Aḥmad al-Ghazālī – Metafisica dell’amore

Rumi - L'Amore è la cura

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Aḥmad al-Ghazālī – Ricordo e Metafisica dell’amore

di Dr. Joseph E.B. Lumbard, Associate Professor of Islamic Studies, College of Islamic Studies, Hamad Bin Khalifa University, Doha, Qatar

Titolo originale: “Aḥmad al-Ghazālī, Remembrance, and the Metaphysics of Love

Traduzione italiana parziale dall’originale inglese presente su Academia.edu. Pubblicato con il permesso dell’autore

 

L’unità dell’amore

. . . Vi sono precedenti frammentari negli scritti di precedenti Sufi per la comprensione dell’amore di Aḥmad al-Ghazālī, anche se per molti primi sufi non abbiamo dettagli completi dei loro insegnamenti. Negli insegnamenti di Aḥmad al-Ghazālī troviamo una più completa metafisica dell’amore. Il suo non è un resoconto sistematico ma un arazzo di allusioni e aperture, un tessuto per i viandanti che hanno già iniziato a percorrere il sentiero spirituale, sulla base della sua posizione chiara “L’apertura di una porta è sufficiente per un’intelligenza perspicace“. Molto simile al Corano, il Sawaniḥ può apparire ai non iniziati come un’opera disarticolata, una raccolta di aforismi relativi a un particolare insieme di temi. L’ordine nascosto è discernibile solo attraverso un’attenta lettura.

Qui presenterò le opinioni di Aḥmad al-Ghazālī sull’amore in un modo più sistematico, tracciando gli stadi progressivi e le stazioni dell’amore come appaiono in molte sezioni diverse del Sawaniḥ. Siccome il testo è a volte limpido e a volte sfuggente, attingo ad altri testi di questo genere per approfondire le sue osservazioni. Questi saranno i Kashf al-Asrar di Maybudī, il Rawḥ al-arwāḥ di Sam‘ānī, il Tamhīdat di ‘Ayn al-Quḍāt, e il Lama’āt di Fakhr ad-Dīn ‘Irāqī. Il Tamhīdat è più vicino al Sawaniḥ [N.dR.: Sawāniḥ al-ʿushshāq (Aspirazioni degli amanti) ], e il suo vocabolario tecnico è simile. Poiché era il discepolo di al-Ghazālī, ‘Ayn al-Quḍāt si occupa di molte delle stesse questioni, specialmente nel capitolo 6 “La realtà e gli stati dell’amore” e nel capitolo 7″, La realtà dello spirito e del cuore”. Fakhr al-Dīn ‘Irāqī descrive il suo Lama’āt come “poche parole che spiegano i livelli di amore nella tradizione del Sawaniḥ, in sintonia con la voce di ogni stato al suo passaggio“.

Come al-Ghazālī, ‘Irāqī fornisce un sottile discorso metafisico basato sull’idea che “la derivazione dell’amante e dell’amato è da Amore“, e vede tutta la realtà come un dispiegamento d’Amore in cui tutto è o amante o amato e la loro dualità è alla fine condensata nella realtà dell’Amore stesso.

Egli spiega questioni metafisiche che riguardano sia la scuola di Ibn al-‘Arabī sia gli insegnamenti di Aḥmad al-Ghazālī in un modo che impiega il vocabolario tecnico di entrambe le tradizioni, pur mantenendo la tensione drammatica del Sawaniḥ. Tuttavia, nella sua metafisica complessiva, ‘Irāqī è più un seguace del suo maestro Ṣadr ad-Dīn Qūnawī (m. 673/1274) e della scuola di Ibn al-’Arabī che di Aḥmad al-Ghazālī. In definitiva, non ci può essere una corrispondenza perfetta tra testi scritti a questo livello. Come dice ‘Irāqī:

Non c’è dubbio che ogni amante dà un segno diverso  dell’amato,
ogni gnostico fornisce una spiegazione diversa,
e ogni verificatore fa un’allusione diversa.
Le nostre espressioni sono molte e la Tua bellezza una sola,
Ognuno di noi punta a quell’unica bellezza.

Da questo punto di vista, anche se i testi possono divergere nei loro modi di espressione, si completano a vicenda perché ognuno punta alla bellezza di Dio, che per questi autori è l’unica bellezza da cui derivano tutte le altre bellezze.

I due inizi dell’amore

Nel contesto del Sawaniḥ, si potrebbe dire che l’amore ha due inizi: quello prima della creazione e il secondo all’interno della creazione. L’inizio all’interno della creazione è il movimento del viandante verso l’amore. Che prima della creazione inizia con l’amore di Dio per l’essere umano, che è anche la fonte dell’amore dell’uomo per Dio. Dalla prospettiva di cammino, l’essere umano è l’amato. Questo amore senza inizio è ciò che distingue l’essere umano dal resto della creazione. Come Aḥmad al-Ghazālī scrive:

“Il carattere speciale dell’essere umano è questo: non basta essere amati prima di essere amanti? Questo non è una virtù da poco”.

Come molti altri autori sufi, egli sostiene che questo stato senza inizio dell’essere amato è quello a cui si fa riferimento nel Versetto coranico:

Egli li ama ed essi lo amano (5:57).

Attingendo a questo verso, scrive:

La radice dell’amore cresce dall’eternità. Il punto sotto la lettera ba) (b) in Egli li ama (yuhibbuhum) è stato piantato come un seme nel terreno in cui lo amano. No, piuttosto, quel punto è stato piantato in loro (hum), perché essi lo amano per uscire.

Aḥmad al-Ghazālī, come molti prima e dopo di lui, spiega questo amore facendo riferimento al racconto coranico dell’alleanza pre-temporale con Dio che è stato fatto quando tutti gli esseri umani erano ancora nei lombi di Adamo. Come il Corano afferma:

E quando il Signore trasse, dai lombi dei figli di Adamo, tutti i loro discendenti e li fece testimoniare contro loro stessi [disse]: “Non sono il vostro Signore?”. Risposero: “Sì, lo attestiamo”, [Lo facemmo] perché nel Giorno della Resurrezione non diciate: “Veramente eravamo incoscienti”; (7:172).

Questo evento è conosciuto nella letteratura islamica come “Il giorno dell’Alleanza” e nella tradizione sufi persiana come rūz-i alast (Il giorno di “Non sono io [il tuo Signore]?”). È inteso da Aḥmad al-Ghazālī e altri come un’alleanza forgiata nell’amore e attraverso l’amore. Quando Dio disse a tutti gli esseri umani: “Non sono io il vostro Signore?”, questo era il suo amore per loro. Quando gli esseri umani rispondevano dicendo “Sì” (bala), questo era il loro amore per Dio. Da questo punto di vista, solo grazie al fatto che Dio li ha resi amati gli esseri umani sono diventati amanti, e tutto l’amore umano e l’aspirazione a Dio ha origine dall’amore pre-temporale di Dio per l’uomo. Come scrive Aḥmad, “Egli li ama viene prima di essi lo amino – senza dubbio.

Bāyazīd [al-Bastāmī] disse:

Per molto tempo ho immaginato di desiderare Lui. Lui stesso mi ha voluto per primo“.

