L’uccello indiano ed il mercante
Un mercante teneva un uccello in gabbia. Dovendo recarsi in India, paese originario dell’uccello, gli chiese se desiderava che gli riportasse qualcosa da quel paese. L’uccello chiese di ottenere la sua libertà, ma il mercante gliela negò. Allora lo pregò di recarsi in una certa giungla dell’India e di annunciare la sua cattività a tutti gli uccelli che vivevano in libertà.
È ciò che fece il mercante, ma aveva appena finito di parlare quando un uccello selvatico, simile in tutto al suo, cadde esangue ai piedi del ramo sul quale era appollaiato.
Il mercante pensò allora che doveva sicuramente trattarsi di un parente prossimo dell’uccello in gabbia, e fu addolorato di aver causato la sua morte.
Quando fu di ritorno, l’uccello gli chiese se portava buone notizie dall’India.
“Ahimè, no”, disse il mercante, “temo che le notizie siano brutte! Uno dei tuoi parenti prossimi è stramazzato ai miei piedi quando ho parlato della tua cattività”.
Aveva appena pronunciato queste parole, quando l’uccello indiano stramazzò a sua volta nella gabbia. ^ “La notizia della morte del suo parente ha ucciso anche lui”, pensò il mercante. Era desolato; lo raccolse e andò a poggiarlo sul davanzale della finestra. All’istante, l’uccello tomo in vita e volò sul ramo più vicino.
“Ora sai”, disse l’uccello al mercante, “che ciò che per tè era una calamità, per me era una buona notizia. E nota come il messaggio, cioè come comportarmi per riacquistare la mia libertà, mi è stato trasmesso proprio da tè, mio carceriere”. E volò via, finalmente libero.
* * *
Questa favola di Rumi, come tante altre, evidenzia al cercatore sufi il ruolo molto importante che assume nel sufismo l’apprendimento indiretto.
Gli imitatori e i sistemi concepiti per accordarsi con il pensiero convenzionale, siano essi orientali od occidentali, preferiscono in genere mettere l’accento sul ‘sistema’ e sul ‘programma’, piuttosto che sulla totalità dell’esperienza che avviene in una scuola sufi.