Il corpo del Profeta (s.A.’a.s.)

Inna-Llaha-wa-malaikatihi-yusalluna-ala-n-nabi
Inna-Llaha-wa-malaikatihi-yusalluna-ala-n-nabi

إِنَّ اللَّهَ وَمَلَائِكَتَهُ يُصَلُّونَ عَلَى النَّبِيِّ ۚ يَا أَيُّهَا الَّذِينَ آمَنُوا صَلُّوا عَلَيْهِ وَسَلِّمُوا تَسْلِيمًا
Inna-Llaha-wa-malaikatihi-yusalluna-ala-n-nabi

Traduzione da testi di Denis Gril

La relazione del corpo col sacro è doppia: ne riceve il segno e ne riflette la presenza. Se si definisce il sacro come ciò che reca la traccia del divino in opposizione al mondo ordinario o profano, il sacro, nell’Islâm, attinge innanzitutto alla sua fonte nella Rivelazione, realtà trascendente discesa, secondo il Corano, sul cuore del Profeta (s.A.’a.s.)1. Ricevitore e trasmettitore della parola sacra e sacralizzante, il Profeta è, quindi, il primo a partecipare dell’istituzione del sacro. Questo ruolo dei profeti legislatori può essere illustrato con l’esempio di Abramo che pregava Dio e dichiarava territorio sacro (harâm) la città di La Mecca ed i suoi dintorni 2.

Il Profeta (s.A.’a.s.), proprio come il suo antenato, ha fatto lo stesso per Madîna3. La sacralizzazione di un luogo, di una cosa o di un essere vivente li rende inviolabili e contraddistinti da determinate interdizioni. L’opposizione sacro/profano si ripropone nell’istituzione della Legge dell’opposizione proibito/lecito (harâm/halâl) che qualifica, con le sue categorie intermedie, le cose, le persone e le azioni. Da un certo punto di vista, dato che tutto è retto dalla Legge divina, rivelata o cosmica, nulla sfugge alla categoria del sacro. Stando alla Sunna, la superficie della terra, data come purificazione e luogo di prosternazione al Profeta (s.A.’a.s.) ed alla sua comunità 4, è tutt’intera sacra, tranne certi posti insozzati dall’utilizzo umano od animale ed interdetti alla preghiera. Allo stesso modo, ogni uomo è sacro per il suo prossimo, come il Profeta ricorda solennemente in occasione del Pellegrinaggio dell’Addio, riassumendo così i principali comandamenti della Legge 5.

Tutti gli esseri e le cose partecipano, dunque, ad un grado o ad un altro del sacro ed il loro carattere profano non è che l’espressione dell’assenza di uno statuto sacro specifico. Per quanto riguarda gli uomini, è il loro contatto più o meno ravvicinato col sacro che conferisce alla loro persona, ed in modo particolare ai loro corpi, una sacralità più o meno grande. Questa attiene sia alla loro funzione, come ad esempio quella di sacerdote, sia alla loro prossimità interiore al divino, impercettibile in quanto tale ma identificabile per via di certi segni, talvolta corporei. È quel che si chiama, generalmente, santità e lo studio delle sue manifestazioni, ad essere oggetto del presente lavoro, insieme al posto ed alla funzione del corpo, tanto nella letteratura agiografica quanto nelle pratiche legate alla spiritualità od al ‘culto’ dei santi.

C’è molto da dire sull’importanza del corpo e della sua valorizzazione nella Legge sacra nell’Islâm, tanto nei riti quanto nelle numerose regole di vita emanate tramite questa. Il suo ruolo nei diversi metodi iniziatici del sufismo non è da meno e la venerazione interiore dalla quale sono circondati i maestri spirituali ed i santi in generale concerne ugualmente i loro corpi. Tale questione, incontrata occasionalmente nelle nostre ricerche, meriterebbe uno studio d’insieme.

Abbiamo scelto, qui, di dimostrare che la venerazione del corpo dei santi e l’evocazione delle loro qualità fisiche seguono, in gran parte, il modello del Profeta (s.A.’a.s.) venerato e descritto dai suoi Compagni6. La sua vicinanza a Dio e la discesa su di lui della Parola divina ne fanno il più sacro degli uomini e del suo corpo il più sacro dei corpi. Il suo contatto è circondato da un estremo rispetto ed anzi considerato come un viatico per l’aldilà. La ripresa di questo modello nella letteratura agiografica o nelle regole di convenienza spirituale (âdâb) che reggono le relazioni fra il maestro ed il discepolo potrebbero essere oggetto di un altro studio.

