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Dal libro “Îmân e Islâm”, “Iʻtiqâd-Nâma”, di Mawlânâ Diyâʼ Al-Dîn Khâlid Al-Baghdâdî

Nei libri dei sapienti della gente della Sunna e della comunità non c’è traccia di espressioni quali «salafismo» (salafiyya) o «scuola salafita» (al-madhhab al-salafiyya). Si tratta, difatti, di neologismi creati da wahhabiti e lâ-madhhabî che si sono diffusi presso i turchi attraverso la traduzione dei loro libri dall’arabo al turco, ad opera di uomini di religione ignoranti. Uno di questi ebbe a scrivere quanto segue:

Prima che si affermassero la scuola Ash’arita e quella Maturidi, era diffusa una dottrina, seguita da tutti i sunniti, denominata scuola salafita, che prendeva a modello la via dei Compagni (sahâba) e dei loro Seguaci (tâbiʻûn) – che Allah sia soddisfatto di loro! Questa scuola venne poi conosciuta come la scuola dei Compagni, dei Seguaci dei Compagni (tâbiʻûn) e di coloro che vennero dopo i Seguaci dei Compagni (atbâʻ altâbiʻîn), e ad essa aderirono anche i grandi imâm dei quattro madhhab. Di fatto, il primo libro a prenderne le difese è proprio il Fiqh al-akbar (Il sapere supremo) dell’Imâm supremo Abû Hanîfa. Più tardi l’Imâm al-Ghazâlî, nel libro intitolato Iljâm al-ʻawâm ʻan ʻilm al-kalâm (Dissuasione dei profani dallo studio della teologia speculativa), esporrà i sette principi o fondamenti dei salafiti (al-mabâdî’ al-sabʻa li al-salafiyyîn), e con lui prenderà avvio la teologia speculativa moderna. Dopo aver studiato e sottoposto ad un’accurata disamina tanto le dottrine dei primi teologi speculativi, quanto gli insegnamenti dei filosofi musulmani, l’Imâm al-Ghazâlî operò modifiche ed emendamenti ai principi della teologia speculativa, disciplina nella quale, benché mirasse a epurarla da essi, sancì di fatto l’intrusione degli esiti delle indagini filosofiche. Dall’unione della filosofia e della teologia speculativa, al-Râzî e al-Âmadî diedero poi vita a una scienza dotata di caratteristiche proprie. Al-Baydâwî, a sua volta, conciliò la filosofia e la teologia in modo tale che in seguito divennero indistinguibili l’una dall’altra. Se in un primo momento fu proprio la teologia speculativa dei moderni a impedire la diffusione della scuola salafita, in seguito questa conoscerà il suo apogeo ad opera di Ibn Taymiyya e del suo allievo Ibn al-Qayyim al-Jawziyya. Col passare del tempo finì, poi, per separarsi in due correnti: da un lato, i salafiti antichi che si guardavano dall’investigare i dettaglidella realtà degli Attributi di Allah – Eccelso e Maestoso – e le fonti scritturali prive di significato esplicito (al-nusûs al-mutashâbiha); dall’altro, i loro epigoni, intenti all’opposto a dare a queste cose un’esposizione particolareggiata – atteggiamento questo oltremodo evidente in Ibn Taymiyya e Ibn al-Qayyim al-Jawziyya. Considerati insieme, i propugnatori di queste due correnti interne al salafismo, l’antica e la moderna, si fecero conoscere come «gente speciale della Sunna» (ahl al-Sunna al-khâssa). Mentre i teologi speculativi appartenenti alla gente della Sunna non scartarono la possibilità di far ricorso all’interpretazione allegorica di alcune fonti scritturali, i salafiti si opposero a tale pratica e al contempo presero le distanze anche dagli assimilazionisti (mushabbiha), affermando che il Volto di Allah e il Suo «venire» (majî’) non potessero essere assimilati al volto e al «venire» propri dell’essere umano».

Ciò che qui si vuol dare a intendere, che cioè le proposizioni della scuola ashʻarita e di quella maturidita risalirebbero a un’epoca posteriore al periodo formativo dell’Islam, non corrisponde affatto al vero. Invero i due eminenti imâm che furono a capo di quelle scuole non fecero altro che dare un’interpretazione delle conoscenze religiose e teologiche diffuse presso i pii predecessori, codificandole e formulandole sistematicamente per renderle accessibili alla comprensione dei giovani. L’Imâm al-Ashʻarî era parte di una catena di discepoli che risaliva all’Imâm al-Shâfiʻî – che Allah l’ Altissimo abbia misericordia di entrambi! –; mentre l’Imâm al-Mâturîdî era inserito in una catena di eminenti discepoli che facevano capo all’Imâm Supremo Abû Hanîfa – che Allah l’Altissimo abbia misericordia di loro! Entrambi si mantennero sempre aderenti ai loro rispettivi madhhab e non ne fondarono altri. Assieme ai loro maestri e agli imâm dei quattro madhhab, furono parte di un’unica scuola, nota come scuola della «gente della tradizione profetica e della comunità» (ahl al-Sunna wa al-jamâʻa), le cui credenze erano del tutto in linea con le credenze dei Compagni, dei Seguaci dei Compagni e di coloro che vennero dopo i Seguaci dei Compagni – che Allah sia soddisfatto di tutti loro! Il libro al-Fiqh al-akbar (Il sapere supremo) dell’Imâm Supremo Abû Hanîfa – che Allah abbia misericordia di lui! – prende le difese della scuola della gente della Sunna e della comunità e, in esso, non ricorre affatto il termine salafismo, come del resto non ricorre nel libro dell’Imâm al-Ghazâlî Iljâm al-ʻawâm ʻan ʻilm al-kalâm (Dissuasione dei profani dallo studio della teologia speculativa). Questi due libri, assieme al Qawl al -fasl (La parola decisiva),[[1]] che è un commentario del Fiqh al-akbar (Il sapere supremo), composto da più di 400 pagine, in realtà, fanno conoscere la scuola della gente della Sunna e della comunità e costituiscono una confutazione delle tesi dei filosofi e dei gruppi che portarono innovazioni. Nel caso specifico del libro intitolato Iljâm al-ʻawâm ʻan ʻilm al-kalâm (Dissuasione dei profani dallo studio della teologia speculativa), in esso si dice quanto segue:

  • Sappi dunque che la verità chiara e netta, su cui non fa presa il dubbio, presso la gente della visione interiore (ahl al-basâir), è rappresentata dalla scuola dei predecessori (madhhab al-salaf), ossia la scuola dei Compagni e dei Seguaci (tâbiʻûn), della quale darò un’esposizione e illustrerò la prova dimostrativa (burhân). Per questo dichiaro che la realtà della scuola dei predecessori, che presso di noi rappresenta il vero, è che chiunque tra i profani sia raggiunto da una di queste notizie è tenuto a fare in merito ad esse sette cose (sabʻa umûr) […]

Da quanto riportato, risulta evidente che il libro Iljâm al-ʻawâm fa in realtà riferimento alle sette cose (sabʻa umûr) che è tenuto a fare il profano venuto a conoscenza dei capisaldi della scuola dei predecessori (madhhab al-salaf). Di conseguenza, l’espressione «i sette principi dei salafiti» (al-mabâdî’ al-sabʻa li al-salafiyyîn) riferita nel testo riportato più sopra, altro non è che un’alterazione dell’espressione usata dall’Imâm al-Ghazâlî e una menzogna fabbricata ai suoi danni. Il termine «salafiti» (salafiyyûn), d’altronde, non viene attestato nemmeno in altri libri dei sapienti della gente della Sunna e della comunità. Nel Durr al-mukhtâr (Le perle scelte), per esempio, un autorevole testo di diritto islamico, nella sezione dedicata alla professione di fede (kitâb al-shahâda), l’autore afferma:

Il termine «predecessori» (salaf) è usato per indicare i Compagni e i Seguaci, ai quali ci si riferisce anche con l’espressione «i pii predecessori» (al-salaf al-sâlihun). Vengono chiamati invece «successori» (khalaf) i sapienti della gente della Sunna che vennero dopo i pii predecessori.

