Esoterismo ed essoterismo nel Tarjuman al ashwaq

Tarjuman-Al-Ashawaq

Tarjuman-Al-Ashawaq

di Abdelkrim Elalami

Nel presente articolo si intende dimostrare che i motivi  che spinsero Ibn Arabi a comporre le poesie del Tarjuman al ashwaq  non vanno cercate in una presumibile storia vera d’amore per una donna in carne ed ossa, ma al contrario nella convinzione dell’autore che per contemplare Dio bisogna contemplare la creatura più bella e più perfetta che Egli creò nella sua forma per riconoscervi sé stesso. Le immagini poetiche del Tarjuman vanno quindi lette come un percorso esoterico grazie al quale Ibn arabi esprime l’amore per Dio con le parole e i toni dell’amore per una donna fittizia creata dalla propria immaginazione attiva, fondendo in questo modo la passione carnale con l’amore divino. Il che ci porta a pensare che  nei versi del Tarjuman l’approccio dell’autore  si  caratterizza per un duplice aspetto, uno esoterico perché elitario e riservato, l’altro essoterico perché è essenzialmente divulgativo e popolare.

Ibn `Arabî è uno dei maestri sufi  dell’Islâm più prolifici e al contempo più difficili, a causa soprattutto del linguaggio arduo delle sue opere e della complessità delle sue dottrine. Si stima che il mistico murciano avesse scritto oltre  quattrocento opere: ne sono rimaste solo cento, tra cui spicca la sua opera maggiore Le Rivelazioni Meccane che totalizza essa sola oltre 14 mila pagine, più altre  mille poesie. Oltre ai versi con cui illustra spesso  le sue  dottrine nelle sue opere, Ibn ‘Arabî scrisse la  raccolta di poesie intitolata Il Tarjuman al ashwaq (L’interprete delle Passioni Amorose). Percorrendone i meravigliosi versi, si ha invariabilmente l’impressione di trovarsi di fronte a un messaggio cifrato per via  dei termini mistici che costellano i versi e delle metafore e allegorie  che caratterizzano il suo stile. Tentare di   interpretarli è dunque impresa ardua particolarmente se ci si limita a leggere il testo originale senza ricorrere all’ausilio di una traduzione d’appoggio o per lo meno al commentario composto dallo stesso Ibn Arabi.

Il Tarjuman al ashwaq

Anzitutto, occorre premettere che Ibn ‘Arabî non era un poeta originale nel senso ordinario della parola. Il lettore del suo Tarjuman trova nelle sue poesie pochissime immagini che Ibn ‘Arabî può rivendicare come autenticamente sue. La maggior parte delle sue espressioni, metafore e allegorie  appartenevano già all’immenso  tesoro  della poesia araba tradizionale, a cui Ibn ‘Arabî si è probabilmente ispirato.

Il titolo completo della raccolta si potrebbe tradurre con qualche licenza L’Interprete delle passioni amorose. Letto superficialmente, il titolo sembra dare immediata contezza della tematica amorosa, ma ciononostante solleva fin dai primi versi problemi e questioni senza fine, soprattutto se si prende in conto che il Tarjuman non può essere dissociato dal commentario [1]. Come spiega l’autore al principio, il libro ha due titoli: Tarjuman al ashwaq (L’interprete delle passioni amorose) [2]   e Kitàb adh-dhakhair wa l-’alàq sharh Tarjuman al ashwaq (Il Libro dei Tesori e degli Splendori: Commentario dell’Interprete della Passioni), destinati rispettivamente a ahl al-bätin,  ossia gli iniziati  e ahl al-zähir, i lettori non iniziati.

La parola che si è tradotta con «passione amorosa», ad esempio, è Al-shawq, vocabolo che se  nell’arabo letterale designa «forte desiderio», è usato dai Sufi per esprimere l’ ansia del  loro cuore di ricongiungersi con Iddio in una Unio Beatifica [3]  perché il rimedio per il cuore che brucia con il desiderio è di incontrare l’Amato.


Il Libro dei Tesori e degli Splendori 

Il Tarjuman è un canzoniere di poesie d’amore di Ibn Arabi accompagnate da un commentario.   Questa scelta è intenzionale perché il vero significato allegorico dell’opera, che è noto e chiaro particolarmente a un pubblico costituito dal gruppo privilegiato dei « Sapienti » (al-’arifùn), non sarebbe compreso senza l’ausilio del commentario. Pertanto, Il Targumàn potrebbe essere incastonato nel complesso della poesia amorosa sufi che si caratterizza per le sue funzioni simboliche originarie quali il linguaggio, le metafore e il significato dell’amata.

Nel prologo del Tarjuman [4], Ibn Arabi premette che per Dio, che conosce i segreti del cuore, conta solo l’intenzione dell’autore poiché costituisce l’anima delle opere e per ribadire che il senso occulto delle sue poesie si riferisce a Dio [5] afferma:

«Benché il senso letterale sia galante, e si menzionino giardini e donzelle, se l’intenzione di tutto ciò è quella di esprimere qualche cosa che si riferisca alle intuizioni divine e alle scienze teologiche, questo non può fare danno e quindi non vi è motivo di censura…»[6].

Altrove, nello stesso commentario, Ibn Arabi, per  togliere ogni spazio a eventuali dubbi,  spiega il motivo per il quale si è servito degli strumenti espressivi della poesia amorosa araba tradizionale o dell’epitalamio, particolarmente quando menziona nomi di donne e descrive le loro qualità fisiche:

«perché i cuori degli uomini, essendo tanto attaccati a quei sentimenti, avrebbero dovuto sentirsi in tal modo maggiormente indotti a dare ascolto alle mie canzoni, scritte nel medesimo idioma dei poeti graziosi, spirituali e delicati [7].

