L’enigma dello Shajara-l-nu maniyya fi-l-dawla-l- uthmaniyya

calligrafia

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ATTRIBUITO AD IBN ‘ARABÎ

Denis Gril

Il testo qui esaminato è doppiamente enigmatico. Scritto in un linguaggio cifrato la cui chiave spesso ci sfugge, il suo autore resta, per noi, uno sconosciuto. L’opinione corrente all’epoca ottomana, quanto la tradizione manoscritta, nel suo insieme molto recente, fanno d’Ibn ‘Arabî il suo autore. Mostreremo più avanti che quest’opinione è inaccettabile. Ma, più sorprendente ancora, i due principali commenti che prolungano il testo più di quanto non  lo esplicitino, attribuiti rispettivamente a Sadr al-Dîn al-Qûnawî, genero e discepolo d’Ibn ‘Arabî ed a Safadî, storico del XIV secolo, sono essi pure visibilmente degli apocrifi. Come indicato dal titolo: “L’albero di Nu‘mân intorno alla dinastia ottomana”, l’opera ed i suoi commenti vertono su questa dinastia, non sul suo avvento come comunemente si crede, bensì gli eventi seguenti, soprattutto quelli verificatisi nell’Egitto dei secoli X ed XI dell’Egira (XVI e XVII secoli). Con le sue predizioni, questa curiosa serie di fatti iscrive gli Ottomani nella tradizione escatologica dell’Islâm e, più particolarmente, in quella del jafr1.

Dopo un sommario riassunto del contenuto dello Shajara e dei suoi due commenti, ci interrogheremo sui loro possibili autori, il loro àmbito e la data della loro redazione e tenteremo  qualche conclusione provvisoria sul loro significato storico.

ANALISI DELLO SHAJARA2

L’autore annuncia che parlerà degli eventi futuri (hawâdith al-zamân), dovuti all’influenza delle congiunzioni astrali ed al movimento delle sfere, sempre ricordando che questi rimangono sottomessi all’onnipotenza divina. Ogni regione del mondo, durante il ciclo della storia adamica, si trova sotto l’influenza d’un astro. Egli afferma d’aver scritto su ogni regione precisando che non tratterà, qui, che dell’Egitto, designato con il soprannome di “Faretra” (kinâna), secondo una tradizione attribuita al Profeta3.

Si limiterà, afferma, agli eventi principali (kulliyyât) ed agli eventi minori (juz‘iyyât) provenienti dai primi come le ramificazioni dell’albero a partire dai suoi rami madre, il che è un modo di spiegare il primo termine del titolo.

Nel corso dei due secoli interessati, si produrranno eventi della massima importanza. La prima data indicata dal valore numerico delle lettere BKZ (2 + 20 + 900) corrisponde al 922/1516, anno della conquista di Damasco da parte di Selim. Tutte le date sono indicate in funzione dello stesso procedimento. La maggior parte dei personaggi è indicata dalla lettera iniziale o finale del proprio nome, come nella frase seguente: “Allorchè la Qâf della Jîm  giungerà al suo termine, la Sîn di Selim si raddrizzerà”. La Qâf della Jîm sta per l’ultimo sultano mammelucco Qânsûsh al-Gûrî al-Jarkasî (il Circasso), vinto in Siria da Selim I.

Apparizione, dunque, e trionfo della lettera Sîn, iniziale di Selim. La sua appartenenza alla scuola di Nu‘mân, ossia Abû Hanifa, fondatore della scuola giuridica seguita dai Turchi, giustifica il secondo termine del titolo. Questo sovrano “si leverà e prenderà la terra degli Arabi fino alle frontiere del Maghrib, dell’Hijaz, i confini dello Yemen e dell’Iraq , i confini del Marocco, dell’Algeria e della maggior parte del quarto della terra abitata”. La sua dinastia durerà fino alla Mîm, il Sigillo, del quale i testi dicono  che dovrà manifestarsi alla fine dei tempi. Si riconosce facilmente l’iniziale del Mahdî che si ritrova a Konya. La  dinastia ottomana ed il Paese dei Rûmî sono dunque integrati in una narrazione escatologica che continua con la conquista della Grande Roma (Rûmiyya al-kubrâ) e la distruzione della sua chiesa. Quasi sicuramente Rûmiyya designa, qui, proprio Roma e non Costantinopoli. La guerra santa prosegue fino alla ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, episodio raramente attestato nell’escatologia islamica. In séguito, ci sarà un nuovo incontro a Konya fra la Mîm suprema e la Mîm al-Sadr, luogotenente (qâ’im maqâm) della Sîn, “Signore del Trono della fine” (hib kursî al-nihâya). Senza dubbio, bisogna vedere, in queste due Mîm, due aspetti della funzione del Mahdî, al quale succede Gesù, la Sîn di ‘Isâ, implicitamente messa in relazione con quella di Selim.

Ci si ricongiunge, così facendo, ad una storia più vicina, quella degli eventi che seguiranno l’anno Gh = 1000. Dopo questa specie d’introduzione, l’autore ricorda che l’oggetto sarà allargato a diverse contrade ma prima di tutte sarà l’Egitto, poichè questo è “la sede del trono dei re” (mahall kursî al-mulûk). Quest’Egitto-centrismo dovrà esser preso in considerazione per la datazione del testo e l’identificazione del suo autore.

Sin dall’inizio, una frase sibillina in prosa rimata, ripresa dai commentatori, dà il tono: “L’Egitto resterà prospero (?), giocando d’astuzia con i propri governatori, evitando i còmpiti gravosi, finchè Mercurio non si trovi di fronte a Saturno, all’ultimo grado della bilancia. Essa, allora, sfuggirà dalle mani della famiglia di ‘Uthmân”. Ciononostante, viene immediatamente precisato, sarà una “specie di giustizia” (hurûj adl) e non una specie di scomparsa (hurûj zawâl). La Mîm che deve chiudere il ciclo (mîm al-khitâm), cioè il Mahdî, ha, effettivamente, la missione di ristabilire la giustizia sulla terra, il che suggerisce che la dinastia ottomana sarà immediatamente rilevata da coloro che combatteranno per la verità e la giustizia fino alla fine dei tempi.

Si passa, poi, ad un argomento affatto diverso: la famosa predizione espressa da Ibn ‘Arabî o Pseudo-Ibn ‘Arabî, come se si citasse da sé: “E, fra le indicazioni allusive (rumûz) che abbiamo fornito in merito alle ramificazioni dell’albero: quando la Sîn entrerà nella Shîn4, la tomba di Muhyî-l-Dîn apparirà. La ragione di questa indicazione è che Dio ci ha svelato, per insegnamento diretto, che la nostra morte avrà luogo a Damasco, chiamata altresì Jilliq5”. Annuncia che la sua tomba dapprima cadrà in rovina, sepolta sotto le immondizie e le macerie, la qual cosa si produsse durante l’epoca mammelucca. La Sîn sarà, in séguito, identificata: “Fino al momento in cui apparità un qâ’im6 che si leverà, venuto dalla grande Costantinopoli, lettera Sîn della famiglia di ‘Uthmân. Sarà la causa della riapparizione della nostra tomba e della costruzione del nostro mausoleo”. Aggiunge che questo capo agirà su ordine di Dio, con il permesso del Profeta e l’accordo “degli uomini del tempo, signori dei gradi gerarchici, uomini del Mistero (rijâl al-ghayb)”. Il successo di Selim, capo ispirato e sostenuto dalla triplice autorità di Dio, del Profeta e della gerarchi dei santi, è quindi strettamente associato, nello spirito del redattore, al suo attaccamento alla memoria d’Ibn ‘Arabî, il che può fornire qualche indicazione sull’ambiente che ha prodotto questo testo. Costantinopoli, d’altra parte, non è più considerata come città da conquistare, pertanto la redazione è almeno posteriore alla sua conquista da parte degli Ottomani.

