’bah fu completato, Dio comandò ad Abramo di istituire il rito del pellegrinaggio alla Mecca:

“Purifica la Mia Casa per coloro che vi compiono circumambulazione, si fermano in piedi vicino ad essa e si inchinano e fanno le prostrazioni.

E proclama agli uomini il pellegrinaggio, in modo che essi possano venire a te su snelli cammelli, da ogni profonda vallata” (Corano XXII, vv. 26-27).

Con il passare dei secoli, e per vari motivi, la purezza del culto al Dio unico andò perdendosi. Anche il pozzo di Zamzam fu soppresso.

Il pozzo di Zamzam

è un piccolo spiazzo detto Hijr Ismà’il, perché sotto le pietre che lo pavimentano si trovano le tombe di Ismaele e Agar. Una notte ‘Abd al-Muttalib, mentre dormiva in quel luogo, come amava fare per essere più vicino possibile alla Casa di Dio, ebbe la visione di una figura che gli ordinava di scavare il pozzo di Zamzam, dopo avergli dato le indicazioni per trovarlo. Con il ritrovamento del pozzo venne alla luce anche il tesoro sepolto sotto la sabbia. Con abilità e coraggio ‘Abd al-Muttalib riuscì a scongiurare lo scontro tra i clan. Da allora fu stabilito che fosse il clan di Hàshim a prendere in custodia il pozzo di Zamzam.

Diretti responsabili furono i membri della tribù di Giurhum, proveniente dalla Yemen. I Giurhum si erano assicurati il controllo della Mecca, e i discendenti di Abramo lo avevano tollerato, perché una moglie di Ismaele apparteneva a quella tribù. Ma venne un tempo in cui i Giurhum cominciarono a omettere ogni sorta di iniquità, tanto da finire cacciati dalla città. Prima di partire, riempirono il pozzo con parte del tesoro del Santuario e lo coprirono di sabbia. Dopo di loro, divennero Signori della Mecca i Khuza’ah, una tribù araba discendente da Ismaele, emigrata nello Yemen e poi ritornata nel nord. Costoro non fecero alcun tentativo per ritrovare il pozzo e misero l’idolo siriano Hubal all’interno della Ka’bah.

Nel IV secolo d.C. circa, un uomo di nome Qusay, membro della tribù araba Quraysh, discendente da Abramo, sposò la figlia del capo dei Khuza’ah. Alla morte del suocero, Qusay governò la Mecca e divenne il custode della Ka’bah. Ebbe quattro figli. Nonostante il più importante e onorato, già mentre il padre era in vita, fosse ‘Abdu Manaf, il padre gli preferì come successore il meno capace primogenito ‘Abd ad-Dat.