A parte i Compagni e i Seguaci, si conviene peraltro includere nel novero dei pii predecessori anche gli appartenenti alla generazione che venne subito dopo quella dei Seguaci (atbâʻ al-tâbiʻîn). E se da una parte è indubbio che l’Imâm al-Ghazâlî, l’Imâm Fakhr al-Dîn al-Râzî e l’Imâm al-Baydâwî, gloria dei commentatori del Corano, si riconobbero tutti nella scuola che prese avvio da quei grandi, è del pari certo che i gruppi che in quella stessa epoca introdussero innovazioni a livello dottrinale se ne discostarono e assimilarono la scienza delle credenze (ʻilm al-ʻaqâ’id) alla filosofia, formulando a partire da questa disciplina i presupposti teorici della loro fede.

Più tardi, Abû al-Fath Muhammad ibn ʻAbd al-Karîm al-Shahrastânî (m. Shahrastân 548/1153) si diede cura di mettere insieme le credenze di quei gruppi, fornendone ragguagli dettagliati nel suo Kitâb al-milal wa al-nihal (Libro delle sette e delle credenze).

I tre imâm appena menzionati si ersero in difesa delle dottrine della gente della Sunna e confutarono in modo ineccepibile e convincente le tesi filosofiche di quei gruppi innovatori, arrivando alla fine a vanificare i presupposti teorici su cui erano fondate. Lungi dal derivare dalla fusione della filosofia e delle teorie della scuola della gente della Sunna, le risposte date furono bensì il risultato dell’emendamento della teologia speculativa dalle teorie filosofiche che vi avevano fatto irruzione.

Difatti, tanto nel commentario del Corano dell’Imâm al-Baydâwî che nelle glosse interpretative di gran pregio e interesse poste in margine allo stesso dallo Shaykh Zâdah, non è possibile rinvenire alcuna traccia delle tesi filosofiche, né tanto meno di una metodologia filosofica. Pertanto, le argomentazioni malevole che gli attribuiscono una metodologia filosofica, come quelle avanzate da Ibn Taymiyya nel suo libro al-Wâsita (L’intermediario), non sono altro che subdole insinuazioni ai danni di quegli eminenti imâm. Costituisce, inoltre, una discriminante cruciale tra la verità e l’errore asserire che Ibn Taymiyya e il suo discepolo Ibn al-Qayyim al-Jawziyya avrebbero riportato in vita la scuola salafita e si sarebbero dati da fare in tal senso. Prima di loro, a ben vedere, non era mai esistita una scuola denominata salafita, tale da dover essere riportata in vita.

Esisteva, semmai, una scuola con una credenza corretta che andava sotto il nome di «scuola della gente della Sunna e della comunità» dalla quale essi evidentemente deviarono.

Cosicché può ben dirsi che Ibn Taymiyya fu responsabile della corruzione della scuola della verità e che da lui presero poi le mosse molte di quelle innovazioni che più tardi sfoceranno nell’emergere della calamità wahhabita.

Le innovazioni da lui introdotte esercitarono, infatti, un enorme ascendente sul pensiero dei wahhabiti, dei lâ-madhhabî e dei riformatori religiosi, e costituirono un riferimento costante nei loro libri e nei loro articoli. Questi, scritti da gente che a sua volta si era perduta, sono stati poi causa della perdizione di tanti altri. Per ingannare i musulmani e convincere i giovani che sono loro a seguire la via della verità, hanno fatto ricorso a espedienti ignobili.

Hanno trascinato gli altri sul cammino tracciato da Ibn Taymiyya facendo passare le innovazioni che questi aveva introdotto per dottrine autentiche e corrette, e hanno forgiato il termine salafismo per designare i pii predecessori. Come se ciò non bastasse, hanno poi cominciato a denigrare i sapienti dell’Islam, gli autentici epigoni dei pii predecessori, oltraggiandoli e attribuendo loro innovazioni e proposizioni proprie dei filosofi. Li accusarono di aver preso posizioni ostili al salafismo – che altro non era che un nome di loro invenzione – e ricorsero all’ espediente di propagandare l’idea che Ibn Taymiyya avesse le qualifiche per esercitare l’ijtihâd, facendolo passare per l’eroe della rinascita della scuola salafita. In realtà, gli autentici epigoni dei pii predecessori sono quei sapienti che aderiscono alla Sunna e che nelle loro opere, in epoche antiche e moderne, hanno senza tregua difeso le scienze aventi per oggetto lo studio delle credenze di quella scuola.

Costoro non hanno esitato ad avvertire del fatto che Ibn Taymiyya, al-Shawkânî (m. Sanʻâ’ 1250/1834) e quanti in seguito adottarono le loro dottrine come i wahhabiti, deviarono dalla via dei pii predecessori trascinando i musulmani nella perdizione e nel Fuoco. Chi si dia pena di leggere i libri al-Tawassul bi al-nabî’ wa al-sâlihîn (Del cercare l’intermediazione del Profeta e della gente pia), ʻUlamâ al-Islâm wa al-mukhâlifûn (I sapienti dell’Islam e gli oppositori), Shifâ’ al-siqâm (La guarigione degli infermi) e la prefazione a quest’ultimo Tathîr al-fuʻâd min danasi al-iʻtiqâd (La purificazione del cuore da ciò che contamina la credenza), comprenderà quanto detto e si renderà conto che chi ha introdotto tale credenza aberrante, che va sotto il nome di «neosalafismo» (al-salafiyya al-jadîda), non si propone altro obiettivo che quello di demolire l’Islam dall’interno.

Malgrado ciò, la parola salafismo non cessa da tempo di correre sulla bocca della gente e si è fatto ormai abituale riferirsi agli eminenti sapienti vissuti nel terzo e nel quarto secolo con l’espressione «i veridici successori» (al -khalaf al-sâdiqûn). Ebbene, ogni musulmano e musulmana deve sapere che nell’Islam c’è una sola scuola ortodossa: la scuola dei pii predecessori. Questa scuola comprende tutti i musulmani delle prime generazioni lodate ed elogiate nei nobili hadîth del Profeta – che Allah lo benedica e gli conceda la Pace! La scuola di quei nobili, conosciuta come «scuola della gente della Sunna e della comunità», è la depositaria della fede e della credenza corrette: la fede dei nobili Compagni e dei loro eminenti Seguaci – che Allah sia soddisfatto di tutti loro! Le credenze che ad essa fanno capo sono state professate dalla stragrande maggioranza dei musulmani che hanno messo piede sulla terra e non divergono che in aspetti marginali. I settantadue gruppi che invece si fecero promotori di innovazioni apparvero nel secondo secolo dell’Egira, dopo la generazione dei grandi Seguaci dei Compagni (tâbiʻûn). Se pure alcuni precursori di quelle idee fossero vissuti in epoca anteriore, fu solo a partire dal secondo secolo che i membri di quei gruppi cominciarono a presentarsi in forma organizzata e a comporre libri in aperta opposizione alla gente della Sunna e della comunità.

Il Messaggero – che Allah lo benedica e gli conceda la Pace! – espose i fondamenti della credenza della gente della Sunna e della comunità e i Compagni – che Allah sia compiaciuto di tutti loro! – li appresero dalla fonte stessa da cui scaturirono. I Seguaci (tâbiʻûn) – che Allah l’Altissimo abbia misericordia di loro! – li ricevettero a loro volta dai Compagni del Messaggero di Allah – che Allah lo benedica e gli conceda la Pace! Da ultimo, gli appartenenti alla generazione che venne dopo quella dei Seguaci (tâbiʻûn al-tâbiʻîn) li appresero da questi, e così, per via di molteplici trasmissioni, tali insegnamenti sono giunti fino a noi. A tale sapere la ragione umana, lasciata a sé stessa, non sarebbe mai potuta approdare né, d’altra parte, essa è atta a intervenirvi apportando modifiche; ma resta, nondimeno, uno strumento insostituibile per comprenderne la correttezza, la veridicità e il valore.