Insomma, per Ibn `Arabî il linguaggio poetico  con i suoi echi e risonanze melodiche,  le sue metafore e le altre figure retoriche è oltretutto un utile mezzo espressivo per rivelare il messaggio spirituale. Se nei suoi trattati dogmatici Ibn `Arabî presenta le sue dottrine e le sue relazioni con Allah, nelle sue poesie esprime il proprio messaggio spirituale non più come verità ma come esperienza. Nelle sue poesie, si nota  un  notevole senso di trascendenza e intimità da cui l’essenza della dottrina sufi di Ibn `Arabî non può essere separata. Per  rendersene conto basta pensare che, per Ibn`Arabî, la vera originalità della poesia non sta nei mezzi espressivi caratteristici della poesia amorosa araba tradizionale di cui fa uso, bensì nel modo in cui gli stessi mezzi espressivi sono usati per rivelare il messaggio spirituale che contengono. Certo, l’idea del shawq [8] non deve rimanere prigioniera di una lettura superficiale o concezione della passione (quella che lega il poeta alla bella Nizam). La creatura amante che vagheggia la Gnosi e aspira all’Unio simpatetica desidera estinguersi nell’Amato; se si accetta questa interpretazione   allegorica che eleva il senso dell’amore sensuale a livello superiore e divino, possiamo capire  l’integrazione  degli elementi della dottrina abenarabiana relativa alla religione dell’amore, che,  invece di essere solo la manifestazione di un processo psicologico, fa parte dell’essenza  ontologica di Allâh nella sua relazione con l’universo e le creature.


L’amore spirituale nel sufismo

Tarjuman Al Ashawaq

Poiché i segreti divini e le verità spirituali non sono descrivibili e non tutti i riceventi sono in grado  di capirli, era naturale che i sufi facessero affidamento sullo stile epitalamico (al ghazal) [9] per esprimere le emozioni che travolgono le loro anime, perché è lo stile più adatto per esprimere le loro verità  nascoste e le epifanie segrete, visto che questo genere lirico (al ghazal)  è considerato  più vicino all’indole e più leggero al cuore.

La tradizione mistica dei sufi era assuefatta a utilizzare un linguaggio a doppio senso, essenzialmente indirizzato agli iniziati che vi percepiscono un linguaggio mistico mentre alla gente comune esso appariva un linguaggio d’amore sensuale. È evidente  che se ripercorriamo le composizioni dei maggiori esponenti della poesia  sufi, scopriremo che la loro poesia sufi non si discosta da questa tradizione. I sufi tendono generalmente a usare un linguaggio destinato a rivelare o a mascherare il suo significato. Così essi possono facilitare all’adepto la comprensione di certi punti difficili, e nello stesso tempo dissimulare i misteri della loro scienza ai non iniziati.

Infatti,  nella poesia amorosa dei sufi, si riscontrano i nomi di donne come Nizam e affiorano temi come il ricongiungimento e la separazione, l’accettazione e il rifiuto. Oltre al simbolismo legato all’amore sensuale e alla bellezza dell’amata, la poesia sufi abbonda di immagini del vino e dell’ebbrezza  con cui sono imparentate parole come la coppa,  il compagno, la taverna e il taverniere [10], che di solito caratterizzano la poesia del ghazal ma nella poesia sufi indicano la strada per la contemplazione di Dio e la conoscenza spirituale, e il taverniere è usato come emblema della guida spirituale. L’ebbrezza estatica costituisce l’origine della gioia dell’amore della divinità.  Or si sa che i  poeti mistici hanno convenuto di adottare un linguaggio a doppio senso perché attraverso esso «potevano velare le loro dottrine pericolose a propalarsi apertamente, oggetto di esecrazione per tutti gli ortodossi» [11].  Da qui nasce la difficoltà di distinguere tra la poesia che è stata composta con scopi secolari o sensuali e la poesia che cerca l’intento supremo e i segreti divini.

Tarjuman-Al-Ashawaq-3

Nizàm, figura d’Amore e di Sapienza

Nonostante lo stile epitalamico (del ghazal),  l’amore per Ibn Arabî, espresso nel suo Tarjuman, è un amore mistico e spirituale. Per essere in grado di interpretarlo come simbolo di realtà eccelse, bisogna avere una preparazione spirituale elevata come quella che possiede Ibn Arabi o coloro dotati di sapienza, com’egli scrive: «Al mio cuore e al cuore/ Di chi possiede/ Come me/ Le condizioni dei sapienti» [12].

Infatti, per essere in grado di cogliere la dimensione simbolica e apprezzarne il senso divino, il lettore che non fa parte degli eletti è chiamato ad adottare l’atteggiamento degli adepti sufi, i quali ricercano nella poesia sufi del grande maestro i valori applicabili al proprio itinerarium  spirituale verso il divino. A loro è destinata  la sua poesia; agli altri è obbligatorio disporre del commentario per capire il senso occulto.

In queste condizioni il lettore dovrebbe interpretare l’amata di Ibn Arabi. A proposito dell’essenza di questa donna virtuosa e saggia e del valore simbolico della sua figura, Ibn Arabi afferma che  «allude alla sublime sapienza divina, essenziale e santa, che si presenta con tali tenerezze a chi le parla, che genera in lui diletto e allegoria» [13] e commentando la parola gàriya [14] con cui si riferisce alla sua amata in molte delle sue canzoni, la spiega come al-hikma (la saggezza) e come al-ma’rifa (la conoscenza intuitiva) .

Ibn Arabi, sottolineando la natura divina della sua donna, afferma che la purezza del suo amore lo ispirò per comporre le poesie del diwan. Infatti, egli dichiara che il generoso amore che lo travolge non è per una donna vera, ma per Iddio [15]. Già nel prologo, il lettore è  avvertito  dalla tentazione di limitarsi a cogliere solo il senso letterale senza cercare di penetrare il senso occulto [16] :

«Ogni nome che in questo libro menziono è riferito a lei, e ogni dimora di cui canto l’elegia è la sua (casa). In questa raccolta, accenno continuamente alle illuminazioni divine (waridàt ilàhiya), alle rivelazioni spirituali (tanazzullat rùhàniya), come è in uso nel nostro stile allegorico» [17].

Ritornando al punto di partenza, ovvero la natura dell’oggetto della passione amorosa del poeta murciano, sebbene egli possa essere annoverato tra i più illustri sufi a dedicarsi all’amore appassionato,  in ogni caso, occorre mostrare quanto  complessa sia la sua percezione della donna. Non si può evocare Ibn Arabi senza riportare il ruolo che ebbero le donne nell’iniziarlo nel cammino della spiritualità. In effetti, fu proprio sua moglie Maryam al-Baggìya a trasportarlo verso le vie segrete del sufismo. Successivamente fu guidato nel suo percorso ascetico da un’altra figura femminile nella persona della mistica persiana Shams bint al-Fuqara che egli stesso  chiama la sua «madre divina».