Dopo questo passaggio chiarissimo, si succede tutta una serie di predizioni introdotte dalla stessa formula: “E, fra le indicazioni allusive dell’albero, le nostre parole… ”. La prima concerne Assuan: “Quando Assuan sarà costruita alla fine dei tempi dalla e dalla ‘Ayn (?), le donne regneranno sulla soglia7 della famiglia di ‘Uthmân, gli eunuchi saranno

numerosi, i corvi8 appariranno e la famiglia del Sultano sarà indebolita”.

Le altre indicazioni sono piuttosto oscure; annunciano, il più delle volte, ribellioni,  destituzioni, nomine. Vi si trova, fra gli altri, un accenno a Murâd II9: “Un gruppo dei Banû ‘Abdallâh si rivolterà, ucciderà il suo re e Dio soccorrerà Murâd II”. Cosa pensare della menzione di questo sovrano anteriore a Selim? Eppure, la maggioranza delle date indicate dalle lettere gli è posteriore. Alcuni eventi, per di più, sono datati per mezzo delle congiunzioni astrali. Dopo l’Egitto, sono citati Baghdad, con il suo nome antico de la Città Rotonda (al-Zawrâ’), La Mecca e lo Yemen. I personaggi sono sempre designati con delle lettere.

Costruito curiosamente, il testo marca un tempo d’arresto. Come se partisse di nuovo, fa allusione ad uno schema circolare (dâ’ira) qui inesistente, ma che si ritrova nei commenti. L’autore, inoltre, avverte il suo lettore del carattere esoterico di questa scienza degli eventi futuri. Per quanto oggetto d’una trasmissione libresca, essa è prima di tutto fondata sullo svelamento intuitivo (kashf) e la disciplina dell’arcano10. Per questa ragione, le predizioni non si succedono sempre nell’ordine cronologico, La tradizione del jafr, conoscenza degli eventi  che dovevano lacerare la Comunità fino alla fine del mondo e trasmessa dal Profeta ad ‘Alî è, ora, chiaramente invocata. Essa dà luogo ad un’esposizione della teoria del califfato, sulla sua storia e sulle sue implicazioni cosmiche ed astrologiche. Nonostante una terminologia che ricalca, talora, quella dello sciismo, il discorso si situa sempre all’insegna dell’ortodossia sunnita, il che non stupisce affatto.

Come si è appena avuto modo di mettere in risalto, l’autore sembra riprendere il suo lavoro in seconda battuta, ad un certo punto. Afferma d’aver composto un’epistola per ogni secolo venturo, fra cui questa del X ed XI secolo, più precisamente la data di A Y Q GH = 1111E, che vedrà la fine della dinastia. Una nuova spiegazione viene fornita in merito all’albero: shajara contiene, nella sua radice, l’idea d’opposizione reciproca (tashâjur) fra dei princìpi al contempo opposti e complementari e la cui azione provoca gli eventi del mondo.

Si prosegue con l’annuncio dei dodici “re” ottomani, designati con l’iniziale del loro nome: S S S M M A A ‘ M M M S. Se si parte da Selim, ci si accorge che questa lista corrisponde, effettivamente, il nome dei sultani ottomani fino a Sulaymân II (1099-1102/ 1687-1691), tranne che per Ibrâhîm (1049-1058/ 1640-1648). Bisognava, senza dubbio, concludere ciclicamente con la stessa lettera Sîn. Questa lista pone, evidentemente, la questione della data della redazione: predizione o coincidenza, poichè è impossibile proporle una datazione intorno alla fine del XVII secolo.

Predizioni concernenti la seconda metà dell’XI secolo parlano  di una tradizione sull’accasamento degli eserciti del Mahdî nella Ghüta, nei pressi di Damasco, dopo l’apparizione di questo segno: “Quando il gufo lancerà un grido contro (o: fra) i Rûm e la colomba si lamenterà”. Questa frase enigmatica ricorda il titolo d’un poema apocalittico che è stato attribuito, come lo Shajara, ad Ibn ‘Arabî. Torneremo più avanti su quest’opera.

Dopo di ciò, il testo lascia per in po’ l’Egitto per interessarsi a disordini futuri dalle parti dell’Eufrate, poi verso Qazwim ed Isfahan, in cui sono coinvolti i Curdi. Annuncia la partenza di spedizioni da Aleppo e Damasco dell’esercito dell’Egitto contro un certo Sharaf Khân che, vinto, si rifugerà presso il re dei Persiani (Shâh al-‘ajam). Si parla anche, spesso, dell’attacco e della difesa d’isole e di sollevamenti beduini in Egitto.

Un po’ come un motivo conduttore, l’epistola si concludecon un’ultima llusione al Mahdî che deve apparire nel 1091E, sulla montagna di Fârân, recarsi alla Mecca ed infine nella Ghüta di Damasco, la fine del mondo dovendo prodursi nel 1111E.

Quest’analisi sommaria del contenuto mostra quanto sia difficile proporre un’interpretazione d’insieme quanto di dettaglio. La visibile mancanza d’un piano può essere imputata a due fattori: o una redazione collettiva o successiva, poco probabile poichè, se la composizione sembra scucita, lo stile ed il lessico sono abbastanza uniformi; o una volontà di cifrare il testo al fine di non renderlo accessibile che agli specialisti di questo genere di letteratura. Si tratta soltanto di predizioni oppure vi sono dati più esoterici, così celati? Quali personaggi si nascondono dietro quelle lettere? Sultani, emiri e governatori oppure loro omologhi sul piano iniziatico, i santi nascosti e posti sotto la giurisdizione del Polo? Il frequentissimo riferimento agli afrâd, i santi d’un rango superiore che, secondo Ibn ‘Arabî, sfuggono alla giurisdizione del Polo e fra i quali quest’ultimo è scelto, lo darebbero ad intendere.

I COMMENTI ATTRIBUITI A QÛNAWÎ E SAFADÎ

Prima di prendere in esame una risposta ad alcune delle domande che questo testo pone, diamo resoconto, necessario, di questi due commenti, i più antichi, fuor di dubbio.

Al-lam‘a al-nûrâniyya fî mushkilât al-Shajara al-nu‘mâniyya

Questo commento, attribuito a Sadr al-Dîn al-Qûnawî (m. 673/1274) non spiega che assai parzialmente lo Shajara; piuttosto, lo sviluppa. La sua elaboratissima introduzione, che è anche scritta alquanto bene, rivela un autore permeato dell’opera d’Ibn ‘Arabî, come dimostrato dal legame che stabilisce fra il significato delle Lettere, del Libro e della dottrina dei cicli. Considera Ibn ‘Arabî erede delle scienze esoteriche trasmesse dal Profeta ad alcuni Compagni, quali ‘Alî, Hudayfa ed Abû Hurayra: “Fino a quando questa scienza non giunse al Polo della sfera dei conoscitori della realtà, l’erede delle scienze dei profeti e degli inviati, il sommo fra i maestri e lo Zolfo Rosso Muhammad Muhyî al-Dîn Ibn ‘Arabî”. Si osserverà che, di solito, al-Qûnawî cita il nome del suo maestro in una maniera certamente elogiativa, ma soprattutto molto più personale.