Lo scontro si verificò nella generazione successiva, quando una metà dei Quraysh si raccolse attorno al figlio di ‘Abdu Manàf, Hashim, che era senza dubbio l’uomo più degno del tempo. La violenza era tassativamente proibita, non solo nell’area del Santuario ma anche in un raggio di molti chilometri intorno alla Mecca. Si arrivò dunque a un compromesso tra le due fazioni: fu convenuto che i figli di ‘Abdu Manaf mantenessero il diritto di esigere le tasse e di provvedere i pellegrini di cibo e bevande, mentre i figli di ‘Abd ad-Dàr avrebbero continuato a tenere le chiavi della Ka’bah e gli altri diritti. Lungo la via delle carovane e a circa undici giorni di cammello a nord della Mecca si trovava l’oasi di Yathrib, abitata da tribù di ebrei, ma sotto il controllo di una tribù araba proveniente dal sud. Questa tribù successivamente si divise in due clan, Aws e Khazraj, in lotta tra loro. Hashim chiese la mano della donna più influente dei Khazraj ed ebbe da lei un figlio, ‘Abd al-Muttalib, che fin da giovane mostrò di possedere doti di condottiero. E infatti, alla morte dello zio, a lui venne conferito il compito di nutrire e dissetare i pellegrini. ‘Abd al-Muttalib era rispettato dai Quraysh per il suo coraggio, e per le doti di affidabilità, generosità e saggezza. Gli mancava però qualcosa di molto importante per la società araba: i figli. ‘Abd al-Muttalib pregò Dio di favorirlo mandandogli figli e aggiunse alla preghiera il voto che, se fosse stato benedetto con dieci figli, avrebbe sacrificato uno di essi alla Ka’bah. La preghiera venne esaudita, e quando i figli raggiunsero l’età adulta, il padre li radunò e disse loro del patto con Dio, pregandoli di aiutarlo a mantenere l’impegno preso; li condusse al Santuario dove ognuno di loro consegnò la propria freccia perché fosse giocata a sorte. Uscì la freccia del più giovane e più amato ‘Abd Allah. Le proteste delle donne della famiglia convinsero ‘Abd al-Muttalib a consultare una saggia donna della sua città natale, Yathrib. Poiché il riscatto di un uomo stabilito alla Mecca era di dieci cammelli, la donna consigliò di gettare le sorti tra il ragazzo e dieci cammelli. Solo la decima volta la freccia cadde verso i cammelli: al posto del ragazzo si dovettero dunque sacrificare cento cammelli. Quella era la volontà di Dio, e ‘Abd Allah fu salvo. Il padre decise allora di dargli moglie e fu scelta una nipote di Qusay, la bella Amina, figlia di Wahab. Il matrimonio si celebrò nel 569, anno che precedette quello conosciuto come “l’anno dell’Elefante”.

Nascita di Muḥammad (s.A.’a.s.)

Nel 570, ‘Abd Allah fu assente dalla Mecca, poiché si era recato a commerciare in Palestina e in Siria. Sulla via del ritorno, si fermò presso la famiglia della nonna, a Yathrib, cadde ammalato e in pochi giorni morì. Grande fu il dolore di tutta La Mecca e l’unica consolazione del padre di ‘Abd Allah e della moglie Amina fu il bimbo nato alcune settimane dopo la morte del padre. Al neonato, subito portato dal nonno al Santuario e nella Casa di Dio per innalzare una preghiera di ringraziamento, fu dato il nome di Muḥammad (s.A.’a.s.).

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Abd al-Muttalib sussurra nell’orecchio dell’elefante. Istanbul, Topkapi

L’Anno dell’Elefante

Nel 570 lo Yemen era sotto la dominazione abissina, e un abissino di nome Abrahah ne era il vicereggente. Il suo obiettivo era soppiantare La Mecca quale più importante centro di pellegrinaggio, e per questo scopo fece costruire una grande cattedrale a San’à. Questo suscitò l’ira delle tribù arabe e un membro di una tribù affine ai Quraysh decise di profanare la chiesa.

La conseguenza fu che Abrahah, infuriato per questo gesto, giurò di radere al suolo la Ka’bah. A tal fine preparò un grande esercito, alla testa del quale mise un elefante, Fu solo un miracolo divino a salvare la Ka’bah dalla distruzione e l’esercito di Abrahah si ritirò, sconfitto da stormi di uccelli mandati da Dio per colpire l’armata con pietre sterminatrici.

Pochi erano gli Arabi che sapevano leggere, ma il desiderio delle famiglie nobili era che i loro figli imparassero a parlare la lingua araba pura. L’eloquenza e la bellezza del discorso erano considerati una virtù e i meriti di un uomo in gran parte erano dovuti alle sue doti di poeta e alla perfezione della sua poesia. La tribù dei Quraysh, recentemente adattata alla vita sedentaria, era incline ad affidare i propri figli a nutrici beduine, che li allevavano alla sana vita del deserto. Il piccolo Muḥammad (s.A.’a.s.) fu affidato a una donna di nome Halimah, che aveva il compito di allattarlo e di farlo crescere all’aria aperta, nei grandi spazi del deserto, con la libertà per l’anima che questo offre. Il bimbo visse nel deserto per tre anni.