Nei suoi scritti, la donna assume il ruolo di iniziatrice divina, rivestendo una funzione spirituale.  Tuttavia, non dovremmo dare per scontata quest’immagine solenne della donna nel pensiero del poeta murciano perché prima di imboccare il sentiero mistico, Ibn Arabi nutriva nei suoi confronti un odio connaturato finché non sperimentò la via ascetica. Nelle Futuhat, egli narra i particolari del cambiamento avvenuto nel  suo atteggiamento nei confronti delle donne:

«Meditando sulla tradizione profetica e sul perchè Allah ha reso le donne care al Profeta, mi sono reso conto che l’amore che provava il Profeta per loro non era dovuto a una disposizione fisica (tab’an) ma a un’esemplificazione divina (takhalluq ilahi), e poiché temevo la rabbia di Dio e nello stesso tempo  odiavo ciò che ha reso caro al Profeta, ho iniziato a invocare Dio affinché rimuovesse questo odio dal mio cuore, e così è stato: Allah mi ha fatto amare le donne e ho cominciato a provare  compassione per loro» [18].

Dedicando a Nizam il suo Tarjuman, Ibn Arabi in realtà integra l’amore per Dio e l’amore per una donna fittizia creata dalla propria immaginazione attiva, fondendo in questo modo la passione carnale con l’amore divino, la sensualità e la fede. Non si dimentichi che il manifestarsi di Dio in una forma umana o perlomeno angelica  è parte integrante dello schema della creazione nel misticismo. Il tema della sacra divinità che partecipa nella vita umana riflettendosi in essa, ha una lunga storia, nella quale intervengono la filosofia, la tradizione letteraria, e soprattutto, e non ultima la mistica. Si pensi, per esempio, alla figura della Shekina [19]che simboleggia l’elemento femminile nella divinità. Questo tema importante deriva essenzialmente dalla credenza comune alle tre Rivelazioni monoteistiche che l’uomo fu creato a immagine di Dio e quindi può servire da archetipo tramite cui la divinità può manifestarsi per rivelare alcuni dei suoi misteri. In virtù della sua creazione a immagine di Dio, l’uomo, nel suo ruolo di intermediario, permette di dare sostanza alle realtà spirituali [20].

Malgrado la tendenza di alcune culture religiose a demonizzare la figura della donna, l’uso della figura femminile in tal contesto è molto antico e diffuso. Ha trovato espressione un po’ dovunque nella letteratura mistica, compresa quella musulmana, e ha sempre incontrato un’aspra critica da parte dei teologi che lo considerano pericoloso e quindi da condannare. Se nel Cristianesimo emerge la figura di Maria Vergine con le sue numerose ramificazioni nella cultura letteraria come Beatrice [21] e Laura [22], nel sufismo sunnita e sciita non mancano sottili figure femminili raffiguranti la conoscenza piena di Dio. Infatti, numerosi sono i maestri del sufismo che celebrano l’amore, ma è nella figura di Ibn Arabi che ritroviamo i toni più intensi e passionali di questo sentimento. Nei Castoni della Sapienza (Fusus al-Hikam), Ibn Arabi afferma che, in una dimensione esoterica, l’uomo è in grado di contemplare Iddio in una donna e che la visione che ha come supporto la figura di una donna è la più perfetta, perché la donna simboleggia nello stesso tempo l’aspetto attivo del creatore e l’aspetto passivo della creatura. Ibn Arabi dice a riguardo:

«Se l’uomo contempla Iddio nella donna, allora si tratta di una visione (che ha come supporto una creatura) …. Contemplare Iddio nella donna è qualcosa di assolutamente perfetto perché significa contemplarLo nella Sua qualità di Creatore-creatura … Il Profeta amava le donne a causa della perfezione della contemplazione di Dio in loro. È impossibile vedere Iddio senza un supporto materiale … se ogni visione è possibile solo in una materia, allora la contemplazione nella donna è la più grande e la più perfetta» [23].

Il simbolismo nella letteratura sufi

Sul fondo di interrogativi contingenti permane la problematica dell’interpretazione dei significati dei versi del diwan: si deve ricercare il senso esoterico (batin) o limitarsi al senso esteriore (zahir) osservando la superficie dei versi? Leggendo il diwan d’Ibn Arabi con le sue  immagini, artifizi e metafore ispirati alla poesia del ghazal, risulta difficile intendere se il poeta parli di un amore per una donna in carne ed ossa o dell’amore per Dio; infatti, proprio come il poeta d’amore umano, Ibn Arabi parla a Dio come l’innamorato parla alla sua dolce amica [24]. Egli soffre la lontananza e si lamenta della fierezza dell’amata che stenta a concedergli la sua presenza. Il cuore dell’amante è talmente tormentato dalle ansie e dalla  sofferenza che il poeta non riesce più a trovare il sonno. Ovviamente il poeta sufi esprime attraverso queste metafore e allegorie i propri stati spirituali. Chi non possiede la sua scienza spirituale, cioè chi non ha l’esperienza spirituale [25] ed è nel medesimo stato spirituale del poeta, non è in grado di coglierne il significato segreto. Quando il poeta parla dei lunghi capelli dell’amica, si deve intendere i misteri divini. Le fossette del mento simboleggiano le difficoltà incontrate dall’amante nel suo viaggio interno alla ricerca di Dio. Il vino raffigura il desiderio ardente e l’ebbrezza spirituale, mentre la pappagorgia significa la gioia sovrumana di chi è giunto alla conoscenza piena di Dio, infine le lacrime che accompagnano la sua ansia simboleggiano il pentimento.

Non a tutti è dato comprendere questi significati proprio perché  Ibn Arabi come tutti i maestri del sufismo che detengono i segreti della gnosi (‘ilm al-asrâr) ritengono necessario ricorrere alla simbologia  per preservare la gnosi dagli spiriti vili e dalle menti pronte allo scandalo e disposte a pensar male perché non sanno  sfruttare le facoltà mentali concessegli da Dio. Egli aggiunge  che il senso occulto della conoscenza gnostica non può essere espresso  con  un linguaggio esplicito, perché altrimenti esso «apparirà  sgradevole, incomprensibile e oltretutto pesante» [26].