C’è poi la questione della dâ’ira non riprodotta nel manoscritto. Segue, ancora, un’introduzione teorica su tutta la scienza impiegata in questo genere di testi. Si ritrova la stessa spiegazione sulla scelta dell’Egitto “sede del trono del tempo”. Questo testo, sarebbe forse anteriore alla conquista ottomana oppure si tratta semplicemente di far credere alla sua anteriorità? Questo commento si presenta, a sua volta, come un annuncio di conquiste ottomane: “Colui che Iddio ha risvegliato e cui ha aperto la vista interiore vedrà la loro attitudine ad esercitare tale ruolo; ciò si manifesterà se Dio vuole e noi lo vedremo al momento dell’apparizione (o: della supremazia) della loro dinastia (‘inda zuhûr dawlatihim)”.

Altro fatto sorprendente: l’autore cita il secondo commento, quello dell’ “Imâm al-Safadî”, esattamente come quest’ultimo cita al-Qûnawî, il che prova  che sono stati scritti da dei contemporanei e non possono in nessun caso esser stati redatti dai due supposti autori.

Quanto agli eventi annunciati, non si lasciano decifrare meglio che nello Shajara. Le allusioni ai Safavidi si fanno, comunque, più numerose. Si accenna al Khân di Qazwin che cerca d’attaccare Baghdad tra il 1060 ed il 1064E11. In Europa, una rivolta dei Bulgari sarà repressa nel 1064/1653-1654. Occorrerebbe verificare minuziosamente se la messe di disordini predetti in questi testi corrisponde a delle realtà storiche precise. E’, tuttavia, più che facile pensare che gli anni del jafr non coincidono perfettamente con quelli degli storici12. Può darsi che si debba, piuttosto, leggere queste predizioni come un ponte gettato fra il tempo storico ed il tempo escatologico. L’originalità dello Shajara e dei suoi commenti consiste nell’adattare i racconti tradizionali sulla fine dei tempi ad un contesto spazio-temporale facendo uso di dati astrologici e cosmologici la cui chiave d’utilizzazione ci sfugge.

E’ il motivo per il quale ci si imbatte sempre, in questi racconti, nella figura centrale del Mahdî. Ecco il tenore d’uno di questi: il Mahdî si dirige verso Costantinopoli la Grande (Qustantiniyya al-‘uz) ove il “Signore della Porta” (rabb al-bâb) è assediato. Arrivato a Konya, è raggiunto dalla Mîm della Sîn. Questi giura fedeltà alla Mîm (il Mahdî?) in nome del suo maestro la Sîn (Gesù- ‘Isâ?). Essi si recano, quindi, alla Grande Roma (Rûmiyya al-kubrâ). Una pace generale regna e si appendono le spade agli ulivi. La Mîm suprema raggiunge la terra di Rûm, quindi la Siria fino alla discesa della ‘Ayn (Gesù) verso il Minareto bianco, a Damasco, il giorno di Venerdì.

In un altro passaggio, la sequenza degli eventi è la seguente: il Mahdî appare presso la Ka‘ba, fra l’angolo yemenita ed il Maqâm. Si reca, poi, a Medina, alla Ghüta di Damasco, nel Paese dei Rûm per poi far ritorno, infine, alla Ghüta. E’ raggiunto da un personaggio chiamato al-‘Andâr o ‘Undûr (ma è possibile che si debba leggere al-Ghandûr, “l’Elegante”?) e qualificato di ‘Uthmânî. Si reca a Roma e, da lì, a Gerusalemme. Arriva la Dâl o Anticristo (Dajjâl), ucciso, secondo la tradizione, alla porta di Ludd. Le tre Jîm (Gog e Magog) irrompono fino a Beirut. Un vento le distrugge e degli uccelli gettano i loro corpi nel mare. In quest’apocalisse, la Terra dei Rûm occupa sempre una posizione di cerniera e, in modo particolare, Konya. Ciò è forse dovuto al fatto che fu la sede del primo sultanato su questa terra ovvero perchè Ibn ‘Arabî vi soggiornò per qualche tempo, presenza perpetuata dal suo discepolo Sadr al-Dîn al-Qûnawî, la cui biblioteca ha conservato fino all’epoca moderna un certo numero d’autografi dello Shaykh, presenza infine magnificamente amplificata da quella di Mevlana?

Il commento di Safadî

Come s’è visto, su una datazione possibile dello Shajara, questo commento non ci informa affatto più di quanto non lo abbia fatto il primo. Introduce, tutavia, delle indicazioni sull’Occidente musulmano che non  si trovano nello Shajara, né nello Pseudo- al-Qûnawî. Questa frase annuncia la caduta di Granada (897/1492)? “Si temerà, per gli abitanti della Penisola d’al-Andalus, un capo che afferrerà un’occasione…”. Più avanti: “…E l’azione sarà ottomana e maghrebina (takûnu-l-haraka ‘uthmâniyya maghribiyya) e finirà con due vittorie…” 13. Il passaggio seguente, però, suggerisce che Granada sia già stata presa: “Avrà luogo, allora, la ripresa della Penisola d’al-Andalus dalle mani degli infedeli” e della stessa Costantinopoli, visto che se ne scrive al “Signore del Trono”. Ancor di più, a proposito della frase famosa: “Quando la Sîn entrerà nella Sîn”, l’autore aggiunge: “Ed è avvenuto proprio così”. Il testo è, dunque, almeno posteriore al 922/1516.

Ciononostante lo stesso autore, almeno in apparenza, dato che il racconto è in prima persona, racconta d’aver incontrato uno degli afrâd, Muhammad b. ‘Alî b. Muhammad al-Tûnisî sul maqâm dello Shaykh Arslân a Damasco nel 773E e d’averlo interrogato in merito allo Shajara. Al che, al-Tûnisî rispose che la Sîn era della famiglia di ‘Uthmân e che si manfesterà, se Dio vuole. Questo passaggio prova almeno che questo commento non può essere attribuito allo storico Khalîl b. Aybak al-Safadî (m. 764/1363). O quest’incontro è una pura invenzione destinata a convincere dell’autenticità della predizione, ovvero è estratta da un testo più antico. Questo commento cita, di fatto, numerosi trattati e commenti allo Shajara od altre opere di jafr, i cui titoli ed i cui autori sono altrettanto problematici.

GLI ALTRI COMMENTI

Esistono tra altri commenti conosciuti dello Shajara.

1) – al-Namat al-akmal fî dhikr al-mustaqbal, d’al-Maqqarî, l’autore di Nafh al-tîb, originario di Tlemcen e morto al Cairo (986-1041/1577-1632). Quest’attribuzione necessita di verifiche, per quanto possa essere verosimile, tanto più che l’autore s’interessa agli avvenimenti dell’XI secolo. Questo commento si presenta meno come il commento del testo che non quello d’uno schema di base che non si trova in nessuno dei manoscritti dello Shajara. Nell’insieme, il contenuto ricorda Safadî. Vi si trova quest’interessante notizia: l’esistenza d’un certo ‘Abdallâh al-Tûnisî che si trovava al Cairo nel 933E, che menava un’esistenza ritirata nella sua khânqâh di Sa‘id al-Su‘adâ’, autore d’una tavola riprodotta da Maqqarî, la quale permetteva di conoscere i nomi dei rappresentanti della gerarchia dei santi per la prima metà dell’XI secolo14. Questa precisazione indica, forse, che si cercherebbero invano gli autori di questi testi, dervisci oscuri che attribuiscono ad altri le loro opere.

2) – al-Dâ’ira al-kubrâ al-jafriyya alâ-l-Shajara al-nu‘mâniyya, di Mustafâ Ibn Sahrâb. Si tratta d’un prolungamento dello Shajara per il XII secolo dell’Egira15. L’autore era un funzionario al servizio del governatore d’Egitto, ‘Umar Pacha16.

