Tawassul, istigatha, tabarruk e ziyara

sayyidina Othman

A proposito di tawassul (intercessione), istighatha (soccorso), tabarruk (trarre benedizione dalle reliquie) e  ziyara (visita alle tombe)

Nel nome di Allah, il Sommamente Misericordioso, il Clemente.

La realtà dell’intercessione (al-shafa’a) e dell’invocazione per il tramite di qualcuno (al-tawassul), siano essi dei profeti e degli awliya, [1] sia prima che durante il Giorno del Giudizio, appartiene da sempre alla pratica delle Genti della Sunnah e del Consenso (Ahl al-Sunnah wa’l-Jama’ah) che, tramite una ininterrotta catena di insegnamenti dalla bocca del maestro alle orecchie del discepolo, si è riverberata dal Profeta* ai sahabah, e da questi a tutte le successive generazioni di musulmani sino ad oggi.

Solo una piccola parte della comunità sunnita ha, nel corso della Storia, osteggiato tali pratiche fondate nel Corano e nella Sunnah, e per i ricorsi della Storia, questa corrente minoritaria ha finito per imporsi nel corso degli ultimi due secoli, per lo meno in certe zone del mondo musulmano, come la voce maggioritaria dell’Islam, diffusasi anche grazie al supporto dei petrodollari sauditi, campioni per eccellenza di tale corrente dottrinale.

Al giorno d’oggi la visione “di default” dell’Islam pare essere divenuta, per alcuni, questa minoritaria corrente giuridico-teologica che rifiuta aspetti che invece sono sempre stati legittimati all’interno del millenario insegnamento dell’Islam sunnita. Qui in Occidente, terra impregnata da secoli dell’insegnamento della Chiesa Cattolica, questa versione dell’Islam può trovare alle volte largo favore presso alcuni convertiti provenienti da un retroterra cristiano, che trovano in tale declinazione della dottrina musulmana la negazione di concetti a loro precedentemente avversi come quelli di “santo”, “intermediario” o “intercessore”, senza rendersi conto che, da questo punto di vista, la dottrina cattolica e quella sunnita tradizionale hanno invece, se non una vera e propria identità di vedute, una visione comunque molto simile.

Secondo il “Lisan al-‘Arab” (vedasi la voce in questione), la parola “shafa’a” indica il significato di “intercessione, intermediazione, richiesta di perdono”. Credere nell’intercessione è un obbligo stabilito dal consenso dei sapienti, come riferito dall’Imam Abu Hanifa nel “Fiqh al-Akbar”:

L’intercessione (shafa‘a) dei profeti è reale, come pure reale e certa è l’intercessione del nostro Profeta* nei confronti di quei credenti peccatori e verso quelli di loro che abbiano commesso mancanze gravi meritevoli di punizione.

In termini assoluti, l’intercessione appartiene solamente ad Allah, che da la facoltà di esercitarla esclusivamente a chi vuole Lui (cf. Cor. 2,255; 10,3; 19,87; 43,86;), come gli angeli (cf. Cor. 21,26-28; 40,7; 42,5) e il Profeta, sia durante la sua vita terrena (cf. Cor. 3,159; 4,64; 4,106-107; 8,33; 9,80; 9,103; 9,113; 24,62; 47,19; 60,12; 63,5-6) che nel Giorno del Giudizio. Anche gli altri profeti hanno la facoltà di esercitare l’intercessione (cf. Cor. 19,97-98; 19,47; 60,4), e così pure i credenti (cf. Cor. 9,113; 59,10). I miscredenti sono però esclusi da essa (cf. Cor. 2,47-48; 2,254; 10,18; 74,48).

Le prove coraniche a favore dell’intercessione da parte degli angeli, dei profeti e dei credenti sono corroborate da numerosi ahadith profetici autentici, nei quali viene ristabilita con fermezza l’esistenza e la legittimità di tale pratica. Seguono alcuni esempi:

1. Il Profeta* ha detto:

Chiunque visiterà la mia tomba avrà garantita la mia intercessione”.

[Hadith trasmesso da al-Daraqutni, al-Dulabi, al-Bayhaqi, Khatib al-Baghdadi, al-`Uqayli, Ibn `Adi, Tabarani, e Ibn Khuzayma. Dichiarato autentico (sahih) secondo al-Subki, e buono (hasan) secondo al-Dhahabi e altri].

2. Il Profeta* ha detto:

La mia intercessione è per coloro che nella mia comunità hanno commesso dei peccati maggiori”.

[Hadith trasmesso da Tirmidhi, Abu Dawud, Ibn Majah, Ahmad, Ibn Hibban e altri. Nel suo celebre commentario al “Sahih al-Bukhari” intitolato “al-Fath al-Bari”, l’Imam Ibn Hajar al-Asqalani commenta: “ed egli non ha ristretto la sua intercessione a coloro che si pentono dei loro peccati”].

3. Il Profeta* ha detto:

Nel giorno della resurrezione sarò l’Imam dei profeti e il possessore della loro intercessione, e dico questo senza orgoglio alcuno”.

[Hadith hasan sahih, trasmesso da Tirmidhi e Ibn Majah].

4. Il Profeta* ha detto:

In verità, nel giorno del giudizio intercederò per tanti uomini quante sono le pietre e le zolle di fango sulla terra”.

[Hadith hasan trasmesso da Ahmad e Tabarani].

