‘Ayn al-Qudat e il Fuoco d’Amore
Theo Fani:
‘Ayn al-Qudat e il Fuoco d’Amore
di Mohammed Rustom
Introduzione
Quando pensiamo all’amore nell’Islam, normalmente associamo questa virtù al grande Jalal al-Din Rumi (morto nel 672/1273). (1) Ma vi erano molti autori antecedenti, alcuni dei quali hanno fornito gran parte delle immagini e simbolismi che sarebbero poi diventati comuni ai giorni di Rumi. Figure come ‘Abd Allah Ansari (m. 481/1089), Ahmad Ghazali (m. 520/1126), Rashid al-Din Maybudi (morto intorno al 520/1126) e Ahmad Sam’ani (m. 534/1140) furono i principali teologi dell’amore nell’Islam. (2) Ed erano visti in questo modo dai loro contemporanei, dai loro successori come Ruzbihan Baqli (m. 606/1209), Farid al-Din’Attar (morto nel 617/1220), (3) da Rumi, e da generazioni di musulmani del subcontinente, Asia centrale, Turchia, Iran, Afghanistan e altre regioni fino ai nostri tempi.
Fu normale per le persone appena menzionate, vedere l’obbiettivo della loro vita, attraverso la lente dell’amore. Dopo tutto, l’esperienza umana fondamentale dell’amore, è centrale nella visione del mondo coranica e quindi nella spiritualità islamica, come è stato dimostrato da William Chittick nel suo rivoluzionario libro, Divine Love: Islamic Literature and the Path to God. (4)
Tra questi autori, uno dei più grandi amanti fu il saggio, filosofo, giurista e martire persiano ‘Ayn al-Qudat Hamadani (morto nel 525/1131), che era il famoso allievo di Ahmad Ghazali.
Era così rinomato per la sua enfasi sull’amore divino e umano che si guadagnò il titolo di “Sultano degli innamorati” poco dopo la sua morte. (5) Come i teologi dell’amore che vennero prima e dopo di lui, ‘Ayn al-Qudat passò molto tempo a scrivere sulla natura e sulle piene implicazioni di una vita dedicata all’amore per Dio e per le creature di Dio.
Poiché ‘Ayn al-Qudat era erede di una lunga tradizione di riflessione teorica sull’amore ed era lui stesso un importante tramite per la trasmissione della teologia dell’amore, per i molti grandi poeti e scrittori in prosa che vennero dopo di lui, i suoi scritti sull’amore rappresentano uno dei trattamenti più coerenti e profondi dell’argomento in tutta la civiltà islamica e persino umana. In ciò che segue, presenterò quindi una dimensione della multiforme e complessa comprensione dell’amore di ‘Ayn al-Qudat. (6)
Cercare l’amore
I lettori di Rumi avranno familiarità per l’enfasi che egli poneva sull’incapacità del linguaggio di definire l’amore.
Si considerino, per esempio, questi famosi versi tratti dal suo Masnavi:
Qualsiasi cosa io dica sull’amore a titolo di commento e di esposizione,
quando arrivo all’amore, me ne vergogno.
Anche se la spiegazione con la lingua è chiara,
l’amore che è senza lingua è ancora più chiaro. (7)
Come Rumi, ‘Ayn al-Qudat non tenta mai di definire l’amore, con la motivazione che la realtà dell’amore è semplicemente ineffabile. Questo significa che le nostre ordinarie facoltà raziocinanti non hanno modo di accedere ai misteri dell’amore. E questo spiega perché dice che “quando arriva il sole dell’amore, la stella dell’intelletto è cancellata”. (8)
Dato che i teologi razionali e gli studiosi di diritto sono entrambi impegnati a spaccare il capello in quattro, il loro mestiere è del tutto inappropriato per ciò che concerne l’amore:
Qui, cosa può fare, il “fare” e il “non fare”?
Le sentenze degli amanti sono una cosa, e le decisioni degli intellettuali un’altra!
Non pensare che tu e i tuoi simili abbiate conosciuto l’amore, a parte le sue trappole irreali!