In questa prospettiva, l’amore dell’essere umano per Dio è lo stesso amore che Dio ha per l’essere umano. Anche se per l’uomo l’amore trova espressione nell’ordine temporale, come l’essere umano stesso, l’origine dell’amore è senza inizio e la sua meta è l’infinito. Shaykh al-Ghazālī allude all’unità fondamentale dell’amore in tutti queste fasi attraverso una metafora, “Quando il gelsomino dell’amore è venuto fuori, il seme era dello stesso colore del frutto, e il frutto era lo stesso colore del seme”. Il seme, l’albero e il frutto possono essere nominati come entità diverse, ma in realtà sono la stessa sostanza in forme diverse. Tutto il Sawaniḥ riguarda la derivazione di tutti i rami e i frutti dell’amore da quest’unico seme eterno di amore e l’inevitabile ritorno di tutti i modi d’amore all’Amore nell’Amore e attraverso l’Amore. Come scrive lo Shaykh:

L’amore è il proprio uccello e il proprio nido, la propria essenza e

il proprio attributo, la propria ala e il proprio vento, il proprio

arco e il proprio volo, il proprio cacciatore e il proprio gioco,

la propria direzione e ciò che vi è diretto, il proprio cercatore

e il proprio obiettivo. È il suo proprio inizio e la sua propria fine,

il suo sultano e il suo suddito, la propria spada e la propria guaina.

È giardino così come albero, ramo così come frutto, nido così come uccello.

La totalità di questa discussione riguarda quindi le molte facce che l’Amore Assoluto assume mentre si dispiega.

In questo senso, al-Ghazālī va un passo oltre gli insegnamenti sull’amore attribuiti ad al-Ḥallāj da ad-Daylamī. Mentre al-Ḥallāj si dice che abbia parlato di ‘ishq come un attributo appartenente all’Essenza Divina e ad-Daylamī allude allo stesso insegnamento pur usando la parola mahabbah, al-Ghazālī, come ‘Ayn al-Quḍāt e ‘Irāqī dopo di lui, lo tratta proprio come l’Essenza Divina. Non solo Dio ama l’uomo, ma Dio ha modellato ogni cosa attraverso l’amore.

Come scrive ‘Irāqī,

L’amore scorre in tutti gli esistenti. . . tutto è amore“.

Quindi l’amore è di fatto l’essenza stessa dell’amante. Questa stessa comprensione può essere implicita negli insegnamenti di al-Ḥallāj, ad-Daylamī, e Anṣārī, ma nessuno di loro sviluppa una spiegazione estesa. Essi lasciano intendere che tutti gli aspetti della creazione sono manifestazioni d’amore, ma non forniscono una spiegazione dettagliata, sebbene ogni fase del cammino spirituale è presentato in relazione all’amore.

Il processo attraverso il quale il Divino Amore-Essenza si dispiega comprende due fasi: il percorso di discesa e il percorso di salita. Il primo è il percorso dal Divino e il secondo è il percorso di ritorno al Divino. La discesa è il cammino dall’amore che inizia prima della creazione e l’ascesa è dall’amore che inizia nella creazione. La maggior parte del Sawaniḥ riguarda il percorso di ascesa perché i suoi molti ostacoli contrastano l’amante e diluiscono la sua esperienza dell’amore per ciò che è eterno con l’amore per ciò che è contingente e temporale. Ciononostante, c’è qualche discussione sul percorso di discesa, poiché per comprendere appieno la sua situazione il viandante spirituale deve essere consapevole che questa storia è iniziata fuori dal tempo (abad), raggiunge l’infinito (azal), e non può essere completamente realizzato nel regno temporale. Come scrive Aḥmad al-Ghazālī:

O cavaliere! La grazia che l’eternità ha messo fuori dal tempo,

come può la contingenza ricevere tutto se non nell’infinito?

No, piuttosto la contingenza può ricevere pienamente solo la grazia

che l’eternità ha posto fuori dal tempo e dallo spazio.

O cavaliere! L’assenza di inizio è scesa qui [questo

mondo], ma l’infinito non può mai raggiungere una fine.

La grazia che scende non raggiungerà mai l’esaurimento completo.

Se tu puoi avere l’intuizione del nucleo segreto del tuo momento,

devi sapere che la lunghezza dei due archi (53:9) del principio e dell’infinito

sono il tuo cuore e il tuo momento (waqt).

Il riferimento alla “lunghezza di due archi” è tratto dal racconto coranico dell’ascensione (mi‘raj) del Profeta Muhammad alla Presenza Divina:

Poi s’avvicinò scendendo ancora più in basso,

[finché] fu alla distanza di due archi o meno.

Rivelò al Suo servo quello che rivelò.

Il cuore non mentì su quel che vide. (Corano, 53:8-11).

Per Aḥmad al-Ghazālī, come per molti sufi, i due archi rappresentano l’arco di discesa da l’assenza di inizio e l’arco di ascesa verso l’eternità. Insieme essi comprendono l’intero cerchio dell’esistenza. L’assenza di inizio è il punto da cui inizia l’arco di discesa e l’infinito è il punto a cui ritorna l’arco di ascesa. Ma in realtà sono una cosa sola; il termine impiegato è una questione di prospettiva.

Come uno scende nel mondo corporeo, vari modi di manifestazione vengono attualizzati. Affinché queste modalità siano integrate e unificate, si deve tornare sul sentiero dell’ascesa. Dire che il sentiero della discesa dall’assenza di inizio e il cammino di ascesa verso l’infinito sono il cuore e il momento del viandante è come dire che la propria vera natura è determinata da dove ci si trova nel processo di ritorno.

Come sarà spiegato più avanti, il cuore è la facoltà dell’amore per cui la bellezza e l’amato sono percepiti come molte derivazioni dell’amore, e questo atto di percezione è il processo stesso della reintegrazione spirituale. Il momento è lo stato che si modifica in accordo con la posizione del viandante mentre si muove attraverso le fasi del suo viaggio. Questo momento fa vacillare tra dolore e sollievo, sofferenza e felicità, ed espansione e contrazione, fino a quando il viandante si annienta nell’Amore stesso al di là delle sue manifestazioni come amante e amato.

La discesa dello spirito

Un momento cruciale nel percorso di discesa si verifica quando lo spirito discende nell’ordine temporale. Per Aḥmad al-Ghazālī, come per Maybudī, Sam‘ānī, ‘Ayn al-Quḍāt, e tutti i rappresentanti della “Scuola d’amore”, questo spirito è quello a cui Dio si riferisce quando dice,

Di’: “Lo spirito procede dal comando del mio Signore” (Corano, 17:85)

e

ho insufflato in lui del Mio spirito (Corano, 38:72, 15:29).

Essi citano questi versetti per indicare che lo spirito è il nucleo dell’essere umano, attraverso il quale si è eternamente legato al comando di Dio.

Come scrive Sam‘ānī, “Il giorno in cui disse:’ “Ho soffiato in lui il mio spirito” [15:29, 38:72], mise in atto la qualificazione degli esseri umani.

All’inizio aveva decretato che la pura servitù avrebbe contratto un matrimonio con la Signoria totale:

“Non sono forse io il vostro Signore?” [7:172].