5. Abu Umama ha riferito che il Profeta* ha detto:

Molti uomini entreranno in Paradiso grazie all’intercessione di una certa persona, e questi saranno tanti quanti le tribù di Rabi’a e di Mundar”.

[Hadith trasmesso da Tirmidhi, Ibn Majah e Hakim, e i sapienti ritengono che l’uomo in questione sia ‘Uthman ibn Affan. Un hadith simile ha la variante: “saranno tanti quanti la tribù dei Banu Tamim”, e viene trasmesso che i compagni chiesero al Profeta: “Un uomo diverso da te?”, e che il Profeta rispose affermativamente. Si dice che questa persona sia Uways al-Qarani].

6. ‘Umar ibn al-Khattab disse:

Oh Allah! Eravamo soliti invocarti per il tramite del Tuo Profeta, e Tu ci mandavi la pioggia. Ora ti invochiamo per il tramite dello zio del Tuo Profeta [Abbas ibn ‘Abd al-Muttalib], quindi ti preghiamo di benedirci con la pioggia”.

[Hadith trasmesso da Bukhari].

7. Il Profeta* ha detto:

se un gruppo di musulmani compie cento preghiere in favore di una persona defunta – intercedendo per lui -, la loro intercessione sarà accolta”.

[Hadith trasmesso da Muslim. Un hadith simile parla di 40 uomini].

8. “Un uomo cieco venne al Profeta e disse : “Prega Allah che mi curi”. Egli disse: “Se tu vuoi io pregherò per te, ma se tu volessi essere paziente, sarebbe meglio per te”. L’uomo disse: “Per favore prega per me”. Il Profeta* gli ordinò di fare l’abluzione, di compiere una preghiera di due rak’at e di dire infine: “O Allah, ti chiedo e mi rivolgo a Te per mezzo del Tuo Profeta Muhammad, Profeta della Misericordia. O Muhammad (Ya Muhammad), io mi rivolgo al Signore per mezzo tuo per il soddisfacimento del mio bisogno. O Allah, rendilo il mio intercessore”.

[Hadith trasmesso da Ahmad, Tirmidhi, Ibn Majah, Nasa’i, al-Hakim e Tabarani, e dichiarato autentico [sahih] da Ibn Hajar, Dhahabi, Shawkani e altri].

9. ‘Umar ibn al-Khattab ha detto: “Il Messaggero di Allah ha detto:

Quando Adamo commise il suo errore, disse: “Oh Signore, ti domando per la virtù di Muhammad di perdonarmi”. Allah rispose: “Oh Adamo, come conosci Muhammad se ancora non l’ho ancora creato?”. Adamo rispose: “Oh Signore, perchè quando Tu mi hai creato con la Tua Mano e soffiato dentro me l’anima che hai creato per me, ho sollevato la mia testa e ho visto scritto sui pilastri del Trono: “La ilaha illa Allah Muhammadun Rasul Allah”, ed ho compreso che Tu non avresti mai accostato il Tuo Nome a nessuno tranne che al più amato per Te fra la creazione.” Allah disse allora: “Hai detto la verità, oh Adamo, perchè per Me lui è il più amato tra tutte le creature, e dato che mi hai chiesto per la sua virtù, ti ho perdonato. Se non fosse stato per Muhammad non ti avrei nemmeno creato”.

[Hadith autentico citato da Abu Nu`aym (in “Dala’il al-nubuwwa”), al-Hakim in “al-Mustadrak” (2:615), al-Tabarani in “Saghir” (2:82, 207) con un a catena di trasmissione contenente dei narratori sconosciuti ad al-Haytami (come detto in “Majma` al-zawa’id” (8:253), e Ibn Asakir, basandosi sull’autorità di ‘Umar ibn al-Khattab.

Hakim lo dichiara sahih in “al-Mustadrak” (2:651), al-Subki conferma l’autentificazione di Hakim in “Shifa’ al-siqam fi ziyarat khayr al-anam” (p. 134-135), e dice anche che il rigetto dell’hadith da parte di Ibn Taymiyya è erroneo, in quanto quest’ultimo ha esagerato il grado di mancanza di attendibilità di uno dei suoi trasmettitori (cioè ‘Abd al-Rahman Ibn Zayd), che per quanto debole non lo è in maniera tale da invalidare l’intera narrazione. Anche Qadi Iyad dichiara l’hadith sahih in “al-Shifa”, e lo stesso fa Ibn Jawzi in “al-Wafa bi ahwal al-mustafa”.

Altri sapienti che considerano questo hadith autentico sono: Suyuti (“al-Durr al-manthur” (2:37)), Bayhaqi, Ibn Kathir (“al-Bidaya wa al-Nihaya” (1:75, 1:180)), al-Haytami in “Majma` al-zawa’id” (8:253 #28870) e altri ancora]. [2]

Davanti a queste prove testuali, gli oppositori del concetto di intercessione sollevano in genere due obiezioni riguardanti il fatto che, benché autentica e lecita, la pratica dell’intercessione dei profeti e dei credenti sarebbe confinata da un lato al solo Giorno del Giudizio, e dall’altro, anche ammettendola per quanto riguarda periodi antecedenti, essa sarebbe subordinata al periodo in cui gli intercessori furono vivi, non essendo lecito credere che la loro intercessione possa avvenire anche dallo stato intermedio dell’oltretomba (Barzakh). Tuttavia entrambe le obiezioni sono inconsistenti, e per quel che concerne la liceità dell’intercessione anche nel periodo antecedente al Giorno del Giudizio, siano sufficienti i già citati versetti coranici 3,159; 4,64; 4,106-107; 8,33; 9,80; 9,103; 9,113; 24,62; 47,19; 60,12; 63,5-6.