Il Corano non parla del corpo del Profeta (s.A.’a.s.) ma soltanto del suo cuore, luogo di discesa della Rivelazione. È soltanto ricordato che i profeti mangiano, bevono e vanno per i mercati come gli altri uomini, per insistere sulla loro umanità, a differenza degli angeli (Corano XXI 8; XXIII 33; XXV 20). La Sunna, da parte sua, consegna numerose testimonianze sull’aspetto fisico di Muhammad e sulle manifestazioni di rispetto di cui era oggetto il suo corpo. Quelli che hanno raccolto e trasmesso quelle informazioni avevano dunque coscienza del fatto che la relazione necessaria fra il cuore di quest’uomo in contatto con il mondo divino ed angelico, ed il suo corpo, rendevano sacro quest’ultimo. Il legame fra l’aspetto esteriore e la forma interiore, fra il halq ed il hulq, si presenta nella Sunna come un’evidenza, sia che si tratti del Profeta (s.A.’a.s.) sia di un qualsiasi essere umano. La tradizione, riprendendo Genesi, secondo la quale Adamo è stato creato ad immagine o secondo la forma di Dio (Buhârî , 2001: isti’dân 1, n. 6228) pone la questione dei rapporti sottili e misteriosi fra il corpo e l’anima o lo spirito. I filosofi greci e poi musulmani hanno dibattuto a lungo su tale questione 7.

La lingua araba conosce tre termini differenti per designare il corpo, riflettendo così la complessità della relazione del corpo con lo spirito. Nel Corano, ĝism, pl. aĝsâm, designa il corpo in generale, l’aspetto corporeo dell’uomo, parallelo od opposto alla sua dimensione interiore. Il profeta (Samuele) dichiara ai Figli d’Israele, per giustificare la regalità di Saul: «… Invero Dio l’ha eletto al di sopra di voi e gli ha accordato un sovrappiù di scienza e di costituzione corporea (zâdahu bastâtan fî-l-‘ilmi wa-l-ĝismi) » (Corano II 247) e Dio ha detto al Profeta, in merito agli ipocriti: «Ed allorché li vedi, t’impressionano i loro corpi …» (Corano, LXIII 4). Ĝasad indica, piuttosto, la forma corporea assunta da uno spirito per apparire agli uomini. Come è già stato segnalato, è detto, dei profeti, al fine di distinguerli dagli angeli: «E non li abbiamo fatti con dei corpi che non mangiano il cibo né sono, essi, immortali.» (Corano XXI 8).

Per provare Salomone e ricordargli la totale dipendenza della sua regalità, Dio installa sul suo trono un dèmone che regna al suo posto per quaranta giorni, secondo una delle interpretazioni di questo versetto: «… E proiettammo sul trono suo un corpo, dopo di ché si pentì. » (Corano XXXVIII 34). In un senso che gli è prossimo, il Vitello d’oro è denominato ĝasad, poiché la statua è stata animata dalla proiezione di una piccola quantità di limo rimasto impresso durante il passaggio del mar Rosso dall’orma dello zoccolo della giumenta di Gabriele e recuperata da Sâmirî 8. Quanto al termine badan, non è utilizzato che una volta sola, a proposito del corpo di Faraone rigettato dai flutti, poiché designa, secondo i commentatori, ‘un corpo senza spirito’ (ĝasad lâ rûha fîhi)9. Uno spirito può, quindi, discendere in un corpo, come Gabriele allorché apparve sotto forma d’un uomo al Profeta (s.A.’a.s.) od ai Compagni, ma all’insaputa di questi ultimi10. Si parla, allora, di ‘corporalizzazione’ degli spiriti (taĝassud al-arwâh). Nel caso dell’angelo o di uno spirito inferiore, questa forma corporea si dissolve allorquando lo spirito l’abbandona, mentre l’uomo morto lascia un corpo senza vita. L’uso preciso che fa il Corano di questi tre nomi del corpo non corrisponde necessariamente al loro impiego, alquanto intercambiabile, nell’arabo classico, se si deve credere al Lisân al-‘arab 11. Nell’hadît, le presenze di ĝasad, assai più numerose di quelle di ĝism, ben poco attestato, confermano il senso di corpo nella sua relazione con lo spirito12.