La purificazione. Quando Muḥammad aveva tre anni, accadde un episodio molto significativo, che contribuì alla purificazione del suo spirito. Mentre stava giocando con il fratello di latte dietro le tende, si presentarono due uomini vestiti di bianco che recavano un bacile d’oro pieno di neve. Presero il bimbo e lo distesero a terra, gli aprirono il petto e con le mani gli estrassero il cuore. Tolsero un piccolo grumo nero, che buttarono via. Poi lavarono il cuore e il petto del bambino con la neve e lo lasciarono andare. Il racconto del fratellino che aveva assistito all’episodio allarmò la nutrice, che decise di riportare subito Muḥammad alla sua famiglia per timore che gli potesse capitare qualcosa di grave.

Quando ebbe sei anni la madre volle portarlo a conoscere i parenti di Yathrib. Durante il viaggio la donna si ammalò e morì in pochi giorni. Il nonno si prese cura del bimbo rimasto orfano, riversando su di lui tutto l’amore che aveva per il figlio morto. Due anni più tardi, sul letto di morte, affidò Muḥammad (s.A.’a.s.) ad Abu Talib, fratello del padre del ragazzo, che non fu meno affettuoso e premuroso del vecchio ‘Abd al-Muttalib.

Abu Tàlib aveva tanti figli ed era povero, e perciò il nipote si sentì obbligato a contribuire al proprio sostentamento, portando al pascolo pecore e capre: passava così molto tempo in solitudine, tra le colline sopra la Mecca.

Qualche volta lo zio lo portava con sè nei suoi viaggi; all’età di dieci anni circa, Muḥammad (s.A.’a.s.) partì insieme allo zio con una carovana di mercanti diretta in Siria. A Bostra, sulla via delle carovane dirette alla Mecca, incontrarono un monaco cristiano di nome Bahira, che conosceva la predizione di antichi manoscritti sulla venuta di un profeta per gli Arabi. Non appena vide il ragazzo ed ebbe osservato bene il suo viso, il monaco capi che quello era il profeta atteso e lo comunicò allo zio, chiedendogli di mantenere il segreto.

Il giovane Muḥammad. All’età di venticinque anni Muḥammad era di statura media, di corporatura snella, con larghe spalle; i capelli e la barba erano folti, neri e leggermente ondulati. Aveva la pelle chiara, la fronte ampia. Gli occhi, con un largo taglio ovale e ciglia lunghe e folte, erano neri secondo alcune descrizioni, castani secondo altre.

Muḥammad (s.A.’a.s.) rimase celibe più a lungo di quanto fosse solito nella società araba, a causa della sua povertà. Allora usava sposarsi tra cugini e il giovane invano chiese allo zio la mano della cugina Umm Hàni, che fu data in sposa ad un altro cugino per motivi economici e di alleanze tra i clan. Tra i più ricchi mercanti della Mecca c’era anche una donna, Khadijah, del potente clan degli Asad e lontana cugina dei figli di Hàshim. Dalla morte del secondo marito, era solita assumere uomini che commerciassero per lei. Khadijah aveva già sentito parlare di Muḥammad (s.A.’a.s.), che nella città di Mecca godeva la fama di al-Amin, “il fidato, l’onesto”. Un giorno Khadijah gli affidò l’incarico di portare alcune merci in Siria. Al ritorno dal viaggio Muḥammad (s.A.’a.s.) si recò personalmente a casa di Khadijah con le mercanzie che aveva acquistato in Siria e col ricavato delle vendite.

Khadijah era una bella donna, anche se più vecchia di Muḥammad (s.A.’a.s.) di circa quindici anni. Il guadagno non sembrò interessarla quanto il fascino del giovane stesso: in breve, mandò un’amica a combinare il matrimonio. Il giorno delle nozze la moglie donò al marito uno dei suoi schiavi, un giovane di quindici anni di nome Zayd, che divenne figlio adottivo di Muḥammad (s.A.’a.s.). All’età di trentacinque anni, per sollevare lo zio dalle difficoltà economiche, Muḥammad (s.A.’a.s.) accolse il cugino ‘Ali nella sua casa. In quell’anno i Quraysh decisero di ricostruire la Ka’bah e affidarono a Muḥammad (s.A.’a.s.) il compito di collocarvi la Pietra Nera.