Per quel che concerne invece la presunta impossibilità di intercedere dalle loro tombe ascritta ai profeti e agli awliyà, dovuta al loro essere morti, essa non tiene conto di due dati semplicissimi: il primo è che la vita terrena (dunyawi) non è una “conditio sine qua non” per poter esercitare la facoltà di intercedere rispetto alla vita barzakhi che tutti i defunti conducono nei prolungamenti post-mortem della loro individualità in attesa del Giorno della Resurrezione, perché tale facoltà è legata al permesso di Allah e non alla particolare condizione nell’esistenza dell’intercessore, sia essa dunyawi o barzakhi. A tal proposito, il Profeta ha detto:

Le vostre opere sono mostrate ai vostri antenati defunti. Se sono opere buone essi sono contenti di voi, altrimenti essi invocano Allah che possa guidarvi come in passato guidò loro”.

[Hadith trasmesso da Ahmad nel “Musnad”, e da Hakim al-Tirmidhi in “Nawadir al-usul”. Nella sua opera “Sharh al-sudur”, l’Imam Jalal al-Din al-Suyuti dedica un intero capitolo alla questione, riportando oltre cinquanta ahadith simili a questo].

Nel “Kitab al-Ruh”, l’Imam Ibn Qayyim riferisce un detto del sahabi Abu Ayyub al-Ansari, che disse:

Le opere dei vivi sono evidenti per i defunti. Se essi vi vedono un bene ne sono allietati, ma se vi vedono un male, invocano Allah che gli renda l’equivalente in bene”.

Per quanto riguarda il verso coranico:

Certo non puoi far sentire i morti, e neppure far sentire ai sordi il richiamo, quando fuggono voltando le spalle” (Cor. 27,80), lo stesso Ibn Qayyim afferma (sempre in “Kitab al-Ruh”):

“Il contesto di questo versetto dimostra che ci si riferisce ai miscredenti il cui cuore è morto […]. Esso non vuol significare che gli abitanti delle tombe sono completamente incapaci di sentire. Come potrebbe essere, se il Profeta* ci ha informato che essi odono i passi di coloro che partecipano al loro funerale? Il Profeta* ci ha anche detto che coloro che sono stati martirizzati a Badr sentono le sue parole, e che chiunque saluta i suoi fratelli credenti tra i defunti, riceve la loro risposta” (cit. in: Shaykh Zayn ibn Sumayt, “Issues of controversy”).

In secondo luogo, coloro che negano la facoltà di intercedere ai defunti non tengono conto o negano che la vita nel barzakh dei profeti e degli awliyà è ancora diversa rispetto a quella di tutti gli altri defunti. Seguono alcuni esempi tratti dalla Sunnah del Profeta:

1. Il Profeta ha detto:

Allah ha proibito alla terra di consumare i corpi dei profeti” (inn-Allaha qad `ala al-arDi an ta’kula ajsâd al-anbiya’).

[Hadith sahih trasmesso Ahmad, Ibn Abi Shayba, Abu Dawud, Nasa’i, Ibn Majah, Darimi, e altri].

2. Il Profeta ha detto:

I profeti sono vivi nelle loro tombe, in adorazione del loro Signore” (al-anbiya’u aHya’un fi quburihim yuSallun).

[Hadith sahih trasmesso da al-Bayhaqi, Suyuti, e altri].

3. Il Profeta ha detto:

La notte del mio viaggio notturno, vidi Mosè ritto in preghiera nella sua tomba” ([laylata usra bi] marartu `ala Musa wa huwa qa’imun yuSalli fi qabrihi).

[Hadith sahih trasmesso da Muslim, Nasa’i e altri].

4. Il Profeta ha detto:

Nessuno mi saluterà senza che Allah non mi restituisca l’anima per far si che possa rispondere al suo saluto” (ma min aHadin yusallimu `alayya illa radda ilayy-Allahu ruHi Hatta arudda `alayhi al-salâm).

[Hadith sahih trasmesso da Abu Dawud. A proposito dell’affermazione secondo cui Allah “restituisce l’anima al Profeta”, ciò è commentato dall’Imam al-Suyuti come “`ala al-dawam”, ossia “permanentemente”. Allah non restituisce temporaneamente l’anima al Profeta per poi riprendersela, ma gliela ritorna permanentemente, senza che egli cessi mai di essere vivo. Ibn Qayyim afferma nel già citato “Kitab al-Ruh”: “Noi sappiamo che il corpo del Profeta è nella sua tomba fresco e vivo, e quando i compagni gli chiesero come sarebbe stato possibile che i loro saluti gli si sarebbero potuti esser presentati dopo la sua morte, egli rispose: ‘Allah ha preservato i corpi dei profeti dalla consumazione nella terra’”].

5. Il Profeta ha detto:

La mia vita è di gran beneficio per voi, e così pure la mia morte. Le vostre azioni mi sono mostrate nella tomba, e se vi vedo del bene rendo lode ad Allah, altrimenti invoco per voi il Suo perdono” (Hayati khayrun lakum tuHaddithuna wa yuHaddathu lakum fa idha muttu kanat wafati khayran lakum tu`raDu `alayya a`malukum fa in ra’aytu khayran hamidtu allaha wa in ra’aytu ghayra dhalik istaghfartu Allaha lakum).