3) – al-Durrat al-fâkhira alâ rumûz al-Shajara al-nu‘mâniyya, attribuito ad al-Bûnî. L’attribuzione è manifestamente falsa e voluta, dato che l’opera inizia con la menzione dell’autore. E’, di gran lunga, il commento più fantasioso: dà la lista dei sultani ottomani fino al 1696E17.

LA QUESTIONE DELL’ATTRIBUZIONE

Chi sono gli autori di questi testi? Ovvero, in assenza d’una risposta possibile, da quale ambiente, da quale Paese provengono, è possibile proporne una datazione precisa od approssimativa?

Un fatto è certo: le attribuzioni successive ad Ibn ‘Arabî, Qûnawî, Safadî od ancora Bûnî non sono né fortuite né dovute ad errori del copista. Visibilmente, il testo dello Shajara è stato redatto in modo da far credere ad un testo d’Ibn ‘Arabî. Vi si parla in prima persona, alcune espressioni che si trovano nelle sue opere sono qui riprodotte. I commenti confermano quest’attribuzione, sebbene essi stessi, a loro volta, non comportino nessuna di quelle formule introduttive per via delle quali l’autore designa sé stesso. Quello di Safadî non consta neppure di un titolo. Almeno all’inizio, si è cercato di far credere all’autenticità del testo e ci si è creduto per tutta la durata dell’epoca ottomana  e fino ai nostri giorni. Bisogna dunque provare il loro carattere apocrifo e, poi, interrogarsi sull’origine ed il significato di quest’attribuzione.

Fra i criteri interni, lo stile dello Shajara non ricorda per nulla quello dello Shaykh al-akbar. E’ generalmente corretto, ma senz’alcuna originalità e molto ripetitivo. Ora, le opere d’Ibn ‘Arabî si caratterizzano per una composizione sottile e rigorosa al tempo stesso, il che qui manca del tutto. Mai, Ibn ‘Arabî, d’altra parte, cita sé stesso con l’appellativo onorifico di Muhyî-l-Dîn. Il valore numerico delle lettere segue segue quello dell’alfabeto orientale e non occidentale, come avrebbe dovuto essere. D’altronde, il testo si presenta, talora, se non come un commento almeno come la ripresa d’un testo anteriore, il che sembra frequente nelle opere di jafr.

Fra i criteri esterni, si constata che quest’opera non è mai citata da Ibn ‘Arabî, né nelle sue opere, né nelle liste da lui redatte. Tutti i manoscritti risalgono ad un’epoca tarda: i più antichi, così come quelli dei due commenti, non risalgono a prima della seconda metà dell’XI secolo18. Egualmente, non si vede per quale ragione Ibn ‘Arabî avrebbe consacrato un’opera in particolare all’Egitto, sul quale non è che passato. Ma, soprattutto, nelle Futûhât critica quelli che utilizzano la scienza delle Lettere per scopi pratici. Quando menziona la predizione di Ibn Barrajân sulla riconquista di Gerusalemme ai Crociati, partendo dall’interpretazione delle lettere isolate della sura “al-Rûm”, è per precisare che il suo autore velava, in tal modo, una  conoscenza d’un ordine superiore. E’ d’obbligo, però, riconoscere che Ibn ‘Arabî stesso utilizza almeno una volta il linguaggio delle Lettere per preannunciare certi avvenimenti escatologici19.

E’ comprensibile, quindi, che questo testo abbia lasciato perplessi persino coloro che hanno familiarità con l’opera d’Ibn ‘Arabî, quali l’Emiro Abdelkader che, in un passaggio sull’alchimia e gli alchimisti che rifiutano d’insegnare ai re e celano la loro scienza, scrive:

“Tutto quel che si attribuisce, in fatto di libri sull’alchimia e di signoria di questo mondo al nostro maestro, il Sigillo della santità, Muhyî-l-Dîn e ad altri santi che chiamano gli uomini a Dio, non è che calunnia e menzogna. Non è possibile che uno dei santi di Dio insegni ai servitori di Dio quel che li allontana da Dio, poichè questo mondo allontana da Dio gli uomini, tranne i santi. Lo stesso dicasi per tutto quel che si attribuisce al nostro maestro, Muhyî-l-Dîn, in fatto di opere sugli avvenimenti della fine del mondo (malâhim) e predizioni (jafr), quali lo Shajara al-nu‘mâniyya ed altri ancora. L’ho incontrato durante una visione e l’ho interrogato sul jafr che gli si attribuisce. Mi ha risposto: ”Menzogna e calunnie”.” 20.

Questo passaggio prova almeno che negli ambienti con cui aveva avuto contatti l’Emiro in Turchia ed in Siria, ci si interessava ancora molto, e non a caso, allo Shajara.

APOCRIFI IN SERIE

In realtà, l’attribuzione di questo genere di testi a maestri del sufismo non è nuova, come ricorda l’Emiro. Ibn Khaldûn fornisce qualche chiarimento su questo punto e sulla letteratura apocalittica in generale. La terza parte della Muqaddima, dedicata al califfato, alla regalità ed all’organizzazione dello Stato, termina in modo significativo con due capitoli: uno relativo al Mahdî (fî amr al-Fâtimî), l’altro sulle predizioni annuncianti i cambiamenti di dinastia (hidthân al-duwal) e sul jafr. Sul Mahdî discendente da Fâtima, non cita che una sola tradizione nella prima versione della Muqaddima, redatta subito dopo il suo arrivo al Cairo, nel 784/1382-1383. Nella seconda edizione, però, sotto l’influenza visibile degli ‘ulamâ’ egiziani, incorpora numerosissime varianti dell’hadîth sul Mahdî, sebbene riamanga scettico sulla loro autenticità. D’altra parte, Ibn Khaldûn ha visto bene che l’introduzione del tema del Mahdî nella letteratura del sufismo ed in una certa concezione della profezia e della santità deve molto ad Ibn ‘Arabî ed a pochi altri. Non senza ragione, collega questo tema a quello della gerarchia iniziatica, ove non vede, seguendo Ibn Taymiyya, altro che influenza sciita.

Quel che conta, qui, in merito al nostro soggetto, è che egli cita le parole d’Ibn ‘Arabî, tratte dall’‘Anqâ’-l-mughrib, ove sarebbe annunciata la venuta del Mahdî nel 683E. In quest’opera, certamente, si parla del Mahdî e dei suoi legami con Gesù, ma nelle loro corrispondenze spirituali con l’essere interiore di ogni iniziato ed è così che va interpretata la conclusione dell’‘Anqâ’. Ibn Khaldûn, inoltre, cita un commento allo Khal al-na‘layn d’Ibn Qasî, opera di Ibn Abî Wâtil, discepolo d’Ibn Sab‘in, annunciante l’arrivo del Mahdî a Roma e poi a Costantinopoli. Dà, infine, il nome di più autori d’apocalissi, fondanti le loro predizioni sulle congiunzioni astrali (qirânât). Questa letteratura fioriva, sembra, nel Maghrib.

Nel capitolo sul jafr, ci fa sapere che ha visto un racconto apocalittico (malhama) atribuito ad Ibn ‘Arabî, pieno di quadrati magici e che ritiene essere apocrifo. Dice, anche, d’essere venuto a conoscenza, in Egitto, d’un oroscopo sulla fondazione del Cairo attribuendo alla città una lunghezza di vita pari a 460 anni, questo scritto pure attribuito al nostro autore. Riferisce, inoltre, d’una malhama sulla dinastia dei Turchi (i Mammelucchi), composta da un certo Bajâriqî. Lo shaykh degli hanafiti del Cairo lo informa del fatto che quest’autore era un qalandar, morto, secondo Ibn Kathir, nel 724E. Queste testimoniznze dimostrano, quindi, che già nel XIV secolo, e segnatamente in Egitto, circolava un certo numero di testi di questo genere, falsamente attribuito ad Ibn ‘Arabî: il caso dello Shajara non è, dunque, isolato. D’altronde, la menzione d’un qalandar suggerisce, in quanto ad origine, un ambiente un po’ marginale rispetto al sufismo.