È esatto dire che la chiave di lettura delle rime amorose  d’Ibn Arabi è l’interpretazione prevalentemente simbolica, come è il caso di tutta la poesia sufi persiana e araba che non si discosta da questa tradizione. Come esempio, possiamo citare il valore simbolico della risposta di Rabi’à al-‘Adawiya [27],  quando le fu chiesto perché portasse una torcia accesa in una mano e nell’altra un secchio d’acqua

«Voglio incendiare il Paradiso e spegnere l’Inferno così che  questi due veli spariscano e i suoi servi Lo adorino senza sperare ricompense o temere castighi» [28] 

o il significato occulto dei versi della poesia seguente:

«Ti amo con due amori,
l’uno è egoista, l’altro  perché ne Sei segno.
Nel mio amore egoista
ricordo costantemente il tuo nome e nessun altro.
L’amore a te dovuto,

Che vuol darti ciò di cui Sei degno, sta nel desiderio
che Ti tolga il velo e lasci ch’io Ti veda.
Non merito lode per nessuno di questi amori.
A Te solo la lode per entrambi».

Poiché non tutti sono in grado di capire il valore simbolico delle varie donne menzionate nel Tarjuman, come nei seguenti  versi

«Riditemi la storia

di Hind e di Lubnâ,

di Sulaimâ, di Zàynab e di `Imân!» [29],

ci sono motivi per credere che il poeta sufi aspira a trasmettere un messaggio iniziatico al suo lettore. Per cui la comprensione di una metafora o di un simbolo esige doti superiori alla  semplice competenza di leggere e comprendere il testo perché molti dei motivi si riferiscono a una dottrina iniziatica. Ciò spiega perché Ibn al-Arabi ricorre al commentario per dare l’interpretazione mistica dei versi del diwan. Infatti, ritenendo importante  rivelare il significato nascosto della figura della sua amata e delle altre donne che compaiono nei versi, egli dice che «Hind si riferisce alla caduta di Adamo» mentre il nome di Lubnà è usato «in riferimento al desiderio; quello di `Imân in riferimento alla scienza dei doveri e della politica; quello di Zaynab in riferimento al passaggio dalla stazione della Santità a quella della Profezia; quello di Sulaymâ in riferimento alla saggezza di Salomone e di Balqîs» [30].

Ritornando a Nizam, allo scrivente pare opportuno sottolineare che sia il discorso del prologo che le canzoni del diwàn s’incentrano su una donna fittizia, figura d’Amore e di Sapienza. Il dialogo tra Amato e Amante avviene nel cuore dell’amante, luogo nel quale si realizzano le emanazioni divine e ha luogo l’estinzione.  La vita ascetica è un continuo  viaggio iniziatico che permette al sufi di aprirsi ad altre realtà diverse: il mondo con le teofanie che gli si manifestano  è un mondo  immaginario. Quando il sufi giunge a questa dimora iniziatica, ciò vuol dire che egli è giunto alla perfezione che gli permette di conoscere il tesoro nascosto e, di conseguenza, di trasformare il tempo e percepire cose e avvenimenti che rompono i limiti della ragione.

Esoterismo ed essoterismo nel Tarjuman

La questione del rapporto fra esoterismo ed essoterismo in Ibn Arabi merita la nostra attenzione, anche ai fini  della completa comprensione delle  dottrine dello Sceicco. Molti studiosi del sufismo fanno una netta distinzione fra esoterismo ed essoterismo nel pensiero del mistico murciano suggerendo che egli volesse tenersi le proprie dottrine lontane dal volgo (ch’egli chiama «la gente da poco»). Tuttavia, allo scrivente  pare opportuno proporre  la tesi che il pensiero abdenarabiano fosse esoterico ed essoterico nello stesso tempo perché consiste nelle cosiddette dottrine esoteriche rivolte a una comunità limitata dei credenti di cui fanno parte i suoi adepti ed allievi come Qunyawi [31],e negli insegnamenti e commenti che, avendo un valore divulgativo, sono destinati alla gente comune. Tuttavia, entrambi costituiscono due facce della dottrina d’Ibn Arabi: sia quella esoterica che quella essoterica, pur essendo destinate a comunità varie e opposte, sono strettamente collegate e quindi inseparabili. L’essenza della dottrina d’Ibn Arabi è dunque doppia, metafisica e  religiosa.

L’esoterismo nel Tarjuman

Se nei versi del Tarjuman l’approccio dell’autore  si caratterizza per un duplice aspetto, uno esoterico perché elitario e riservato, l’altro essoterico perché è essenzialmente filosofico e popolare, è curioso notare che ritroviamo la stessa dualità nel trattato l’Alchimia della Felicità. Infattiin questo trattato delle Futuhat il sapere esoterico, inteso come appannaggio degli iniziati, è trasmesso in segreto alla figura dell’adepto [32], in misura  superiore rispetto a quello di cui ha diritto la figura del filosofo [33],  non solo perché l’adepto lo merita come ricompensa per la sua fede, ma soprattutto perché è fondamentale  tenere il “segreto” nascosto e tutelato. I due viandanti che compiono il viaggio celeste nel mondo dell’oltretomba sono essenzialmente archetipi e simboli che incarnano un valore allegorico per tipicizzare il primo l’elezione e l’altro la dannazione. In Kimiyà as-saàda, i dialoghi tra l’adepto e le «entità spirituali» dei profeti denotano la ricerca della Gnosi Perfetta. La presenza importante del Profeta come necessario archetipo dell’adepto che guida nella via iniziatica della fede, e la figura Abramitica che nega al filosofo l’accesso alla scienza gnostica e allo stesso tempo invita l’adepto ad entrare nella «Casa Abitata» dei beati, rafforzano l’ipotesi che il racconto del viaggio sia  un ta’wil (esegesi) tipico del Mi’ràg [34] del Profeta in cui l’adepto si sostituisce al Profeta. Per cui, è impossibile intendere il racconto visionario d’Ibn Arabi senza tenere conto del suo senso esoterico (batin), ma nello stesso tempo non bisogna escludere il senso essoterico.