Il corpo dell’Eletto

Il corpo del Sigillo dei profeti, dell’Eletto degli eletti (s.A.’a.s.), non può essere che un corpo d’eccezione, essendo destinato a ricevere la Parola divina. Ancor prima della sua nascita, al momento del suo concepimento, dopo o durante la sua venuta alla luce, un segno visibile accompagna la sua prima manifestazione terrestre. Sua madre, incinta, vede uscire da sé una luce che illumina i castelli di Siria (Ibn Hiŝâm,1955: 158 e 165). Questa luce, passata, secondo la  Sîra, da suo padre ‘Abdallâh a sua madre Amîna (Ibn Hiŝâm,1955: 156 e 157), rappresenta la discesa nel mondo del corpo dello Spirito profetico13. Il racconto dell’infanzia del Profeta (s.A.’a.s.) insiste sulla sua rapida crescita, nell’accampamento della sua nutrice Halîma al-Sa’diyya. È là che il suo corpo è oggetto di un’operazione destinata a purificare il suo essere interiore.

Secondo il suo fratello di latte, in compagnia del quale pasce le pecore, due uomini vestiti di bianco s’impadroniscono di lui, gli aprono il cuore, estraendone un grumo di nero e lo lavano insieme alle sue parti interne con della neve. Questo episodio è da mettere in relazione con le parole rivolte a Dio dalla madre di Maria alla nascita di sua figlia:

«… Ed in verità l’ho chiamata Maria ed in verità la pongo sotto protezione da parte Tua, con la sua posterità, contro Satana il lapidato.» (Corano III 36)

Secondo la tradizione esegetica, solo Maria e Gesù sono stati protetti dal tocco di Satana, che fa piangere i bambini al momento della loro nascita (Tabarî, 1971,VI 336-43). Questa protezione ha fatto di Maria il ricettacolo perfetto del Verbo e di suo figlio la sua incarnazione manifesta.

Muhammad che, al contrario di Gesù, non nasce profeta, incarna un’umanità apparentemente ordinaria per manifestare, tramite essa, l’opera di Dio, in questo caso di purificazione. Deve, inoltre, nel proprio corpo e nel proprio spirito, essere imitato dagli uomini, come mostra la protezione divina che deve continuare a domandare in occasione della lettura del Corano14. Prima del Viaggio notturno e dell’Ascensione celeste, avvenimento inversamente analogo alla discesa della Parola e consacrante l’elezione del Profeta, il suo cuore è aperto una seconda volta, lavato e riempito di fede, al fine di prepararlo alla visione dei segni supremi15. Si tratta, di nuovo, di preparare il corpo ad un avvenimento certamente spirituale, ma che impegnava la totalità dell’essere. Infatti, è con il suo corpo16 che Muhammad viaggia dalla Mecca a Gerusalemme per poi attraversare i cieli verso il suo Signore.

La preparazione del cuore e del corpo si spiega con la purezza necessaria alla ricezione della parola ed all’elevazione verso Dio, ma anche con il carattere privilegiato della rivelazione. Il racconto della sua prima apparizione insiste sui suoi effetti fisici: la triplice stretta dell’angelo che quasi soffoca il Profeta fino a quando non arriva a recitare i primi versetti del Corano, così come il tremore che agita, in séguito, il suo corpo (Buhârî, 2001: bad’ al-wahy 1, n. 1-4).

I suoi effetti si prolungano durante tutto il corso della sua missione. ‘‘iŝa racconta di aver visto il sudore imperlare la sua fronte, in un giorno di grande freddo. Il Profeta sta seduto, la sua coscia appoggiata a quella di un Compagno, quando comincia a ricevere la Rivelazione. La sua coscia diventa talmente pesante che il Compagno ha l’impressione che la sua si stia per spezzare17.

Parimenti, la cammella montata dal Profeta piega le sue membra anteriori quando il Corano discende su di lui (Ibn Sa’d, s.d., I 197). Queste precisazioni sottolineano quanto gli effetti del Verbo rivolto al cuore si propaghino nel mondo corporeo, sacralizzando colui che lo riceve. Il suo corpo reca perfino il segno della sua missione: fra le sue scapole si trova ‘il sigillo della profezia’ (hâtam al-nubuwwa), specie di protuberanza di carne paragonabile ad un uovo di piccione, ad una mela od alla traccia lasciata da una ventosa. Grazie a tale segno corporeo, è definitivamente riconosciuto come il profeta atteso da certi personaggi informati della tradizione della Gente del Libro, come il monaco Bahîrâ, quando accompagna suo zio Abû Tâlib in Siria18 o Salmân, poco tempo dopo il suo arrivo a Madîna (Ibn Hiŝâm, 1955, I 220)19.

