Moulay-al-Arabi-ibn-Mohammed-Darqawi
Moulay-al-Arabi-ibn-Mohammed-Darqawi

Moulay-al-Arabi-ibn-Mohammed-Darqawi

Lo sheikh al-‘Arabi ad-Darqâwi al-Hassani, visse in Marocco e vi mori nel I239 dell’egira (1823 d.C.) all’età di circa ottant’anni. Il suo ricordo è sempre vivo, e ancor oggi la sua tomba a Bú Berih, presso i Beni Zarwâl, richiama ogni anno un gran numero di pellegrini. Gli storici moderni del Maghreb e gli islamologi non ignorano la funzione del celebre sheikh come rinnovatore della confraternita Shadhili, il cui primo impulso, nel VII secolo dell’egira, aveva preso l’avvio dal Marocco per conquistare quasi tutto il mondo musulmano. Vi è tuttavia una tendenza a sottovalutare l’opera spirituale dello sheikh Darqâwi, perché s’ammette troppo facilmente che il tasawwuf è sempre più decaduto dopo un’epoca di grande fioritura, quella di Junayd, Ghazâli, Abú Madyan e Ibn ‘Arabi al-Hâtimi; tutti i sufi nati negli ultimi tre o quattro secoli sarebbero allora soltanto degli « epigoni ». Si dimentica che, nella sfera spirituale, una decadenza non può mai essere un fenomeno generale e univoco; i santi sfuggono infatti alle fatalità della storia: Spiritus ubi vult spirat.

Lo stesso al’Arabi ad-Darqâwi ha certamente parlato del «tempo d’oscuramento » in cui viveva, ma se si considera la pleiade di grandi spiriti tra i suoi discepoli, si è indotti a credere che ogni «età oscura» comporti degli sprazzi di luce. L’insegnamento dello sheikh, come risulta da questi estratti di lettere indirizzate ai discepoli, può essere paragonato a quello dei veri maestri di ogni tempo, sia per il contenuto dottrinale sia per la spontaneità spirituale. La forma d’espressione è semplice e diretta, apparentemente popolare, ma nondimeno profonda.

Lo sheikh parla solo del necessario, ed evita qualunque speculazione che sarebbe un’inutile anticipazione nei confronti del «lavoro» spirituale; il suo insegnamento resta, senza pregiudizio per l’elevatezza dello scopo, un tasawwuf soprattutto pratico, e proprio in ciò, indubbiamente, è adattato alle particolari condizioni dell’epoca. Un altro motivo per cui l’opera spirituale dello sheikh Darqâwi non viene considerata nel suo giusto valore risiede nel fatto che molti suoi discepoli, divenuti a loro volta eminenti maestri, hanno dato il loro nome a uno o all’altro ramo della confraternita.

Ma sarebbe erroneo vedere in questo il segno di una scissione, dal momento che gli appartenenti a tali differenti diramazioni non hanno mai smesso di reputarsi Darqawa, o più generalmente Shâdiiliyyah, sebbene di solito siano designati col nome del fondatore più vicino nella loro «catena» iniziatica (silsilah). Così, per esempio, il ramo fondato da Muḥammad Hassan Zâfir al-Madani, un discepolo diretto dello sheikh Darqâwi la cui attività si svolse a Misurata in Libia, è in genere conosciuto come tariqah Madaniyyah. Uno tra i maestri più insigni di tale ramificazione fu lo sherif Ali Núr ad-Din al-Yashriti, che visse dal 1793 al 1898 e fondò delle zawâya’ in Palestina e in Siria. Muḥammad al-Fâsi, anch’egli un discepolo dello sheikh Darqâwi, visse al Cairo e a Colombo, dove i suoi seguaci sono comunemente conosciuti come Shadhiliyyah. Ricordiamo infine il celebre sheikh algerino Aḥmad al-Âlawi, morto nel 1934 a Mostaghanem, che proviene da un’altra «catena» risalente allo sheikh Darqâwi.

Sheikh Aḥmad ibn Mustafa al Alawi nel 1869

Sheikh Aḥmad ibn Mustafa al Alawi nel 1869

I suoi discepoli erano diffusi in tutta l’Africa settentrionale, in Siria, nell’Arabia meridionale e perfino a Giava. Nei suoi scritti e soprattutto nelle sue poesie ritroviamo la visione aquilina dei grandi sufi del medioevo. Sarebbe facile moltiplicare gli esempi, ma quelli testè citati bastano per mostrare l’irradiamento dell’opera spirituale dello sheikh Darqâwi.

Non bisogna tuttavia dimenticare che questo irradiamento non è paragonabile a quello di un «genio» nel significato usuale del termine, di un grande pensatore, o artista o scienziato che sia; difatti un maestro sufi non «inventa» nulla: se è una fonte spirituale immediata e originale, è anche in pari tempo il canale di un’acqua che sgorga dall’origine stessa della tradizione.

La verità o realtà (haqiqah) manifestata da un maestro spirituale supera immensamente ogni individuo. Perciò la spontaneità spirituale, nei maestri del tasawwuf, non contraddice mai la loro adesione alla tradizione, tutt’altro: ciascuno di loro è «unico» proprio nella misura in cui è «erede».

Mawlây al-Arabi ad-Darqâwi si riferisce spesso al proprio maestro, lo sherif Abul-Hassan Ali ben AbdAllâh al-‘Imrâni al-Hassani, soprannominato al-jamal (il cammello). Questo maestro, da lui incontrato a Fes nel 1182 (I767-68), viveva nell’oscurità, conosciuto solo da qualche discepolo. Eppure è considerato uno dei grandi «poli» della confraternita shadhili nel Maghreb. Ma fu il suo discepolo al-‘Arabi ad-Darqâwi a diffondere l’eredità spirituale della tariqah Shadhiliyyah in tutto il Maghreb e oltre. Lo stesso sheikh Darqâwi costituì il proprio epistolario (rasâil), che venne copiato dai discepoli e stampato a più riprese a Fes in scrittura litografata. E’ tuttora letto e commentato nelle zawaya di filiazione Darqâwi. Esso è formato da circa trecento lettere.

BIBLIOGRAFIA : Al-Arabi Ad-Darqawi, Lettere di un Maestro Sufi, Editore SE