Il Ciclo della Luce secondo Ibn Al-‘Arabî

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Calligrafia Nurun ala nur

Introduzione

È ora, forse, di ritornare sul mio primo lavoro accademico, nel quale mi sono occupato dei commenti d’Ibn al-‘Arabî al versetto della Luce nel Corano, XXIV 35 1. Questo versetto è preceduto da quest’altro: «E già facemmo discender su di voi versetti chiarificatori ed un simbolo proveniente da quei che passaron prima di voi …» (Corano XXIV 34). Così il Corano sottolinea l’universalità del simbolismo della luce ed anche quello dell’albero: «… Ulivo né D’Oriente né d’Occidente …» (Corano XXIV 35). È evidente che il simbolismo della luce e delle tenebre e dei relativi significati su piani diversi è l’espressione di uno dei valori più comuni ed universali, poiché la spiritualità è, nella sua essenza, «… Né D’Oriente né d’Occidente …». Non mi limiterò, in quest’occasione, ai commenti d’Ibn al-‘Arabî a questo versetto, ma allargherò la ricerca fornendo una panoramica generale sulla dottrina della luce secondo Ibn al-‘Arabî.

Il punto di partenza  di questo scritto è la circolarità della luce. Ogni cosa, infatti, è creata dalla luce: “L’origine degli esseri esistenti è Dio, in virtù del Suo Nome ‘La Luce dei cieli – gli esseri superiori – e della terra – gli esseri inferiori’ (…). Così, nel mondo non v’è nulla che stia al di sopra (mustaqîman), mentre ogni cosa tende alla circolarità (istidâra), a causa della sua inclinazione verso la sua origine, che è la luce” 2.

Così l’uomo e tutti gli esseri sono in viaggio dalla luce verso la luce e cercherò di descrivere questo viaggio universale. Come tutti i differenti aspetti della dottrina d’Ibn al-‘Arabî, gli sviluppi in merito al ciclo della luce od allusioni ad essa sono disseminati in tutte le sue opere, procedendo da diversi punti di vista: metafisico, cosmogonico e cosmologico, percezione, conoscenza e Sentiero spirituale. Tutti questi aspetti, naturalmente, sono strettamente collegati l’uno con l’altro ed ognuno con tutti gli altri. Li presenterò, qui, soltanto dal punto di vista della circolarità.

L’origine della manifestazione

Stando all’hadît, Dio, prima che creasse gli esseri, Si trovava in una nube oscura (‘amâ’) 3. Questo è il primo livello divino di auto-manifestazione (awwal mazhar ilâhi), ove Dio manifesta Sé Stesso a Sé Stesso. Poi espande la luce dell’Essenza Divina (al-nûr al-dâtî). Non appena la nube si fu tinta dalla Luce divina, Dio, per mezzo della Sua teofania (taĝallî), diede l’esistenza ai primi esseri: i Cherubini (karûbiyyûn), gli angeli immersi nell’amor di Dio (al-malâ’ikat al-muhayyamûn). A quel punto, Dio creò “il mondo della registrazione e della scrittura” (‘âlam al-tadwîn wa al-tastîr), l’universo manifestato prodotto dall’interazione fra il Calamo (al-Qalam) e la Tavola Custodita (al-lawh al-mahfûz). Ha designato uno di quegli angeli di luce chiamandolo l’Intelletto (al-‘aql), o il Calamo. Da esso, ha creato la Tavola: ed il Calamo scrisse sulla Tavola tutte le scienze. La prima di esse era la scienza del mondo fisico (tabî‘a) la quale proviene, in quanto scienza, dal mondo della luce. Quindi, Dio produsse le tenebre, le quali sono pura non-esistenza, in opposizione all’Essere assoluto. Dio diffuse la luce sulle tenebre, quale emanazione dell’Essenza Divina (ifâda dâtiyya). Apparve, allora, il primo ‘corpo’, il Trono (al-‘arŝ), per mezzo dell’azione di due nomi divine: il Misericordioso (al-Rahmân) e l’Esteriore (al-Zâhir): e fu l’inizio della manifestazione 4.

