I servitori e la casa
C’era una volta un uomo saggio e benevolo che aveva una grande casa. Nel corso della sua vita aveva dovuto spesso assentarsi per lunghi periodi, e ogni volta aveva affidato la custodia della casa ai suoi servitori.
Una delle caratteristiche di questi individui era la negligenza, e poiché talvolta dimenticavano lo scopo della loro presenza in quella casa, svolgevano i loro compiti in modo meccanico. Talvolta ritenevano anche di dover procedere diversamente da come era stato loro indicato al momento dell’assegnazione dei compiti, in quanto la coscienza delle loro funzioni si era affievolita.
Ora, essendosi una volta il saggio assentato a lungo, nacque una nuova generazione di servitori i quali credettero di essere i padroni della casa. Tuttavia, dato che erano limitati dall’ambiente circostante, pensavano di trovarsi in una situazione paradossale.
Per esempio, talvolta desideravano vendere la casa, ma non trovavano acquirenti perché non sapevano come procedere. E altre volte, quando qualcuno veniva per informarsi sulle condizioni di vendita e chiedeva di vedere gli atti di proprietà, i servitori lo ritenevano pazzo e non lo consideravano un acquirente serio, perché non sapevano che cos’era un atto.
Il paradosso si rivelava anche nel fatto che le provviste per la casa continuavano ad apparire in modo ‘misterioso’; e quel rifornimento non combaciava con le loro supposizioni di essere responsabili della gestione dell’intera casa.
Negli appartamenti del padrone erano state lasciate delle istruzioni riguardo all’amministrazione della casa, allo scopo di rinfrescare loro la memoria. Tuttavia, dopo la prima generazione, questi appartamenti erano diventati una specie di sacrario, al punto che era vietato a chiunque entrarvi.
Presto cominciarono a essere considerati come un mistero impenetrabile. Alcuni credevano persino che gli appartamenti non esistevano affatto, benché potessero vederne le porte di ingresso. Per loro, quelle porte erano semplicemente elementi decorativi.
Questa era la situazione dei servitori. Non si presero mai completamente carico della casa, ne rimasero fedeli ai loro impegni originali.
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La tradizione riporta che questo racconto era molto usato dal martire sufi Mansur El-Hallaj, che fu giustiziato nel 922 per aver detto, presumibilmente, “Io sono la Verità”.
Hallaj ha lasciato una notevole raccolta di poesie mistiche. Numerosi Sufi hanno costantemente sostenuto per mille anni, a rischio della propria vita, che Hallaj era un grande illuminato.