Il ritiro. Muḥammad (s.A.’a.s.) amava la solitudine e la meditazione, e si recava in ritiro spirituale in una grotta del Monte Hira’, nei pressi della Mecca. Una notte, nel suo quarantesimo anno d’età, in quello che sarà poi il mese di Ramadan, tradizionalmente dedicato al digiuno e al ritiro, mentre era solo nella grotta, Muḥammad (s.A.’a.s.) vide un Angelo in forma umana, che (secondo alcune fonti) gli ingiunse di leggere. Spaventato, Muḥammad (s.A.’a.s.) fuggì dalla grotta. Raccontò l’accaduto alla moglie, che corse a riferire tutto al cugino Waraqah, un hanif (credente monoteista) grande conoscitore delle antiche scritture. Questi annunciò alla donna che il marito era il Profeta premesso. A questa seguirono altre conferme, direttamente dal Cielo sotto forma di rivelazioni. Incoraggiato dalla moglie, Muḥammad (s.A.’a.s.) cominciò a narrare dell’Angelo e delle Rivelazioni a coloro che gli erano più vicini e più cari. I primi ad accettare le regole della nuova religione, dopo Khadijah, furono il cugino ‘Ali, il figlio adottivo Zayd, e l’amico fidato del Profeta, Abu Bakr, un uomo amato e rispettato, poiché era di grande cultura, gentile e piacevole. Per suo tramite molti aderirono alla nuova religione, e anch’egli, come Khadijah, non esitò a dedicare tutte le sue ricchezze alla causa dell’Islam. Il gruppo dei credenti, uomini e donne, cresceva sempre più, anche se nessun invito ad aderire alla nuova religione era stato fatto pubblicamente.

Nei primi tempi dell’Islam i compagni del Profeta andavano sempre in gruppo a pregare, senza essere visti, nelle vallate vicino alla Mecca. Accadde che alcuni idolatri li sorprendessero in preghiera e brutalmente li coprissero di insulti. I musulmani decisero di non far uso della violenza, finché Dio avesse deciso altrimenti.

Quando Muḥammad (s.A.’a.s.) proclamò apertamente la nuova religione, i Quraysh parvero disposti a tollerarla. Ma quando si resero conto che essa si contrapponeva ai loro dei, alla loro tradizione e ai loro principi, temettero per la loro attività commerciale e si appellarono ad Abu Talib perché ponesse freno alle attività del nipote. Ma le pressioni dei Quraysh non ebbero alcun esito. I Quraysh si limitarono allora a una persecuzione capillare contro i credenti che non godevano di protezioni.

Persecuzioni. La conversione di ‘Umar non dissuase lo zio Abu Jahl dal perseguitare i musulmani. Venne stilato un documento in cui i Quraysh si impegnavano a non sposare donne del clan di Hashim, nè a dare le proprie figlie in matrimonio a uomini hashimiti, nè a vendere o comperare nulla da loro. Circa quaranta capi quraysh posero il loro sigillo su questo accordo, anche se alcuni di loro furono costretti a farlo e il documento fu depositato all’interno della Ka’bah. Il bando contro i musulmani restò in vigore per due anni senza produrre gli effetti desiderati. Infine venne ufficialmente revocato per iniziativa di alcuni capi che non lo avevano mai condiviso.

