L’anfitrione e gli ospiti
Il maestro è come l’anfitrione nella sua casa. I suoi ospiti sono coloro che cercano di studiare la Via e che non sono mai stati in una casa. Essi hanno solo una vaga idea di ciò che può essere una casa, eppure la casa esiste.
Quando gli ospiti entrano in casa e scoprono il salotto e chiedono: “Che cos’è?”, viene loro risposto: “È il luogo dove ci si siede”. Allora si siedono sulle sedie, ma sono solo vagamente coscienti della funzione della sedia.
L’anfitrione li intrattiene, ma essi continuano a porre domande, talvolta irrilevanti. Da buon anfitrione non li biasima per questo; per esempio, quando vogliono sapere dove e quando mangeranno. Non sanno che nessuno è solo e che in quel preciso momento altri sono impegnati a cucinare, e che esiste un’altra stanza dove si sederanno per mangiare. Sono perplessi perché non possono vedere ne il pasto ne i preparativi del pasto, e forse sono anche dubbiosi e talvolta a disagio.
Il buon anfitrione, che conosce i problemi degli ospiti, fa del suo meglio per metterli a loro agio affinché siano in grado di gustare il cibo quando arriverà. All’inizio, gli ospiti non sono in condizione di avvicinarsi al cibo.
Alcuni ospiti sono più svelti degli altri a capire e ad afferrare i rapporti tra i vari elementi della casa. Sono loro che possono comunicare ciò che sanno agli amici più lenti. In quel frangente, l’anfitrione da a ogni ospite la risposta che corrisponde alla sua capacità di percepire l’unità e la funzione della casa.
Non è sufficiente che una casa esista, che sia pronta per ricevere ospiti e che l’anfitrione sia presente. Qualcuno deve esercitare attivamente la funzione di anfitrione, affinché gli estranei, che sono gli ospiti e di cui l’anfitrione si assume la responsabilità, possano abituarsi alla casa. All’inizio, molti di loro non sono coscienti di essere ospiti o, più precisamente, di ciò che significhi la situazione di ospite: ciò che possono dare e ciò che possono ricevere da questa situazione.
L’ospite di esperienza, che ha studiato le case e l’ospitalità, a lungo andare si trova a suo agio nella condizione di ospite, e inoltre è in grado di capire meglio tutto ciò che si riferisce alle case e ai vari aspetti della vita nelle case. finché è impegnato a capire che cos’è una casa o a cercare di ricordarsi le regole dell’etichetta, la sua attenzione è troppo presa da questi fattori per essere in grado di osservare, per esempio, la bellezza, il valore o la funzione dell’arredamento.
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Si dice che questa venerata parabola, tratta dagli insegnamenti di Nizamudin Awlia (XIV secolo), dovrebbe funzionare su diversi piani. Si riferisce all’ordinamento delle diverse funzioni della mente, che può permettere a una certa percezione superiore di svilupparsi.
La parabola è anche destinata a indicare, in una forma facile da tener presente, le necessità di un gruppo sufi, l’interazione dei diversi individui che lo compongono e il modo in cui possono completarsi reciprocamente.
I dervisci danno molta importanza alla necessità preliminare di un assestamento dei vari fattori, prima che l’individuo possa beneficiare degli sforzi del gruppo.
È una delle storie sufi sulle quali c’è un ’embargo’. Non può essere studiata in isolamento, e ovunque lo studente la trovi scritta, deve leggere immediatamente la storia successiva.
Non appare in nessun testo classico, ma la si può rintracciare nelle raccolte di annotazioni che i dervisci portano con sé e alle quali si riferiscono di tanto in tanto, nel quadro di un programma concertato di studi.
Questa versione proviene da un manoscritto, secondo cui fu raccontata dal maestro Amir-Sayed Kulal Sokhari, che morì nel 1371.