Velo e sacralità

Dato che porta fin dall’infanzia i segni corporei della sua elezione e che cresce e si muove, più di tutti gli altri, sotto lo sguardo di Dio, Muhammad non può  intrattenere, con il proprio corpo, la stessa relazione di un uomo normale. La proibizione della nudità non era apparentemente osservata dagli Arabi prima dell’Islâm 20. Trasportando, insieme a dei suoi compagni, delle pietre, il futuro profeta, come loro, si leva il pagne per proteggersene le spalle. Gli giunge, allora, una botta senza conoscerne l’origine e si sente dire di rimettersi il suo pagne. Più tardi, giovanotto, partecipa alla ricostruzione della Ka’ba. Suo zio al-‘Abbâs gli consiglia di fare come tutti quanti: servirsi del suo pagne per portare le pietre. Finisce per obbedire ma subito cade per terra svenuto e si riveste (Ibn Hiŝâm, 1955, I 183) .

Nella sua vita coniugale, non si mostra mai nudo né porta il suo sguardo sulle parti intime delle sue spose21, malgrado la liceità di questo sguardo fra sposi. Non si tratta soltanto di pudore, ma anche di preservare la sacralità del corpo, che non deve né esser visto né vedere ciò che potrebbe mettere un velo fra il Profeta e la visione delle cose sante. Se la sessualità nell’Islâm è profondamente improntata al sacro, il contatto sessuale allontana almeno ritualmente dalla presenza di Dio e degli angeli. Quando il Profeta, dopo la prima apparizione di Gabriele, dubita della natura dell’essere che si presenta a lui, Hadîĝa, sua moglie, gli chiede di avvisarla quando si ripresenta, cosa che lui fa. Secondo una versione, lei si toglie il velo dal capo; secondo un’altra, accosta il suo corpo a quello del Profeta, sotto la sua tunica. L’angelo, non potendo avvicinarsi ad un uomo in tali relazioni con sua moglie, si allontana e Muhammad è rassicurato, in tal modo, e convinto che non è stato ingannato da un démone (Ibn Hiŝâm, 1955, I 239).

Il corpo, il cui rapporto con il sacro è ambiguo, si trova qui ai limiti delle due intimità ugualmente sacre ma esclusiva l’una dell’altra. Nel a faccia a faccia con Dio od il Suo messaggero, l’uomo e la donna devono rimanere soli, purificati da ogni relazione con altri, come dimostrano le proibizioni legate ai riti della preghiera, del digiuno e del pellegrinaggio od alle relazioni fra i sessi, al fine di preservare la purezza del cuore tanto quanto i legami famigliari e sociali.

Un corpo eccezionale

La relazione del Profeta con le sue spose, modello per i credenti e le credenti, illustra un altro modello di partecipazione del corpo al sacro, che valorizza l’unione coniugale e la cura del corpo. Ci si accontenterà di citare, qui, l’hadît: “Del vostro mondo, mi sono stati resi piacevoli  i profumi e le donne e la ‘freschezza dell’occhio’ mi è stata posta nella preghiera”22. In questo campo, come in altri, il corpo del Profeta appare come al di fuori del comune. Una tradizione riferisce che aveva ricevuto la potenza sessuale di quaranta uomini (Ibn Sa’d, s.d., I 374) e che faceva il giro delle sue mogli in una notte. Una sola volta, e per le necessità della sua missione, manifesta una forza eccezionale,. Incontrando alla Mecca un uomo della sua tribù, Rukâna, reputato essere un lottatore invincibile, gli propone di abbracciare l’Islâm. L’altro rifiuta. Il Profeta gli chiede se è pronto a riconoscere la verità del suo messaggio, se gli riesce di batterlo nella lotta. Rukâna accetta. Per due volte, il Profeta (s.A.’a.s.) lo atterra. Poi, fa cenno ad un albero di andare da lui e subito dopo gli ordina di tornare al suo posto. Dinanzi a questa dimostrazione di potere, il lottatore resta impressionato ma la fede non gli penetra nel cuore. Fà ritorno dai suoi dicendo: 

“O Figli di ‘Abd Manâf, col vostro compagno, potete rivaleggiare in magìa con gli abitanti della terra. Per Dio, non ho mai visto mago più grande! Poi li informò di quel che aveva visto e di quel che Muhammad aveva fatto” (Ibn Hiŝâm, 1955, I 391).

Questo genere di dimostrazione spettacolare ma inefficace per chiamare gli uomini a Dio è scarsamente attestato nella vita del Profeta. Sono altre le qualità, di percezione o più sottili, che mostra in generale il suo corpo miracoloso. Un giorno, così mette in guardia i suoi compagni:

“… Io sono il vostro imâm; non precedetemi nell’inclinazione, né nella prosternazione e non sollevate la testa prima di me, poiché io vi vedo davanti e di dietro a me. Per Colui che tiene nella Sua mano l’anima di Muhammad, se voi vedeste quel che vedo io, ridereste poco e piangereste molto”. Gli chiesero: “O Inviato di Dio, che cosa hai visto?”. “Il paradiso e l’inferno”, rispose23.