IBN ‘ARABÎ E L’ESCATOLOGIA

Queste attribuzioni ripetute non si basano su alcun fondamento, come ha ben visto Ibn Khaldûn. Se lo Shajara non può in nessun caso esser stato scritto da Ibn ‘Arabî, né da un discepolo diretto, per le ragioni che sono state addotte in precedenza e molte altre ancora, bisogna riconoscere che le conoscenze esoteriche ed i dati escatologici presenti nel testo  e nei suoi commenti non gli sono estranei. Scienza delle Lettere, congiunzioni astrali, rivoluzione delle sfere celesti, cicli dell’umanità, avvento del Mahdî, ruolo di Gesù quale Sigillo della santità: tutti questi elementi sono disseminati nella sua opera.

In due passaggi delle Muhâdarât al-abrâr, riporta una lunga tradizione escatologica risalente al Compagno del Profeta, Hudhayfa Ibn al-Yaman. La fa seguire da una predizione d’un certo Ibn ‘Isma, considerata come la predizione della ripresa di Gerusalemme da parte di Saladino. Nel primo passaggio, la tradizione di Hudhayfa è seguita dall’annuncio della rovina delle regioni della Terra una dopo l’altra, fino all’arrivo d’un re venuto dall’Oriente nel 561E, all’inizio della congiunzione di Saturno e Giove nel terzo terzo del segno del Capricorno. Questo re s’impadronisce dell’Egitto e del Sudan. Batte per tre volte i Banû-l-Asfar, i Cristiani o, piuttosto, gli Europei.  Giunge allora il Signore dell’Occidente. A questa notizia i Rûm inviano una grande flotta. I tre anni del Signore dell’Occidente si ritrovano in Egitto, agitato da gravi disordini. I Banû-l-Asfar s’impadroniscono d’Alessandria, per essere infine espulsi dalla Siria (Bilâd al-Shâm). A questo punto, un uomo arriva d’Oriente, questa volta assistito da eserciti turchi, prende possesso di Gerusalemme e di tutta la Siria. Indi lotte, venuta del Sufyânide, del Mahdî che s’impadronisce di Costantinopoli, arrivo dell’Anticristo e discesa di Gesù… 21.

Ibn ‘Arabî, qui, non fa che riportare uno di quei testi nei quali lo storico si accoppia con l’escatologico ed ove si noterà l’apparizione dei Turchi in un ruolo positivo che non hanno spesso nelle tradizioni apocalittiche. Il fatto che si sia fatto eco di questo genere di predizioni non poteva che incoraggiare certi autori a diffondere, sotto l’ala della sua autorità, altri esempi adattati ad un’epoca cruciale della storia musulmana: la caduta di Granada, il declino del sultanato mammelucco e l’ascesa dell’Impero ottomano dopo la conquista di Costantinopoli, poichè è piuttosto sorprendente che nello Shajara ed a fortiori nei suoi commenti, non vi si faccia mai cenno.

GLI AUTORI PRESUNTI

Per quale ragione questi autori dovevano celare la loro identità pur rivelando la fonte della loro ispirazione? Il nome d’Ibn ‘Arabî, a causa del credito che godeva presso numerosi sapienti e sûfî, non poteva che facilitare la diffusione del testo. Questa ragione è da ritenersi valida soprattutto se lo Shajara aveva per obiettivo conquistare alcuni spiriti

alla causa ottomana, particolarmente in Egitto ed in Siria. Può anche darsi che non fosse del tutto privo di rischi l’associare il proprio nome ad un potere  dinastico, financo in patria. D’altronde, sebbene le conoscenze chiamate in causa da queste predizioni facessero parte integrante del sapere islamico, non per questo la loro pubblicazione era automaticamente ben vista dalla maggior parte dei sûfî e, soprattutto, dagli ‘ulamâ’. Infine, la menzione costante del Mahdî ed una certa terminologia avrebbero potuto suscitare qualche sospetto di sciismo, tanto più che alcuni Hurûfî avevano avuto non poco da dire e difendersi dalle autorità ottomane. In quanto alla datazione dello Shajara, tutto dipende dal fatto se si ammette come possibile o meno la predizione. Se si, di quanto tempo precede la conquista della Siria e dell’Egitto nel 922? Se no, la redazione ha dovuto aver luogo poco tempo dopo. Come abbiamo già segnalato, non esistono manoscritti risalenti a quest’epoca, quelli più antichi menzionati dai cataloghi essendo quelli dello Pseudo al-Qûnawî e Safadî datati rispettivamente 1062/1653 e 1060/1650.

L’autore è verosimilmente d’origine araba. Dovrebbe necessariamente essere egiziano? E’, in ogni caso, profondamente penetrato dall’idea che l’Egitto è la “Sede del Trono”. D’altronde indica, incidentalmente (f. 33), un metodo per pevedere gli avvenimenti secondari a partire dai mesi copti. Se si ammette che lo Shajara può esser stato redatto prima del regno di Selim, c’è un personaggio cui lo si potrebbe attribuire senza troppo far lavorar la fantasia: si tratta di ‘Abd al-Rahmân al-Bistâmî22. Nato ad Antiochia, studia al Cairo, risiede alla Mecca nel 795/1393 e si reca dal Sultano Murâd II a Brousse, ove muore nell’858/1454. Molto influenzato dall’opera d’Ibn ‘Arabî, è prima di tutto esperto in diverse scienze esoteriche, la scienza delle Lettere, dei quadrati magici, delle proprietà dei Nomi divini e degli avvenimenti futuri, secondo Task…. E’ l’autore d’un’opera generalmente attribuita ad Ibn ‘Arabî nei cataloghi dei manoscritti: la Sayhat al-bûm fî hawâdith al-Rûm: “Il grido del gufo riguardo agli avvenimenti d(e)i Rûm”, espressione che si ritrova nello Shajara23. Bajdath Pacha cita questo libro sotto il nome d’Ibn ‘Arabî, però aggiungenge in nota: “Quest’opera è, in realtà, di ‘Abd al-Rahmân al-Bistâmî poichè afferma, nel capitolo VI della Durrat Tâj al-Rasâ’il: “Nell’810, ho terminato la composizione del mio libro Sayhat al-bûm nella madrasa di Farh Shâh ad Aksehir”” 24. La Sayhat al-bûm menziona tradizioni apocalittiche analoghe, ma non identiche a quelle che sono reperibili nello Shajara, quali ad esempio: “L’Ora non giungerà prima che siano conquistate la Grande Costantinopoli e le sue città”. E’ anche detto che il Mahdî deve uccidere il re di Costantinopoli, dopo di chè arriverà l’Anticristo. A. Abel, che ha analizzato questo testo25,  segnala che Evliya Çelebi (1020-1095/1611-1684) cita la Sayhat al-bûm d’Ibn ‘Arabî; nel XVII secolo, quindi, quest’attribuzione era già ben stabilita.