Sul piano esoterico, dietro i versi del diwan si cela un culto interno che, lungi dall’essere di dominio pubblico, è riservato solo agli iniziati. Il suo significato profondo costituisce  la dottrina nascosta della comunità degli iniziati, a cui viene svelato il senso occulto dei simboli proprio perché, a differenza della gente comune, hanno percorso, attraverso la meditazione, la commemorazione dei Nomi Divini e la lotta contro i desideri, le fasi di purificazione del cuore.  Queste fasi di purificazione dette « stati di coscienza  del cuore » [35] rendono possibile  a persone come l’adepto la visione delle emanazioni divine, la conoscenza delle stesse e la luce dell’unificazione in Allah, che costituisce la meta ultima dell’itinerario dei sufi.

Il tema dell’amore è centrale nelle fasi di purificazione e il cuore è la sua sede. L’amore per la bella Nizàm  è la metafora più immediata dell’itinerario iniziatico per giungere  all’incontro con l’Assoluto. I versi del Tarjuman sono una testimonianza del senso profondo della concezione della mahabba (l’amore divino): la meta e il senso profondo non sono, o non sono solo, la donna. Andare verso l’amata, soffrirne la separazione, accogliere i suoi sorrisi, imparare dalla sua saggezza, tutto questo ha il suo compimento nell’estasi e la felicità in una dimensione trascendentale.

Al fine di dimostrare che la propria concezione della mahaba è imperniata sui testi sacri (il Corano e gli ahadith [36]), lo stesso Ibn al-’Arabi dedica un intero capitolo delle Futuhat al tema dell’amore mahabba. In esso [37] egli cita il seguente hadith qudsi [38]: «Ero un tesoro nascosto e amai essere conosciuto; così creai la creazione per essere conosciuto».

Per il mistico murciano, la creazione non è in realtà che  il risultato dell’amore di Dio che ha un duplice aspetto: da un lato, per farsi conoscere Egli si manifesta  nelle sue creature in modo che queste possano ammirarne l’infinita perfezione e bellezza e amarlo. Dio ama le sue creature per se stesso perché li ha creati affinché lo amino e lo conoscano. Dall’altro lato, Egli ama le proprie creature per il loro bene perché, amandoLo e adorandoLo, le creature si dilettono nella felicità eterna poiché lo spirito del misticismo islamico consiste nell’aspirare alla Visio Beatifica attraverso la forza dell’amore e dell’affetto. Percorrere il sentiero iniziatico è un viaggio attraverso le sue dimore per raggiungere il livello di sussistenza in Dio (Baqà’) e far parte della comunità dei credenti amata da Dio.  Ibn Arabi cita il seguente versetto coranico: «… Allah susciterà una comunità che Lui amerà e che Lo amerà, umile con i credenti e fiera con i miscredenti…..» [39]. Secondo l’interpretazione esoterica d’Ibn Arabi,  l’ordine con cui  sono disposte le due proposizioni «Yuhibbuhum» (Lui li amerà) e «wa yuhibbûnahu» (e loro Lo ameranno) non è indifferente poiché implica che l’amore delle creature verso Dio è la conseguenza dell’amore divino verso le proprie creature.

La concezione d’Ibn Arabi dell’amore non può essere separata dalla sua concezione dell’Esistenza ed è imperniata su una serie di hadit [40]che, dato il loro valore legale,  non è lecito interpretare allegoricamente o restrittivamente. Infatti, per spiegare le “radici divine” (al-usûl al-ilâhiyya) della sua concezione dell’amore e dell’Esistenza, egli riporta il seguente hadìt qudsi :

«Chi è ostile ad un Mio santo, gli dichiarerò guerra, ed il Mio servo non si avvicina a Me con nulla che Mi sia più amato di ciò che gli ho prescritto. Ed il Mio servo continua ad avvicinarsi a Me con le opere supererogatorie fino a che lo amo; e quando lo amo sono il suo udito con cui ode, e la sua vista con cui vede, e la sua mano con cui afferra, ed il suo piede con cui cammina; e se Mi domanda gli darò, e se Mi chiede protezione, gli darò protezione. Ed in nulla che Io faccio esito, quanto esito nel (prendere) l’anima del Mio servo fedele, che detesta la morte, poiché Io detesto (causare) il suo male» [41].

Quest’ultimo hadith riconduce alla questione dell’amore, considerata la chiave per comprendere  la realtà di Dio che è amorevole [42]. La conoscenza di Dio può essere realizzata solo attraverso l’amore. Infatti, chi lo ama, Lo può conoscere. La parola araba «mahabba», che meglio traduce la parola «amore divino», è  una qualità essenziale della realtà di Dio perché è  Dio che ama per primo  e, quindi, quando il sufi, nel suo itinerario verso Dio, assaggia questo amore divino con il proprio cuore (al dawk) per poterLo conoscere [43], egli in realtà risponde  all’iniziativa divina  [44] perché  l’amore per Dio è  una riproduzione del Suo amore per  gli esseri.  Di fatto, da una parte, vi è l’amore del Creatore verso la Sua creazione; dall’altra parte vi è l’amore delle creature verso il Creatore, che rappresenta il desiderio di Dio di manifestarsi nella creatura.

Il segreto di quest’immagine si spiega con la volontà di Dio di conoscere Se stesso, di  trasporre le infinite possibilità del Suo essere sul piano della Realtà [45]. Il significato di Nizàm come una bella immagine del tesoro divino è la chiave per comprendere la volontà  di Dio di conoscere e amare quel tesoro, la bellezza creativa che suscita quell’amore e il desiderio d’unione e di beatitudine [46].

 

Wahdat al Wujud come dottrina esoterica

Attraverso i versi del canzoniere dedicati alla bella Nizam, Ibn Arabi intreccia immagini poetiche a considerazioni esoteriche sulla nozione dell’Unicità dell’Essere in termini oscuri ed impliciti. Il canzoniere, quindi, offre anche  l’esposizione in forma di rime delle dottrine iniziatiche del sufismo d’Ibn Arabi.

La dottrina dell’«Unicità di Esistenza» di cui Ibn ‘Arabi è considerato il teorizzatore, si fonda sul più fondamentale insegnamento dell’Islam: il tawhid (affermazione dell’Unicità di Dio). A differenza del concetto della molteplicità dell’Essere che sostiene che Dio e la sua creazione sono completamente separati, la dottrina di Wahdat al Wujud è strettamente connessa con il monismo esistenziale, cioè con l’idea che la realtà dell’Essere è Una e Unica e non può essere plurale.