Come tale, lo spirito non è soggetto alle parole Sii! Ed esso sia (kun fa-yakun; 2:117; 3:47; 6:73; 16:40; 19:35; 36:82; 40:69) con cui Dio crea.

Per ‘Ayn al-Quḍāt, lo spirito è infatti il comando stesso:

È il comandante, non il comandato. È l’attore, non l’atto compiuto; il conquistatore, non il conquistato”.

Secondo al-Ghazālī, “Quando lo spirito è venuto dalla non-esistenza all’esistenza, l’amore era in attesa dello spirito da cavalcare sulla frontiera dell’esistenza”. Lo spirito aspettava l’amore perché è fatto solo per l’amore ed è l’unico destriero adatto all’amore. Come scrive ‘Ayn al- Quḍāt, lo spirito “ha la qualità di essere senza inizio“.

Così Shaykh al-Ghazālī scrive, “l’amore non appare come un cavaliere su nulla se non sul destriero dello spirito“. Lo spirito mantiene sempre una posizione al di sopra del cuore perché quest’ultimo oscilla tra la dispersione dell’anima e la costanza dello spirito. Come osservato nel Capitolo 3, il cuore, anche se più sottile e più esaltato dell’anima, rappresenta tuttavia l’aspetto più esterno dell’essere interiore del viandante. Lo spirito e il nucleo segreto sono dimensioni più esaltate e più sottili della propria natura interiore. Come si vedrà in seguito, gran parte del viaggio viene percorso all’interno del cuore man mano che ci si avvicina allo spirito, ma l’amore può apparire solo nello spirito perché solo lo spirito ha la capacità di manifestare pienamente l’amore.

Poiché il viandante è velato da molti degli offuscamenti che sorgono nel processo di creazione, la relazione tra l’amore e lo spirito cavalcato può assumere molte forme. Come al-Ghazālī scrive:

A volte lo spirito è per l’amore come la terra,

tale che l’albero dell’amore cresce da esso.

A volte lo spirito è come l’essenza,

tale che l’attributo sussiste attraverso esso.

A volte è come il compagno in una casa,

tale che l’amore ha anche un turno di sussistenza.

A volte l ‘amore è l’essenza e lo spirito è l’attributo,

così che lo spirito sussisterà attraverso di esso.

Queste relazioni multiple sorgono perché “lo spirito è l’involucro dell’amore“, così nella ricerca dell’amore il viandante deve incontrare lo spirito prima di incontrare pienamente l’amore.

Pertanto, lo spirito a volte sembrerà cavalcare l’amore, mentre l’amore sembrerà sussistere attraverso di esso, mentre in realtà l’amore cavalca lo spirito e lo spirito sussiste attraverso l’amore.

Per la maggior parte delle persone, la percezione rimane delimitata dalle contingenze della temporalità, quindi il rapporto tra l’amore e lo spirito appare distorto. La sua realtà è percepita solo quando si è entrati in quello che Shaykh al-Ghazālī definisce come “il mondo della seconda affermazione” al di là dell’annientamento, cioè, quando l’esistenza individuale dell’amante si consuma e l’amante permane solo nell’amore.

Il cuore

La facoltà con cui si intraprende il cammino spirituale è il cuore, perché il cuore è stato fatto solo per amare, come già detto:

La funzione del cuore è essere un amante.

Finché l’amore è negato, esso non ha alcuna funzione.

Quando diventa un amante,

sarà anche pronto alla sua funzione.

È quindi certo che il cuore

è stato creato per l’amore e per essere un amante,

ed esso nient’altro conosce.

Aḥmad al-Ghazālī paragona così il cuore a un nido per l’uccello dell’amore che venne prima dei tempi.

Il segreto – che Amore non mostra mai tutto il suo volto a nessuno –

è che è l’uccello della pre-eternità.

Quello che è venuto qui [in questo mondo] è il viaggiatore dell’infinito.

Qui non mostra il suo volto alla visione degli esseri contingenti,

perché ogni casa non è un nido per lui, poiché ha

nascosto il nido a partire dalla magnificenza del senza inizio.

Nella misura in cui si cerca di percepire l’amore con le facoltà di percezione o di capire l’amore con la mente, si fallirà.

Come William Chittick osserva: “Gli studiosi e i pensatori non hanno accesso a questo regno se non diventano anche amanti“.

Per conoscere l’amore, o meglio gustare l’amore, bisogna conoscere il cuore e imparare a vedere con esso, perché esso solo può percepire le manifestazioni degli attributi dell’Amore nel regno degli esseri contingenti. Nell’ordine temporale, il viandante sperimenta il cuore come locus della Bellezza dell’Amato, anche quando egli ignora questa funzione.

Come scrive Shaykh al-Ghazālī, “Ed è possibile che l’amante stesso non lo sappia, ma il suo cuore stesso è il luogo di quella bellezza e cerca l’osservazione finché non la trova“.

Questo è il motivo per cui dice che l’amante “beve solo dalla ciotola del cuore“. Infatti, sebbene il suo nutrimento nell’amore provenga dalla Bellezza dell’Amato, questa bellezza è testimoniata solo su quello schermo attraverso il quale l’amore contempla le proprie rivelazioni attraverso la testimonianza dell’amante, cioè il cuore, poiché “il cuore è il luogo degli attributi [dell’amore]”.

Le molte allusioni di Aḥmad al-Ghazālī alla funzione del cuore sono sparse in tutto il Sawaniḥ.

Nel suo Tamhīdat, ‘Ayn al-Quḍāt fornisce una discussione più lucida e concisa. Qui esorta il lettore a cercare il cuore, perché è nel cuore che si trova la vera natura:

Cerca il cuore! E coglilo! Sai dov’è il cuore?

Cerca il cuore “tra le due dita del Compassionevole”.

Ahimè! Se la bellezza delle “due dita del Compassionevole”

dovesse sollevare il velo della Gloria,

ogni il cuore avrebbe trovato il rimedio.

Il cuore sa cos’è e chi è.

Il cuore è l’oggetto dello sguardo di Dio.

E il cuore stesso è meritevole di:

“In verità Dio non guarda alle vostre forme, né alle vostre azioni,

ma Egli guarda i vostri cuori”.

O amico, il cuore è il luogo dello sguardo di Dio.

Quando la cornice [corporea] (qalib) prende il colore del cuore

e diventa dello stesso colore del cuore,

anche la cornice [corporea] diventa l’oggetto dello sguardo.

Nel testimoniare le tracce e le immagini dell’amato, l’amante diventa il mezzo con cui Dio testimonia gli attributi del suo amore, che sono tutti composti dalla sua bellezza come si riflette sullo schermo del cuore dell’amante.

Mano a mano che il viandante progredisce nell’amore, il corpo stesso prende il colore del cuore, perché un cuore sottile risulta nell’Amore Divino o Luce che penetra nell’argilla adamitica. Per quanto riguarda il testimone del Divino nel proprio cuore, Aḥmad al-Ghazālī registra questi versi:

Tu stesso, O Amato, sei nel cuore notte e giorno.

Ogni volta che ti voglio, guardo nel cuore.

Il cuore, tuttavia, è solo il luogo della manifestazione degli attributi dell’amore, non dell’Amore stesso, poiché l’Amore è l’Essenza Divina, e l’Essenza non può mai essere pienamente manifesta.