[Hadith sahih trasmesso da Qadi Iyad in “al-Shifa”, Suyuti in “Manahil al-safa fi takhrij ahadith al-shifa” e altri. Altre versioni di questo hadith riportano la variante secondo cui le azioni della ‘umma sono mostrate al Profeta ogni giovedi notte – cf. Ibn Hajar al-Asqalani in “Fath al-Bari”, e Ahmad nel “Musnad”].

6. Il Profeta* ha detto:

Io sentirò chiunque invochi benedizioni su di me presso la mia tomba, e se le invoca lontano da essa, vengo informato di esse” (Man Salla `alayya `inda qabri sami`tuhu, wa man Salla `alayya na’iyan bullightuhu).

[Hadith trasmesso con una solida catena di trasmissione (sanad jayyid), riportato da Ibn Hajar in “Fath al-Bari”].

7. Il Profeta* ha detto:

Sono in dovere di intercedere su chiunque visiti la mia tomba” (Man zara qabri wajabat lahu shafa`ati).

[Hadith hasan trasmesso da al-Daraqutni, Tabarani, Bayhaqi, al-Dhahabi e altri].

Se i profeti sono vivi, lo sono anche coloro che sono caduti nel compimento del Jihad [3], secondo l’esplicita testimonianza coranica:

Non considerare morti coloro che sono stati uccisi sul sentiero di Allah. Invece sono vivi e ben provvisti dal loro Signore, lieti di quello che Allah, per Sua Grazia, concede” (Cor. 3,169-170).

Tuttavia il Jihad è prima di tutto lo sforzo di purificazione dalle proprie passioni e di avvicinamento al proprio Signore, secondo l’hadith che afferma: “Il vero Jihad è quello che uno combatte contro la sua anima per obbedire a Dio” (hadith trasmesso da Ibn Hanbal, “Musnad”; Tirmidhi, “Fada’il al-Jihad”; Ibn Abi’l-Dunya, “Muhasaba”). Da parte sua, l’Imam ‘Abd al-Wahhab al-Sha’rani ha detto: “Il Jihad è composto di dieci parti: una è contro gli infedeli, e le altre nove sono il tuo combattimento contro te stesso”.

I martiri (al-shuhada) che partecipano della promessa contenuta nel verso dal Sacro Corano su citato sono innanzitutto gli awliyà, ossia coloro che hanno “ucciso se stessi” domando la propria anima passionale (nafs) nel compimento del “Grande Jihad” (Jihad al-Akbar), al quale tutti i musulmani sono chiamati.

Alla luce di tutte queste prove, è chiaro che il concetto di intercessione è solidamente fondato sul Corano e sulla Sunnah, e come tale legittimato all’interno della sapienzialità sunnita. Shaykh Alauddin al-Mardawi ha detto in “al-Insaf fi ma’arifat al-rajih min al-khilaf ‘ala’l-madhhab al-Imam al-mubajjal Ahmad ibn Hanbal”:

“La corretta posizione della scuola hanbalita è che è permesso, e finanche desiderabile (mustahhab), utilizzare una persona pia quale mezzo per le proprie invocazioni. L’Imam Ahmad disse ad Abu Bakr al-Marzawi: ‘Lascia che il Profeta sia un mezzo per rivolgersi supplici verso Allah’ (yatawassalu bi al-nabi fi du`a’ih)”.

Intimamente legata alla legittimità della pratica dell’intercessione, e anch’essa oggi rifiutata da una parte di musulmani che pretendono con ciò di richiamarsi all’insegnamento dei salaf, v’è la pratica della visita alle tombe dei profeti e degli awliyà [3]. Contrariamente a quanto ritengono coloro che la avversano, visitare le tombe dei profeti e degli awliyà (sia da parte degli uomini che da parte delle donne), e mettersi intenzionalmente in viaggio per ottemperare a tal compito, è anch’essa pratica riconosciuta come legittima dai sapienti sunniti. Afferma Shaykh Zayn ibn Sumayt [4] nella sua già citata opera “Issue of controversy”:

“Un hadith sahih riferito dall’Imam Muslim afferma che il Profeta disse:

“In passato vi ho proibito di visitare le tombe, ma ora vi è consentito”.

Una variante di questo hadith, riferita da al-Bayhaqi, aggiunge: “… perchè visitare le tombe ammorbidisce i cuori e fa ricordare l’aldilà”.

La nostra madre Aish’a (sia Allah compiaciuto di lei) riferisce, in un hadith riportato dall’Imam Muslim, che il Profeta si recava spesso nel cimitero di al-Baqi durante la notte, e diceva [rivolto verso le tombe]: “Pace su di voi, defunti tra i credenti; presto riceverete quanto vi è stato promesso, e se Allah lo vorrà, noi vi raggiungeremo. Oh Allah! Perdona la gente di al-Baqi!”.