Le origini della comunità. Il numero dei credenti aumentava continuamente, malgrado la crescente ostilità dei meccani nei loro confronti. Accadde anche che il Profeta venisse aggredito ed insultato apertamente dal maggiore nemico dell’Islam, Abu-l-Hakam, rinominato poi Abu Jahl, “padre dell’ignoranza”. Il Profeta non reagì, ma si limitò ad alzarsi per fare rientro a casa. Hamza, uno zio del Profeta, venuto a conoscenza dell’accaduto, si recò prontamente alla moschea, dove era seduto Abu Jahl con alcuni Quraysh, e lo colpì sulle spalle con l’arco, con tutta la sua forza. Questi non reagì, per evitare il peggio: anche perché Hamza dichiarò davanti a tutti la sua adesione all’Islam. Questa nuova vittoria di Muḥammad (s.A.’a.s.) allarmò i Quraysh: la figura di Hamza, grande guerriero, dava all’Islam forza e protezione. Dopo questo episodio, i Quraysh ritennero necessario trovare un immediata soluzione per porre fine ad un processo che stava portando alla rovina il loro prestigio tra gli Arabi e minacciava i loro interessi. Uno di loro si recò dal Profeta, che era seduto da solo vicino alla Ka’bah, per trattare con lui; ma Muḥammad (s.A.’a.s.), oltre a restare fermo nelle sue posizioni anche davanti a offerte allettanti, continuò a rafforzare la sua comunità con fedeli sempre più influenti, come ‘Uthman, un membro del clan umayyade degli ‘Abd Shams ricco e rispettabile, e con giovani Quraysh, attirandosi ancor più l’ostilità dei loro genitori. Ben presto il Profeta si rese conto che, se egli stesso era risparmiato dalle persecuzioni, molti dei suoi seguaci ne erano vittime. Per metterli in salvo, ordinò loro di trasferirsi in Abissinia. “E’ una terra di sincerità religiosa” disse, “dove c’è un re sotto la cui tutela nessuno soffre ingiustizia”. Gli emigrati furono accolti molto bene in quella terra e fu loro accordata piena libertà di culto. Questo gruppo, composto da ottanta persone senza contare i bambini piccoli che avevano portato con sè, costituì il nucleo della prima emigrazione dell’Islam.

Alla Mecca intanto, dopo un fallito tentativo di sabotare la fuga in Abissinia, si inaspriva la persecuzione contro i musulmani rimasti. Ma accadde anche che il nipote di Abu Jahl, ‘Umar figlio di Khattab, che era stato tra i più violenti esecutori delle istruzioni dello zio contro i fedeli musulmani, abbracciasse l’Islam. Il suo coraggio lo spinse a pregare apertamente di fronte alla Ka’bah esortando i musulmani a pregare con lui.

Nell’anno 619 morì, a sessantacinque anni, Khadijah. La morte dello zio Abu Talib giunse poco dopo quella della moglie, gravando di dolore l’animo del Profeta e indebolendo la sua posizione. Nello stesso anno egli sposò Sawdah, quasi trentenne, anche lei vedova. Alcuni mesi dopo la bella e giovane figlia di Abu Bakr, ‘A’ishah, venne promessa a Muḥammad (s.A.’a.s.).

Aws e Khazraj. A Yathrib le due tribù, sempre in contrasto tra loro, cercavano alleanze con alcune le tribù ebraiche che vivevano nell’oasi. I rapporti, però, erano di reciproca diffidenza, dovuta al fatto che gli ebrei, monoteisti, non avevano simpatia per gli Arabi politeisti. Quando gli Arabi udirono che alla Mecca c era un uomo che si proclamava Profeta, le loro ricerche di alleanza si volsero in quella direzione. Una delegazione inviata dai capi degli Aws si recò alla Mecca per chiedere aiuto ai Quraysh contro i Khazraj, ma la risposta fu negativa. Durante l’attesa, il Profeta volle offrire loro qualcosa di meglio di ciò per cui erano venuti: recitò una parte del Corano. Ma essi erano restii a convertirsi. In seguito ebbe luogo il quarto conflitto tra le due tribù.

Nel 620, durante il pellegrinaggio, ad ‘Aqabah, una località vicina a Mina in direzione della Mecca, avvenne l’incontro con sei uomini di Yathrib della tribù di Khazraj, che accettarono di adempiere alle condizioni loro imposte dall’Islam.