Tutti i narratori di hadîth (muhaddithûn) seguivano le credenze della gente della Sunna e della comunità. Gli imâm dei quattro madhhab aderivano alla medesima scuola e così anche i due grandi imâm al-Ashʻarî e al-Mâturîdî. Tanto il primo, quanto il secondo ne presero le difese contro coloro che si erano sviati dalla retta Via e sviavano gli altri, e contro quei materialisti che erano sprofondati nei terreni paludosi della filosofia greca. Malgrado questi due insigni sapienti della gente della Sunna fossero coevi, le teorie, i pensieri, le circostanze e gli avversari con cui ebbero a che fare non erano gli stessi. Sebbene i loro rispettivi metodi per difendere la credenza e confutare l’eresia fossero in certa misura divergenti, ciò non vuol dire che si fossero fatti fautori di due scuole a sé stanti. Nelle epoche posteriori, centinaia di migliaia di sapienti sunniti e di nobili amici di Allah (awliyâ’) si applicarono con zelo allo studio degli scritti di questi due eminenti imâm e non dubitarono della loro conformità alla scuola della gente della Sunna.

Tra le pratiche invalse presso i sapienti sunniti vi era quella di aderire al significato letterale delle fonti scritturali (zâhir al-nusûs), ossia di interpretare i versetti coranici e i hadîth profetici in base al loro significato apparente. Se non lo imponeva una necessità imperiosa, non operavano nei loro commentari interpolazioni derivate da opinioni e conoscenze personali. Viceversa, gli innovatori, coloro che assecondano le proprie passioni, gli scettici e i lâ-madhhabî, seguono quel che apprendono dai filosofi greci e da altri imbonitori ostili all’Islam, e non si fanno scrupolo di porre mano a quelle scienze che hanno per oggetto le credenze e gli atti di adorazione. In seguito alla dissoluzione e allo smembramento del Califfato Ottomano, i lâ-madhhabî trovarono un terreno favorevole e prosperarono soprattutto in quelle città dove i sapienti della gente della Sunna vennero ridotti al silenzio. Quest’ultimo bastione dell’Islam al servizio dei sapienti sunniti cadde dopo essere stato per lungo tempo mira dei maneggi della massoneria e delle missioni cattoliche, nonché come conseguenza della spregiudicata politica dell’imperialismo britannico che, per conseguirlo, non risparmiò mezzi e risorse.

Nel Regno dell’Arabia Saudita la gente della Sunna fu attaccata con una veemenza inusitata e la religione smantellata dall’interno. Da lì, finanziati con il denaro messo a disposizione dai sauditi e per mezzo di menzogne ed espedienti satanici, questi assalti si estesero al resto del mondo. Ben presto dal Pakistan, dall’India e da molti paesi africani si cominciò ad aver notizia di persone reputate uomini di religione – dotate però di ben poca conoscenza e timore di Allah, sia esaltata la Sua Maestà! – venute in possesso di edifici imponenti e di alte cariche per aver sostenuto e spalleggiato quegli usurpatori. Nella maggior parte dei casi conseguirono tali abominevoli privilegi sviando i giovani e alienandoli dalla scuola della gente della Sunna. In uno dei libri che scrissero allo scopo di ingannare i figli dei musulmani e gli studenti delle scuole, si legge: «Ho scritto questo libro con il proposito di farla finita con la fervida adesione, in forma esclusiva, a uno dei quattro madhhab; affinché ognuno possa vivere in pace scegliendo la scuola che più gli va a genio». Costui pensa che per farla finita con quella che definisce «fervida adesione» ai quattro madhhab, si debba sbarrare la strada alla gente della Sunna e denigrarne i sapienti: mentre da una parte infligge all’Islam una pugnalata alle spalle, dall’altra ritiene che, così facendo, permetterà ai musulmani di vivere in pace!

In un’altra sezione dello stesso libro si legge ancora: «Chi è chiamato ad emettere un giudizio, se il giudizio che dà è corretto, verrà ricompensato dieci volte, se invece è sbagliato verrà ricompensato una sola volta».

Stando a quel che dice, qualsiasi persona, sia questi un musulmano, un associazionista (mushrik) o un miscredente (kâfir), viene ricompensata dieci volte quando emette un giudizio corretto. Si noti di che astuzie si serve costui per conseguire quel che si è proposto: arriva perfino a distorcere i significati del hadîth del nobile Messaggero di Allah – su di lui la Pace! – che dice:

«Se emetti un giudizio corretto verrai ricompensato dieci volte, se ti sforzi di derivare un giudizio personale (fa in ijtahadta) e ti sbagli, riceverai una sola ricompensa».

Tale hadîth va inteso nel senso che la ricompensa non riguarda chiunque emetta un giudizio, bensì solo il sapiente qualificato a esercitare l’ijtihâd per derivare le norme della Sharîʻa dalle fonti del diritto. Si badi, peraltro, che non si tratta di un qualsiasi tipo di giudizio legale, ma solo di quello derivato dalle fonti del diritto, dato che l’ijtihâd che questo implica è un atto di adorazione e, in quanto tale, merita ricompensa.

Dall’epoca dei pii predecessori, passando per quella degli imâm mujtahid che vennero dopo di loro, fino allo spirare del quarto secolo dell’Egira, emersero nuove fattispecie giuridiche e vennero a presentarsi condizioni di vita prima di allora sconosciute. I sapienti che ne avevano le qualifiche si applicarono indefessamente giorno e notte per dare soluzione a tali fattispecie inedite. Basandosi sulle quattro fonti del diritto che costituiscono la base a partire dalla quale si elaborano le prove argomentative della Sharîʻa (al-adilla al-sharʻiyya), derivarono i giudizi legali pertinenti a ciascun caso.

I musulmani che vissero nel periodo storico in questione non tardarono a rimettersi ai giudizi legali così formulati. Cosicché, tanto a loro come a tutti quelli che in seguito fecero taqlîd di quei giudizi, spetta una ricompensa commisurata a quella ottenuta da quegli imâm per il loro ijtihâd. Dal quarto secolo fino a oggi si è continuato a fare taqlîd di quei giudizi e, in tutto questo tempo, nessuno è rimasto senza poter dare soluzione a una qualsiasi delle questioni che gli incombono.

Tenuto conto di ciò, è inderogabile che il musulmano impegnato nella ricerca della conoscenza si rivolga a chi dispone delle qualifiche necessarie per comprendere e rendere comprensibili i significati dei libri dei sapienti che aderiscono a uno dei quattro madhhab, o quanto meno faccia riferimento ai libri di gran giovamento che hanno tradotto. È d’obbligo vivere ed eseguire gli atti di adorazione in conformità a uno di questi quattro madhhab, dato che nessun sapiente o muftî è arrivato ad essere versato nei sette livelli dell’ijtihâd, come lo erano i primi mujtahid.

Nel Corano Allah – sia Egli glorificato ed esaltato! – espone il giudizio (hukm) relativo a ogni questione. Muhammad, il Messaggero di Allah – che Allah lo benedica e gli conceda la Pace! – ha reso chiaro questo giudizio e i sapienti sunniti, a loro volta, hanno raccolto queste conoscenze nei loro libri dopo averle apprese dai Compagni – che Allah sia soddisfatto di tutti loro!

I libri di questi eminenti sapienti si trovano oggi disseminati in ogni angolo della terra, e fino al Giorno della Risurrezione, ovunque emerga una fattispecie inedita, potrà essergli applicata, per analogia, la pertinente qualificazione giuridica, sulla base di una fattispecie già regolata in passato della quale si dà ragione in quei libri. Si tratta, senza dubbio, di uno dei prodigi del Corano, nonché di un carisma concesso ai sapienti musulmani.

Di conseguenza, chiunque s’imbatta in una questione inedita dovrà anzitutto appellarsi a chi davvero aderisce alla Sunna, chiedergli chiarimenti in merito e conformare il suo agire a quel che gli vien detto. In caso contrario, interpellando quegli uomini di religione che non si preoccupano di seguire i madhhab, otterrà un responso difforme da quello dato nei libri di diritto islamico e si svierà dal retto cammino.