L’amore è ottenuto solo da colui che ottiene il riconoscimento (ma’rifat). (10)
Piuttosto che tentare di definire l’amore, ‘Ayn al-Qudat insiste che dobbiamo accontentarci usando le nostre imperfette risorse di espressione umana:
Una spiegazione dell’amore non può essere data se non attraverso simboli e immagini, e questo perché si possa parlare d’amore. Se no, cosa si potrebbe dire dell’amore e cosa si dovrebbe aver detto? (11)
In un caso, ‘Ayn al-Qudat ci dice che l’amore è un velo tra l’amante e l’Amato. (12)
In un altro, egli caratterizza il cosmo come pieno di tragici attori sul palcoscenico dell’amore:
Il mondo non può ottenere il segreto dell’amore, ma è innamorato e confuso dall’amore.
E l’amore sa cosa è stato fatto al mondo, che è sempre in uno stato di tristezza e dolore. (13)
Quando ‘Ayn al-Qudat discute le caratteristiche dell’amore, il suo primo punto di accesso consiste nell’identificare la prima indicazione: quella di lasciare le proprie inclinazioni egoiche ed egotistiche e di preferire l’oggetto d’amore, anzi l’amore stesso, a sé stessi:
Ahimè! Cosa si può dire dell’amore? Quale traccia si deve dare dell’amore, e quale indicazione può essere fornita?
Nel fare il passo dell’amore, una persona è sottomessa perché non è con sé stessa.
Abbandona sé stessa e preferisce l’amore a sé stessa. (14)
Lo squilibrio (sawda’i) dell’amore ha più valore dell’intelligenza del mondo!
… Chi non è un amante è un autocelebratore. . . Essere un amante è essere senza sé e senza cammino. (15)
Poiché l’amore è di natura così totalizzante, ‘Ayn al-Qudat spiega che esso consuma l’amante interamente:
“L’amore ha un potere che, quando permea l’amato, l’amato si diffonde e consuma la totalità dell’amante”. (16)
Tuttavia, prima di essere consumati dall’amore, si deve cercare di coltivare l’amore in sé stessi:
Il compito del ricercatore è di cercare in sé stesso nient’altro che l’amore.
L’esistenza dell’amante viene dall’amore. Come può egli vivere senza amore?
Riconosce la vita dall’amore, e trova la morte dove non c’è amore! (17)
Cercare l’amore dentro di sé è un concetto astratto e una possibilità lontana per la maggior parte delle persone. Quindi, la via più sicura per entrare nel mondo dell’amore è sviluppare una relazione con Dio, e il modo più semplice per farlo è incrementare l’amore nel proprio cuore per le creature di Dio. In altre parole, attraverso l’amore della gente e degli altri esseri senzienti, si può entrare in ciò che è proprio del vasto scopo dell’amore: “Si ama ogni cosa esistente, poiché ogni cosa esistente è un Suo atto e una Sua opera”. (18)
Nella misura in cui gli esseri umani esistono e l’amore è un sinonimo di esistenza (come in effetti è stato per molti dei più importanti saggi dell’Islam), gli esseri umani sono caratterizzati dall’amore, proprio come sono caratterizzati dall’esistenza:
Per ogni persona sul cammino l’amore è un obbligo.
Ahimè! Se non hai amore per il Creatore,
coltiva almeno l’amore per le creature
in modo che tu possa conseguire l’essenza di queste parole. (19)
Imbranati e meritevoli
La cognizione di coltivare l’amore solleva naturalmente la questione di come questo possa essere fatto.
Per ‘Ayn al-Qudat, come per molti altri autori della tradizione sufi persiana, la risposta è piuttosto semplice.
Bisogna lasciare che l’amore sia la tua guida e il tuo maestro:
“Sii uno studente! L’amore stesso basta come tuo maestro”. (20)
L’amore, che è Dio, ti porterà a Dio, che è l’Amato finale. Quanto migliore è la formazione alla scuola dell’amore divino, più bello (e quindi amato) sarà l’Amato per l’allievo:
Il primo unguento di cui il viandante cercatore (talib-i salik) deve essere unto è l’amore. Il nostro maestro (21) disse:
“Non c’è maestro più penetrante dell’amore” – non c’è maestro più perfetto per il viandante dell’amore.