Nel frattempo, il quarto e più aspro conflitto tra Aws e Khazraj, avvenuto nella città di Yathrib, non aveva avuto esiti decisivi e si era concluso con un accordo di tregua temporanea. I sei messi della tribù Khazraj che avevano incontrato Muḥammad (s.A.’a.s.) ad ‘Aqabah portarono il suo messaggio alla loro gente. L’estate dell’anno 621, cinque uomini rifecero il pellegrinaggio portando con sè altri sette uomini, due dei quali erano della tribù di Aws. I dodici uomini stipularono con il Profeta un patto, noto come la Prima ‘Aqabah. Un anno dopo, settantatrè uomini e due donne strinsero il secondo patto col Profeta; questo lo incoraggiò a spingere i suoi seguaci perseguitati dai Meccani a emigrare a Yathrib. In breve tempo tutti i fedeli più vicini a Muḥammad (s.A.’a.s.) abbandonarono La Mecca, ad eccezione di Abu Bakr e del cugino ‘Ali.

L’attentato. I Quraysh si accordarono su un piano suggerito da Abu Jahl per uccidere il Profeta; ogni clan doveva designare un giovane fidato. Al momento opportuno, i prescelti si sarebbero gettati su Muḥammad, sferrando ciascuno un colpo mortale. In questo modo, il sangue del Profeta sarebbe ricaduto su tutti i clan. I giovani scelti per eseguire il piano si riunirono presso la sua porta dopo il calar della notte. Ma il Profeta e il cugino ‘Ali si accorsero della loro presenza; Muḥammad diede allora ad ‘Ali il mantello verde con cui era solito dormire, chiedendogli di giacere sul suo letto avvolto nel mantello, per ingannare gli assalitori. Protetto dal velo della notte e dall’intervento divino, il Profeta uscì dalla casa, si recò da Abu Bakr e fuggì con lui verso Yathrib.

Hijrah, l’emigrazione

Il progetto di un attentato alla vita di Muḥammad (s.A.’a.s.) da parte dei Quraysh, costrinse il Profeta e Abu Bakr a fuggire. Dopo non pochi rischi e difficoltà, raggiunsero l’oasi di Yathrib il 27 settembre del 622. Muḥammad (s.A.’a.s.) fu accolto con grande entusiasmo, e subito ordinò di acquistare un cortile e di trasformarlo in moschea. Ai musulmani di Medina il Profeta dette il titolo di Ansar, ovvero “ausiliari”, mentre ai musulmani qurayshiti e delle altre tribù emigrate nell’oasi attribuì quello di Muhajirun. Le due comunità vennero rafforzate da una terza e il Profeta stipulò un accordo di mutua collaborazione tra i suoi seguaci e gli ebrei dell’oasi, riunendoli in un’unica comunità di credenti, in cui erano rispettate le differenze tra le due religioni.

In breve l’Islam si stabilì nell’oasi, che presto cambiò nome e divenne al-Madina al-Munawuarah, “la città illuminata”. Quando fu completata la costruzione della Moschea, il Profeta fece aggiungere lungo la parte orientale due piccole abitazioni. Muḥammad (s.A.’a.s.) andò a vivere con le figlie e Sawdah nella nuova casa e dopo breve tempo furono celebrate le nozze con la giovane ‘A’ishah.