In un’altra versione del processo della prima creazione Dio, nella Sua trascendenza, ha manifestato Sé Stesso alla Realtà Universale (al-haqîqa al-kulliyya), l’origine di tutti gli esseri (al-mawĝûdât) ovvero, in altri termini, la possibilità d’esistenza. Da questa manifestazione apparve la Materia Primordiale, denominata al-habâ’. Al-habâ’ designa, in arabo, i corpuscoli o particelle pulviscolari quando sono illuminati da un raggio di luce nelle tenebre. Allorché Dio Si è manifestato all’habâ’, al pulviscolo, quest’ultimo è stato illuminato dalla teofania divina, come la Nicchia nel versetto della Luce. Più alto è il numero degli esseri che sono vicini alla Luce divina simboleggiata dalla Lampada, più essi sono ricettivi rispetto alla luce. Il primo essere a riceverla, qui, fu la realtà di Muhammad ossia l’Intelletto, il primo ad apparire all’esistenza (awwal zâhir fî-l-wuĝûd) 5.

Questa dottrina ha origine in diverse tradizioni profetiche e risale agli albori del Sufismo. Sahl al-Tustârî (m. 283/896) è assai noto per aver usato il termine “Luce di Muhammad” nel suo commento al versetto della Luce 6. Specialmente nel VI/XII secolo, le allusioni alla sua dottrina divennero sempre più frequenti fra i maestri sûfî ed autori ricollegati al Sufismo, ma la specificità d’Ibn al-‘Arabî consiste, forse, nei suoi numerosi sforzi di spiegare come gli esseri siano da un lato distinti da Dio dal punto di vista della determinazione che è loro propria (min haytu a‘yânuhum), separati da Lui in riferimento al Suo nome il Separatore di cieli e terra (tir al-samawât wa-l-‘ard) e, dall’altro lato, non separati da Lui dal punto di vista del loro essere (min haytu wuĝûduhum). La loro natura originale (fitra), infatti, è solamente “la luce dei cieli e della terra” 7.

La manifestazione fra luce e tenebre

Ci sono molte corrispondenze fra gli aspetti ontologici e cosmologici da una parte ed il livello epistemico dall’altra. Ciò appare assai chiaramente nel capitolo dei Fus al-hikam dedicato al profeta Giuseppe ed alla ‘saggezza luminosa’ (hikma nûriyya). C’è, anche, una corrispondenza fra il modo in cui il mondo è venuto all’esistenza e l’inizio della profezia. Prima della Rivelazione del Corano, l’ispirazione veniva al Profeta in visioni “simili alla luce dell’albeggiare” (mitla falaq al-subh), un’espressione interpretata da Ibn al-‘Arabî come “lo sprigionarsi di questa saggezza luminosa nella Presenza dell’Immaginazione” (inbisât al-nûr alâ hadrat al-hayâl). A livello cosmologico, il mondo in una relazione con Dio che è simile a quella fra l’ombra e la persona che la proietta. Il mondo è l’ombra di Dio (zill Allâh) e gli esseri sono i luoghi in cui quest’ombra divina si manifesta. In virtù del nome al-Nûr, “la Luce, la percezione diventa possibile e l’ombra si proietta sugli esseri. Gli esseri, di per sé stessi, non possiedono né luce né esistenza; luce ed esistenza sono di Dio. Così non conosciamo, del mondo, che le ombre degli esseri” 8.

La teofania per mezzo della quale il mondo fu manifestato, del resto, non dev’essere compresa come un evento con un inizio temporale ed una fine. La teofania divina, al contrario, è permanente e non occultata da nessun velo, sebbene le creature non lo sappiano. “Allorché Dio creò il mondo, Egli permise che esso udisse la Sua Parola, che è: “Kun!” (Sii!). Il mondo, però, si trovava in uno stato di non-esistenza (‘adam). Esso era visibile da Dio ma Dio non era visibile da esso. Quando gli esseri possibili furono in tal modo chiamati all’esistenza, essi si affrettarono a vedere, dopo aver udito la Parola di Dio. Videro l’esistenza e seppero, così, che essa era Dio vero e proprio. In tal modo, l’essere possibile assunse una colorazione grazie alla luce dell’esistenza. Si volse a sinistra e vide la non-esistenza e seppe che questa traeva la propria origine da lui, come l’ombra trae la propria origine da una persona. Quando si trovò di fronte la luce, le chiese: “Che cos’è?”. La luce gli rispose, dal lato destro: “Sei tu! Se tu fossi la luce, l’ombra non comparirebbe. Io sono la luce e la disperderò. Tu hai una luce perché stai di fronte a Me. Io sono la luce priva di ombra mentre tu sei la luce mescolata (al-nûr mumtaziĝ)… condivisa fra esistenza e non-esistenza, fra bene e male. L’uomo non può riconoscere Dio quale suo Dio da null’altro che dalla sua propria possibilità oppure dalla sua propria ombra” ”  9.