Ecco perché Aḥmad al-Ghazālī afferma che “l’amore non mostra mai tutto il suo volto a nessuno“. I vari stadi e gradi del percorso possono essere intesi come i vari modi in cui gli attributi dell’Amore si manifestano. Ma come osserva Fakhr ad-Dīn ‘Irāqī, qui gli attributi funzionano anche come veli:

I suoi veli sono i suoi stessi nomi e attributi. Come l’autore di Qūt al-qulūb dice [1]:

“L’essenza è velata dagli attributi,

gli attributi dagli atti”.

In definitiva, Egli stesso è il suo stesso velo,

perché Egli è nascosto dall’intensità stessa della sua manifestazione

e coperto dalla potenza stessa della Sua luce.

I veli sono essenziali per la manifestazione. Senza di essi, tutto ciò che esiste sarebbe annientato dall’immediata e travolgente Presenza di Dio.

In questo senso, è attraverso la limitazione di Dio stesso che la manifestazione si produce. Quindi ‘Irāqī scrive: “Questi nomi e attributi non devono essere sollevati, perché se lo fossero, l’Unità dell’Essenza folgorerebbe da dietro lo schermo della Potenza, e tutte le cose sarebbero totalmente annichilite”. L’incapacità di percepire Dio può quindi non essere dovuta alla distanza, ma piuttosto alla vicinanza.

Come al-Ghazālī scrive: “Tutto ciò che è irraggiungibile lo è a causa della grandezza ed esaltazione. E lo è anche a causa della sottigliezza e dall’eccesso di vicinanza“.

Le prime intuizioni d’amore del viandante spirituale arrivano attraverso la percezione delle auto-delimitazioni di Dio. Rafforzando le facoltà interiori di percezione e di passaggio attraverso i veli degli Attributi Divini, l’amante è gradualmente in grado di testimoniare il Divino in modo più diretto. Ma questo è un processo doloroso e arduo, perché devono essere rimossi sia i veli esterni, sia quelli interni.

Come scrive Shaykh al-Ghazālī, “I mondi interiori non possono essere realizzati così facilmente. Non è così facile perché lì vi sono schermi, veli, tesori, e meraviglie”. Così egli sostiene che il cammino spirituale è caratterizzato più dal dolore, dall’afflizione e dall’oppressione che da agio, conforto e consolazione: “In realtà, l’amore è afflizione, e l’intimità e il conforto in esso sono strani e sono presi in prestito”. Continua dicendo sia che “l’amore è afflizione” e che “l’afflizione è il cuore”. Così, sperimentare l’afflizione nel cuore è nella natura stessa dell’avere un cuore e parte della sua maturazione.

Come dice Maybudī, “Quando una cosa viene bruciata perde valore, ma quando un cuore viene bruciato, guadagna in valore“.

L’afflizione è una misericordia divina che conduce il viandante spirituale e aiuta a trascendere molti veli. Testimoniare l’amato sullo schermo del cuore è la costante persecuzione dell’amante da parte dell’Amato ed è come se l’amante bevesse il nutrimento dalla coppa del suo cuore.

Come scrive al-Ghazālī, “Poiché l’amore è afflizione, il suo nutrimento nella conoscenza è dalla persecuzione che l’amato compie”. Infatti, “la perpetuità della testimonianza [dell’amato] appare nella perpetuità dell’afflizione”.

Bellezza e amore

I termini centrali nella discussione di Aḥmad al-Ghazālī sulla relazione tra l’amante e l’amato sono la bellezza (ḥusn) e l’amore (‘ishq). Senza quest’ultimo non ci può essere un amante, e senza il primo non c’è l’amato. L’amore è il seme degli attributi dell’amante, e la bellezza è il seme degli attributi dell’amato. Ma come Nasrollah Pourjavady osserva nel suo commento al Sawaniḥ:

Visti dal punto di vista dell’Assoluto non sono che uno.

La Realtà Ultima . . . ha entrambi questi semi in sé in perfetta unione.

Infatti è un solo seme che si ramificherà

nelle forme dell’Amato e dell’amante.

Il ramo che porta alla forma dell’amato è ḥusn e l’unico

che porta alla forma dell’amante è l’amore.

Per sostenere questa osservazione, Pourjavady cita un passaggio di Ḥusn va-’ishq del maestro sufi Nūr ‘Alī Shāh Iṣfahānī (m. 1212/1798):

Le persone di conoscenza mistica dicono che ḥusn è l’ultimo

fine della creazione e l’amore costituisce il fondamento di ḥusn.

Inoltre, è ovvio per chiunque sia in possesso dell’Intelletto

che ḥusn non è altro che amore. Anche se hanno due nomi,

sono una sola cosa nella loro essenza.

Per Aḥmad al-Ghazālī, “l’inizio dell’amore parte dal seme della bellezza piantato nel terreno dell’isolamento del cuore dalla mano della testimonianza“. Tale è l’inizio della storia d’amore perché quella bellezza è il mezzo con cui l’amante assiste alla manifestazione dell’Amore Assoluto nella forma delimitata dell’amato.

La bellezza di ogni cosa è chiamata da al-Ghazālī “il marchio della creazione”. Questa bellezza è il volto segreto che rivela l’Amore Assoluto e in virtù del quale tutte le cose esistono veramente. Perché se non avessero un volto rivolto verso l’Assoluto, non vi sarebbe stato modo per loro di derivare la loro esistenza da esso:

Il volto segreto di ogni cosa è il punto della sua connessione,

e un segno nascosto nella creazione, e la bellezza è il marchio

della creazione. Il volto segreto è quello che è rivolto all’amore.

Così finché uno non vede quel volto segreto, non vedrà mai il

segno della creazione e della bellezza. Quel volto è la bellezza di:

[solo] rimarrà il Volto del tuo Signore [8] (Corano, 55:27).

Oltre ad esso non c’è volto, perché

Tutto quel che è sulla terra è destinato a perire (Corano, 55:26).

E quella faccia non è niente, come sapete.

Nel testimoniare la bellezza dell’Amato, l’amante viandante assiste così a manifestazioni del Divino. Rivolgendosi a questo stesso punto, Fakhr ad-Dīn ‘Irāqī dice che il volto è il significato o la realtà (ma‘nā) di una cosa che è “l’auto-rivelazione di Dio” (tajallī Allah).

Poi si rivolge al lettore:

O amico, quando saprai che il significato e la realtà delle cose

è il Suo Volto, allora dirai: “Mostraci le cose come sono”

finché non vedrai chiaramente che

In ogni cosa c’è un segno

Che indica che Egli è Uno.

Ma è solo l’essere umano e, inoltre, solo il cuore dell’essere umano che è in grado di percepire il volto divino nella bellezza e quindi in grado di leggere questi segni. In questo modo, l’amato è interamente dipendente dall’amante perché la sua bellezza si realizzi pienamente; altrimenti non sarebbe amato:

L’occhio della bellezza guarda lontano dalla propria bellezza, perché

non può trovare la perfezione della propria bellezza se non nello

specchio dell’amore dell’amante. In questo modo la bellezza deve

avere un amante in modo che l’amato possa nutrirsi della

la propria bellezza nello specchio dell’amore e nella ricerca dell’amante.