In quel tempo era prevalente l’aspetto giuridico della Rivelazione, che prescriveva il digiuno e l’elemosina e stabiliva in generale ciò che era proibito e ciò che era permesso. Una rivelazione scesa non molto tempo dopo l’arrivo del Profeta a Medina, legata allo sviluppo degli eventi, concesse all’Islam il permesso di combattere. A questo punto la guerra contro i politeisti della Mecca era inevitabile. Un fallito attacco a una carovana meccana scatenò la prima battaglia tra musulmani e politeisti. I motivi del conflitto erano molti. Tra questi, la vendetta originata dalla confisca dei beni degli Emigrati da parte dei Meccani e le ormai pressanti necessità economiche, conseguenti alla crescita della comunità, il cui mantenimento era a carico degli Ausiliari. Il Profeta marciò con un gruppo armato di Emigrati e Ausiliari di circa trecento uomini. Raggiunse Badr, una località a ovest della strada costiera che va dalla Siria alla Mecca, sperando di sorprendere la carovana di Abu Sufyan, capo clan degli Umayyadi, alleato dei Quraysh. Ma questi si accorse della manovra e mise in salvo i suoi. I Quraysh, intanto, uscirono in armi per soccorrere la carovana. Il 17 marzo dell’anno 623 i Quraysh affrontarono i musulmani con un armata di mille uomini. Fu una battaglia durissima, nella quale i Quraysh persero alcuni tra i migliori cavalieri e capi dei clan, e si ritirarono alla Mecca in disfatta. In seguito, ci furono altri due scontri tra musulmani e Quraysh. In un primo tempo questi ultimi ebbero la meglio (625), ma fallirono l’attacco decisivo contro Medina (627).

Le battaglie. Durante i due anni che seguirono la battaglia di Badr, i Meccani risentirono molto delle conseguenze della perdita delle strade carovaniere lungo il Mar Rosso. L’attacco a una ricca carovana meccana diretta in Iraq, che causò la perdita di consistenti quantità di merci, rappresentò un grave danno per i Quraysh e li indusse a intensificare i preparativi di guerra, già in atto fin dalla disfatta di Badr. Lo scontro avvenne a ‘Uhud, una località a nord di Medina. Fu un grande massacro, una disfatta per i musulmani, con la perdita di parenti e compagni del Profeta. Ma questo duro colpo non indusse la comunità a rinunciare alla sfida. Nel 627 i Quraysh decisero di sferrare un attacco decisivo contro Medina. Durante l’assedio, detto “del fossato”, la tribù ebraica dei Qurayza prese le parti dei Meccani, rompendo il patto di alleanza stretto con il Profeta. Questo atto fu all’origine di un duro scontro tra musulmani ed ebrei, che ebbe gravi conseguenze per questi ultimi.

L’anno seguente il Profeta decise di recarsi con i suoi fedeli in pellegrinaggio alla Mecca. Appena seppero della avvenuta partenza dei pellegrini da Medina, i Quraysh, convocarono un consiglio nell’Assemblea. Nonostante fosse già cominciato il mese sacro, mandarono duecento cavalieri a sbarrare il passo ai pellegrini. Questi però riuscirono a cambiare percorso in tempo, raggiungendo il passo che porta a Hudaybiyah, una pianura al di sotto della Mecca, ai confini del territorio sacro. Per risolvere la difficile situazione i Quraysh inviarono Suhayl ibn-Amin, noto per astuzia e abilità, a trattare con il Profeta. L’incontro si concluse con un trattato che stabiliva un armistizio per dieci anni; inoltre, in quell’anno Muḥammad (s.A.’a.s.) e i suoi fedeli non sarebbero entrati alla Mecca contro il volere dei Meccani e in loro presenza. Il trattato stabiliva anche che chiunque desiderasse essere legato al patto con il Profeta era libero di farlo. Fu infine deciso che l’anno successivo i politeisti si sarebbero allontanati dalla città per tre giorni, per consentire al Profeta e ai suoi compagni di compiere il pellegrinaggio. L’anno successivo, in base al trattato con i Quraysh, quasi duemila fedeli compirono il rito del pellegrinaggio nella città completamente vuota, mentre gli abitanti assistevano all’avvenimento dalle alture circostanti.