La vista del Profeta, quindi, non è limitata né dallo spazio né dalla frontiera che separa questo mondo dall’altro; il suo corpo non è più l’ostacolo che è per l’umanità comune ma segue, invece, la sua percezione profetica.

Muhammad non soltanto apprezza i profumi, il suo corpo stesso emana un profumo di muschio. Secondo Ĝâbir b. ‘Abdallâh, lo si poteva seguire, a Madîna, dal profumo che lasciava dietro di sé al suo passaggio. Tutte le secrezioni del suo corpo esalavano questo profumo di muschio: la sua saliva, il suo sudore ed addirittura i suoi escrementi  che non solamente avevano quell’odore ma erano invisibili, secondo la testimonianza di ‘Â’iŝa (Bayhaqî, 1985, VI 69-70)24.

La  Sira o gli ahâdît attribuiscono al Profeta un certo numero di miracoli, sia di guarigione che d’intervento per risolvere una difficoltà. Il suo corpo, in particolare le sue mani o delle emanazioni corporee come il soffio oppure la saliva, od entrambi allo stesso tempo, ne sono frequentemente il vettore. Gli succede spesso d’imporre le mani. Posa la mano allontanando le dita sulla gola di Fâtima che soffre la fame ed il cui viso era d’un pallore estremo, invocando Dio. Il sangue, allora, rifluisce sul viso di sua figlia, che afferma di non aver mai più conosciuto la fame, dopo di allora (Bayhaqî , 1985, VI 108)25. Pone la mano sull’orlo di un pozzo la cui acqua si mette subitamente a sgorgare (Ibn Hiŝâm, 1955, I 527) e numerosi compagni affermano d’aver visto l’acqua scintillare dalle sue dita (Bayhaqî, 1985, VI 9-10, 11, 62).

In occasione dello scavo del Fossato, a Madîna, una roccia compatta resiste al piccone dei Compagni. Il Profeta sputa in un recipiente, compie una breve preghiera per poi gettare l’acqua sulla roccia compatta che diviene friabile e non offre più nessuna resistenza (Ibn Hiŝâm, 1955,  217- 218). Il Giorno di Haybar, consegna lo stendardo ad ‘Alî, i cui occhi sono pieni di grumi. Soffia, sputando (tafala) sugli occhi malati. ‘Alî, non soltanto guarito ma dotato anche, in quel giorno, di una forza sovrumana, strappa da solo una pesante porta permettendo così ai musulmani di conquistare la città fortificata (Ibn Hiŝâm, 1955, 334-335)26. Il Profeta guarisce una ferita incurabile leccando il suo mignolo, posandolo sulla terra di Madîna e passandolo sulla ferita, con quest’invocazione:

“Col Tuo Nome, o mio Dio, la saliva di uno di noi, con della polvere della nostra terra, guarisce il nostro malato, con il permesso di nostro Signore.” (Bayhaqî, 1985: VI 170).

Insegna in tal modo alla sua comunità a scoprire il proprio potere virtuale di guarigione, nonché la virtù curativa della terra sacra di Madîna.

Questa proprietà taumaturgica del corpo profetico, che molti santi ereditano, va di pari passo con la speranza escatologica che viene riposta in lui, come si vedrà. È normale che un corpo pervaso dal Verbo sia penetrato dal suo potere di rigenerazione e di guarigione27. Tuttavia, l’attenzione rivolta, inizialmente, dai Compagni e poi dalle generazioni seguenti di musulmani all’aspetto fisico del Profeta ed al suo carattere si spiega egualmente con l’idea che ciascuno dei suoi tratti può comportare un significato, conformemente alle leggi della fisiognomica28 e che l’impressione d’armonia e d’equilibrio che emana dalla sua persona rifletta la sua perfezione, tanto fisica quanto spirituale. Il suo giovane servitore, Anas b. Mâlik, dà, di lui, questa descrizione:

“Aveva una corporatura media, non era né alto né basso. Il suo colorito era fulgido, né troppo chiaro né troppo bruno. I suoi capelli non erano né crespi né lisci. Ricevette la Rivelazione all’età di quarant’anni e continuò a riceverla dieci anni a La Mecca e dieci anni a Madîna. Dio glielo ricordò allorché non aveva neppure venti capelli bianchi in testa, né sulla barba” (Buhârî, 2001, manâqib, n. 3547-3548).