Secondo alcuni sapienti, l’iniziale proibizione era relativa al fatto che ai primordi dell’Islam il Tawhid (Puro Monoteismo) non era ancora fortemente radicato in molte persone, ma risulta chiaro che, a partire da un secondo momento, la visita alle tombe è pratica non solo lecita, ma per molti finanche raccomandabile. Quando si tratta di comuni credenti, essa può avere lo scopo di essere un ricordo dell’ineluttabilità della morte e della necessità di prepararsi ad essa nel migliore dei modi, di salutare i defunti, e di invocare il perdono di Allah l’Altissimo su di loro. Trattandosi di profeti e di awliyà (che – come si è già visto – conducono nelle loro tombe una vita barzakhi superiore a quella degli altri defunti e, come d’altronde questi ultimi, sono consapevoli di ciò che accade intorno a loro, rispondendo ai saluti dei viventi e chiedendo perdono per i loro peccati), essa può avere lo scopo di chiedere la loro intercessione (tashaffu, tawassul) o il loro aiuto (istighata), e di ricevere le loro benedizioni (tabarruk), oltre che per ottemperare all’adab della visita pia.

La legittimità del Tabarruk

La legittimità del Tabarruk è inequivocabilmente sancita dal Corano (cf. 12, 93-98), e tale era anche la Sunnah del Profeta* (che la Grazia Unitiva e la Pace siano su di lui) e dei suoi compagni, come dimostrato dai seguenti esempi:

– “Una volta accadde che il Profeta* compì il wudù con dell’acqua, e quando ebbe finito, Bilal si recò dove egli aveva compiuto le sue abluzioni e prese un po’ di quell’acqua. Così i compagni erano soliti strofinare i loro corpi con quell’acqua, di modo che ognuno potesse trarre benedizioni da essa” (hadith sahih riferito da Muslim).

– Una volta il Profeta* riposava nella casa di Umm Salama, e mentre dormiva cominciò a sudare. Umm Salama prese allora una boccetta e cominciò a raccogliervi il sudore che traspirava dal corpo del Profeta. Quando egli si svegliò le chiese cosa avesse fatto, e lei disse: “Ho raccolto il tuo sudore, così che i miei figli potessero trarne benedizioni”. Il Profeta* rispose: “Ciò per cui hai sperato è corretto” (hadith sahih riferito da Muslim).

– Sayyidina Khalid ibn al-Walid aveva un elmo nel quale erano custoditi due capelli del Profeta. Durante la battaglia di Yarmuk contro i romani, il suo elmo cadde dalla sua testa a causa della furia della mischia, e Khalid scese dal suo cavallo appositamente per raccoglierlo. Dopo che la battaglia fu terminata un suo guerriero gli disse: “Il tuo elmo non era di gran valore; sei stato poco assennato a raccoglierlo nel bel mezzo della battaglia”. Khalid rispose: “In quell’elmo custodivo i capelli del Profeta, ed è la baraka che emana da essi ad avermi concesso la vittoria in tutte le mie battaglie”. (tradizione riferita da Ibn Kathir in “al-Tarikh Ibn Kathir”)

Per quel che concerne l’hadith profetico che afferma:

Non compite dei viaggi eccetto che per visitare le tre moschee [di Mecca, Medina e Gerusalemme]”,

Shaykh Zayn al-Sumayt commenta:

“Le genti del sapere hanno stabilito che questo hadith significa semplicemente che è sbagliato intraprendere un viaggio verso una particolare moschea per le sue virtù, a meno che non si tratti delle tre moschee nelle quali i meriti delle proprie orazioni sono moltiplicati. Se il senso dell’hadith fosse altro, allora non sarebbe lecito recarsi in viaggio nemmeno per recarsi ad Arafa o Mina, o per rendere visita ai propri genitori, o per ricercare la conoscenza o recarsi a combattere la guerra santa – tutte cose che ovviamente nessun musulmano afferma”.

L’hadith

“Possa Allah maledire gli ebrei e i cristiani, che trattano le tombe dei loro profeti alla stregua di moschee”, è invece così commentato:

“I sapienti affermano che questo hadith condanna coloro che si prosternano davanti alle tombe e le utilizzano come qibla delle loro orazioni con l’intenzione di onorarle, come fanno gli ebrei e i cristiani con i loro profeti. Tutto ciò è chiaramente proibito”.

Questi due ahadith non possono pertanto essere utilizzati come prove contro la visita alle tombe dei profeti e degli awliyà e alle pratiche lecite che vengono compiute presso di esse, perchè il primo si riferisce alla disapprovazione nel considerare una qualsiasi moschea migliore di altre, con l’eccezione delle tre ben note (mentre qui si parla di onorare un profeta o un wali, non una moschea), mentre il secondo è correttamente interpretabile come una condanna delle pratiche illecite (e non di quelle lecite) che vengono compiute presso le tombe, cosa sulla quale tutti i sapienti sunniti sono d’accordo. Risulta chiaro, pertanto, che la legittimità del visitare le tombe non è in contrasto col Corano e con la Sunnah, e questo tanto per gli uomini quanto per le donne. Infatti, a proposito di queste ultime, scrive ancora Shaykh Zayn al-Sumayt:

“I sapienti affermano che visitare le tombe sia desiderabile (sunnah) per gli uomini, e disapprovato (makruh) per le donne, a meno che non si tratti di una visita compiuta allo scopo di trarre benedizioni dalla visita di un profeta, di un wali o di un sapiente. In quest’ultimo caso, tale pratica è sunnah anche per le donne. [Per quanto riguarda l’hadith che afferma: “Possa Allah maledire qulle donne che visitano frequentemente le tombe”], i sapienti lo interpretano in riferimento a quelle donne che visitano le tombe per il gusto di piangere e lamentarsi, com’è loro costume. Tali visite sono proibite, a differenza delle visite che sono libere da questo modo di comportarsi”.