Infatti, Ibn ‘Arabi considera che la molteplicità degli esseri che osserviamo a livello sensibile o spirituale non contraddice l’Unicità dell’Essere nel suo atto creativo. La molteplicità rappresenta semplicemente i vari gradi e i diversi stati dell’Essere. Secondo questa dottrina, tutti gli esseri del mondo sono solo manifestazioni del vero Essere tramite le quali Egli si manifesta. La creazione è allora una teofania (tajalli) perché gli archetipi della creazione esistono allo stato latente nell’intelletto divino, rappresentando i Nomi e gli Attributi dell’Essere Supremo, il quale li esistenzia facendoli manifestare. Quindi, se l’essere è Uno e unico, la pluralità che gli si attribuisce proviene dal modo di percezione della mente umana (i’tibarat) che concepisce gli esseri in base alla loro relazione con Dio.

Nonostante la pluralità delle teofanie, l’Essere che si epifanizza è Uno. La diversità delle teofanie  dipende dalla molteplicità delle predisposizioni essenziali delle persone a cui sono destinate. Quindi, per il Sommo Maestro, nulla è estraneo alla divinità e nulla può esistere al di fuori dell’Assoluto visto che le teofanie sono le espressioni della sua perfezione assoluta. Tuttavia, gli studiosi del sufismo, generalmente parlando, non si sono mai troppo interessati degli aspetti  essoterici del pensiero d’Ibn Arabi, dando probabilmente per scontato che, considerate le sue numerose opere pregne di dottrine esoteriche, vi si potessero trovare ben pochi elementi interessanti delle idee essoteriche. Tuttavia,  l’itinerario spirituale per il grande Maestro, oltre a appellarsi al cuore, si rivolge anche alla mente. In verità, si tratta  di due realtà che pur essendo chiaramente differenti non sono separabili.

 

L’essoterismo nel Tarjuman 

Quando si leggono i versi del Tarjuman, una chiave importante per capirne i messaggi è imperniata sulla comprensione della dicotomia Creazione e Creatore, attraverso la chiave bipolare ilm batin (esoterico) e ilm zahir (essoterico). Quest’ultimo, oltre a rappresentare  per il sufismo  la quintessenza della conoscenza,  è accessibile alla gente comune  anche se  è sprovvista di preparazione iniziativa. Al contrario, la gnosi (ilm batin) è appannaggio degli iniziati, perché  dipende non tanto dalle  competenze mentali, bensì dalla conoscenza intuitiva e dalla percezione (al dawk). Ciò che è recondito e inaccessibile,  può essere compreso e interiorizzato grazie alla sperimentazione in prima persona che appella all’ascesa mistica attraverso una serie di stati e di stazioni spirituali [47], a cui l’adepto sufi giunge tramite la rammemorazione del Nome di Allah (dhikr) e l’estasi.

Pertanto, se ci si limita a occuparsi delle scienze esoteriche e non si valorizza  la dimensione essoterica,  ciò implicherebbe l’abolizione di questa importante componente dal pensiero del grande Maestro. Ma se si  può senza riserve concordare sul collegamento dei versi del diwan alla  tradizione esoterica del Grande Maestro, ben diverso è il discorso sulla sua dimensione filosofica (essoterica). Per di più, il discorso sul ruolo svolto da Ibn Arabi nella diffusione del sapere  e delle scienze religiose è delicatissimo, particolarmente se si prende in considerazione la bipolarità tra il suo ruolo  di sapiente  che prolunga la  religione tradizionale ortodossa quando interpreta il Corano e diffonde  i valori morali dell’Islam e il suo percorso esoterico che dà un quadro ben diverso dall’immagine dell’Islam ortodosso, perché strettamente legato ai percorsi iniziatici.

Infatti, l’essoterismo d’Ibn Arabi è collegato anche con la sua volontà di esteriorizzare la dimensione spirituale, le dottrine, i metodi di realizzazione e la meta contemplativa. Un’altra ragione per l’importanza della dimensione essoterica può essere ricercata nei motivi che spinsero Lo Sceicco a comporre il commentario, particolarmente il timore d’Ibn Arabi [48] che le proprie idee esoteriche potessero essere considerate pericolose per la fede della gente  e di conseguenza condannate da parte degli Ulema ortodossi.

Ecco perché Ibn Arabi, con lo scrivere il commentario al diwan, proclama di spiegare le sue dottrine per  convincere che il proprio approccio rappresenta la dimensione contemplativa/esoterica dell’Islam e che la dimensione essoterica costituisce l’aspetto dogmatico della fede. Per avvertire il lettore dalla tentazione di cogliere solo il senso allegorico, egli dice: «In questa raccolta, accenno continuamente alle illuminazioni divine (waridàt ilàhiya), alle rivelazioni spirituali (tanazzullat rùhàniya), come è in uso nel nostro stile allegorico» [49].

Con il commentario del diwan, egli si propone lo scopo di evitare che si confondesse il vero significato dei versi con concezioni eterodosse errate circa le proprie dottrine e intende così accertarsi che la dottrina di wahdat al wujud non fosse in alcun modo ritenuta « pagana o eretica ». Infatti, essendo conscio che  non a tutti è dato comprendere i prodigi spirituali e che i prodigi apparenti sono destinati ai “deboli”,  dice Ibn Arabi:

«Dal momento che i profeti, gli inviati e i loro eredi sanno che vi sono, nel mondo e nelle comunità, uomini dotati di questa intuizione, ricorrono, nelle proprie dimostrazioni, a un linguaggio concreto, ugualmente accessibile sia all’eletto che all’uomo di volgo: in modo che l’uomo eletto ne trae a un tempo quello che ne trae l’uomo del volgo, e di più ancora, nella misura in cui il termine “eletto” (khàss) si addice realmente a lui e lo distingue dal cieco; e appunto in virtù di ciò (di simile comprensione intuitiva) i sapienti si distinguono gli uni dagli altri»[50].

Gli aspetti essoterici nel Tarjuman non andrebbero cercati nei contenuti, ossia nelle idee o dottrine disseminate qua e là, ma soprattutto nel modo di ricezione di tale contenuto. Infatti, i messaggi sono recepiti diversamente a seconda della preparazione e intuizione del lettore. La distinzione fra esoterico ed essoterico non sta solo nella volontà d’Ibn Arabi di disseminare nelle sue canzoni allusioni iniziatiche dottrinali, ma anche nella capacità del lettore di trarne i significati celati tra i versi. Non per niente i significati esoterici sono legati ai versi del diwan mentre gli aspetti essoterici assumono  la loro rilevanza dal punto di vista dei contenuti dei versi che sono spiegati e commentati dall’autore. Il commentario è pregno di contenuti religiosi, legittimamente considerati  essoterici, perché invece di essere elitari sono destinati  a tutti.