Questo è un grande segreto e il segreto di molti segreti.

Tenendo presente la precedente discussione sul cuore, la bellezza assume una forma sullo schermo del cuore dell’amante con cui un particolare aspetto o attributo dell’amore si rivela come l’amato. Da questa prospettiva, solo l’amante è veramente derivato dall’amore perché tutta la storia d’amore è il riflesso della bellezza dell’amato sullo schermo del cuore dell’amante. Poiché l’amato è di fatto riflesso di bellezza nel cuore, è dal suo stesso cuore che l’amante beve il nutrimento che si dice sia stato bevuto dall’amato. Per quanto riguarda la derivazione dell’amore dall’amante e la derivazione dell’amore dall’amato, al-Ghazālī scrive:

Il nome dell’amato è preso in prestito in amore

e il nome dell’amante è la realtà in amore.

La derivazione dell’amato

dall’amore è una metafora ed è calunnia.

In realtà la derivazione appartiene all’amante,

perché egli è il luogo del regno dell’amore e del suo destriero.

Ma l’amato non ha certamente nessuna derivazione dall’amore.

Nelle prime fasi dell’amore sembra che l’amore derivi dall’amato, ma in realtà tutto l’amore deriva dall’amante. Tutta la questione è un viaggio interiore.

Le molte fasi della relazione tra l’amante e l’amato possono essere intese come il modo in cui l’Amore sta amando se stesso attraverso la manifestazione e auto-rivelazione della propria bellezza nel cuore dell’amante.

Anche se la bellezza è il mezzo con cui l’amante assiste all’amato, la bellezza in sé e per sé è al di là dell’amato e non si rivolge verso la creazione. Considerato in questa luce, la testimonianza dell’amato è provvisoria e testimoniare la bellezza stessa è vedere direttamente con l ’occhio del cuore.

Ciononostante, assistere alla bellezza attraverso l’intermediario dell’amato segna l’avanzamento sul sentiero spirituale, anche se è ancora solo uno stadio di relatività e di contingenza. Alludendo a questo al-Ghazālī scrive:

Lo sguardo della bellezza è una cosa e lo sguardo dell’amato è un’altra.

Lo sguardo della bellezza non ha volto verso un altro

e non ha alcuna connessione con ciò che è fuori.

Ma per quanto riguarda lo sguardo d’amore, i gesti amorosi, il flirt,

e la civetteria, che è una realtà che trae il suo sostegno dall’amante;

senza di lui essi non troveranno la strada.

Come lo sguardo della bellezza “non ha volto verso un altro e ha nessuna connessione con ciò che è fuori”, non può essere testimoniato dall’ amante mentre la dualità di amante e amato rimane.

Finché c’è dualità tra l’amante e l’amato, l’amante deve sopportare le prove di flirt e civetteria che vengono dallo sguardo di amabilità, o piuttosto dalle manifestazioni divine degli attributi d’Amore sullo schermo del cuore dell’amante.

Per al-Ghazālī, il flirt e la civetteria sono il risultato di molti stati di cammino spirituale, come l’espansione (basṭ) e la contrazione (qabḍ), il dolore e la felicità, separazione (firāq) e unione (wiṣal), tutti definiti in relazione con un opposto.

Nel sopportare queste alternanze, il viandante si avvicina alla perfezione dell’amore e della bellezza. Shaykh al-Ghazālī paragona questo processo alla cottura:

O cavaliere! Lo sguardo dell’amabilità nella bellezza e lo sguardo della bellezza devono essere come il sale nella pentola, affinché la perfezione della salinità sia collegata alla perfezione della bellezza”.

Solo il completamente cotto e il cuore stagionato, cioè il cuore spiritualmente maturo, è in grado di percepire la pienezza della bellezza pura al di là del gioco di amante e amato.

Le tappe del cammino

Una volta che l’Amore è sceso nel mondo, comincia a cercare se stesso attraverso l’amore dell’amante. L’amore realizzato nell’amante porta al secondo inizio con il quale il percorso di ascesa dall’ordine temporale del creato ha viaggiato verso l’infinito. Perché l’amore raggiunga la pienezza, il percorso di ascesa richiede quattro tappe:

  1. quella in cui si ama ciò che non è l’amato;
  2. quello in cui si ama ciò che riguarda la persona amata e che è attaccato ad essa;
  3. quello in cui si ama solo l’amato; e
  4. quello in cui si è immersi nell’oceano dell’Amore, al di là di ogni dualità.

Anche se separabili in teoria, queste fasi non sono sempre distinte l’una dall’altra nella pratica. Mentre l’amante viandante percorre il cammino, fluttuerà, a volte sarà completamente nella testimonianza dell’amato solo per tornare di nuovo ad amare le sue ombre. Solo quando l’amante è diventato completamente immerso nell’unità dell’Amore, egli sarà al di là dell’ascensione e della discesa – crescita e decrescita.

La sezione seguente esamina queste fasi in ordine crescente.

Amore per ciò che è altro

Anche quando si ama ciò che è diverso dall’amato, il suo amore è per l’unico amato, anche se può non esserne consapevole. Come ‘Irāqī scrive, tutte le forme d’amore sono uguali nella sostanza:

Non è consono amare altro, anzi è impossibile.

Perché qualunque cosa amino oltre all’Amore Essenziale,

la cui causa necessaria non è nota – sia che amino la bellezza

o fare ciò che è bello (iḥsan) – questi due non potrebbero

essere diversi da esso.

Ma a differenza di ‘Irāqī e di suo fratello Abū Ḥāmid, Aḥmad al-Ghazālī non parla di questa fase iniziale dell’amore. Quelli che hanno già dedicato se stessi al cammino spirituale lo hanno fatto perché sono consapevoli del fatto che c’è un solo amato.

Questa iniziale consapevolezza è quindi assunta come punto di partenza, e il Sawaniḥ si concentra sulle sottigliezze della multiforme relazione tra l’amante e l’amato, poiché le fasi di questa relazione sono le fasi del percorso spirituale.

Contrasto tra l’amante e l’amato

Finché esistono, l’amante e l’amato sono legati l’uno all’altro in un continuo gioco di unione e separazione. Entrambi sono derivate dall’amore, ma ognuna manifesta qualità diverse. Essi sono infatti gli opposti polari:

L’Amato è l’amato in ogni stato,

quindi l’auto-sufficienza è il Suo attributo.

E l’amante è l’amante in ogni stato,

quindi la povertà è il suo attributo.

L’amante ha sempre bisogno dell’Amato,

quindi la povertà è sempre il suo attributo.

E l’Amato non ha bisogno di nulla,

perché ha sempre Se Stesso.

Perciò, l’autosufficienza è il suo attributo.

A volte l’amante e l’amato sono attratti l’uno dall’altro; altre volte si oppongono l’uno all’altro; e a volte uno si oppone all’altro, mentre l’altro è attratto da esso. Ma in ogni momento sono dipendenti l’uno dall’altro.