Molti sono coloro che si recano nei paesi arabi e vi soggiornano per periodi più o meno lunghi per apprendere le scienze religiose. Se, da un lato, acquisiscono una certa padronanza della lingua araba, dall’altro sprecano il loro tempo indulgendo in piaceri e appetiti. Dopo aver commesso ogni genere di atti di disubbidienza e di peccati, quando infine gli viene conferita una ijâza timbrata da un lâ-madhhabî che detesta la gente della Sunna, fanno ritorno ai loro paesi, diciamo, per esempio, il Pakistan o l’India. Lì disgraziatamente dedicheranno le proprie cure e il proprio tempo a fuorviare le giovani generazioni di musulmani. Viste le ijâza fittizie e la buona pronuncia della lingua araba che ostentano, le loro malcapitate vittime li prenderanno per sapienti, quando invece non sono altro che ignoranti sprovvisti dei benché minimi requisiti per comprendere foss’anche un solo libro di diritto islamico. Nelle loro teste non dispongono delle nozioni relative alle questioni giuridiche trattate in quei libri, ma vi alberga anzi la convinzione che queste scienze siano ormai antiquate e non meritino più attenzione. Vediamo, così, che mentre nel passato i sapienti musulmani si riferivano ai testi di diritto islamico per cercare le risposte ai quesiti che gli venivano sottoposti, chi oggi si rivolge a un lâ-madhhabî ottiene responsi fuorvianti, basati sulle misere nozioni di cui questi dispone e sulla comprensione difettosa che gli deriva dal suo debole ingegno. Data l’inettitudine che dimostrano a comprendere i testi di diritto islamico, chi avesse la malaugurata idea di presentargli un quesito, attraverso il responso che ne otterrà s’incamminerà dritto al Fuoco. È a questa categoria di sapienti che vanno riferite le parole del Messaggero di Allah – che Allah lo benedica e gli conceda la Pace! – trasmesse dall’Imâm al-Dârimî (m. 255/869):

«Non è forse vero che il peggio del peggio sono i peggiori sapienti, mentre il meglio del meglio sono i migliori sapienti?».

Da questo nobile hadîth si deduce che il migliore degli uomini è il sapiente che segue la Sunna, mentre il peggiore è il lâ-madhhabî: mentre il primo chiama gli uomini al Giardino e al perdono, l’altro li chiama alle sue opinioni e alle sue vane supposizioni, vale a dire al Fuoco e alla rovina.

Il Professor Ibn Khalîfah ʻAlîwî dell’Università islamica di al-Azhar al Cairo, in Egitto, nel suo testo ʻAqîda al-salaf wa al-khalaf (La credenza dei predecessori e dei successori), in un brano riportato dal libro Tarîkh al-madhâhib al-islâmiyya (Storia dei madhhab islamici) dell’insigne sapiente Muhammad Abû Zahrah, dice:

Lasciamo a questo punto che il sapientissimo Shaykh Abû Zahra, tra la gente a noi coeva, ci faccia conoscere i salafiti delle origini, per poterli così distinguere dai salafiti di oggi.

Il sommo sapiente Abû Zahra nel suo libro Tarîkh al-madhâhib al-islâmiyya (Storia dei madhhab islamici), prendendo in esame i salafiti e i wahhabiti, ebbe a dire:

«Nel quarto secolo della nobile Egira fece la sua apparizione un gruppo di hanbaliti che adottò per i suoi membri la denominazione di «salafiti» (salafiyyûn).

L’insieme delle loro vedute costituiva una sintesi della scuola dell’Imâm Aḥmad ibn Hanbal, l’imâm che ridiede impulso alla credenza dei predecessori (ʻaqîda al-salaf). Nel settimo secolo dell’Egira apparvero di nuovo, questa volta riportati in vita da Ibn Taymiyya il quale, tra le altre cose, prese a chiamare con vigore al ritorno al modo di vivere dei pii predecessori (al-salaf al-sâlih). Da ultimo, nel tredicesimo secolo, queste rivendicazioni fecero la loro comparsa nella penisola arabica ad opera di Muhammad ibn ʻAbd al-Wahhâb, e fino ai nostri giorni i wahhabiti non hanno cessato di farvi appello e di chiamare gli uomini a questo cammino.

Quando nel corso del quarto secolo dell’Egira la propaganda salafita prese piede ad opera di alcuni hanbaliti, fece perlopiù appello alla dottrina della pura Unicità Divina (al-tawhîd al-khâlis) e alla sconfessione dell’associazionismo rappresentato dalla visita alle tombe degli amici di Allah (awliyâ’). Divennero motivo di controversia, inoltre, i versetti coranici suscettibili di essere interpretati in maniera allegorica (ta’wîl) e quelli che descrivono Allah per mezzo di analogie con gli attributi umani (tashbîh). All’epoca, come vedremo – se Allah vuole –, gli furono mosse obiezioni perfino da parte di alcuni hanbaliti come Ibn al-Jawzî. Predicando il ritorno alle credenze dei Compagni e dei Seguaci dei Compagni (tâbiʻûn), scagliavano anatemi contro chiunque ricorresse ad argomentazioni sofistiche nell’ambito delle scienze teologiche. Per essere corrette, sostenevano, gli uomini devono basare le loro credenze sul Libro e sulla Sunna, come fece il Profeta – che Allah lo benedica e gli conceda la Pace! – e chi, dopo di lui, ne seguì l’esempio. Così, tra continue controversie, la vicenda seguì il suo corso fino all’epoca di Ibn Taymiyya.

Fu così che i lâ-madhhabî applicarono il termine «salafismo» alla dottrina da loro propugnata e, non senza ragione, identificarono in Ibn Taymiyya il più eminente dei loro sapienti. Con lui, infatti, quel termine cominciò ad affermarsi e le sue idee inferme, difettose e corrotte forniranno più tardi le prove argomentative e fungeranno da modello per i wahhabiti e quanti, sviatisi dalla retta Via, si sono fatti sostenitori dell’abbandono dei madhhab. Va fatto notare che, almeno in principio, Ibn Taymiyya, formatosi nella scuola hanbalita, accolse le dottrine della comunità della gente della Sunna. In seguito, accumulate maggiori conoscenze e riunite così le qualifiche per promulgare responsi giuridici (fatwâ), cominciò a vantarsi delle competenze acquisite, a farsi presuntuoso e a guardar dall’alto in basso i sapienti della gente della Sunna. Quante più nozioni veniva acquisendo, tanto più si allontanava dalla retta Via. Infine, abbandonata ormai la scuola hanbalita e allontanatosi dall’ambito dei quattro madhhab, venne a trovarsi fuori dal novero della gente della Sunna.

I lâ-madhhabî non risparmiano occasione per coprire d’ingiurie i sapienti della Sunna ovunque si trovino, e non lasciano nulla d’intentato per impedire che se ne leggano i libri e che i loro sublimi insegnamenti vengano ascoltati. Uno di loro, prendendo di mira un virtuoso sapiente sunnita, ha avuto l’insolenza di dire: «Cosa può mai capire un farmacista o un chimico in fatto di religione? Che si occupi piuttosto di ciò che concerne la sua professione e ci lasci fare il nostro lavoro!». Si noti l’insensatezza delle parole di questo ignorante che pensa che per il fatto che ci si occupi di altre scienze non sia possibile acquisire competenze anche nel campo delle scienze religiose! Non sa forse che l’uomo di scienza è in ogni istante testimone della creazione divina? Egli, infatti, vede le perfezioni del Creatore (al-Khâliq), di Colui che origina ogni cosa dal nulla (al-Bârî’) e dà forma a tutte le cose (al-Musawwir), così come si presentano nel libro della creazione. Lo glorifica, ne esalta la santità in ogni momento e osserva l’impotenza delle creature al cospetto dell’eterna Potenza (qudra) divina. Tutto questo l’ha descritto in modo efficace il padre della teoria quantistica, il fisico tedesco Max Planck, nella sua opera Der Strom (Il fiume). Malgrado ciò, questo sprovveduto pensa che le scienze religiose si riducano alla ijâza conferitagli da uno che come lui propugna l’abbandono dei madhhab e che gli ha permesso di occupare la cattedra da cui diffonde tali spropositi: non sarà forse stato accecato dal luccichio del favoloso mare d’oro in cui sguazza e che il regno saudita mantiene rimpinguato?

Chiediamo ad Allah, l’Eccelso, che migliori la condizione di questo sventurato e la nostra, e che prevenga i musulmani ingenui dal cadere vittime degli intrighi tramati dai nemici della religione. Âmîn!