La luce o l’esistenza è Dio vero e proprio e le tenebre o non-esistenza il Male vero e proprio. Ma quando luce e tenebre si mescolano nella manifestazione, dobbiamo distinguere fra due tipi di luce. La luce pura, ovvero luce fondamentale (anwâr asliyya), giunge dal mondo dell’Ordine divino (‘âlam al-amr), mentre le altre luci sono generate dalle tenebre dell’universo (mutawallida ‘an zulmat al-kawn). Per esempio, la notte ricopre il giorno, secondo il Corano; a quest’unione cosmica corrisponde, a livello epistemico, una luce che può essere svelata e dalla quale può procedere lo svelamento. Tali luci sono più utili per lo spirito umano nel suo contesto fisico. Per questo motivo, esse svolgono una funzione di protezione. Esse garantiscono l’impeccabilità (‘isma) ai profeti e protezione (hifz) ai santi. Grazie a loro, il mondo della creazione (‘âlam al-halq) è preservato.

Le considerazioni precedenti su luce e tenebre, bene e male, soprattutto la negromanzia, sono in strettamente collegate alla sura CXIII, al-Falaq (L’Aurora), nel capitolo 271 delle Futûhât, una dimora (manzil) corrispondente a questa sura, che è una protezione contro tipi diversi di mali  nella creazione, prima di tutto per il Profeta.

È chiaro, quindi, che la luce può esser percepita esclusivamente nei veli delle tenebre, poiché la luce vera e propria svela, ma nulla può esser percepito tramite essa: lo sguardo umano non è in grado di sopportarla 10.  Quest’è uno dei significati di questo hadît, citato spessissimo da Ibn al-‘Arabî, sui settanta o settantamila veli di luce e tenebre. Se queste ultime non cifossero, la luce del Suo Volto brucerebbe ogni cosa.

La creazione, pertanto, sta “fra luce e tenebre, in uno stato intermedio (barzah)”  e questo è il motivo per cui, com’è detto nel Corano, Dio ha dato all’Uomo due occhi: uno per vedere la luce e l’altro per vedere le tenebre, per quanto egli stesso sia, di per sé stesso, né luce né tenebre; ed è proprio ciò a preservarlo 11.

Luce di conoscenza e tenebre d’ignoranza

Da un altro punto di vista, luce e tenebre sono simboli universali della fede e del suo contrario, della conoscenza e dell’ignoranza, della retta guida e dello sviamento. Esso è, inoltre, un aspetto del simbolismo della lampada nel versetto della Luce ed in quelli che seguono, che trattano dell’addensarsi delle tenebre 12. Ci sarebbe molto da dire, ma qui ci si limiterà a menzionare il fatto che la conoscenza interiore è l’incontro di due luci di tipo diverso, come lo Ŝayh spiega nel capitolo sulla fisiognomica (firâsa) 13.  La vista esteriore (basar) percepisce il mondo visibile quando non ci sono più tenebre e quando non ci sono ostacoli alla percezione. La vista interiore (basîra) percepisce l’invisibile quando i veli interiori sono tolti. In tal modo, la vista interiore e quella esteriore sono accomunate dalla pulitura del cuore prodotto dal dikr e dalla recitazione del Corano. Con questa luce, si può percepire quella che si chiama ‘la luce dell’esistenza’, la luce che si trova in ogni essere, però «… Da dietro un velo …» (Corano XLII 51): e quest’espressione suggerisce che si tratti di una sorta di rivelazione. In effetti, la Rivelazione è, di per sé stessa, luce (nûr); è, per di più, realtà, che come la luce è difficile da afferrare. La Rivelazione è chiamata anche chiarezza (diyâ’), a causa di ciò che è percepito grazie ad essa e di ciò che grazie ad essa può essere compreso. “A chi è stato dato il Corano, questi riceve perfetta chiarezza e scienza”.

Di fatto, però, c’è sempre quel che, a differenti livelli, può esser percepito e quel che non lo può essere. Questo duplice aspetto della luce lo si può ritrovare nel significato etimologico di nûr, luce in arabo. Questa parola contiene il significato di evitare, sfuggire di qualcuno o qualcosa (hufûr) ed è uno dei significati del verbo nâra, yanûr, come nell’espressione: ‘la gazzella andò lontano’ (nârat al-ġazâla), allorché fugge via dal cacciatore. Ibn al-‘Arabî utilizza quest’etimologia simbolica per spiegare come realizzare il significato del nome divino al-Nûr: “La luce è ciò che evita che si verifichi che ciò che è sconveniente per essa le venga attribuito, come l’associazione con un altro dio (ŝirk) per Dio”. Aggiunge, al tempo stesso: “In considerazione del fatto che le cose apparvero per via della luce alle viste interiore ed esteriore e che l’origine della manifestazione delle cose risiede nel Suo Stesso Essere, Dio ha chiamato Sé Stesso la Luce, per stabilire una connessione (tawsîlan)”, ossia una connessione fra Lui e la Sua manifestazione 14.