È facile immaginare come l’amante che è tutto povertà e bisogno possa dipendere dall’Amato che è completamente autosufficiente, ma è più difficile vedere come l’Amato dipenda dall’amante. Riguardo a questa relazione, Aḥmad al-Ghazālī scrive:

“Questi attributi dell’amato non diventano manifesti se non attraverso la manifestazione dei loro opposti nell’amante – fintanto che la povertà di questo non è manifestata, la Sua autosufficienza non appare”.

In definitiva, l’amante e l’amato sono due componenti di una dualità complementare. È attraverso la loro interazione che l’amore e la bellezza sono percepiti sullo schermo del cuore, portando a stagionata perfezione. Come ingredienti diversi che bollono in una pentola, le loro posizioni cambiano costantemente. Alla fine, i loro molti modi evaporano e tutto ciò che rimane è ciò che al-Ghazālī chiama un “cuore arrostito” (dilī biryan), che risiede nell’unità dell’amore puro.

I due volti del desiderio

Finché il suo cuore non è completamente “arrostito”, l’amante-viandante deve abbracciare pienamente la realtà della sua povertà di fronte all’amato in modo che cessi di credere di esistere attraverso il proprio sé. Come al-Ghazālī scrive:

“Essere se stessi attraverso il proprio io è una cosa, essere se stessi attraverso la persona amata è un’altra. Essere se stessi attraverso la propria unicità è l’immaturità del principiante in amore”.

Mentre l’amante è in questo stato di immaturità, continua ad amare per se stesso, anche se il suo amore è diretto verso l’amata:

“L’inizio dell’amore è tale che l’amante vuole l’amato per se stesso. La persona è amante di se stessa attraverso l’intermediario dell’amata, ma non sa che vuole usarla sul cammino della propria volontà”.

Anche il suo desiderio di trovare l’amato o di avanzare sul percorso spirituale può essere un ostacolo, poiché tale desiderio può essere una deleteria riaffermazione di sé. Il desiderio può in qualche modo aiutare ad avviare questo percorso, ma nelle fasi successive, si deve essere liberi da ogni desiderio e permettere al percorso di svelarsi. Visto dalla fine del sentiero,

“Il desiderio è interamente calunnia. La calunnia è tutta carenza. La carenza è interamente una vergogna. E la vergogna si oppone completamente alla certezza e al ri-conoscimento ed è uguale all’ignoranza”.

Tuttavia, “il desiderio ha due facce: una è la sua faccia bianca e una è la sua faccia nera. Quella faccia che è rivolta verso la generosità è bianca e quel volto che è rivolto a pretendere [di avere] dignità, o la calunnia di pretendere dignità, è nera”.

Per cui nella misura in cui l’amante crede che ci sia qualcosa in lui che è altro che la pura povertà e il biasimo che ha ricevuto dall’amore, il suo desiderio è nero, perché continua a credere di essere un amante grazie a se stesso. Può avere desiderio di misericordia dall’amato, ma alla fine anche questo deve essere eradicato attraverso la sofferenza in amore.

Il dolore dell’amore

Quando l’amante-viandante rimane nell’immaturità d’amore dove cerca l’amante per se stesso, pensa che questa relazione con l’amato sia uno stato di comodità e di facilità. Ma come ricordato nella discussione sul cuore, questa non è la realtà dell’amore. Il più maturo, o “cotto”, amante-viandante diventa consapevole che il dolore e le difficoltà sono centrali nell’amore, perché “la sofferenza è ciò che è essenziale nell’amore e il conforto è preso in prestito”. La relazione tra l’amante e l’amato è quella di dolore e difficoltà perché sono sempre due e la dualità implica necessariamente un’opposizione. Come afferma Aḥmad al-Ghazālī:

Sappiate che l’amante è un avversario, non un compagno,

e l’amato è anche un avversario, non un compagno, poiché

la compagnia è destinata a cancellare le loro tracce.

Finché c’è dualità e ogni sé è un sé attraverso l’ego,

gli avversari saranno assoluti. La compagnia è nell’ unificazione.

Così non accadrà mai che l’amante e l’amato diventino compagni l’uno dell’altro, perché questo non deve esistere. La sofferenza dell’amore è interamente in questo, perché la compagnia non ci sarà mai.

Da questo punto di vista, la facilità e la comodità sono i desideri di un ego non maturo o non cotto. Finché l’amante li cerca, è in balia dei suoi limiti, fluttuando tra le realtà dell’amore e dei suoi desideri illusori:

L’amore va e viene; ha aumento, diminuzione e perfezione, e l’amante ha degli stati in esso. All’inizio può negarlo, poi può sottomettersi ad esso. Talora può potrebbe cadere in disgrazia e di nuovo imboccare il sentiero della negazione. Questi stati cambiano secondo il momento e l’individuo: a volte l’amore aumenta e l’amante lo nega; a volte l’amore diminuisce e colui che lo possiede nega la diminuzione.

Così l’aumento e la diminuzione rompono lentamente le illusioni di indipendenza e mostrano all’amante la relatività del suo sé, preparandolo ad accettare l’assolutezza dell’amore; “Perché l’amore deve aprire il castello dell’amante per avere una casa per sé all’interno, in modo che l’amante sia domato e si arrenda”. Attraverso le prove di questo cammino, l’Amore sottomette l’amante portandolo dal suo sé illusorio al suo vero Sé. Alludendo a questa fase del sentiero, lo Shaykh scrive:

“L’afflizione e l’oppressione sono i conquistatori del castello, il loro mangano è la bassezza del tuo ego fino a quando tu lo [il castello] conquisti”.

Finché l’Amore non ha sottomesso l’amante attraverso il dolore, l’afflizione e oppressione, l’amante rimane figlio dell’attimo, soggetto a qualsiasi cosa sia stato decretato:

Qualunque editto abbia il momento,

lui deve seguire l’editto del colore del momento:

il momento dipinge l’amante secondo il suo colore

e l’editto apparterrà al momento.

Nel percorso di annientamento di sé,

questi editti sono cancellati e questi opposti vengono rimossi,

perché sono una raccolta di cupidigia e difetto.

È in questo punto tra l’essere un sé attraverso il proprio sé e essere attratto dall’amato che l’amante comincia ad ottenere qualche conoscenza (‘ilm). Tale conoscenza viene “dall’osservazione di una forma che è stata fissata dentro” il cuore attraverso i riflessi degli attributi dell’amore nella forma dell’amato. Dal punto di vista del ricercatore, osservare tali forme sullo schermo del proprio cuore è un progresso, ma dal punto di vista della perfezione, è ancora un limite.

Lo stato di perfezione è al di là della dualità implicita nella conoscenza; piuttosto, la perfezione può avvenire solo quando l’amante è completamente immerso nell’amore. Nel giustapporre la conoscenza e la perfezione che sta al di là di essa al-Ghazālī scrive:

Finché l’amore non ha preso completamente possesso, qualcosa dall’amante rimane, tale che egli porta un rapporto su di esso con l’esternalità della conoscenza in modo che può essere informato. Ma quando [l’amore] si impadronisce del regno [del cuore del viandante] completamente, nulla rimane dell’amante, nulla che possa lasciare un resoconto per trarre nutrimento da esso.

L’amante che non è ancora immerso nell’amore continua ad essere estasiato dalle immagini che lampeggiano sullo schermo del suo cuore e deve progredire finché non vede l’Amato in tutte le cose.