Sia lode ad Allah, il Signore dei mondi, e la benedizione e la Pace siano sul più nobile dei Profeti e dei Messaggeri! Per la Tua misericordia, O Tu che sei il più Misericordioso dei Misericordiosi!

Per più di trent’anni lo scienziato in questione ha prestato il suo servizio all’Umma con onestà indefessa nel settore farmaceutico e in quello dell’ingegneria chimica. Poi, a coronamento di un periodo di sette anni spesi con vigore inesausto nella ricerca della conoscenza, ebbe l’onore di essere insignito, da parte di un autorevole sapiente musulmano, di un diploma in studi superiori. Al cospetto della maestà e grandezza delle scienze religiose e di quelle empiriche, arrivò a prendere atto della sua completa incapacità, inadeguatezza e impotenza e, con l’umiltà derivatagli da quella comprensione, fece ogni sforzo per prestare il suo servizio con sincerità e dedizione. Il suo timore più grande, la cosa che più lo turbava, era l’essere esposto alla seduzione delle ijâza e delle lauree decorate in oro, nonché l’illusione di aver acquisito autorevolezza all’interno di un qualche settore del sapere: non c’è libro tra quelli che ha scritto dove non si noti quanto tale timore lo angustiasse. In nessuno dei suoi libri si è mai preoccupato di dare risalto alla sua opinione, prodigandosi piuttosto per presentare testi e articoli di sapienti sunniti che, in cuor suo, considerava degni di nota. Tradusse soprattutto in lingua turca, ma anche in alcune lingue occidentali, opere in arabo e in persiano che incontrarono i favori di quei fratelli e sorelle musulmani che seppero mantenere la propria integrità intellettuale.

Trattenuto dai tanti scrupoli, per lunghi anni non seppe decidersi a scrivere un libro. Poi lesse le parole del Messaggero – che Allah lo benedica e gli conceda la Pace! –:

«Allorché appariranno le discordie (fitan), – o disse le innovazioni (bidaʻ) – e i miei Compagni verranno insultati, che il sapiente faccia dunque mostra della sua sapienza! Chi non lo farà avrà la maledizione di Allah, degli Angeli e di tutti gli uomini, e Allah non accetterà nessuno dei sui atti obbligatori o volontari».

La lettura di questo nobile hadîth nell’introduzione del libro al-Sawâʻiq al-muhriqa (Le folgori ardenti), segnò l’inizio di un processo di riflessione.

Vedeva e comprendeva quanto egli fosse insignificante di fronte all’ingegno dei sapienti della gente della Sunna nel campo delle scienze religiose e alla loro preminenza in quello delle scienze empiriche nell’epoca in cui vissero.

Notava il vigore del loro intelletto, la loro intelligenza brillante e penetrante e la loro abnegazione senza pari nel compiere gli atti di adorazione e le pratiche ascetiche. Vedeva la sua conoscenza, a confronto della loro, come una goccia nell’oceano. Nello stesso tempo, osservava però l’incessante venir meno di uomini retti e capaci di comprendere i libri dei sapienti della Sunna. Al loro posto, gente ignorante che si era sviata e sviava altri dalla retta Via, si univa alle file degli uomini di religione e scriveva libri zeppi di innovazioni e di argomenti inconsistenti.

Turbato da questa situazione, nonché dalla minaccia della maledizione menzionata nel hadîth, per compassione e misericordia verso quei giovani e affezionati fratelli, decise di mettersi al servizio di questa religione, traducendo e dando diffusione a ciò che selezionava dai libri dei sapienti sunniti. Assieme ai numerosi elogi e agli abbondanti riconoscimenti per il servizio ragguardevole che stava prestando, cominciarono ben presto a piovergli addosso insulti e calunnie. Nonostante tutto, si era votato a quest’opera per compiacere il Signore dei mondi con un’intenzione pura e una disposizione sincera. Per questa ragione, non smise di prestare il suo servizio confidando in Allah – sia esaltata la Sua Maestà! –, per mezzo dell’intermediazione dello spirito del Signore del creato – che Allah lo benedica e gli conceda la Pace! – e degli spiriti dei servi sinceri di Allah. Che Allah ci assista nell’adempiere a ciò che Lui ama e di cui si compiace. Âmîn!

L’illustre Shaykh Muhammad Bakhît al-Mutîʻî al-Hanafî, eminente cattedratico dell’Università di al-Azhar in Egitto, nel suo libro intitolato Tathîr al-fu’âd min danasi al-iʻtiqâd (La purificazione del cuore da ciò che contamina la credenza) ha scritto:

Le anime più grandi e perfette sono quelle dei Profeti e dei Messaggeri. Queste anime sono immuni da ogni classe di errore, mancanza, disattenzione, ottusità, disonestà, faziosità, rancore e da ogni inclinazione a cedere alle passioni e agli interessi personali:

«Allah sa meglio dove pone il Suo messaggio» (Corano 6:124).

Per il fatto stesso di averle ricevute da Allah – Eccelso e Maestoso –, tutte le leggi e le norme che hanno recato con sé e che si sono prodigati di esporre sono vere e giuste.

«Non gli saccosta la falsità, né davanti, né dietro; è un Libro rivelato da un Saggio, Degno di lode» (Corano 41:42).

Seguono poi i loro Compagni che da essi presero direttamente, e perciò tutte le conoscenze che trasmisero sono verità da seguire, dato che anch’essi furono preservati dai vizi appena menzionati. Non si opposero gli uni agli altri per faziosità o per dare preferenza alle loro inclinazioni e interessi personali. La loro parola e il loro ijtihâd sono un tappeto che il Legislatore (al-Shâriʻ), in virtù del Suo favore e della Sua misericordia, ha steso alle Sue creature, e la sola verità è che tutti verranno ricompensati per ciò che hanno fatto.

 «Muhammad è il Messaggero di Allah e coloro che sono con lui sono duri verso i miscredenti, pieni di misericordia fra loro. Li vedi inchinati e prosternati che bramano il favore di Allah e il Suo compiacimento» (Corano 48:29).

In quanto ai meriti acquisiti, dopo i Compagni vengono i Seguaci (tâbiʻûn) che presero da loro, e poi i Seguaci dei Seguaci (tâbiʻûn al-tâbiʻîn) e chi farà loro seguito con azioni virtuose fino al Giorno del Giudizio.

Dalle epoche più antiche fino a quella attuale, i sapienti che nei fatti e nelle parole si sono afferrati a quello che hanno portato il Profeta, i suoi Compagni e i pii predecessori – che la benedizione e la Pace siano su di loro! – non hanno dovuto temere, per la causa di Allah, il biasimo di nessuno. Tutti loro si sono dimostrati abili e avveduti nell’evitare di contravvenire, nella credenza e nelle opere, ai fondamenti della religione. Si sono fermati presso i limiti posti dalla Sharîʻa, e le tempeste degli interessi personali e delle passioni non li hanno distolti dalla Verità. Hanno esercitato la ragione unicamente per comprendere ciò che è stato trasmesso, attenendosi ad esso senza deviare dai madhhab degli imâm mujtahid – che Allah sia soddisfatto di tutti loro! Il musulmano che s’imbatta in un sapiente dotato di queste qualità si disponga pertanto ad apprendere e a chiedere ciò che non sa: le parole proferite da tali persone devono trovare ascolto e i loro atti servire da esempio! Costoro hanno assunto la medicina benefica che Allah ha prescritto alle anime per preservarle dall’errore nella percezione della verità e per farle permanere in essa, e si sono conformati agli ordini e tenuti lontano dalle interdizioni. Hanno preservato la loro anima e l’hanno guarita dai malanni e dalle indisposizioni che impediscono di pervenire a una percezione chiara della realtà. Nella credenza, nelle parole e negli atti non hanno mai abbandonato i fondamenti della Sharîʻa e non vedono altro che il vero, non dicono altro che la verità e sono solo inclini a fare ciò che è giusto.

«Quanto a quelli che si sforzeranno in favor Nostro, li guideremo per le Nostre vie» (Corano 29:69);

«Allah è amico di quelli che credono e li trae dalle tenebre alla luce» (Corano 2:257);

«La loro luce correrà davanti ad essi e alla loro destra» (Corano 57:12);

«Saranno con quelli fra i Profeti, i sinceri, i martiri e i retti cui Allah elargì i Suoi favori» (Corano 4:69).