Conclusione

Infine, possiamo concludere che alle immagini poetiche del diwan si collega un percorso esoterico grazie al quale Ibn Arabi esprime l’amore per Dio con le parole e i toni dell’amore per una donna perché l’amore verso la donna, quando segue i riti  di purificazione del cuore, può elevare il cuore rendendolo degno della Visio Beatifica di Dio. La tendenza d’Ibn Arabi è al contempo poetica e mistica perché, usando  una bella storia d’amore vero per esprimere il fine di questo amore, ovvero la conoscenza di Dio, sembra volerci dire che, per contemplare Iddio, va contemplata la donna. Del resto, se  in questo modo dobbiamo  interpretare l’amore d’Ibn Arabi per la fanciulla persiana, non dobbiamo mettere in dubbio le ragioni che lo spinsero a comporre il diwan, che, nonostante il linguaggio profano usato, non andrebbero cercate in una presumibile storia vera d’amore per una donna in carne ed ossa, ma, al contrario, nella propria consapevolezza che tale amore riflette una proiezione della volontà divina sulla creatura più bella e più perfetta che Egli creò nella sua forma, al momento stesso in cui la creò, per riconoscervi sé stesso. E quindi amando Nizam in questo modo, Ibn Arabi  l’ama di un amore divino.

Dialoghi Mediterranei, n. 35, gennaio 2019

 Note

[1] Lo stesso Ibn Arabi ci ha avvertito che il lettore dovrebbe sforzarsi per cogliere il significato celato

[2] Muhyî-d-Dîn Ibn arabi, Tarjuman al ashwaq, trad.it di Roberto Rossi Testa e Gianni De Martino, L’interprete delle passioni, Urra-Apogeo, Milano, 2008.

[3] Alcuni sufi lo hanno descritto come il desiderio traboccante e sincero dell’amante di vedere il “Volto” dell’Amato mentre per altri, esso è un fuoco che riduce in cenere tutti i desideri, le aspirazioni e le inclinazioni che non sono amore e interesse per gli Amati.

[4Kitàb adh-dhakhair wa l-’alàq sharh Tarjuman al ashwaq (Il Libro dei Tesori e degli Splendori).

[5] Nel prologo egli dichiara: «(le canzoni) alludono a intuizioni trascendenti, a illuminazioni divine, a misteri spirituali, a conoscenze filosofiche e a insegnamenti morali»

[6Prologo del Tarjuman [trad. it. nostra]

[7] ibidem

[8] Il desiderio ardente

[9] al ghazal è un genere lirico che può ben essere tradotto con “poesia d’amore”. Dalla radice araba del termine “ghazal” gh z l  deriva la forma del taghazzul che vuol dire «comporre poesie amorose in cui si enumerano le doti della donna amata e si affrontano argomenti legati al tema dell’amore proibito e del dolore per la perdita o la separazione».

[10] Hafez, con i seguenti versi, intende non tanto l’ebbrezza del vino, ma l’ebbrezza estatica. La notte scorsa ho visto gli angeli bussare alla porta dell’osteria/impastare l’argilla di Adamo per plasmare coppe/ Quelli che stanno oltre il velo sacro, i puri dell’universo angelico,/ Mi hanno tenuto compagnia,/ a me, che sono il mendicante delle strade,/ per bere il vino dell’ebbrezza.

[11] L. Valli, Il linguaggio segreto di Dante e dei “fedeli d’amore, Optima, Roma, 1928: 103.

[12Prologo del Tarjuman

[13Kitàb adh-dhakhair wa l-’alàq (Il Libro dei Tesori e degli Splendori). Ibn Arabi, Tarjuman al ashwaq: 78.

[14] Gàriya (الجارية ) è un’antica parola usata per riferirsi alle schiave.

[15] «L’assunsi come modello di ispirazione per la stesura di questo libro composto di poesie cortesi (nasib) di dolci concetti, per quanto in essa non sia riuscito a esprimere una parte delle emozioni amorose (khatir al ashwaq) che emanano da questi tesori (dakha`ir) e da queste realtà preziose (a`laq). Ho allora voluto esprimere il generoso amore che sentivo per lei e mostrare il ricordo che la sua amicizia lasciò nella mia memoria del suo spirito affabile, del casto e pudico sembiante di quella fanciulla vergine e pura. Tuttavia, riuscii a mettere in verso alcune emozioni che il mio cuore provava, e a esprimere gli intensi desideri del mio petto con parole che suggerivano il mio affetto che continuo a provare nonostante il tempo trascorso, e l’incanto che la sua nobile presenza continuava d’esercitare su di me ». Prologo del Tarjuman, trad.it  nostra: per la traduzione del brano, ci siamo serviti non solo del testo originale pubblicato a Bairut nel 1971, ma anche della traduzione francese di Maurice Gloton (Albin Michel 1996) e della traduzione inglese di Nicholson (The Royal Asiatic Society 1911)

[16] «Dio guardi il lettore di questo diwàn dal pensare ciò che è inadeguato alle anime che disdegnano (tali bassezze) e preservi le intenzioni sublimi delle anime affezionate alle realtà celesti… » Prologo del Tarjuman.

[17] Prologo del Tarjuman.

[18] Ibn ‘Arabi, Kitab Al-Futuhat al-makkiyya (Il “Libro delle rivelazioni meccane”), a cura di Osmane Yahya, Il Cairo, 1972, vol. 4: 100. trad. it nostra.

[19] Shekina o Shakina rappresenta nella Cabala l’elemento femminile in Dio. Nella letteratura talmudica e nel giudaismo, la Shakina rappresenta Dio nella sua attività che si esercita nel mondo in particolare in Israele. Vedi Dizionario dei simboli, a cura di Jean Chevalier e Alain Gherbrant, Rizzoli, Milano 1986.