Una volta chiesi al maestro: “Qual è la guida verso Dio?” Egli rispose: “La sua guida è Dio stesso”. (22)
Io dico che, per il principiante, la guida alla conoscenza di Dio è l’amore.
Chi non ha l’amore come maestro non è un viaggiatore sul Sentiero.
Attraverso l’Amato, l’amante può raggiungere l’amore e, in virtù dell’amore, può vedere l’Amato.
Quanto più perfetto è l’amore, tanto più bello l’Amato appare. (23)
Diventare uno studente dell’amore è un’impresa piuttosto ardua. Questo è il motivo per cui ‘Ayn al-Qudat afferma francamente che l’amore è “proibito ai rammolliti (na-mardan)”. (24) Per definizione, i “rammolliti” non sono tagliati per sopportare le difficoltà, e non c’è niente di più difficile delle prove e tribolazioni che accompagnano il cammino dell’amore. Piuttosto che limitarsi a sopportare le prove dell’amore, egli deve accogliere la tribolazione e diventare esso stesso tribolazione. Cioè, esso deve divenire niente per poter fare dei passi verso il divenire tutto:
Ahimè! Immagini che la tribolazione sia data ad ogni persona?
Che cosa sai della tribolazione?
Aspetta di arrivare al punto in cui vendi il tuo spirito per la tribolazione di Dio. (25)
Il credente deve soffrire per la tribolazione così tanto da diventare
la tribolazione stessa, e la tribolazione diventa il suo stesso io.
Allora, egli sarà inconsapevole della tribolazione. (26)
Ma perché il sentiero dell’amore deve venire con tali tribolazioni, la più grande delle quali è il dolore della separazione da Dio stesso? Metà della risposta, ci dice ‘Ayn al-Qudat, è perché essa permette all’aspirante amante di maturare, in modo che egli possa trasformarsi dall’essere un amante nella potenzialità, ad essere un amante nella realtà:
Il segno dell’amore è la sincerità. Non capite cosa sto dicendo?
In amore, la durezza e la fedeltà sono necessarie fino a quando l’amante
non viene cotto dalla dolcezza e dalla severità dell’Amato.
In caso contrario, egli sarà crudo, e nulla verrà da lui. (27)
Ahimè! Sapete perché tutte queste tende e veli sono posti sul Sentiero?
Affinché, giorno dopo giorno, la visione dell’amante maturi
fino a che egli possa sopportare il peso di incontrare Dio senza un velo. (28)
L’altra metà della risposta al perché la tribolazione è necessaria sul sentiero dell’amore
è che essa permette di distinguere gli uomini dai ragazzi.
Cioè, ci sono molti che fanno affermazioni sull’amore per Dio,
ma sono pochi quelli che sono veramente disposti a sopportare le tribolazioni che comportano questa relazione d’amore.
Per illustrare il suo punto, ‘Ayn al-Qudat attinge alla ben nota immagine della rosa (gul) e dell’usignolo (bulbul). L’usignolo piange e si lamenta per la separazione dalla rosa. Poiché non può sopportare la separazione dalla rosa, si getta naturalmente in essa. Ma nel letto di rose ci sono anche spine mortali.
Vedendo queste spine, l’usignolo che dice di amare la rosa arresta il suo volo nel tentativo di salvarsi.
Dice di amare, ma quando si tratta di accettare la sofferenza che viene con l’amore, rimane preoccupato più per sé stesso che per l’amore.
Nelle parole di ‘Ayn al-Qudat, l’usignolo non è adatto all’attività dell’amore perché rimane cosciente di sé stesso e perché non è ancora diventato nulla:
Non hai visto che l’usignolo è un amante della rosa?
Quando l’usignolo si avvicina alla rosa, non può resisterle, si getta nella rosa.
Ma le spine sotto la rosa hanno un compito: fanno sì che sia la rosa ad uccidere l’usignolo…
Se la rosa fosse senza il tormento delle spine,
ogni usignolo avrebbe di fatto la pretesa di essere un amante (da’w-yi ‘ashiqi).