Questo è ancora quello che al-Ghazālī riferisce come l’inizio dell’amore. È, tuttavia, al di là della fase in cui l’amante ama l’amato solo per se stesso. In questa seconda fase, “ovunque veda una somiglianza di questo tipo, la riporta all’amato”, vale a dire che egli ricollega tutte le cose all’Amato piuttosto che a se stesso. Ora ama ciò che è legato all’Amato, cercando consolazione da esso.

È allora che “la spada della gelosia dell’Amato cade“, tagliandolo fuori da tutto ciò che non è l’Amato.

Unione tra l’amante e l’Amato

L’amato, anche se superiore all’amante in principio, è dipendente da lui per la propria esistenza nel qui e ora. Così lo Shaykh esprime questo concetto:

Per quanto riguarda la realtà della relazione,

l’amato non riceve profitto o perdita da parte dell’amante.

Ma per quanto riguarda la consuetudine (sunnah) della generosità dell’amore,

l’amore lega l’amante all’amato.

Attraverso la connessione dell’amore,

l’amante diventa il locus dello sguardo dell’amato in ogni stato.

Questo avviene perché “l’amore dell’amante è reale e l’amore dell’amato è il riflesso dello splendore dell’amore dell’amante nello specchio dell’amato”. Quando l’amante è testimone dell’amato, questo può suscitare la suddetta “faccia bianca” del desiderio con cui avanza sul sentiero. Qui “sorge in lui un’agitazione, perché il suo essere è preso in prestito e ha il volto rivolto verso la qiblah del non-essere. La sua esistenza si agita nell’estasi, finché non si siede con la realtà della relazione. Eppure non è ancora completamente cotto”. Che l’amante non sia ancora cotto significa che non è ancora maturato nell’amore. Tale immaturità nasce dal fatto che non si è arreso completamente, ed è quindi un ipocrita in amore:

Finché egli è ancora sé stesso, non è libero dall’ipocrisia

e teme ancora la colpa. Quando è diventato domato, non ha

più paura ed è stato salvato da ogni tipo di ipocrisia.

L’ipocrisia con l’amato è che la luce dell’amore

brilla dentro di lui e nasconde l’esterno,

quando oscilla tra il nascondere l’amore all’amato,

e amarlo allo stesso tempo.

Ma quando il difetto svanisce e giunge la resa,

la luce dell’amore brilla anche sul suo viso,

perché tutto il suo essere si è perso nell’amato.

Quando l’amante si è perso nell’amato, è giunto all’”unione”. “Questo è quel momento in cui l’amante sa che l’amato è perfezione e cerca l’unificazione, e nulla all’infuori di questo potrà saziarlo”. Qui appare la realtà dell’amore e:

Quando appare la realtà dell’amore,

l’amante diventa cibo per l’amato.

L’amato non diventa cibo per l’amante,

perché l’amante può essere contenuto nel ventre dell’amato,

ma l’amato non può essere contenuto nel ventre dell’amante.

Ora che l’amante si è dato completamente al suo amato, egli diventa l’amato:

Per un momento diventa il proprio amato, questa è

la sua perfezione. Tutti i suoi voli e le sue circumambulazioni erano

per questo momento unico. Quando succederà? Prima di questo

abbiamo spiegato che la realtà dell’unione è questa:

l’ora in cui l’attributo di “essere fuoco” lo accoglie e …,

presto lo manda fuori dalla porta per “essere cenere”.

Da una prospettiva, l’amante è contenuto nell’amato; da un’altra prospettiva, è addirittura l’amato dell’amato:

Qui, dove l’amante diventa più l’amato che l’amante,

vengono predisposte le meraviglie degli attaccamenti di connessione,

a condizione del non attaccamento dell’amante con se stesso.

La connessione dell’amore arriverà fino al luogo in cui

l’amante sostiene di essere lui stesso l’amato:

“Io sono la Verità” e “Gloria a me” si trovano in questo punto [2].

E se lui è nel bel mezzo dell’esilio, della separazione e dell’indesiderabilità,

immagina di essere indispensabile e di essere lui stesso l’amato.

Ma come visto prima, tali proclami non sono considerati da Aḥmad al-Ghazālī la manifestazione della piena maturità dell’amore; perché riguardano l’unione tra l’amante e l’amato.

Ma la separazione è più esaltata dell’unione nella misura in cui c’è un’unione oltre la separazione, e ciò avviene quando, dopo l’unione, l’amante continua a gustare la pienezza dell’amore poiché ha realizzato l’unione, ma l’amante non ha più bisogno di essere con l’amato per realizzare e manifestare la pienezza dell’amore:

La separazione è oltre l’unione di un grado perché fino a quando

non c’è unione non c’è separazione, perché è connesso con esso.

In realtà l’unione è la separazione dall’io,

proprio come in realtà la separazione è l’unione con l’io,

eccetto che nell’amore imperfetto,

quando l’amante non è ancora completamente cotto.

Infatti, così come tutta l’esistenza può essere vista come un gioco di amante e amato, allo stesso modo può essere vista come un intricato gioco di separazione e unione. L’amante è il mezzo di separazione e l’amato è lo strumento di unione:

Di tutto ciò che l’amante può avere

non c’è niente che possa rappresentare il mezzo di unione.

Solo l’amato può avere il mezzo di unione.

Anche questo è un grande segreto, perché l’unione

compete alla gerarchia dell’amato e del suo diritto.

È la separazione che è al livello dell’amante e il suo diritto.

Così l’esistenza dell’amante è il mezzo di separazione

e l’esistenza dell’amato è il mezzo di unione.

Anche se non è direttamente evidente nel testo, la separazione va oltre l’unione perché l’unione sul piano della dualità è illusoria. Non c’è nemmeno vera familiarità:

L’amato non diventa mai familiare con l’amante e,

nel momento in cui si considera più vicino a lei,

egli è invece più lontano,

perché il sultanato è suo,

e “il sultano non ha amici”.

La realtà della familiarità è essere allo stesso livello,

e questo è impossibile tra l’amante e l’amato,

perché l’amante è tutta bassezza terrena

e l’amato è tutto un cielo di esaltazione e grandezza.

Realizzare la realtà della separazione è quindi al di là dell’unione perché è percepire la vera natura della relazione dell’amante e dell’amato.

Il dolore è essenziale nel cammino perché è la sofferenza di una continua separazione dall’amato all’interno del suo proprio petto. Quando il dolore di sopportare la separazione dalle molte immagini della persona amata aumenta, l’amante si avvicina alla realtà dell’amore:

“Ogni momento l’amante e l’amato diventano più estranei l’uno all’altro; anche se l’amore sta diventando più perfetto, l’alienazione sta diventando più estrema”.

Il dolore si verifica perché l’amante ha più familiarità con l’Amore stesso che con l’Amato. L’esistenza dell’amante deriva dall’amore e in relazione all’Amato è sempre altro: “Anche se l’amante ha familiarità con l’amore, non ha familiarità con l’amato”.