La questione dell’Istighatha

Il termine “Istighatha” (e il suo omologo “Isti’ana”) indica il soccorso che viene in aiuto al credente, e che in termini assoluti proviene unicamente da Allah. Dice Shaykh Muhammad al-Kawthari:

Se qualcuno cerca il soccorso di un profeta, un wali, o di un’altro essere creato, nella presunzione che egli sia onnipotente al pari di Allah – ebbene – questo è associazionismo (shirk), e non potrà mai essere considerato lecito. Similmente, chi crede che solo Allah sia onnipotente, ma ritiene altresì che Egli possa aver delegato parte del Suo potere a un angelo, un profeta o un wali, il quale può esercitare un’autorità e un potere indipendenti da Allah, anche questo è associazionismo, e dunque proibito.”

A conferma di ciò, Shaykh Muhammad al-Hamid ha detto (cfr. “The Reliance of the Traveller”, p. 940):

“Coloro che credono che quanti vengono chiamati in soccorso possano possano agire in modo benevolo o malevolo nel senso che creano o esistenziano qualcosa in modo simile a quanto è solo in potere di Allah fare, tali persone sono fuori dall’Islam.”

E’ quindi chiaro che l’origine e la causa prima del soccorso che viene ai credenti è soltanto Allah, al quale solo è necessario rivolgersi in senso assoluto. Il Sacro Corano dice quel che significa:

Te solo noi adoriamo e a te solo chiediamo soccorso” (Iyyaka na’budu wa iyyaka nasta’in) [Cor. 1, 5] [5]

Tuttavia, nella misura in cui non si attribuisce loro un potere d’azione che prescinde da quello di Allah, è del tutto legittimo chiedere ad Allah un soccorso per il tramite di un suo servitore, sia esso un angelo, un jinn benevolo, un profeta o un wali. In questo senso, l’istighatha e l’isti’ana sono sinonimi di tawassul e tashaffu’, e in quanto tali sono pratiche del tutto legittime all’interno dell’ortoprassi stabilita dalle genti della Sunnah e del Consenso.

Per quel che concerne le prove (dala”il) circa la legittimità dell’istighatha, nel “Sahih al-Bukhari” è riportato come la nostra madre Agar (pace su di lei), quando corse tra Safa e Marwa in cerca d’acqua per suo figlio Ismaele (pace su di lui), udì una voce alla quale gridò: “Oh tu che ho udito! Se c’è un aiuto (ghawth) da parte tua, allora aiutami!”. Dopo di ciò, le apparve un angelo che fece scaturire la fonte di Zamzam.

Abu Ya’la, Ibn al-Sunni e al-Tabarani in “al-Mu’jam al-Kabir” riportano che il Profeta (che la Grazia Unitiva e la Pace siano su di lui) disse: “Se qualcuno di voi perde qualcosa o cerca il soccorso di un soccorritore (ghawth) mentre si trova in un luogo dove non c’è nessuno di amichevole, che dica: ‘Oh servitori di Allah, aiutatemi’ (ya ‘ibad Allah, aghituni), poichè invero Allah ha dei servitori che voi non vedete”.

[Al-Haytami riporta che questo hadith è attendibile, nonostante il grado debole di alcuni suoi trasmettitori. Una variante di questo hadith, riportata da Tabarani in “Al-Kabir” e classificata come buona (hasan) da Ibn Hajar, afferma: “Allah ha sulla terra degli angeli diversi dai due che registrano le azioni degli uomini, i quali tengono persino il conto delle foglie che cadono sul terreno. Pertanto, se qualcuno si smarrisce in una landa desolata, che dica: ‘Soccorso, oh servitori di Allah! Possa Allah aver misericordia di voi!’ (a’iun ‘ibad Allah rahimakum Allah!)]

Alla luce di questi ahadith, al-Shawkani afferma in “Tuhfat al-dhakhirin”:

“Negli ahadith del soccorso (a’iun) v’è la prova del fatto che è permesso chiedere l’aiuto dei servitori invisibili di Allah, siano essi angeli o jinn benevoli, e non v’è nulla di male nel far ciò, proprio come non v’è nulla di male nel chiedere l’aiuto di un altro essere umano quando se ne ha bisogno”.

I “servitori di Allah” non sono solo gli angeli e i jinn benevoli, perchè è proprio alle genti della Sunnah e del Consenso comprendere con questa definizione anche i profeti e gli awliyà. Shaykh al-Zahawi afferma in “al-Fajr al-Sadiq”:

Non v’è nessuna prova per sostenere che i ‘servitori di Allah’ qui citati siano solo angeli o jinn benevoli, ad esclusione di tutti gli altri. […] Al-Subki, al-Qastallani e al-Haytami dicono che il soccorso dei profeti e delle persone pie è solo un modo di implorare Allah per mezzo della loro dignità e del loro onore (bi jahihim). Colui che chiede il soccorso implora Allah affinchè egli assegni un aiuto (ghawth) di parte di chi è più elevato di noi stessi, e pertanto chi viene realmente chiamato in aiuto è Allah. Il Profeta non è che un intermediario […] e il suo soccorso è una causa seconda (tasabbuban) e l’acquisizione (kasban) di qualcosa che viene concesso da Allah.”