A parte questi, in ogni epoca ci sono anche «cattivi sapienti» (ʻulamâ’ al-sû’) che non si adeguano a ciò che hanno portato il Profeta e i suoi Compagni, e vi si oppongono nelle parole, negli atti e nella credenza. Costoro non si fermano entro i limiti posti dalla Sharîʻa e indulgono alle passioni e agli interessi personali.

«Allah ha posto un sigillo sui loro cuori e sul loro udito; sui loro occhi v’è un velo, e toccherà loro in sorte un castigo tremendo» (Corano 2:6).

Piantati in asso e proscritti dalla verità, appartati dalla via della sincerità e della rettitudine, a poco a poco e senza avvedersene vengono fatti cadere in rovina. Sono questi i nemici dei Profeti ai quali Allah l’Altissimo riferisce queste parole:

«E così a ogni Profeta abbiamo assegnato un nemico: demoni tra gli uomini e i jinn, dei quali gli uni ispirano agli altri discorsi pomposi per sedurli» (Corano 6:113);

«…mentre essi credono di aver ben operato» (Corano 18:99).

Sono proseliti che Satana ha guadagnato al suo partito ed è improbabile che qualcuno di loro possa essere assistito nel compiere azioni corrette o possa avvedersi della realtà. I loro discorsi celano sotto un’apparenza allettante una realtà putrida e si accumulano attorno ai deboli d’intelletto come si accumulano le nevi, che quando splendono i soli delle prove evidenti della Verità si sciolgono e svaniscono.

«Quanto a quelli che non credono, i loro patroni sono i Tâghût, che li traggono dalle luci alle tenebre» (Corano 2:256);

«Costoro sono quelli cui Allah ha sigillato i cuori» (Corano 47:16);

«Allah dice la verità e guida sulla Via» (Corano 33:4).

Si è già fatto cenno alla differenza che c’è tra quei sapienti la cui parola è accettata e che vengono presi a esempio e quelli invece la cui parola non è accettata e il cui esempio non è seguito. La parola dei primi trova accettazione, la loro spiegazione è compresa e conforme a ciò che è corretto; nella credenza, nelle parole e negli atti non si spingono mai oltre i limiti della Sharîʻa. Le parole dei secondi devono essere rigettate apertamente, perché con la loro disubbidienza e inosservanza degli ordini e delle interdizioni divine rifiutano di far uso della medicina necessaria a preservare le loro anime e a guarirle dalle malattie che precludono la via alla verità e alla correttezza. «Quale dei due partiti è più degno di sentirsi a salvo, se ne sapete qualcosa? Quelli che hanno creduto e non ammantano di iniquità la loro fede, questi sono a salvo, e sono i ben guidati. Tale è il nostro argomento» (Corano 6:82-84). Al secondo gruppo appartengono coloro ai quali Allah ha spento i cuori e vi ha posto un sigillo, la gente che introduce innovazioni negli articoli della credenza (ʻaqâid) e nelle opere, e che si oppongono al Libro, alla Sunna e al consenso (ijmâʻ), sviandosi e facendo sviare gli altri in gran numero

«Che Allah li combatta! Quanto sono mentitori!» (Corano 63:4);

«La loro dimora sarà la Gehenna e ben triste è quel luogo darrivo!» (Corano 4:96).

Tanto in passato che in tempi recenti, i musulmani sono stati abbondantemente messi alla prova da questo gruppo che ha rappresentato un disonore e una tacca, un membro putrefatto che bisogna amputare affinché non contagi il resto del corpo o un appestato dal quale conviene darsela a gambe.

Tra loro, Ibn Taymiyya, autore del libro intitolato al-Wâsita (L’intermediario), non è stato il solo a dare libero corso al proprio intelletto difettoso e a introdurre innovazioni che hanno infranto il consenso (ijmâʻ) dei musulmani e contraddetto il Libro, la Sunna incorrotta e la pratica dei pii predecessori. Allah, nella Sua Scienza, lo ha fatto sviare facendogli prendere le sue passioni per divinità e facendogli credere che fosse veritiero ciò che diceva, anziché considerarlo abominio e falsità.

L’Imâm sapientissimo Ibn Hajr (al-Haytamî), autore di numerose opere di gran beneficio nell’ambito delle scienze religiose, nelle sue Fatâwâ al-hadîthîyya (Responsi giuridici basati sui hadîth), ebbe a dire quanto segue: «Ibn Taymiyya è un servo che Allah ha abbandonato, sviato, reso cieco, sordo e umiliato. Questo è quanto hanno dichiarato apertamente gli imâm che hanno reso noti il carattere corrotto delle posizioni da lui assunte e le menzogne insite nelle sue parole. Chi voglia saperne di più deve leggere ciò che hanno scritto in merito l’Imâm, il mujtahid, Abû al-Hasan (Taqîyy al-Dîn) al-Subkî, al quale tutti per consenso unanime riconoscono la dignità di guida, la magnificenza e il fatto di aver raggiunto il livello dell’ijtihâd, quindi suo figlio Tâj (al-Dîn al-Subkî), l’Imâm al-ʻIzz ibn Jamâʻa e la gente del loro tempo, e poi altri ancora tra i sapienti shafiʻiti, malikiti e hanafiti. Non si limitò solo a muovere obiezioni a quei sufi che vissero in un’epoca prossima alla sua, ma come esporremo in seguito prese di mira anche gente del rango di ʻUmar ibn al-Khattâb e ʻAlî ibn Abî Tâlib

– che Allah sia soddisfatto di entrambi! Da ciò si deduce che le sue parole non devono essere tenute in conto, ma è necessario sbarazzarsene in qualsiasi landa impervia e desolata. In quanto a lui, lo si deve ritenere un innovatore (mubtadiʻ) che si è sviato e ha fatto sviare altri (dâll mudill), e un ignorante fanatico (jâhil ghâl)

– che Allah se ne occupi come si addice alla Sua giustizia e ci guardi dall’intraprendere un cammino, una credenza e un’azione simili alle sue. Âmîn!

Ciò cui, in buona sostanza, si fa riferimento nel quesito è il fatto che in alcune dichiarazioni egli ebbe a dire: “Nei libri dei sufi vi sono cose che radicano nei fondamenti dottrinali dei filosofi, in contrasto con quel che professano i musulmani, e chi le legga senza conoscerne il vero significato potrebbe vedersi incline ad approvarle. Tale è la pretesa avanzata da uno di loro di conoscere ciò che si trova nella Tavola ben Custodita (al-lawh al-mahfûz), che presso alcuni filosofi come Avicenna e i suoi discepoli è l’anima celestiale (al-nafs al-falakiyya). Questi sostiene che l’anima degli esseri umani può congiungersi con l’anima celestiale (al-nafs al-falakiyya), ovvero con l’intelligenza agente (al-ʻaql al-faʻâl), in stato di veglia o nel sonno, e che lo svelamento intuitivo (mukâshafa) che ne consegue avrebbe luogo in ragione di tale congiunzione con l’anima celestiale (al-nafs al-falakiyya), causa dell’originarsi nel tempo degli eventi che hanno luogo nel mondo. Quando l’anima dell’uomo si congiunge con l’anima celestiale, su di essa rimarrebbe impresso ciò che là si trova. Queste faccende non si trovano menzionate presso i filosofi dell’antichità, ma ne fanno cenno, invece, Avicenna e i sui epigoni, nonché alcuni riferimenti si trovano inoltre nelle dottrine di Abû Hâmid (Muhammad al-Ghazâlî), (Muhyi al-Dîn) ibn ʻArabî e (Qutb al-Dîn) ibn Sabʻîn, e altri che come loro hanno parlato del sufismo e della realtà essenziale (haqîqa) basandosi sulle premesse enunciate dai filosofi, anziché sui fondamenti dottrinali noti ai musulmani. In tal modo hanno sconfinato nel terreno dell’eresia (ilhâd) come gli sciiti (shîʻa), gli ismailiti (ismâʻîliyya), i carmati (qarâmita) e i batiniti (bâtiniyya), in opposizione ai servitori della gente della Sunna e del hadîth, ai sufi che fanno parte del loro novero, quali al-Fudayl (ibn ʻIyâd), e al resto delle genti del Messaggio. Cosa mai avrebbero detto questi ultimi in merito ai filosofi, visto che sconfessarono con zelo i metodi dei muʻtaziliti e dei kurramiti (kurrâmiyya) che sono da considerarsi migliori di quelli?!