Poco tempo dopo, intorno all’anno 630, un’incursione notturna compiuta da una tribù alleata dei Quraysh contro una tribù alleata del Profeta provocò un morto. Muḥammad (s.A.’a.s.) considerò questo incidente come una rottura dell’armistizio. Non potendo rimanere indifferente alla richiesta di aiuto della tribù alleata, iniziò i preparativi per una campagna contro i Quraysh. L’armata era la più grande che fosse mai partita da Medina e contava quasi diecimila uomini. Quando l’ordine d’attacco fu impartito l’armata, divisa sotto quattro comandi, entrò nella città della Mecca da quattro direzioni diverse. L’entrata vittoriosa del Profeta nella sua città natale fu celebrata solennemente: egli si fece portare prima verso la Ka’bah, quindi al pozzo di Zamzam per bere. Ritornò poi alla Ka’bah e ordinò di distruggere tutti i dipinti e gli idoli presenti all’interno dell’edificio.

Dopo la vittoria, il Profeta ritornò a Medina e iniziò a ricevere molte delegazioni da ogni parte dell’Arabia. Tra queste ci furono anche delegazioni di ebrei e cristiani provenienti dallo Yemen e da Najran. Il Profeta sottolineò gli obblighi dell’Islam, imponendo di accogliere con benevolenza i messi incaricati di riscuotere le tasse cui musulmani, cristiani ed ebrei erano soggetti, e affermò che tutti avrebbero avuto la protezione di Dio e dello Stato islamico per se stessi, i propri beni e le proprie chiese.

L’anno successivo, il Profeta uscì da Medina alla testa di oltre trentamila uomini e donne per compiere il pellegrinaggio. In questa occasione stabilì definitivamente il rito secondo le antiche regole abramiche e pronunciò un sermone che finiva con la domanda:

“O uomini, vi ho trasmesso fedelmente il mio messaggio?”. Alla risposta affermativa, alzò l’indice verso il cielo e disse: “O Dio, sii testimone!”.

Rientrato a Medina, il Profeta affrontò nuovi pericoli, anche se meno rilevanti per l’Islam, rappresentati da alcuni impostori che si proclamavano profeti.

La morte del Profeta

Un giorno, mentre Muḥammad (s.A.’a.s.) si accingeva a recarsi alla Moschea, la testa cominciò a dolergli come mai prima. Il giorno dopo, l’8 giugno 632, usci per recarsi alla moschea. La preghiera era già iniziata, Abu Bakr, che la guidava, volle cedergli il posto, ma lui gli fece cenno di continuare dicendo: “Guida la preghiera!”. Tornato nell’appartamento di ‘A’ishah, si distese sul suo giaciglio con la testa sul petto della moglie. Ella lo sentì pronunciare le ultime parole: “O Dio, con la Compagnia suprema in Paradiso”. La testa si fece più pesante sul petto della donna. ‘A’ishah adagiò la testa del Profeta su un cuscino e prese a piangere con le altre mogli.

Abu Bakr. Al momento della morte del Profeta, Abu Bakr si trovava fuori città. Rientrato a Medina, prese in mano la situazione con lucidità e fermezza. Il suo discorso nella moschea scosse profondamente i fedeli. Dopo aver reso lode a Dio, disse con fermezza:

“O gente, per chi voleva adorare Muḥammad, invero Muḥammad è morto; per chi voleva adorare Dio, invero Dio è Vivente e non muore”

Ai musulmani si presentò il problema di stabilire il successore. Abu Bakr era stato il compagno più vicino al Profeta e aveva guidato la preghiera quando questi era in vita. ‘Umar, davanti ai musulmani riuniti, prese allora la mano di Abu Bakr e gli giurò fedeltà, seguito da tutti i presenti. Grande fu il dolore di tutta la città di Medina e tutti gli abitanti si recarono, a gruppi, a rendere l’ultimo saluto al Profeta.

P.s.: il nome del Profeta viene volgarizzato in occidente in Maometto, forse dal turco Mehmet

Vedi anche:

Vita del Profeta Muḥammad di Martin Lings

La Luce del Profeta Muḥammad

I detti del Profeta

Il sermone di Addio

I novantanove nomi di Allah

Tradizione di Luce – Vite dei Profeti e Messaggeri di Hajja Amina Adil (Q.s.)
(310 pagine, pdf, 2 Mb.)