In questo breve testo, la descrizione dell’aspetto fisico introduce e conclude il ricordo delle due fasi della carriera profetica, il che dimostra che, per il Compagno che la dà e che ha conosciuto intimamente il Profeta, le due cose erano strettamente legate. Tutte le raccolte di ahâdît contengono un capitolo sulla descrizione del Profeta (Sifat al-nabî).La descrizione del suo aspetto corporeo ha anche dato luogo ad una sorta di ‘vulgata’, l’hadît di ‘Alî che lo descrive in modo assai preciso:

“Non era di una grandezza eccessiva né di una bassezza troppo raccolta, bensì di una corporatura media. I suoi capelli non erano crespi, né diritti, ma lunghi ed ondulati. Il suo viso non era troppo largo, né le sue guance gonfie. Aveva una pelle bianca, tendente al rosa. Gli occhi nerissimi, lunghe le ciglia. Le membra erano forti, come era largo di spalle. I peli aveva lunghi sul petto, ma corti sulle mani e sui piedi. Quando camminava, affrettava il passo, come se scendesse per una china. Voltandosi, lo faceva con tutto il corpo. Portava fra le spalle il sigillo della profezia, lui, che era il Sigillo dei profeti. Nessuno era largo nel donare quanto lui, né dal cuore tanto aperto. Era il più sincero degli uomini, il più fedele agli impegni presi, il più dolce di carattere ed il meglio disposto nei confronti degli altri in società. Colui che lo vedeva per la prima volta provava, per lui, un timore rispettoso; chi lo frequentava, l’amava. Quelli che lo descrivono aggiungono questo: non ho mai visto, né prima né dopo di lui, un altro come lui – che Dio compia su di lui il rito unitivo e faccia discendere su di lui la pace divina” (Ibn Hiŝâm, 1955, I 401-402)29.

Questa tradizione è diventata addirittura un motivo calligrafico, essendo il testo ricopiato generalmente in un quadro illuminato, chiamato ‘ornamento’ (hilya)30. Simbolicamente, il corpo ridiventa, se non parola, almeno scrittura, il che suggerisce che, colmo della Parola divina e del suo significato, diventa libro, com’è detto del Profeta che “… era un Corano vivente sulla Terra”.

Queste descrizioni non si limitano al Profeta. Questi, in particolare, in certe versioni dell’Ascensione celeste, racconta come ha visto alcuni dei suoi predecessori: “Ho incontrato Mosè – e lo descrisse –31 era un uomo dal corpo che tremava (?) e coi capelli lisci, come un uomo di Ŝanû’a. Ho incontrato Gesù – e lo descrisse – era di corporatura media, rosso il colorito, come uscisse dal bagno. Ho visto Abramo e sono io ad assomigliargli di più, fra i suoi discendenti”32.

In un’altra tradizione, il Profeta vede in sogno Gesù girare intorno alla Ka’ba. Lo descrive come un uomo bellissimo, dalla carnagione alquanto scura, i capelli lisci che gli ricadono sulle spalle, gocce d’acqua che gli imperlano il volto  e le mani posate sulle spalle di due uomini. Scorge, dietro di lui, un uomo riccio, orbo dell’occhio destro e che fa anche lui il giro della Ka’ba, che avanza con le mani appoggiate sulle spalle d’un uomo (quindi dietro di lui). Lo si informa che si tratta dell’Anticristo (Buhârî, 2001, manâqib, n. 3440). Questa descrizione sottolinea la somiglianza e la differenza fra il Cristo e la sua antitesi. Gli esseri che recano il segno della loro funzione ed i loro corpi manifestano la loro realtà superiore od inferiore. Se il sigillo della profezia, protuberanza di carne che il Profeta porta fra le scapole, è uno dei segni fisici che permettono a chi conosce la predizione delle Scritture nei loro riguardi di riconoscerli33, l’insieme del suo corpo, dei suoi gesti esattamente come lo svolgersi della sua missione, devono corrispondere alla scienza che, di lui, hanno le Genti del Libro, secondo il Corano34.

In una delle tradizioni riportate da ‘Alî, questi racconta che predicava nello Yaman, dove l’aveva inviato il Profeta. Un rabbino che era là, con un libro in mano, l’interpella chiedendogli di descrivere Abû-l-Qâsim (il Profeta). ‘Alî lo descrive in termini simili a quelli della tradizione succitata ed il rabbino gli chiede: “E cos’altro?”. Avendogli risposto che era quello che gli veniva in mente, il rabbino continua la descrizione ed ‘Alî conferma. Il primo, allora, gli dice di trovare quella descrizione nel ‘libro dei miei padri’ (sifr âbâ’î); evoca succintamente le tappe della missione di Muhammad e testimonia la sua fede in lui (Ibn Sa’d, s.d., I 412-413).