Realizzare la pienezza d’amore è così passare dalla separazione prima dell’unione con l’amato, poi attraverso l’unione con l’amato, alla separazione dall’Amato che si trova al di là dell’unione: “Quando il percorso di maturazione non appartiene a se stesso e arriva lontano da se stessi, allora è arrivato al di là di esso [l’amato]. Poi arriva al di là di sé stesso con esso [l’amato] e al di là di esso”.

In questa fase il dolore non diminuisce ma piuttosto diventa completo, perché la fine del cammino e la perfezione dell’amore si trovano nella crescita dell’afflizione finché non c’è più spazio per l’aumento o diminuzione. Così lo Shaykh chiede retoricamente:

“Ma quando diventa completamente e perfettamente ammansito davanti all’amore e il sultanato dell’amore ha preso completamente il controllo del regno, come potranno trovare uno spazio l’aumento e la decrescita?”.

Amore completo

La piena perfezione dell’amore si raggiunge quando non esiste altro che l’Amore, così che tutto viene percepito nella sua vera natura di modalità d’amore. Qui l’amante ha superato le illusioni che nascono dal continuo gioco dell’amante e dell’amato. L’amante-viandante è ora immerso nell’amore completo che non ha nulla a che fare con le contingenze di separazione e unione. Di questo stadio Aḥmad al-Ghazālī scrive:

“L’amore stesso, nella sua essenza, è lontano da questi attaccamenti e difetti, perché l’Amore non ha attributi di unione e separazione. Questi sono gli attributi dell’amante e dell’amato”.

L’amante ora si rende conto che l’unione con l’amato è la stessa cosa della separazione dall’amato:

“L’unione e la separazione sono una cosa sola per lui, ed è passato oltre le mancanze e gli accidenti”.

Ha trasceso le variegature (talwīn) del muoversi da uno stato all’altro nella dualità amante-amato ed è ora nella fissità (tamkīn) dell’amore in cui non rimane nulla del proprio essere:

Qualunque cosa lasci l’amante nelle variegature dell’amore, egli trova il perfetto risarcimento nella fissità dell’amore. Ma non tutti raggiungono questa stazione, perché questa è una stazione abbastanza alta in amore. La perfezione della fissità è che nulla è rimasto dell’essere dell’amante.

Aḥmad al-Ghazālī sostiene che tutti gli stati che l’amante aveva prima sperimentato erano modalità di amore completo, donato come sostituto fino a che non fosse adatto per “la veste dell’amore” stessa. Da  questa prospettiva, tutto ciò che egli ha ricevuto gli è arrivato “dall’amato come sostituto della veste dell’amore”. Ora che è pronto per quella veste, non ha bisogno dell’amato in quanto amato. L’amante-viandante che ha raggiunto questo livello non cessa di esistere nel mondo temporale, ma non è più soggetto alle sue limitazioni illusorie.

Invece di essere velato dai nomi e dagli attributi dell’amore, ora li vede per le auto-rivelazioni d’amore che esse rappresentano, perché egli è al di là delle delimitazioni di unione e separazione. Come Shaykh al-Ghazālī scrive di colui che è tornato dall’immersione nell’unità d’amore:

Quando Egli lo porta da se stesso in Sé stesso, la sua strada

a sé stesso è da Lui e per mezzo di Lui. Poiché la sua strada

a sé stesso è da Lui e per mezzo di Lui,

queste proprietà non vengono su di lui.

Cosa starebbero a fare qui le proprietà della separazione e dell’unione?

In che modo l’accogliere e il respingere potrebbero imbrigliarlo qui?

Come potrebbero espansione e contrazione, dolore e felicità

girare attorno alla corte del suo impero? Come dicono questi versi:

Abbiamo visto la struttura dell’universo e l’origine

del mondo. E passò facilmente sopra causa e causato.

E quella luce nera che è oltre il punto di lā,

Siamo passati anche oltre a questo; non rimane né questo né quello.

Ecco il padre del momento (abu l-waqt). Quando egli

scende dal cielo del mondo sarà sopra il momento.

Il momento non sarà finito per lui,

e lui sarà libero dal momento.

Il punto del lā di cui al terzo versetto è dove il lam e alif sono uniti nel la (no) della prima testimonianza di fede (shahadah)- La ilaha illa’Llah – Nessun () dio, se non Iddio.

Aḥmad al-Ghazālī vede questo come la parola della negazione ultima (nafī) in cui l’attaccamento a tutto all’infuori di Dio è obliterato. Il punto del è l’essenza stessa della negazione, perché se non fosse per quel punto, l’alif e lam non si unirebbero. È l’archetipo dell’annientamento (fanā’), al di là della separazione e dell’unione.

La luce nera è quindi un’allusione alla stazione di sussistenza (baqā’) in cui (si) permane solo (con) il Divino, al di là di tutte le dualità, di tutte le stazioni e di tutti gli stati, ciò che più tardi i sufi riferiranno come “la stazione di nessuna stazione”.

Finché non si raggiunge il la, si rimane “un figlio del momento” (ibn al-waqt), uno schiavo degli editti di separazione e unione, espansione e contrazione, tristezza e felicità. Ma una volta nella luce nera della sussistenza, il viandante è il “padre del momento”, per gli editti di variegatura non può sostenere lo splendore della luce nera.

Quando le luci di tutti gli altri colori sono condensate nella luce nera, non ci può essere più variegatura che si verifica quando il viandante è soggetto alle vicissitudini di stati e stazioni lungo il percorso.

Per quanto riguarda questa fase non ci può essere cognizione, perché è al di là di tutte le distinzioni e può essere percepito o gustato solo nella profondità transpersonale del proprio essere, cioè nel cuore quando è stato messo in conformità con lo spirito. Ma anche se tutti hanno un cuore, non tutti raggiungono il punto in cui vedono con il cuore e vivono nel cuore. Come Aḥmad al-Ghazālī scrive:

Non tutti raggiungono questo luogo, perché i suoi inizi sono al di sopra di ogni fine.

Come potrebbe la sua fine essere contenuta nel regno della conoscenza,

e come potrebbe entrare nel deserto dell’immaginazione?

Questa realtà è una perla in una conchiglia,

e la conchiglia si trova nelle profondità dell’oceano.

La conoscenza può spingersi non oltre la riva.

Come potrebbe arrivare qui?

Non è un caso che nella scrittura della luce nera che è al di là di tutto Aḥmad al-Ghazālī usi un’espressione simile a quella che usa per descrivere l’amore. L’amore, scrive, “è libero da questo e da quello”, e la luce nera oltre il è dove “né questo né quello rimane”.

Entrambi segnano la fine del percorso dove tutto è immerso nell’unità senza inizio e senza fine dell’Amore che trascende tutte le dualità. È la fine oltre ogni fine e l’inizio prima di ogni inizio.

 

NOTE

  1. Qūt al-qulūb di Abū Ṭālib al-Makkī

[N. d. R.] Sono due famose shatahat, allocuzioni teopatiche attribuite ad al-Hallaj e a Bayazid al Bistami

 


Vedi anche:

Amore e Bellezza nel Sufismo

Lettere d’Amore alla Ka’ba

La Poesia di Jāmi

Il Pellegrinaggio alla Mecca di Laila e Majnun

Esoterismo ed essoterismo nel Tarjuman Al Ashwaq

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