Ma date le spine, nemmeno uno su centomila usignoli può affermare di essere un amante della rosa. (29)
Eppure ci sono quei rari usignoli che fanno bene la loro dichiarazione d’amore per la rosa, accettando il dolore, la sofferenza e l’annientamento che accompagnano il loro volo nel letto di rose. (30)
Quando uno è come quell’usignolo che preferisce la rosa a sé stesso, non è più un “fifone” rispetto all’amore, perché ha accettato volentieri le tribolazioni dell’amore. Questo porta una certa qualità d’anima nell’amante – la dignità (ahliyyat). (31) A causa di questa dignità, si può poi entrare in una relazione d’amore con Dio. Come ci dice la dottrina presocratica, solo il simile può conoscere il simile. Secondo questa logica, il vero amante conoscerà naturalmente il linguaggio dell’amore e di conseguenza sarà in grado di parlare come parlano gli amanti:
Chi non è meritevole d’amore non è meritevole di Dio.
Chi non è degno d’amore non è degno di Dio.
L’amore può parlare all’amante, e l’amante conosce il valore dell’amore. (32)
Il sentiero di Majnun
Come dovrebbe essere chiaro da quanto precede, l’intuizione chiave di ‘Ayn al-Qudat sul sentiero dell’amore per Dio è che esso verrà inevitabilmente con dolore e sofferenza, la peggiore delle quali è l’agonia della distanza dall’Amato. Questo perché il cosiddetto amante, nella misura in cui è diverso dall’Amato, mantiene ancora una sorta di status ontologico indipendente ai propri occhi. È ancora alla ricerca dell’Amato.
E nella misura in cui in quanto rimane un aspirante alla ricerca dell’Amato, soffrirà. ‘Ayn al-Qudat afferma succintamente il problema in questo modo: “L’amante è ancora un aspirante, e in questo mondo, l’aspirante è posto in cima all’albero della separazione”. (33)
Più si chiude la distanza tra l’amante e l’Amato, meno c’è dell’amante e più c’è dell’Amato.
Meno separazione ci sarà.
Minore è la separazione, minore è il dolore della separazione.
Ma, allo stesso modo, meno è la separazione, più sono le categorie di “soggetto” e “oggetto” e “Io” e “Tu”.
E più queste categorie vengono eliminate mentre rimane ancora un soggetto affermante, più l’amore si rivelerà essere un affare di ubriachezza, stupore, smarrimento e follia.
Con questo punto in mente, ‘Ayn al-Qudat ricorre al tropo dei proverbiali amanti Layla e Majnun.
Dice ai suoi lettori che se vogliono raggiungere Dio, devono essere come Majnun.
eternamente in debito con la menzione della sua amata, a dispetto di sé stessi:
O caro amico! Raggiungere Dio è obbligatorio. E, senza dubbio, qualunque cosa
attraverso la quale si raggiunge Dio è essa stessa obbligatoria per chi cerca.
L’amore fa sì che il servo raggiunga Dio. Così, per questa ragione,
l’amore è un obbligo sul sentiero. O caro amico!
Uno deve essere della qualità di Majnun (majnun sifati),
che, sentendo il nome di Layla, possa perdere il suo spirito!
Per chi è distaccato, quale preoccupazione e cura avrebbe per l’amore di Layla?
Non è un obbligo per colui che non è un amante di Layla – è un obbligo sul sentiero per Majnun. (34)
O caro amico! Sai cosa disse la bellezza di Layla all’innamorato d’amore di Majnun?
Essa disse: “O Majnun! Se faccio un occhiolino, anche se ci sono centomila persone
come Majnun che vengono tutte a piedi, saranno uccisi dal mio occhiolino”.