Non è il tema ben noto dell’annuncio del Profeta da parte delle Scritture ebraiche e cristiane che ci importa, qui, ma il fatto che esso sia in gran parte fondato sulla descrizione di un corpo contrassegnato in tutte le sue parti, come le sue gesta, dall’eredità della profezia35. Autori come Bayhaqî (m. 458/1066, 1985,I 412-313) ed Ibn al-Ĝawzî (m. 597/1200), riprendendo l’insieme delle tradizioni sulla descrizione del Profeta, enumerano, l’una dopo l’altra, le minime parti del suo corpo. Quest’ultimo autore dà in dettaglio la descrizione come segue: la testa, la fronte, le sopracciglia, gli occhi e le ciglia, le guance, il naso, la bocca ed i denti, il respiro, il viso, la barba, i capelli, il collo, le spalle, la schiena fra le scapole, il petto, il ventre, l’ombelico, le dita, gli avambracci, le gambe, il tallone, i piedi, le articolazioni, il suo fisico equilibrato, la corporatura, la pelle, il colorito, la bellezza, il sudore, il sigillo della profezia. Seguono le qualità morali e spirituali36

Il corpo dei profeti, e del Profeta in particolare, lascia dunque trasparire delle qualità e delle virtù che trascendono l’umanità ordinaria, proprio come la loro vita s’identifica con la missione della quale sono investiti. Accade anche che il corpo divenga il luogo stesso della teofania. Il Corano insegna ai credenti che se il corpo resta in apparenza il corpo, la sua realtà ultima è ben altra. A Hudaybiyya, il Profeta tende la mano ai credenti affinché essi rinnovino il patto con lui; in quel preciso istante, la sua mano non è più la sua, bensì il supporto della presenza divina: «In verità, quei che stringon patto con te, lo stringono in realtà con Dio; la mano di Dio è sopra le loro…» (Corano XLVIII 10).

I Compagni ed il corpo del Profeta

Il versetto che precede basterebbe per far comprendere la sorprendente venerazione dei Compagni per il Profeta e per il suo corpo in particolare, come se il contatto con il suo essere fisico li mettesse direttamente in presenza d’una realtà sacrosanta.

Il corpo venerato

Questo sentimento è talmente forte presso certi Compagni, da instillare un estremo pudore, come nel ben noto caso di ‘Utmân, il quale dichiarava che la sua mano destra non aveva più toccato il suo sesso da quando aveva, con questa, prestato il patto di alleanza con il Profeta37. Questi rinvia a cotanto pudore che, per quanto sia lodevole, lo distingue da Abû Bakr ed ‘Umar, la cui intimità con il Profeta comporta un’altra relazione, più rilassata, con il suo corpo. Secondo una tradizione trasmessa da  ‘‘iŝa, il Profeta si trovava disteso nella camera di quest’ultima, con le gambe o la parte finale delle cosce scoperte. Abû Bakr ed ‘Umar domandarono successivamente il permesso di entrare e s’intrattennero con il Profeta. Quando ‘Utmân chiede a sua volta d’essere introdotto, il Profeta si riassetta, si copre e lo riceve.

Risponde ad ‘‘iŝa, che l’aveva interrogato in merito a quel suo cambiamento di comportamento: “Non dovrei forse provare pudore davanti ad un uomo dinanzi al quale ne provano gli angeli?”. Secondo un’altra versione, il Profeta è semplicemente avvolto in un pagne (mirt) della sua giovane sposa. Riceve così i due primi, ma si riveste per ricevere il terzo, spiegando alla sua sposa: “‘Utmân è un uomo pudico (hayiyy): temo che non osi, vedendomi in questo stato, parlarmi del suo problema”38. La pudicizia di ‘Utmân è tale che essa lo pone, assieme al Profeta ed agli angeli, in una relazione con il sacro che esige un certo velo per essere mantenuta.

Il corpo abbracciato

La venerazione del Profeta, invece, può manifestarsi con una condotta improntata all’estrema familiarità, giustificata tanto dalle intenzioni quanto dalle circostanze. In occasione della battaglia di Badr, il Profeta, nell’allineare i ranghi al momento usando una freccia, picchia duro sul ventre di uno degli Ansâr di Madîna, Sawâd b. Gâziyya, che esclama: “O Inviato di Dio, m’hai fatto male e Dio ti ha inviato con la verità e la giustizia. Accordami il taglione (fa-aqid-nî)!”. Il Profeta, scoprendosi il ventre, gli dice: “Prenditi la tua vendetta!”. Sawâd, allora, prende il Profeta fra le braccia, abbracciandogli il ventre. “Che cosa ti ha spinto a farlo, o Sawâd?” “O Inviato di Dio, siamo in presenza di quel che vedi e non ho voluto lasciarti senza che la mia pelle tocchi la tua” (Sîra I 26).