Le genti del sufismo si dividono in tre categorie: un gruppo, cui fanno parte quelli già menzionati, appartiene alla scuola della gente del hadîth e della Sunna; un altro gruppo segue il metodo dei teologi speculativi come i kurramiti e altri ancora; un altro, infine, ha imboccato il cammino della filosofia, com’è il caso di chi segue la metodologia esposta nelle Rasâil ikhwân al-safâ’ (Epistole dei Fratelli della purità), di cui alcuni frammenti si trovano nelle dottrine di Abû Hayyân al-Tawhîdî.

Quanto a Ibn ʻArabî (m. Damasco 638/1240), Ibn Sabʻîn (m. Mecca 669/1270) e chi segue i loro metodi, hanno presentato frammenti filosofici in una differente forma espressiva e li hanno introdotti nell’ambito del sufismo. In calce al suo Kitâb al-ishârât [wa al-tanbihât) (Libro delle indicazioni e degli avvertimenti), Avicenna parla della stazione degli gnostici (maqâm al-ʻârifîn) con modalità che si addicono al suo stato e alla maniera di coloro che non hanno conoscenza delle realtà essenziali della fede (al-haqâiq al-imâniyya). A questo riguardo si trovano cenni in alcuni libri di al-Ghazâlî e, in special modo, nel Madnûn bihi ʻalâ ghayr ahlihi (Ciò che deve essere celato ai profani), Mishkât al-anwâr (La Nicchia delle Luci) ed altri ancora, al punto che il suo allievo Abû Bakr ibn al-ʻArabî ebbe a dire: “Il nostro maestro si è addentrato nelle speculazioni dei filosofi e quando ha voluto uscirne ne è stato incapace”. Nondimeno, in più di un’occasione Abû Hâmid (al-Ghazâlî) ha tacciato i filosofi di miscredenza e ha esposto la corruzione insita nel loro modo di procedere, e come questo sia inadeguato nel perseguire il loro fine.

Al declinare della sua vita, fino al sopraggiungere della morte, prese poi a dedicarsi allo studio del Bukhârî. Mentre alcuni dicono che avesse ritrattato il contenuto di quei libri, altri ritengono che tali teorie gli siano state ingiustamente attribuite. A questo riguardo molti hanno speso parole e, tra questi, anche l’Imâm (Muhammad b. ʿAlî) al-Mâzarî, al-Turtûshî, Ibn al-Jawzî e Ibn Aqîl al-Hanbalî”.

Termina qui quanto detto in buona sostanza da Ibn Taymiyya, ciò che del resto si accorda alle credenze nefaste da lui mantenute perfino in merito ai più grandi tra i Compagni e a quelli che vennero in seguito, fino ad arrivare alla gente della sua epoca. È possibile che siano state queste stesse credenze che lo portarono ad accusare molti di loro di aver introdotto innovazioni.

Tra quelli che furono raggiunti dalle sue invettive c’è l’amico di Allah (walî), il Polo, lo gnostico Abû al-Hasan al-Shâdhilî – che Allah ci faccia beneficiare delle sue scienze e della sua gnosi! – di cui prese di mira l’Hizb al-kabîr (La Litania Maggiore), l’Hizb al-bahr (La Litania del Mare) e alcuni dei suoi detti. Scagliò i suoi attacchi anche contro Ibn ʻArabî, Ibn al-Fârid, Ibn Sabʻîn e al-Husayn ibn Mansûr al-Hallâj, e non cessò di mettersi con quei grandi fintanto che la gente della sua epoca fece causa comune contro di lui accusandolo di empietà, di portare innovazioni in materia di religione e, in molti casi, finanche di miscredenza. [[2]]

Nel 705 uno dei più insigni tra i sapienti della sua epoca in quanto a scienza e gnosi, gli indirizzò le seguenti parole: “Al grande Shaykh, il sapiente, che presume di essere imâm della gente del suo tempo. Vi abbiamo amato per la causa di Allah rifiutandoci per un certo tempo di porre mente a quel che si diceva sul vostro conto, per bontà e cortesia nei vostri confronti. Questo fino a che non ci divennero manifeste certe cose che, in base al giudizio dell’intelletto e del buon senso, contrastano con ciò che rende l’amore un atto dovuto.

Quando il sole tramonta può una persona assennata dubitare della notte? Avete dato a intendere di agire per ordinare il bene e impedire il male (al-amr bi al-maʻrûf wa al-nahy ʻan al-munkar), e Allah conosce meglio le vostre intenzioni e i vostri propositi. Nondimeno, quando la sincerità (ikhlâs) si accompagna all’opera ne risulta un’accettazione manifesta, mentre per quanto vi riguarda la vostra opera ha finito per smascherarvi e intaccare il vostro onore. Alla mercé di gente la cui parola non è degna di credito tra quanti assecondano le proprie passioni e i propri interessi personali, voi, ultimi arrivati, avete insultato le qualità esteriori e interiori non solo dei vivi, ma anche dei morti, decretandone la miscredenza. Non paghi di aver diffamato le ultime generazioni dei pii predecessori, vi siete spinti fino alle prime, a coloro che in quanto a virtù ne sono detentori al massimo grado. Guai a chi si troverà al loro cospetto quando nel Giorno della Risurrezione reclameranno i loro diritti! Come può costui mai pensare che l’ira divina non si abbatta su di lui! Dove potrà trovar salvezza?!

Mi venni a trovare tra coloro che ascoltarono le vostre parole mentre dal pulpito (minbar) della Moschea al-Jabal, nella città di Sâlihiyya, menzionando ʻUmar ibn al-Khattâb – che Allah sia soddisfatto di lui! –, avete detto: “Certamente egli ha commesso errori e disastri… e che disastri!”. Da altri è stato riportato che in un’altra assemblea menzionaste ʻAlî ibn Abî Tâlib – che Allah sia soddisfatto di lui! – dicendo: “Invero ʻAlî ibn Abî Tâlib ha commesso errori in più di trecento occasioni!”. Se ʻAlî – che Allah nobiliti il suo volto! –, stando a quanto dite, era nell’errore, e così anche ʻUmar ibn al-Khattâb, in tal caso, vorrei sapere da dove arriva a voi la correttezza! Ora questa situazione ha raggiunto il colmo e la faccenda non è più sostenibile e non mi è utile altro che cercare di tenervi testa e respingere il male che da voi procede, dato che avete passato ogni limite nella trasgressione e il vostro danno ha raggiunto sia i vivi che i morti. Fino a quando non avrete desistito dall’opporvi agli uomini retti – che Allah sia soddisfatto di tutti loro! –, la sollecitudine nei confronti di Allah e del Suo Profeta mi impongono, e impongono a tutti i credenti e al resto dei musulmani servi di Allah, di giudicare in base a quanto dicono i sapienti. Loro infatti sono la gente della Sharîʻa, i signori della spada, per mezzo dei quali si arriva o si è tagliati fuori”.