Ascolta quello che disse Majnun: “Non preoccuparti! Se il tuo occhiolino annienterà Majnun,
l’arrivo e la tua generosità gli daranno sussistenza.” (35)
‘Ayn al-Qudat ha indubbiamente assunto le qualità di Majnun, e in un punto nei suoi scritti offre un commento sulla sua situazione quando è sopraffatto dalla follia d’amore. Egli proclama paradossalmente che “la follia d’amore mi ha lasciato così disinteressato ed estasiato che non so cosa sto dicendo!” (36)
Notate come ‘Ayn al-Qudat dice che la follia d’amore ha lasciato “lui” disinteressato a tal punto che “lui” non sa quello che “lui” sta dicendo. Questo tipo di amore nel lessico di ‘Ayn al-Qudat, è conosciuto come amore tra le due cose (‘ishq-i miyana). È una forma ancora imperfetta di amore nella misura in cui opera ancora entro i confini di una dicotomia soggetto-oggetto, per quanto la distinzione tra questi due sia sfumata:
Nell’amore tra due cose, si può trovare una differenza tra il testimone e il Testimone. Per quanto riguarda la fine dell’amore, è quando non si può trovare una differenza tra di loro. Quando l’amante alla fine del cammino diventa amore e quando l’amore del testimone e del Testimoniato diventano uno, il testimone è il Testimone e il Testimone il testimone. Voi considerate questo una forma di incarnazionismo (hulul), ma questo non è incarnazionismo. È la perfezione dell’unione e dell’unità! Secondo la religione dei realizzatori, non c’è altra religione che questa. (37)
Altrove, ‘Ayn al-Qudat spiega che alla fine dell’amore “non rimane né il pazzo, né amante, ma solo follia e amore”. (38) Egli chiama anche la fine dell’amore “l’amore maggiore”, che è definito come l’amore di Dio per le Sue creature. (39) Anche se questa forma d’amore sembra implicare l’esistenza di un soggetto e di un oggetto, in realtà è la più alta forma di unità. Questo perché ci porta all’amore stesso che, propriamente parlando, non riguarda né il soggetto né l’oggetto.
Per illustrare questo punto, ‘Ayn al-Qudat offre una lettura unica di
يُحِبُّهُم وَيُحِبّونَهُ
yuḥibbuhum wa-yuḥibbūnahū
Egli li ama ed essi lo amano (Corano 5:54)
O caro amico! Ascolta: Egli li ama ed essi lo amano (Q 5,54).
Quando esso Lo ama è messo al suo posto, può affrontare Egli li ama nella sua interezza.
Allora dice Egli li ama, perché è arrivato con tutto ciò che è.
Il sole può illuminare tutta la terra perché la sua superficie è vasta.
Ma, finché la casa del vostro cuore non rivolge la totalità della sua faccia verso il sole,
non un solo raggio del sole può essere la sua parte.
“E tra i Suoi segni c’è il sole “(40),
il sole stesso testimonia che Egli li ama ha un attributo di vastità tale che può essere per ogni persona.
Ma, finché la totalità del loro amore per Lui non è data ad esso,
la casa del tuo cuore non troverà i raggi nella loro interezza.
Nella concentrazione del ritiro spirituale (khalwat-khāna) di essi Lo amano,
Egli stesso li ama parla di ciò che l’amore è, e di chi è l’Amato. (41)
Tutto è fuoco
Da nessuna parte ‘Ayn al-Qudat è più chiaro sulle implicazioni della fine dell’amore di quando equipara l’amore al fuoco. Il fuoco è un simbolo perfetto per l’amore perché consuma tutto: qualsiasi cosa incontri brucia e riduce al nulla. Così, ‘Ayn al-Qudat dice,
“L’amore è un fuoco: in ogni luogo in cui si trova, non può rimanere che lui; ogni luogo che raggiunge, brucia e si trasforma nel suo stesso colore.” (42)
Nello spiegare la parte finale dell’amore, ‘Ayn al-Qudat attinge più comunemente all’accoppiamento della falena (parvana) e della candela (sham’). La falena, che simboleggia l’anima umana, è per natura amante della fiamma della candela, che simboleggia Dio/amore. Come una falena è solita fare, quando vede la fiamma della candela non può che immergersi nella fiamma con tutto il suo essere:
Senza il fuoco, la falena è inquieta, ma nel fuoco non ha esistenza.
La falena è così consumata dal fuoco che vede tutto il mondo come fuoco.
Quando raggiunge il fuoco, si getta in mezzo ad esso.
La falena stessa non sa distinguere tra il fuoco e altro che non sia il fuoco.
Perché? Perché l’amore stesso è tutto fuoco…
Quando la falena si getta in mezzo al fuoco e si brucia – tutto diventa fuoco.