Per quel che riguarda il soccorso proveniente dal Profeta, è riportato che una notte la madre dei credenti Maymuna lo udì dire tre volte “eccomi!” (labbayk), e poi ancora tre volte: “ti è accordato” (nusirta). Maymuna chiese al Profeta cosa stesse succedendo, ed egli rispose: “Stavo parlando con un uomo della tribù dei Banu Ka’ab, che chiedeva il mio aiuto contro i Quraysh”. Il giorno dopo, al termine della preghiera del fajr, Maymuna udì quell’uomo gridare per le strade di Medina: “Oh Messaggero di Allah (Ya Rasulu-Llah)! Soccorrici e chiama a soccorso i servitori di Allah!” [FONTE]

Un’altro hadith riportato nel “Sahih al-Bukhari” riporta che:

nel Giorno della Resurrezione la gente chiederà il soccorso di Adamo (istighathu bi Adam), quindì quello di Mosè, quindi quello di Muhammad, che intercederà per loro (fa yashfa’u) […]. Quel giorno Allah lo eleverà alla Stazione Lodata (al-Maqam al-Mahmud), e tutti lo glorificheranno (yahmaduhum ahlu’l-jam’i kulluhum)”.

Ancora, nel “Musnad” dell’Imam Ahmad ibn Hanbal (4, 217) è riportato che quando Gesù (pace su di lui) scenderà nuovamente sulla terra per combattere e distruggere il Dajjal, una voce griderà tre volte:

“Oh uomini, il Soccorritore (al-ghawth) è giunto a voi!

Come già si è potuto osservare sopra, non v’è alcuna fondatezza nell’obiezione per la quale il soccorso o l’intercessione che i profeti e gli awliyà possono operare nel corso della loro vita terrena (dunyawi) venga a mancare nel momento in cui passano da questa alla loro modalità di vita ultra-terrena (barzakhi). Lo Shaykh ‘Ali Mahfuz al-Azhari (che era peraltro un estimatore dello Shaykh Ibn Taymiyya) scrisse in “al-Ibda’”:

Non è corretto asserire che, dopo la loro morte corporale, i grandi awliyà non si occupino più degli affari terreni, come curare le malattie, salvare chi sta per annegare, sconfiggere i nemici in battaglia o ritrovare qualcosa che si è perduto. […] Che siano viventi o defunti, Allah benedice chi Egli vuole tra i suoi awliyà, e tramite i miracoli (karamat) che concede loro, Egli cura le malattie, salva chi sta annegando, sconfigge i nemici in battaglia e fa ritrovare le cose perdute. Questa è una cosa che la logica suggerisce esser possibile, e che il Sacro Corano conferma possa avvenire”.

L’istighatha, l’isti’ana, il tawassul, il tashaffu’, il tawajjuh, e l’invocare “Ya [fulan] madad/adrikni” sono tutti aspetti diversi di una medesima pratica legittima, ossia quella di invocare Allah per il tramite di un intermediario. Se paragoniamo Allah ad un re, i suoi angeli, profeti e awliyà ai ministri del re, e i credenti ai suoi sudditi, e se teniamo conto del fatto che solo e soltanto il re potrà mai esaudire le suppliche dei suoi sudditi, costoro possono supplicarlo rivolgendosi a Lui direttamente ed eventualmente in nome dei meriti dei suoi ministri, oppure rivolgersi direttamente ai ministri che intercederanno per i sudditi presso il loro Signore, oppure esaudiranno direttamente le loro suppliche attraverso il potere che il re concede loro – e questi ultimi sono precisamente i miracoli dei profeti (mu’jizat) e degli awliyà (karamat).

L’istighatha è pertanto pratica propria alle genti della Sunnah e del Consenso, la cui legittimità è stata ribadita da numerosi sapienti come al-Kawthari, al-Ramli, al-Habib ‘Umar ibn Hafiz, Ibn Hajar al-Haytami, al-Subki, al-Abdari, al-Nabahani, e molti altri.

E Allah è più sapiente. Ogni lode appartiene ad Allah, il Signore dei mondi.

NOTE

[1] Il termine “wali” (plurale: “awliyà”) indica letteralmente gli “amici intimi” di Allah (cfr. Cor. 10, 64), e si basa sull’assunto per cui i credenti si suddividono in gradi di eccellenza (cfr. Cor. 58, 11) dovuti ad un maggiore o minore timor di Dio (taqwa), conoscenza (‘ilm; irfan), e via discorrendo. Il concetto di “Walaya” è parte integrante del credo delle genti della Sunnah e del Consenso (vedasi il punto 99 della ‘Aqida Tahawiyya), e risulta chiaro che esso non può essere considerato come un semplice sinonimo di “pio credente” (come invece si vuol far credere in certi ambienti), assumendo piuttosto un significato analogo ma non identico a quello dei “santi” del Cristianesimo. Ad esempio, il Profeta ha detto:

Nella mia comunità vi sono trenta sostituti sostituti (abdal). Il loro cuore è simile a quello di Abramo, l’amico intimo dell’Universalmente Misericordioso (khalil al-Rahman), ed ogni volta che uno di loro muore, Allah lo rimpiazza con un’altra persona”.