L’assai complessa realtà della luce, tuttavia, consiste nel suo duplice, ambiguo aspetto, posto fra trascendenza ed unificazione.

Dalla luce all’illuminazione

Nonostante tale complessità, è chiaro, comunque, che tutte le forme di vita spirituale e di progresso sul sentiero che conduce a Dio possono essere rappresentati come un’uscita dalle tenebre ed un’entrata nel mondo della luce. Il versetto: «Dio è il Patrono di coloro che credono, li fa uscire dalle tenebre alla luce …» (Corano II 257) significa, per Ibn al-‘Arabî, che Egli conduce le persone dalla conoscenza di sé stesse alla conoscenza di Dio, il che coincide con la tradizione profetica: “Chi conosce sé stesso, conosce il suo Signore” 15.

Sul sentiero in direzione della conoscenza interiore e della santità, l’illuminazione svolge un ruolo essenziale. In un’invocazione da farsi durante la prosternazione nella preghiera rituale, l’adoratore chiede a Dio di porgli una luce nel suo cuore, nel suo udito e nella sua vista, alla sua destra ed alla sua sinistra, davanti a lui e dietro di lui, sopra di lui e sotto di lui e, infine, di dargli una luce e di renderlo una luce. Ibn al-‘Arabî sottolinea, dapprima, la relazione esistente fra quest’invocazione ed il versetto della luce. Spiega, allora, che la luce in ogni membro del corpo e direzione richiede una scienza specifica ed una guida per evitare che ci siano pretese di realizzarla autonomamente da parte di un singolo membro e per pervenire ad uno stato di santità descritto nel famosissimo hadît qudsî, in cui Dio dice: “… E quando lo amo, allora Io sono il suo udito con cui sente, la sua vista con cui vede …”. L’adoratore, qui, chiede a Dio di dargli una luce specifica in ogni membro e di stabilirlo nella “unione essenziale e nell’essere” (‘ayn al-ĝam‘ wa-l-wuĝûd), così che tutte queste differenti luci si riuniscano in lui, permettendogli a tal punto di dire a Dio: “Non mi trovo più là, poiché Tu mi hai reso luce ed io sono, poiché Tu hai posto in me una luce che mi guida nelle tenebre della mia esistenza” 16.

A livello epistemologico, la teofania (taĝallî) è nondimeno uno dei modi più importanti con cui l’illuminazione si fa strada nel cuore. Ibn al-‘Arabî la definisce come “ciò che è occulto nei cuori delle luci dei misteri” (mâ ‘inkaŝfa li-l-qulûb min anwâr al-ġuyûb) 17. Sarebbe troppo lungo, qui, affrontare l’argomento di tutte le modalità delle luci che gli Uomini di Dio contemplano  durante la loro esperienza della teofania e che sono elencate da Ibn al-‘Arabî 18.

Circolarità e ritorno all’origine

Molto ci sarebbe da dire in merito a questo tema specifico legato alla conoscenza esoterica.  Bisognerà, invece, arrivare alla conclusione evocando un capitolo delle Futûhât al-makkiyya, sulla “dimora della scienza illetterata” (manzil al-‘ilm al-ummî), corrispondente alla sura coranica al-Tîn, “Il fico” (la XCV). Questa conoscenza è basata, fondamentalmente, su di un principio: non vi è nulla, nell’esistenza, che sia vano, senza importanza o significato (lâ bâtila fî-l-wuĝûd lâ ‘abat). Essa include, in particolar modo, la scienza della creazione dei corpi fisici, la cui origine è la luce, sebbene possano apparire quali tenebre. Ad una vita dall’ampia estensione spirituale, i corpi spessi e scuri appaiono trasparenti, come il vetro d’una lampada, al fine di ricevere la luce dei cieli e della terra. Qualcuno può giungere anche a vedere attraverso i muri.