Quale rivelazione ha di sé? Finché è con sé stessa, è in sé stessa. (43)
Poiché l’amore consuma tutto, in ultima analisi non si può parlare di un amante separato. Questo perché quando c’è un amante, c’è un “io” separato che è posto accanto a Dio, l’io supremo. Finché si insiste sul proprio “io”. rimane intrappolato nei confini del proprio ego ed è, in realtà, morto. Ma quando esce da sé stesso, allora può vivere, non come un “io” separato, ma come il suo vero “io”:
Ahimè! Che cosa sentirai? Per noi, la morte è questo: uno deve essere morto a tutto ciò che non sia l’Amato
finché non trova la vita che viene dall’Amato, e diventa vivente attraverso l’Amato. (44)
Chi non ha questa morte non trova la vita.
Cioè, quella che voi sapete essere la morte non è la vera morte, che è l’annientamento.
Capite sapete cosa sto dicendo? Sto dicendo che quando sei te stesso e sei con il tuo sé, non lo sei.
Ma quando non sei con te stesso, sei veramente te stesso. (45)
Il vero amore quindi non coinvolge l’amante nella relazione d’amore perché l’amante non è nulla di fronte all’amore. Nella misura in cui lo è, non è un amante. E nella misura in cui non lo è, non c’è altro che amore.
Poiché l’amore implica un completo disinteresse, che significa anche perdere il proprio senso di sé, la falena è un perfetto simbolo dell’amante ideale: non guarda né a destra né a sinistra e non ha in mente né
conseguenze né premi, si getta semplicemente nel fuoco, che è il suo unico obiettivo.
Il fuoco stesso che riceve la falena la riduce a niente, ed è tutto ciò che è:
Se vuoi che ti faccia un esempio di questo, ascolta! La falena, che è amante del fuoco,
non ne ha alcuna parte finché è lontana dalla luce del fuoco.
Quando si getta nel fuoco, diventa senza sé e nulla di falena rimane – tutto è fuoco. (46)
Conclusione
Ascoltare ciò che ‘Ayn al-Qudat ha da dire sull’amore può aiutare a comprendere lo studio accademico del misticismo islamico. Allo stesso tempo, riguarda molto da vicino le nostre vite, specialmente perché l’amore per molte persone oggi è considerato nient’altro che un sentimento umano fugace. Come abbiamo visto, per ‘Ayn al-Qudat, nulla potrebbe essere più distante dalla sua visione dell’amore. L’amore non si trova semplicemente tra le persone nella loro vita quotidiana, né è solo un’espressione del desiderio umano per il divino. Esso è molto più espanso, e comprende tutta la realtà perché esso stesso è la base e la materia di tutta la realtà.
Quando la maggior parte degli esseri umani trova sé stessa lungo il continuum dell’amore, ciò ha a che fare con la loro posizione in quel particolare momento come amanti. Successivamente, più andranno ai loro incontri specifici con l’amore, più si prepareranno all’incontro con l’Amore stesso, che è Dio. Eppure per ‘Ayn al-Qudat, quanto prima si riconosce che non è altro che l’Amato che ama, anche nei suoi oggetti d’amore, più rapidamente la sua esperienza d’amore sarà più profondamente radicata e priva di sé. Questo può accadere solo quando uno è totalmente consumato dal fuoco dell’amore. È allora che arriverà a vedere sé stesso e tutte le cose come tante fugaci tracce dell’immagine dell’eterno Amato.
Bibliografia
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.Lumbard, Joseph. Ahmad al-Ghazali, Remembrance, and the Metaphysics of Love. Albany: State
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.Rustom, Mohammed. ‘“Ayn al-Qudat’s Qur’anic Vision: From Black Words to White Parchment.’
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.Sam’ani, Ahmad. The Repose of the Spirits: A Sufi Commentary on the Divine Names. Translated by .William Chittick. Albany: State University of New York Press, 2019.
.Zargar, Cyrus. Religion of Love: Farid al-Din ‘Attar and the Sufi Tradition. Cambridge: Islamic Texts Society, in press.
NOTE
1. William Chittick’s The Sufi Path of Love: The Spiritual Teachings of Rumi (Albany: State University of New York Press, 1983). Rimane l’esposizione più chiara della teologia dell’amore.