[hadith autentico riferito dall’Imam Ahmad ibn Hanbal. Lo stesso Ibn Hanbal riferisce in “al-Musnad” – in un hadith autentificato da al-Haytami – che l’Imam ‘Ali ibn Abi Talib ha riferito che gli abdal sono 40, e che vivono in Siria. L’esistenza degli abdal è confermata anche dallo Shaykh Ibn Taymiyya in “‘Aqida al-wasitiyya”, che scrive: “Si può dunque dedurne che il gruppo salvaguardato è quello composto da coloro che praticano un Islam puro e senza alterazione; sono gli adepti della Tradizione profetica (al-Sunnah) e della Comunità (al-Jama’ah), ivi compresi i veridici, i martiri, i pii e i precursori della retta guida. Ne fanno anche parte coloro le cui buone azioni sono riconosciute e le cui virtù sono citate ad esempio, i sostituti (abdal) e le guide (imam) riconosciute come tali dall’insieme dei Musulmani”.

Si osservi che la traduzione italiana della “‘Aqida wasitiyya” raduce l’espressione “gli abdal e gli imam” con “gli imam della fede e i sapienti nella religione”, cancellando così ogni riferimento agli abdal dalle parole dello Shaykh.]

[2] Come già accennato, questo ahadith viene contestato da Shaykh Ibn Taymiyya per via della debolezza di uno dei suoi trasmettitori (‘Abd al-Rahman ibn Zayd ibn Aslam), e anche al-Bayhaqi lo cita come debole in “Dala’il al-nubuwwa”, per lo stesso motivo.

La critica di Ibn Taymiyya riguarda però solo il testo dell’hadith, e non il suo significato. In “Majmu`at al-fatawa” (volume sul Tasawwuf, 11:95-97), lo shaykh scrive infatti: “Muhammad è il capo dei figli di Adamo, il migliore della creazione e il più nobile di fronte ad Allah. Qualcuno ha detto che Allah ha creato l’Universo solo per lui, e che se non fosse per lui, Allah non avrebbe creato il Trono, i cieli, la terra, la luna e il sole. Questi non sono hadith autentici, ma possono essere spiegati da un corretto punto di vista. […] quindi la completezza e il perfezionamento della creazione sono stati raggiunti con Muhammad, che la pace e le benedizioni di Allah siano su di lui […] e non può essere negato che dire “per lui sono state create tutte le cose” oppure “se non fosse per lui, tutto questo non sarebbe stato creato” sia accettabile, se interpretato alla luce di quanto indicano il Libro e la Sunnah”.

Alla luce di ciò, risultano pertanto da rigettare le affermazioni di Shaykh Ibn Baz e di Shaykh Nasir al-Din al-Albani circa la non-autenticità di questa tradizione profetica.

[3] Nel Fiqh viene affermato che una tomba non dovrebbe elevarsi per più della lunghezza di un palmo della mano, ed è considerato disapprovato (makruh) o vietato (haram) elevarla ulteriormente o costruirvi sopra. Secondo alcuni sapienti tale divieto non riguarda però le tombe dei profeti, degli awliyà e delle persone importanti (un pio sovrano o condottiero, un grande sapiente, eccetera), per i quali l’edificazione di cupole e mausolei, e l’abbellimento delle loro tombe, è pratica permessa e per certi sapienti finanche desiderabile (mustahhab). Uno dei più eminenti giuristi hanafiti della storia, Shaykh ‘Abd al-Qadir al-Rafi, afferma in “Taqrirat al-Rafi”:

“Nel commentario coranico dal titolo “Ruh al-Bayan” [dell’Imam Isma’il Haqqi], l’autore commenta il verso coranico che dice: ‘Badino alla cura delle moschee di Allah solo coloro che credono in Allah e nell’Ultimo Giorno, eseguono l’orazione, pagano la decima e non temono altro che Allah’ (Cor. 9,18) in questo modo: ‘Shaykh ‘Abd al-Ghani al-Nabulusi dice in ‘Kashf al-Nur`an Ashab al-Qubur’ che le buone innovazioni che sono in fondamentale accordo con la Legge Sacra hanno anch’esse il nome di Sunnah. [8] Pertanto, edificare strutture sulle tombe dei sapienti e degli awliyà, e coprire quest’ultime con stoffe e turbanti, è lecito se l’obiettivo è ispirare reverenza nei loro confronti agli occhi delle persone comuni, di modo che non disdegnino coloro che occupano quelle tombe’”.

[4] Al-Habib Zayn al-Sumayt è uno dei più importanti giuristi contemporanei della scuola sciafeita, e maestro sufi della Tariqa Ba’alawiyya.

[5] Come si può vedere nel proseguio del testo, questo non significa che non sia lecito chiedere il soccorso di altri che Allah, nella misura in cui questo soccorso viene inteso come causa seconda, di cui la causa prima rimane sempre e solo l’Altissimo. Tutti i versi coranici e gli ahadith profetici che insistono sul fatto che “bisogna chiedere solo ad Allah” vanno interpretati nel senso che bisogna considerare solo Allah quale causa prima del soccorso che ci viene prestato, e non nel senso che sia illecito ricorrere al tawassul o all’istighatha (cfr. Muhammad al-Kawthari, “Mahq al-Taqawwul fi Mas’ala al-Tawassul”).

N:B. Questa splendida nota  curata del nobile fratello Talib (Dio lo compensi) è stata prelevata  dal suo blog personale che in seguito fu cancellato, era tutta corredata da precisi riferimenti che purtroppo non mi è stato possibile recuperare per intero. E’ un lavoro importante che fa luce su un tema giuridico  dottrinale fondamentale, era assolutamente necessario recuperarlo e condividerlo (Dio mi Perdoni)


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