Cionondimeno, quest’indizio non è sufficiente per fare di Bistâmî l’autore presunto dello Shajara. Egli era di per sé stesso sufficientemente conosciuto per non dover far ricorso alla fabbricazione di un apocrifo. Bisognerebbe sapere se non era contornato da discepoli ai quali si potrebbe imputare la redazione. Permane ancora valida l’ipotesi d’un ambiente di dervisci sufficientemente edotto sull’opera d’Ibn ‘Arabî e sull’evoluzione politica del Vicino Oriente che abbia prodotto quest’opera e, verosimilmente, i suoi primi commenti. L’attribuzione a Qûnawî era un mezzo efficace d’autentificazione dello Shajara, avendo nel contempo il carattere d’una referenza nella trasmissione delle opere dello Shaykh al-Akbar nelle Bilâd al-Rûm grazie alla intermediazione di personalità prestigiose quali Dâwûd al-Qâysarî e Shams al-Dîn Fanârî. L’attribuzione a Safadî è meno comprensibile, nonostante questo storico d’origine palestinese abbia risieduto, come molti altri, al Cairo.  Ma siamo proprio sicuri che si tratti davvero di Khalîl b. Aybak? Il manoscritto di Princeton utilizzato per questo studio porta, sulla pagina del titolo, il nome di Ibn Habîb al-Safadî. Lo si può identificare con ‘Abd al-Qâdir b. Muhammad b. ‘Umar Ibn Habîb al-Safadî, poeta morto a Safad nel 915/1509, quindi poco tempo prima della conquista ottomana. Naturalmente, nulla impedisce di pensare ad un’attribuzione apocrifa oppure dovuta ad un errore del copista. Sia quel che sia, la cosa ci porta in Siria. Non è inconcepibile pensare, a questo proposito, che la famosa predizione: “Quando la Sîn…” fosse in circolazione magari poco prima dell’entrata di Selim. Essa avrebbe potuto essere inserita più tardi nello Shajara. La sollecitudine dimostrata da Selim nell’edificazione del mausoleo d’Ibn ‘Arabî e della annessa moschea la si può spiegare con l’attaccamento di numerosi ‘ulamâ’  in Turchia all’opera dello Shaykh,  ma può anche darsi che il sultano ritenesse d’essergli legato egli stesso a causa d’un debito particolare26.

LA PORTATA STORICA DEL TESTO

Riconosciamo, per il momento, la nostra impotenza ad identificare l’autore ed a proporre una datazione soddisfacente e ritorniamo al testo. Come abbiamo già fatto notare, predice due serie d’avvenimenti: gli uni vicini, dei secoli X ed XI dell’Egira; gli altri, escatologici, prossimi alla fine dei tempi, ma non senza interferenze frequenti fra gli uni e gli altri. Questa costante irruzione della “metastoria” nella storia trova la sua origine nel Corano, ove l’Ora è annunciata come imminente e nella Sunna, in cui il Profeta non cessa mai di mettere in guardia i suoi Compagni dai disordini avvenire (fitan) e dall’Anticristo (al-Masîh al-Dajjâl) ed annuncia loro la venuta d’un uomo della sua famiglia che riempirà la Terra di giustizia com’essa è stata riempita d’ingiustizia, nonchè la ridiscesa di Gesù. Ogni momento di crisi nella storia dell’Islâm è l’occasione per ricordare queste tradizioni, nelle quali ognuno può ritrovare la spiegazione degli avvenimenti attuali, come si vedrà di séguito negli esempi. La proliferazione delle predizioni coincide generalmente con dei periodi di disordini e. conseguentemente, d’attesa escatologica. A ciò s’aggiunga la credenza, precisa nei sûfî e diffusa nel popolo, del governo del mondo da parte dei santi. Lo storico, quindi, tenderà a leggere questo testo come un mezzo per legittimare un potere acquisito di recente, grazie all’alterazione da parte di qualche ambiente, quello dei dervisci certamente, nonostante ci si possa interrogare sul numero delle persone capaci di leggere testi come questo e di comprenderne qualcosa. Ma non si può proporre una lettura leggermente differente avanzando l’opinione  che questi stessi ambienti, od altri, hanno voluto preparare il terreno diffondendo l’idea dell’elezione della Famiglia di ‘Uthmân. Si potrebbe, tuttavia, sfumare quest’affermazione riconoscendo che la serie di disordini e di guerre preannunciata in questi testi non siano un elogio alla dinastia:  ma le grandi date non sono, in una tale concezione della storia, altro che una successione di guerre?

Sia quel che sia, il contesto storico non lascia nessun dubbio. Ci troviamo in quel momento in cui la supremazia oscilla, od ha oscillato, dalla parte dei Mammelucchi verso gli Ottomani. L’azione di Selim a Damasco si traduce nella costruzione della tomba d’Ibn ‘Arabî. Se si eccettua la sconfitta di Qânsûh al-Ghûrî, la conquista dell’Egitto da parte degli Ottomani non è nominata: le predizioni concernono l’Egitto sotto la dominazione ottomana ed i Paesi limitrofi. A rischio di contraddire i tentativi d’identificazione che sono stati fatti poco sopra, bisogna riconoscere che lo Shajara dà l’impressioone d’un’autorità ottomana saldamente stabilita, almeno nei princìpi se non di fatto. L’importanza accordata all’Egitto conferma l’eredità, per gli Ottomani, di quest’antico centro di potere ed autorità. Per tutto ciò, però, era necessario un intervento eccezionale delle forze spirituali che dirigono il mondo, dietro il velo degli avvenimenti. Di qui, l’amplificazione del ruolo e della dimensione escatologica della Sîn, lettera escatologica già presente nella tradizione anteriore del jafr, soprattutto sciita e qui applicata a Selim. La cancellazione di Costantinopoli dinanzi a Roma, quale prima fase del processo escatologico finale, caratterizza anch’esso un’epoca. Il posto accordato a Konya,  al centro del Bilâd al-Rûm, merita attenzione a sua volta. Cosa significa quest’oscillazione tra l’Egitto ed i suoi vicini, luogo degli avvenimenti storici e l’Anatolia, sede d’un futuro trans-storico? Decisamente, l’enigma dello Shajara non si lascia risolvere facilmente.

Come si è già suggerito più sopra, la portata storica di questo tipo di testi è giustificata dal senso che danno ad una storia immediata. Lo Shajara ed i suoi commenti hanno conosciuto un ritorno d’interesse nel XIX secolo, quando gli Ottomani sentivano prossima la fine del loro impero, come testimonia la moltiplicazione delle copie di manoscritti risalenti a quest’epoca. Il nome d’Ibn ‘Arabî, in quanto la sua opera espone i fondamenti spirituali dell’organizzazione del cosmo e del divenire dell’umanità, non ha smesso, nel corso dei secoli, di servire da copertura ad oscuri autori desiderosi d’avvicinarsi a questi princìpi del mondo dei fenomeni. Durante la guerra del Golfo circolava, negli ambienti delle turûq, questa poesia attribuita ad Ibn ‘Arabî ed estratta da un libro di cui nessun lettore d’Ibn ‘Arabî ha mai inteso parlare:

“Estratto del libro Manâjim al-qurûn (Le miniere dei secoli) di Muhyî-l-Dîn Ibn ‘Arabî, pag. 260:

Quando gli ebrei si uniranno ai cristiani e faran volare il ferro contro le torri (o: le costellazioni zodiacali: burûj),

Quando la Moschea lontana (Gerusalemme) diventerà orfana ed il potere sarà nelle mani della Prostituta,

Allorchè brucerà un fuoco nel Golfo ed il potere nell’Hijâz s’accorderà con i capi degl’infedeli,

Allorchè nella guerra delle stelle periranno le loro capitali nell’olio del Golfo,

Allorchè Gog e Magog si precipiteranno gridando : “O mari di sangue, ribollite”,

Allora tu potrai dire all’Orbo, l’Anticristo: “Vai, il tempo d’uscire è giunto!””