[20] Riguardo ciò, Rumi afferma che la manifestazione di Dio per il tramite di persone investite di speciale dignità «trasforma ‘le pattumiere’ del mondo in un giardino di rose»

[21] Beatrice è l’ispiratrice di Dante e la sua guida; pur conservando le caratteristiche dell’ esistenza vissuta, Beatrice ha un valore allegorico visto che raffigura la Rivelazione data da Cristo

[22] È Laura per cui Petrarca scrisse il Canzoniere, una raccolta di sonetti ispirati al suo amore idealizzato per questa donna.

[23] Ibn ‘Arabi, Fusus al-Hikam, (I castoni delle sapienze)m I: 217.

[24] È straordinario il modo con cui Sidi Abù madyan, inebriato dell’amore di Dio, si rivolge a Dio come ad una dolce compagna: Nella vostra bellezza straordinaria mi sono smarrito./  Non so più dov’è il mio posto nell’oceano della passione/ mi avete consigliato di nascondere il mio segreto; / ma il traboccare delle mie lacrime ha svelato tutto.

25] Una dottrina fondamentale del sufismo dice che «La forma vede la forma e l’anima vede l’anima».

[26] vedi Raḏwân Al-Ṣâdiq Al-Wahâbî: Al-kḥiṭâb al-ṣûfî wa al-taawîl, Zâwiyat Al-ribâṭ, Maroc, 2007: 186-187.

[27] Râbî’à al’Adawiyya nata a Bassora (Iraq) nel 713, è considerata la figura più rappresentativa dell’amore divino nel sufismo al punto tale che le è stato dato il soprannome di ŝāhidat al‘iŝq al-ilāhī (la testimone dell’amore di Dio).

[28] Quando è stata interrogata se realmente potesse vedere Iddio nelle sedute della memorazione (dikr): «certamente poiché non lo adorerei se non lo vedessi».

[29] Muhyî-d-Dîn Ibn arabi, Tarjuman al ashwaq, trad.it di Roberto Rossi Testa e Gianni De Martino, L’interprete delle passioni, Urra-Apogeo, Milano, 2008.

[30] Ibidem.

[31] Sadr al-Din al-Qunawi (M. 1209), per essere stato uno dei più influenti discepoli di Muhyî-d-Dîn Ibn Arabi, ha svolto un ruolo fondamentale nello studio del pensiero del suo maestro.

[32] L’«adepto» è un credente che rimette l’anima e la fede all’«Inviato celeste», il quale ha una funzione iniziatica per gli awliyà’ (i santi) esattamente come quella dell’Angelo Gabriele nei riguardi di Maometto. Perciò, egli è accolto dai sette profeti che gli insegnano i misteri dell’Universo.

[33] Il secondo personaggio è il filosofo razionalista che disdegna l’aiuto dell’Inviato, non riconoscendo in lui la superiorità riguardo alle facoltà cognitive e la capacità di guidarlo attraverso la «Scala degli spiriti » alla presenza dei profeti e quindi alla perfezione. A differenza dell’ adepto, egli può soltanto intrattenersi e discutere con le Intelligenze celesti, che non sono altro che servitori dei profeti.

[34] L’ascensione del Profeta raccontata nel Libro della Scala

[35] Sono detti ahwal

 [36] Gli hadit sono i detti del Profeta

[37] al-Futûhât al-Makkiyya, (II 322.16), Il Cairo, 1911.

[38] Hadith qudsi è un detto attribuito al profeta Muhammed nel quale riporta esattamente le parole di Dio

[39] Corano, Sura al-Mâida (Cor.5: 54)

[40] Detti del profeta

[41] Hadith qudsi trasmesso da al Bukhârî.

[42] L’Amorevole (al Wadud) è uno dei 99 Nomi di Dio.

[43] La conoscenza passa per il dawk. Un famoso motto sufi «Chi assaggia conosce» è una reminiscenza del Salmo 33 nel quale si legge “Gustate et videte quoniam suavis est Dominus” (Gustate e vedete come è buono il Signore), Salmo 33:9.

[44] Ne è l’illustrazione il seguente versetto coranico : «Allâh farà venire degli uomini, Egli li amerà, e loro Lo ameranno» (Corano Al-Mà’ida 5: 54)

[45] Ibn Arabi riporta il seguente hadith del profeta «Ero un tesoro nascosto e non ero conosciuto. Allora ho voluto essere conosciuto e ho creato le creature per farmi conoscere ed esse mi conobbero».

[46] Vedi H. Corbin, L’Imagination créatrice dans le soufisme d’Ibn Arabi, Flammarion, Parigi 1958: 137.

[47] Hal e maqam.  Il termine maqam nella tradizione sufi si riferisce a una stazione o dimora  spirituale, mentre il termine hal è usato per indicare lo stato spirituale dell’anima. Al contrario degli hal (stati dell’anima) che sono un dono di Dio, il sufi giunge al maqam attraverso lo sforzo personale.

[48] Ibn Arabi ha espresso il proprio dispiacere per le maldicenze e i dubbi riguardo la sincerità delle sue intenzioni quando gli è stato riferito che la canzoni del diwan erano percepite dai moralisti come poesie sensuali.

[49Prologo det Tarjuman.

[50] Ibn Arabi, Fusus al-hikam (I castoni delle sapienze). Vd. la traduzione italiana di questo passaggio in I Mistici dell’Islam: antologia del sufismo, trad. it Stefano Tubino, Parma, 1991 [tit. orig. Anthologie du soufisme]

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Abdelkrim Elalami, professore di lingua e letteratura italiane presso il Dipartimento di Lingua e Letteratura Italiana dell’Università di Rabat, ha studiato al Dipartimento di Italianistica dell’Università di Bologna. Specializzato nella letteratura comparata, particolarmente sui rapporti tra Dante e la cultura islamica e sul Sufismo musulmano. Ha ricoperto l’incarico di capo del Dipartimento degli studi italiani presso la Facoltà di Lettere e Scienze Umane di Rabat e ha contribuito alla nascita del Master di Traduzione Letteraria e Culturale presso la stessa Facoltà.

http://www.trapaninostra.it/Edicola//Dialoghi_Mediterranei_2019_n_35.pdf


Vedi anche:

Amore e Bellezza nel Sufismo

Aḥmad Al-Ghazālī – Metafisica dell’Amore

Lettere d’Amore alla Ka’ba

La Poesia di Jāmi

Il Pellegrinaggio alla Mecca di Laila e Majnun

 

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