Sappi che (Ibn Taymiyya) ha contraddetto gli uomini di conoscenza in merito a varie questioni segnalate da al-Tâj al-Subkî (m. Damasco 771/1370) e da altri sapienti. Tra le sue affermazioni che violano il consenso dei sapienti (ijmâʻ) vi sono le seguenti:

  1. Il ripudio (sottoposto a condizione) non diviene effettivo (quando tale condizione si verifica), ma si è tenuti all’espiazione per il giuramento (non mantenuto) (kaffâra yamîn). (Nessun musulmano prima di lui aveva mai sostenuto che ciò comportasse un’espiazione!);
  2. Il ripudio pronunciato nel periodo mestruale della donna (talâq al-hâid) non diviene effettivo e nemmeno quello pronunciato nel periodo di purità in cui abbia avuto luogo un rapporto sessuale;
  3. La preghiera tralasciata di proposito non deve essere recuperata (qadâ);
  4. Alla donna mestruante è consentito fare la circumambulazione (tawâf) della Casa (di Allah).
  5. La triplice formula di ripudio pronunciata in un’unica occasione (al-talâq al-thalâth) ha il valore di una sola formula. (Prima di sostenere questo, aveva affermato che il consenso dei musulmani andava in senso opposto!);
  6. Le imposte non previste dalla Sharîʻa (mukûs) sono lecite (halâl) per chi provveda ad assegnarle (li man aqtaʻahâ); se, inoltre, vengono prelevate ai mercanti, li esimono dall’erogare la zakât anche se non rientrano in quel concetto;
  7. I liquidi non diventano impuri se vi muore dentro un animale come il topo;
  8. Chi si trova in stato di impurità rituale (junub) può eseguire le preghiere volontarie della notte, senza rimandarne l’esecuzione a quando effettuerà l’abluzione maggiore (ghusl) prima della preghiera dell’alba (salât al-subh);
  9. Le condizioni stipulate dal fondatore di un waqf non vanno tenute in considerazione.
  10. Chi viola il consenso (ijmâʻ) non cade nella miscredenza (kufr), né incorre nell’empietà (fisq);
  11. Invero il nostro Signore – sia Egli glorificato ed esaltato ben al di sopra di quello che dicono gli ingiusti e gli ignoranti! – è un sostrato di ciò che ha origine nel tempo (mahall li al-hawâdith) sia Egli elevato e santificato ben al di sopra di ciò! –; è composto da più parti (murakkab) e la Sua Essenza è in uno stato di necessità simile a quello del tutto rispetto alle parti che lo compongono (taftaqiru dhâtuhu iftiqâra al-kulli li al-juz) – sia Egli esaltato e santificato al di sopra di ciò! –;
  12. Il Corano è creato nell’essenza di Allah (muhdath fi dhâti Allah) – sia Egli esaltato al di sopra di ciò! –;
  13. Il mondo (ʻâlam) è di natura preeterna (qadîm bi al-nawʻ) ed è sempre stato coeterno ad Allah in quanto oggetto continuamente creato (makhlûqan dâiman). (Sarebbe dunque di necessità esistente nella Sua Essenza (mûjib bi al-dhât), mentre Allah si troverebbe ad essere incapace di agire in modo deliberato (la fâʻilan bi al-ikhtyâr) – sia Egli esaltato al di sopra di ciò! Quanto poi alle sue proposizioni relative alla corporeità (jismiyya), alla direzione (jiha), alla dislocazione (intiqâl) di Allah e al fatto che Egli si aggiusterebbe alle dimensioni del Trono (bi-qadri al-ʻarsh), non essendo né più piccolo né più grande di esso, Egli è esaltato al di sopra di tali sfrontate ed esecrabili invenzioni e di una simile manifesta miscredenza (kufr)! Possa Egli piantare in asso tutti i suoi accoliti e disperdere le sue credenze!);
  14. Il Fuoco si estinguerà;
  15. I Profeti non sono immuni dal peccato;
  16. Il Profeta – che Allah lo benedica e gli conceda la Pace! – non gode di un rango speciale presso Allah (la jâha lahu) e non bisogna cercare la sua intermediazione (la yutawassalu bihi);
  17. Intraprendere un viaggio per fargli visita (ziyâra) costituisce un atto di disubbidienza (maʻsiya) nel corso del quale non è lecito accorciare la preghiera, e a motivo del quale si verrà esclusi dalla sua intercessione nel giorno in cui si dovrà farvi ricorso;
  18. Le parole (alfâz) della Torah (al-Tawrâ) e del Vangelo (al-Injîl) non sono state alterate, lo sono bensì i loro significati (maʻânî).

Alcuni dicono: “Per chi prenda in esame i suoi libri, la maggior parte di queste proposizioni non dovrebbero essergli attribuite, salvo il fatto di ascrivere ad Allah una direzione (jiha), tesi in sostegno della quale ha composto uno scritto. Chi condivide questa asserzione ritiene, inoltre, che Allah possegga corporeità (jismiyya), dimensionalità (muhâdhât) e collocazione spaziale (istiqrâr)”. Può darsi che in certe occasioni egli abbia espresso tali proposizioni e, in seguito, gli siano state attribuite. Come che sia, chiunque gliele abbia attribuite tra gli imâm dell’Islam sulla cui eminenza, autorità, devozione, attendibilità, giustizia e rigore sono tutti concordi, si guarderebbe dal fare simili affermazioni senza prima averle sottoposte ad accertamenti e indagini, con somma precauzione e scrupolosa verifica. Tanto più qualora si tratti di attribuire a un musulmano ciò che ne implicherebbe la miscredenza (kufr), l’apostasia (ridda), lo sviamento (dalâl) e l’esecuzione (ihdâr al-dam). Pertanto, se mai la sua miscredenza e le sue innovazioni dovessero essere confermate, Allah se ne farà carico come impone la Sua giustizia; in caso contrario, imploriamo su di noi e su di lui il Suo perdono».

Anche in quest’epoca c’è chi aderisce alle esecrabili dottrine teologiche di Ibn Taymiyya, ne appoggia le proposizioni aberranti e le divulga sia tra la gente comune che tra la gente colta, avvalendosi a questo fine della pubblicazione e distribuzione del suo libro intitolato al-Wâsita (L’intermediario). Con questo libro, che contiene molte delle innovazioni introdotte da Ibn Taymiyya in contraddizione con il Libro, la Sunna e la comunità dei musulmani, è stata ridestata una discordia (fitna) che se ne stava sopita. [[3]]

Per assolvere a quello che ritenevamo fosse un dovere da parte nostra, avevamo in animo di comporre un libro per confutare lo scritto in questione, affinché i musulmani non cadessero vittime delle seduzioni dello sviamento e della perdizione eterna per causa di Ibn Taymiyya e di chi assumesse posizioni simili alle sue. Senonché, ci siamo imbattuti nel libro Shifâ’ al-siqâm fî ziyâra khayr al-anâm [[4]] (La guarigione degli infermi nella visita alla migliore delle creature) intitolato anche Shann al-ghâra ʻalâ man ankara fadl al- ziyâra (L’attacco sferrato contro chi nega l’eccellenza della visita) del sommo mujtahid ed eminente Imâm Taqiyy al-dîn Abû al-Hasan al-Subkî (m. Cairo 756/1355) che ci pare assolva a pieno il fine che ci eravamo prefissati. Apportando argomenti irrefutabili, discute ciò che Ibn Taymiyya ha affermato in quello e in altri suoi scritti, manda in fumo l’edificio speculativo da lui eretto, ne fa vacillare le fondamenta, ne cancella ogni traccia, ne estirpa le falsità e ne mette in mostra la corruzione e l’intransigenza.

[1] Questi tre libri, il Fiqh al-akbar (Il sapere supremo), Iljâm al-‘awâm ‘an ‘ilm al-kalâm (Dissuasione dei profani dallo studio della teologia speculativa) e il Qawl al-fasl (La parola decisiva) sono stati pubblicati ad Istanbul da Hakîkat Kitâbevi con il sistema di stampa offset.

[2] Alle pagine 323 e 373 della Hadîqa al-nadîyya (Il giardino coperto di rugiada), il sapiente e dottissimo ‘Abd al-Ghanî al-Nâbulsî condanna l’ignoranza e la stoltezza di chi apostrofa con parole irriverenti quei sufi esemplari, dei quali ricorda i nomi e ritiene che siano gli autentici amici di Allah (awliyâ’Allah).

[3] Nel subcontinente indiano e in altre regioni del mondo islamico Ibn Taymiyya è stato elevato alla dignità di guida e imâm da wahhabiti e uomini di religione ignoranti. Nel loro sviamento, costoro lo hanno qualificato con epiteti altisonanti quali «sommo mujtahid» o «Shaykh al-Islam». Un numero crescente di musulmani si rifà oggi ai suoi insegnamenti e alle sue opere corrotte come se fossero verità rivelate e rappresentassero l’Islam autentico.

[4] Questo libro, la cui lettura si rivela oltremodo proficua, è stato pubblicato ad Istanbul da Hakîkat Kitâbevi con il sistema di stampa offset.

Traduzione Italiana a cura di Hakîkat Kitâbevi


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