Certamente, a questa poesia fa difetto tutto l’apparato esoterico messo in opera dal jafr: l’astrologia e la scienza delle Lettere, che sono il linguaggio cifrato del cosmo e del Libro del destino, in cui è velata all’uomo comune e rivelata agli iniziati l’origine celeste dei disordini che perturbano questo mondo. Purtuttavia, essa esprime, a modo suo, l’inquietudine e l’attesa escatologica d’una distruzione e del ritorno d’un salvatore, nei quali si ridurrà questa pelle di zigrino che è la storia dell’umanità. Etimologicamente,  jafr non significa altro27.

NOTA SUI MANOSCRITTI DELLO SHAJARA-L-NU‘MANIYYA

E DEI SUOI COMMENTI

Brockelmann28, a partire dai cataloghi delle biblioteche europee ed orientali, segnala, tra le opere d’Ibn ‘Arabî, 4 esemplari dello Shajara, 8 del commento di Qûnawî, 8 del commento di Safadî, 1 di quello di Maqqarî e di Mustafâ b. Sahrâb e 2 di Shahrâfî.

  1. Yahya29, che non sembra porsi la questione dell’attribuzione di questi testi ai loro autori, aggiunge a questa prima lista 5 esemplari dello Shajara, di cui 3 ad Istanbul; 9 del commento di Qûnawî, di cui 7 ad Istanbul; 11 di quello di Safadî, di cui 8 ad Istanbul, 1 di M. b. Sahrâb in Turchia e 9 di quello di Shahrâfî di cui 4 ad Istanbul.Toufic Fahd30 segnala un altro esemplare di Shahrâfî e 3 manoscritti del Durrat-al-Lâmi‘a, il commento dello Pseudo-Bûnî, in Turchia.Muhammad Riyâd al-Mâlih, specialista d’Ibn ‘Arabî e della letteratura del tasawwuf notissimo a Damasco, m’aveva indicato, anni or sono, l’esistenza, alla Zâhiriyya, di 2 esemplari dello Shajara, di 7 di Qûnawî, di 5 di Safadî e di al-Bûnî (ed un altro a Baghdad,  Awqâf n° 10147).

    Noi stessi abbiamo rintracciato, a Dâr al-kutub al Cairo, i seguenti manoscritti:

    Hurûf wa awfâq 17 film 45269, 6 f.: commento di M. b. Sahrâb.

    Hurûf wa awfâq 26 film 45717, 18 f.: anonimo, l’autore sembra presentarsi come vivente nel X secolo E., ma cita il commento di Shahrâfî.

    Hurûf wa awfâq 145 film 45675, 18f: Risâla fî-l-jafr. Questo testo si presenta come un commento dello Shajara.

    La raccolta majâmî’ 62 film 52784, 81 f, copiata nel 1278/1861-1862, già segnalata da Brockelmann secondo il catalogo della Biblioteca Kedivale31, comporta diversi trattati:

    – commento di Qûnawî.

    – commento di Safadî.

    – commento di M. b. Sahrâb.

    – trattato di jafr = Hurûf wa awfâq 145.

    Kitâb jafr al-Shaykh al-Akbar, in cui sono citate le Futûhât, Ibn Sab‘in, il commento di Maqqarî ecc…

    – Seguono altri 4 trattati di scienza delle Lettere e predizioni.

    Aggiungiamo ancora le due raccolte di Princeton32, delle quali ci siamo serviti per il nostro studio:

    – n° 4497 contenente i commenti di Qûnawî, di Safadî e di Shahrâfî.

    – n° 4535 contenente quelli di Qûnawî e Safadî.

     

    Conosciamo, dunque, almeno 13 manoscritti dello Shajara, 26 del commento di Qûnawî, 25 di quello di Safadî, 3 di quello di Maqqarî, 4 di quello di M. b. Sahrâb, 12 di quello di Shahrâfî, 5 di quello di Bûnî e 2 non identificati. Questi testi hanno, dunque, conosciuto una certa diffusione e non c’è dubbio che una ricerca più approfondita permetterebbe di scoprire altri esemplari. E’ curioso constatare che i due primi commenti hanno conosciuto una diffusione maggiore rispetto al testo stesso, nonostante non siano, nel loro insieme, per niente più chiari del testo che pretendevano di spiegare. Altra constatazione: la maggioranza dei manoscritti non indica né il nome del copista, né la data della copia. Fra gli esemplari datati, i più antichi non risalgono oltre la seconda metà dell’XI/XVII secolo e quelli non datati che abbiamo consultato ad Istanbul non risalgono, visibilmente, oltre il XVIII o il XIX secolo.

    Sono le biblioteche di Berlino e di Parigi quelle che conservano gli esemplari datati più antichi, non dello Shajara, bensì del commento di Safadî, entrambi datati 1060/1650: Berlino n° 4218Lbg 71133 e Parigi 267934. Un commento di Qûnawî è  di poco seguente questa data; Berlino 4215 1 Lbg. 711,2, datato 1063/165335 così come un commento di Safadî BN 2678. datato 1071/166136. Esiste pure, a Brousse (Ulu Cami 35), un esemplare del Durrat-al-Lâmi‘a datato 1096/168537. Gli esemplari datati d’Istanbul sono d’epoca più tarda: coomento di Maqqarî: Veliyüddin 2294/7, 1107/1696; commento di Qûnawî: Sehit Ali 181, 1108/1697; Shajara: Beyazit 4609, waqf della madre del sultano ‘Abdulmecit, datato 1266/1850.

    Lo studio dei manoscritti non c’’è, pertanto, di nessun aiuto al fine di datare questo testo e le sue diverse continuazioni; gli autori di questi apocrifi, e spesso i copisti, hanno confuso le tracce. Non per ciò bisogna vedere nello Shajara un’invenzione tardiva, poichè i commenti dello Pseudo-Qûnawî e Safadî vi si rinviano esplicitamente. Si sarebbe tentati di vedere, a priori, in esso una giustificazione della conquista dell’Egitto da parte di Selim, ma non bisogna neppure escludere un’origine più antica, in particolar modo degli schemi rettangolari, quadrati o circolari che accompagnano la maggioranza dei manoscritti. Incontestabilmente, la tematica dello Shajara s’iscrive in una certa tradizione escatologica, come dimostrato dal Durr al-Munazzam di Kamâl al-Dîn M. b. Talha al-Qurashî al-Nisîbî al-Halâbî38. Quest’opera comporta un certo numero d’elementi che si ritrovano nello Shajara. Talvolta è seguito da un commento o da una specie di continuazione per mano di ‘Abd al-Rahmân al-Bistâmî, nella quale ci riferisce d’una visione dell’822E39, il che conferma l’idea che questa persona può ben esser stata, indirettamente, all’origine di questa letteratura enigmatica. Sapremo mai chi ne sono gli autori? Lo studio dei manoscritti mostra che forse, per gli storici della fine dell’Impero ottomano, è più importante studiare l’impatto di tali testi sugli ambienti dirigenti od intellettuali fino alla fine del XIX secolo. In effetti, il carattere tardo dei manoscritti mostra che la portata escatologica di questa letteratura rispondeva alle inquietudini e magari anche alle speranze di coloro i quali s’interrogavano sull’avvvenire della dinastia ottomana.

     

     

     

     

     

     

     

    NOTE

     

     

    01) Su questa, vedi: Toufic Fahd, articolo: Djafr in EI2 II 386-8 e: La divination arabe, riedito Parigi, Sindbad, 1987, pagg. 219-24 e 224-34 sui malâhim. Vedere, inoltre, i due articoli di A. Abel citati infra, nota 25.

    02) Abbiamo utilizzato, per l’analisi dello Shajara e dei commenti di Qûnawî e Safadî, i mss. di Princeton, Garret Collection n° 4497 e 4535, le cui copie ci sono state gentilmente offerte da Michel Chodkiewicz.