Le tenebre, difatti, hanno la loro luce propria. Se non l’avessero, non potrebbero essere percepite e la notte non potrebb’essere un ricettacolo per il giorno. In ciò consiste la relazione con la sura al-Tîn, ove è detto: «Dapprima creammo l’uomo nella miglior costituzione, / Poi lo precipitammo all’infimo della bassezza, / Tranne quei che credono e che il bene compiono …» (Corano XCV 4/6).

Per questo motivo Ibn al-‘Arabî menziona, in questo capitolo, la circolarità dei corpi inclini al ritorno alla loro origine luminosa. La manifestazione ha inizio con l’avvento dell’Intelletto (al-‘aql al-awwal), lo Spirito (al-Rûh) della Luce di Muhammad, scendendo verso il mondo fisico ed elementare. Così l’uomo, dal suo corpo, con il suo corpo e la sua natura luminosa (nûriyya) e grazie all’illuminazione interiore procedente dalla fede e dall’adorazione, deve far ritorno alla sua luce primordiale. Molto meglio di quanto non sia per l’anima, tentata da attrazioni contraddittorie, il corpo mantiene la luce occultata in esso. Per questa ragione Mecca è chiamata, in questa sura, al-Tîn, “al-balad al-amîn”, «… La contrada sicura.» (Corano XCV 3). Essa contiene la Ka‘ba, un tempio di pietra, di minerale quindi, l’ultimo e più basso stadio del mondo fisico, come il corpo. La Ka‘ba, inoltre, è ricoperta da un rivestimento ma, contemporaneamente, essa è il cuore dell’esistenza (qalb al-wuĝûd) colma di luci e di segreti che custodisce accuratamente per coloro che sono in grado di discernere la luce nelle tenebre. È per questo che le Futûhât al-makkiyya sono qualificate quali al-makkiyya, poiché il loro autore, compiendo il giro circoambulatorio intorno ad essa, ha scoperto tutto quel che il cuore umano contiene. Dalla sua manifestazione primordiale allo svelamento nel cuore, il ciclo della luce è insieme macro e microcosmico e custodisce nell’uomo e negli esseri la realtà della loro esistenza.

NOTE

1) Cfr. Denis Gril, “Le commentaire du verset de la lumière d’après Ibn ‘Arabî, Bulletin d’Études Orientales, n° 29, 1977, pagg. 179-87.

2) Futûhât al-makkiyya, ed. 1329E, ripr. Beirut, s. d., II 647, cap. 289.

3) “Abû Razîn ha detto: ‘Chiesi: “O Messaggero di Dio, dov’era il nostro Signore prima che creasse la creazione?” Rispose: “Era in una nuvola sotto la quale non c’era aria e sopra la quale non c’era aria. Allora Egli creò il Suo Trono sull’acqua” ’ ”: Ibn Hanbal, Musnad IV, 11; Tirmidî, Ĝâmi ’tafsîr su Hûd, 1; Ibn Mâĝa, Sunan, muqaddima 13.

4) Cfr. Futûhât al-makkiyya, I 148, cap. 13.

5) Futûhât al-makkiyya, I 119, cap. 6.

6) Tafsîr, Il Cairo, 1329E, pag. 68. Sulla Nûr Muhammad, vedere Uri Rubin, “Preexistence and light. Aspects of the concept of Nûr Muhammad”, Israel Oriental Studies V 1975, pagg. 62-119 e lo studio di Claude Addas: Une Victoire Éclatante. Le Verus Propheta dans la doctrine d’Ibn ‘Arabî, 2005, cap. 2.

7) Futûhât al-makkiyya, II 70, cap. 73, domanda n° 41.

8) Fus al-hikam, ed. Abû-l-‘Alâ’ Afîfî, Il Cairo, 1946, pagg. 99-102.

9) Futûhât al-makkiyya, II 303-4, cap. 177.

10) Futûhât al-makkiyya, II 575-8, cap. 271.

11) Futûhât al-makkiyya, III 274, cap. 360.

12) Futûhât al-makkiyya, II 659-60, cap. 252.

13) Futûhât al-makkiyya, II 241, cap. 148.

14) Ibn al-’Arabî, Kaŝf al-ma‘nâ ‘an sirr Asmâ’ Allâh al-husnâ, ed. Pablo Beneito, Murcia, 1996, pag. 180.

15) Futûhât al-makkiyya, IV 146-7, cap. 508.

16) Futûhât al-makkiyya, I 443-4.

17) Istilahât al-sûfiyya, pag. 9, in Rasâ’il, Hayderabad, 1948, t. II.

18) Vedere Futûhât al-makkiyya, II 485-9, cap. 206, sul hâl al-taĝallî.

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