2. Per chi, vedi rispettivamente, Rawan Farhadi, ‘Abdullah Ansari of Herat (1006-1089 C.E): An Early Sufi Master (Richmond, Surrey: Curzon, 1996); Joseph Lumbard, Ahmad al-Ghazali, Remembrance, and the Metaphysics of Love (Albany: State University of New York Press, 2016); Annabel Keeler, Sufi Hermeneutics: The Qur’an Commentary of Rashid al-Din Maybudi (Oxford: Oxford University Press in association with The Institute of Ismaili Studies, 2006); Ahmad Sam’ani, The Repose of the Spirits: A Sufi Commentary on the Divine Names, trans. William Chittick (Albany: State University of New York Press, 2019).
3. Per un ottimo studio recente of Baqli, see Kazuyo Murata, Beauty in Sufism: The Teachings of Ruzbihan Baqli (Albany: State University of New York Press, 2017). È possibile trovare un nuovo approccio ad Attar in Cyrus Zargar, Religion of Love: Farid al-Din Attar and the Sufi Tradition (Cambridge: Islamic Texts Society, in press)
4. Chittick, Divine Love: Islamic Literature and the Path to God (New Haven: Yale University Press, 2013).
5. Per la sua vita e i suoi insegnamenti, vedi Mohammed Rustom, Inrushes of the Heart: The Sufi Philosophy of ‘Ayn al-Qudat (Albany: State University of New York Press, in press).
6. Per l’intera gamma di ‘Ayn al-Qudat’s teoria dell’amore e il suo rapporto con altri aspetti del suo pensiero. Vedi Rustom, Inrushes of the Heart, chapter 10.
7. Per questa poesia nel suo contesto, vedi Rustom, “The Ocean of No existence,” Mawlana Rumi Review 4 (2013): 188-199 (at pp. 188-189).
8. ‘Ayn al-Qudat, Nama-ha, ed. Ali Naqi Munzawi and ‘Afif ‘Usayran (Tehran: Intisharat-i Asatir, 1998), 2:219, – 327.
9. ‘Ayn al-Qudat, Nama-ha, 2:219, – 328.
10. ‘Ayn al-Qudat, Nama-ha, 2:153, – 224.
11. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, ed. ‘Afif ‘Usayran (Tehran: Intisharat-i Manuchihri, 1994), 125, -174.
12. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 127, – 176.
13. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 108, – 153.
14. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 96-97, – 137.
15. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 98, – 140.
16.’Ayn al-Qudat, Tamhidat, 100, – 141.
17. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 98, – 139.
18. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 140, – 191.
19. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 96, – 137. Vedi anche Tamhidat, 107, – 151.
20. ‘Ayn al-Qudat, Nama-ha, 2:128, – 188.
21. That is, Ahmad Ghazali.
22. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat 283, – 368.
23. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 284, – 367.
24. ‘Ayn al-Qudat, Nama-ha, 1:22, – 24. Vedi anche Tamhidat, 110-111, – 157.
25. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 243, – 318.
26. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 244, – 318.
27. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 221, – 283.
28. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 104-105, – 148.
29. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 341-342, – 453.
30. See ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 207, – 266.
31. ‘Ayn al-Qudat sviluppa la nozione di dignità in un altro contesto, ossia nella sua analisi del Corano. Vedi
Rustom, “‘Ayn al-Qudat’s Qur’anic Vision: From Black Words to White Parchment,” in Routledge Handbook on Sufism, ed. Lloyd Ridgeon (London: Routledge, 2021), 75-88.
32. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 111, – 157.
33. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 222, – 285.
34. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 97-98, – 138.
35. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 110, – 156.
36. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 237, – 307.
37. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 115, – 162.
38. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 237, – 307.
39. See Ayn al-Qudat, Tamhidat, 101-102, – 143.
40. Cf. Q 41:37.
41. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 128, – 177.
42. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 97, – 137.
43. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 99, – 141.
44. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 288, – 374.
45. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 287, – 374.
46. ‘Ayn al-Qudat, Tamhidat, 242, – 316.
Vedi anche:
Aḥmad Al-Ghazālī – Metafisica dell’Amore
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