    03) “L’Egitto è la faretra di Dio sulla Terra. Nessun nemico potrà recargli offesa senza che Dio lo faccia perire”. Si trova, questa tradizione, in uno dei primi storici dell’Egitto musulmano, Ibn Zûlâq; cfr. Sahâwî, al-Maqâsid al-hasana, Beirut. 1985, pag. 609, n. 1029.

    04) La Sîn designa Selim, la Shîn Damasco (al-Shâm)

    05) Uno degli antichi nomi di Damasco; cfr. Mu‘jam al-buldân II, 154-5. L’arcaismo dei toponimi caratterizza spesso questo genere di testi.

    06) Lett.: “che si mette in posizione verticale”, capo ispirato, la cui missione prefigura l’avvento della fine dei tempi e della Resurrezione.

    07) Sudda e non la Porta, senza dubbio per non apparire troppo esplicito.

    08) Ghirbân ossia i Beduini (‘Urbân).

    09) 824-848/1421-1444 ed 850-855/1446-1451.

    10) Donde l’uso di più verbi che esprimono l’allusione: ramaza, ashâra, lawwaba, awhâ, laghaza.

    11) A titolo d’informazione: Nel 914/1507-8 Shâh Ismâ‘îl conquista Baghdad: Sulaymân la riprende nel 941/1534; Shâh  ‘Abbâs  la riconquistò nel 1032/1623 e Murâd IV la riprese nel 1048/1648. Gli Ottomani la conservano fino al 1917. Cfr. l’articolo Baghdad, EI2 I 931.

    12) L’autore dello Shajara spiega che bisogna aggiungere dieci anni per ottenere l’anno del jafr.

    13) Un attacco ottomano contro la Spagna ebbe luogo nell’891/1496; cfr. M. Mukhtâr Bâshâ: “al-Tawfiqât al-ilhâmiyya”, Beirut, 1980, II, 927..

    14) Cfr. ms. della Veliyüddin 2294 (ff. 68-86b) f 75b. Altro esemplare Veliyüddin 2292 (ff. 1-39)

    15) Cfr. ms. Dâr al-kutub, hurûf wa awfâq, 17.

    16) Cfr. Ahmad Çelebi ‘Abd-al-Ghanî, Awdah al-ishârât fî man waliya Misr al-Qâhira min al-wuzarâ’ wa-l-bâshât, ed. Fu’âd al-Mâwî, Il Cairo, 1977, pag. 191. Ibn Sahrâb fu convocato dal Sultano Mehmed IV, apparentemente per verificare i conti del governatore. L’autore sottolinea le sue conoscenze divinatorie ed alchemiche.17) Cfr. ms. Dâr al-kutub, Ghaibiyyât, Taymûr 124.

    18) Sui manoscritti dello Shajara e dei suoi commenti, vedere la nota in fondo all’articolo.

    19) Vedere la conclusione dell’‘Anqâ’-l-mughrib, Il Cairo, 1954, pagg. 76-7.

    20) Mawâqif II 709.

    21) Cfr. Muhâdarât al-abrâr wa musâmarât al-akhyâr, Beirut, 1968, 1340E II 32. Questo passaggio è stato studiato da R. Hartmann, Eine arabische Apokalipse aus der Kreuzzugszeit. Ein Beitrag zur Jafr-Literatur, in: Schriften der Konigsberger Gelehrten Gesellschaft, 1924, pagg. 89-116.

    22) Su di lui, vedi EI2 I 1286, GAL II 231 e SH 324, Mu‘jam al-mu’allifîn, V 184, Shaqâ’iq al-nu‘mâniyya, pag. 31 e T. Fahd, La divination arabe, pagg. 228-30.

    23) Va notato che quest’espressione la si rintraccia già nel Durr al-Munazzam fî-l-sirr al-a‘zam di Kamâl al-Dîn Muhammad b. Talha b. M. b. al-Hasan al-Qurashî (582-652/1186-1254), opera alla quale s’è ispirato Bistâmî (cfr. La divination arabe, pag. 228). Vi si riscontra parimenti, frammista ad altre predizioni, questa frase attribuita al Mahdî Ibn Tûmart: “Un uomo di Salim, della Famiglia di ‘Uthmân, deve regnare sulla penisola degli Arabi alla fine dei tempi”, ms. BN 2666 f. 72b. Insiste pure sulla posizione centrale dell’Egitto, f. 134b. Su Ibn Talha, vedi GAL 464, SI 838. E’ vissuto nella Siria del Nord.

    24) Dayl kashf al-zumûn, II 72-3.

    25) “Un hadîth sur la prise de Rome dans la tradition eschatologique  de l’Islâm, Arabica V, 1958, pagg. 1-14 e: “Changements politiques et litérature eschatologique dans le monde musulman”, Studia Islâmica, II, 1954, pagg. 36-40.

    26) Al momento della redazione, veniamo a conoscenza dell’articolo di Ryad Atlagh: “Paradoxes d’un mausolée”, pubblicato nel numero 91-92 della rivista “Autrement. Lieux d’Islâm. Cultes et cultures de l’Afrique à Java”, edita da Mohammed Ali Amir Moezzi, Parigi, 1996, pagg. 132-153. Avendo affrontato l’argomento della costruzione della tomba d’Ibn Arabî da parte di Selim, l’autore si è posto le stesse domande sullo Shajara. Segnala un certo Persiano, Rûh Allâh al-Qazwînî, morto ad Aleppo nel 1541 e citato da Ibn al-Hanbalî (m. 1564) nel suo libro sui sapienti d’Aleppo. Questa persona avrebbe composto un’opera di jafr dimostrando, a cose fatte, che la venuta di Selim era preannunciata, partendo dal valore numerico delle lettere, in certi passaggi del Corano. Avrebbe addirittura composto un’opera dello stesso tipo su Sulayman il Magnifico, ispirata da una visione d’Ibn ‘Arabî, il quale gli avrebbe comunicato l’annuncio del regno di questo sultano in un passaggio dell’‘Anqâ’ mughrib. R. Atlagh osserva anche che Ibn Zunbul, nel suo libro sulla conquista dell’Egitto, afferma che Selim ha edificato il mausoleo d’Ibn Arabî perchè quest’ultimo l’aveva annunciato nel suo ‘Anqâ’ mughrib. Un bel numero di piste, convergenti sì, ma che accrescono la complessità dell’enigma.

    27) Jafr significa un grosso caprone od agnello e, quindi, la sua pelle intesa come pergamena.

    28) GAL I 447/580 e S 1779 n° 126.

    29) Histoire et classification de l’oeuvre d’Ibn ‘Arabî, Damasco, 1964, pagg. 456-7, n° 665.

    30) La divination arabe, Parigi, 1987, pag. 226.

    31) Fihris al-kutubhâna al-khidiwiyya, VII 552.

    32) Cfr. R. Mach, Catalogue of Arabic manuscripts (Yahuda Section) in the Garret Collection, Princeton University Library.

    33) Cfr. Ahlwardt, Verzeichnis der arabischen Handschriften der Koeniglichen Bibliothek zu Berlin, Berlino, 1887-1899, III, 553.

    34) De Slane, Catalogue des manuscrits arabes de la Bibliothèque Nationale, Parigi, 1883-1895, pagg. 482-3.

    35) Ahlwardt, pag. 553.

    36) De Slane, pag. 484.

    37) T. Fahd, pag. 226.

    38) Su di lui, vedi sopra, nota 31.

    39) BN n° 2666, 2668 e 2669, cfr. De Slane, Catalogue, pag. 481.

     

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