In un aneddoto simile, un altro degli Ansâr, Sawâda b. Amr, abbraccia il corpo del Profeta, dicendo, del taglione: ”Vi rinuncio, affinché tu interceda per me il Giorno della Resurrezione”39. Il contatto con quel corpo sacro, soprattutto alla soglia della morte è, quindi, vettore di salvezza nell’aldilà. La parola di Dio lo abita, lo trasforma, fino alla sua parte più esteriore, il cui tocco inonda il credente della sua luce salvifica. Quando il Profeta, al suo ritorno da Tâ‘if, incontra ‘Addâs, cristiano originario di Ninive e schiavo presso i Banî Yaqîf, questi si rende conto di trovarsi di fronte ad un profeta. Allora si affretta a baciargli la testa, le mani ed i piedi. Così risponde al suo maestro, che gli aveva chiesto il motivo del suo comportamento: “Non c’è, sulla terra, uomo migliore di questo: lui mi ha detto cose che solo un profeta sa” (Ibn Hiŝâm, 1955, I 421). Il riconoscimento d’un profeta comporta necessariamente la ricerca della sua intercessione, attualizzata immediatamente attraverso il contatto con il suo corpo.

Il corpo consumato

Il solo bacio, per quanto stampato sia stato, non basta, per qualcuno. Diversi Compagni si sforzavano di raccogliere tutto ciò che poteva emanare dal corpo del Profeta per assimilarlo, mescolandolo così col proprio sangue e la loro propria carne. Queste pratiche, che ci lasciano stupefatti ed hanno stupefatto, egualmente, anche i contemporanei, procedono da una credenza nella continuità fra il corpo terrestre ed il corpo di resurrezione. Un corpo penetrato da quello dell’Eletto, sebbene soltanto di certe sue secrezioni, non può essere castigato; la sua anima è, dunque, salva. Tutto è ammesso, in questa rappresentazione del corpo, come se quest’ultimo trasformasse l’anima che porta dentro di sé, esattamente come i desideri sessuali possono causarne la perdizione.

A Hudaybiyya, un emissario dei Quraysciti venuto per parlamentare, è colpito nel vedere i Compagni precipitarsi per bere l’acqua rimasta nel recipiente in cui il Profeta (s.A.’a.s.) ha fatto le abluzioni40. Non si tratta, in questo caso, che di contatto con la mano, ma egli si accorge che loro raccolgono l’acqua rifluitagli dalla bocca o dalle narici, per poi passarsela sul viso e sul corpo, nonché sui capelli (Ibn Hiŝâm, 1955, II 314). In un’altra tradizione, il Profeta (s.A.’a.s.) chiede loro perché agiscono così. Loro gli rispondono che cercano la sua baraka. Senza proibirlo loro né rimproverarlo, il Profeta, tuttavia, li indirizza alla pratica delle virtù, dicendo loro:

“Colui che vuole che Dio ed il Suo inviato lo amino, dica cose vere, renda il deposito che gli è stato affidato e non causi torti al suo vicino” (al-Kândihlawî, 1968, II 580, secondo Bayhaqî).

Essendosi fatto fare una salasso, incarica ‘Abdallâh b. al-Zubayr, giovanissimo, d’andare a versare il sangue “là dove nessuno ti vede”. Quest’ultimo prende il recipiente, si allontana ed inghiotte il contenuto. Al suo ritorno, il Profeta (s.A.’a.s.) gli chiede: “O ‘Abdallâh, che cosa ne hai fatto, del sangue?”. “L’ho messo nel posto più nascosto, là dove nessuno può vederlo”. “Non l’avrai mica bevuto?”. “Si”. “E perché hai bevuto il sangue?. Sfortuna agli uomini da parte tua e sfortuna a te da parte degli uomini!”.

Abû ‘Âsim, uno dei trasmettitori di questa tradizione, aggiunge: “Si pensava che la forza di ‘Abdallâh gli venisse da quel sangue”. In un’altra versione, quando il Profeta gli domanda perché ha agito così, il ragazzo gli risponde: “Ho voluto che il sangue del messaggero di Dio fosse nelle mie viscere”. Il Profeta gli ripete quanto riportato, aggiungendo: “Il Fuoco non ti raggiungerà che nella misura in cui Dio ne ha fatto giuramento”, il che rinvia, secondo i commentatori, al versetto:

«Non v’è nessuno, fra di voi, che non vi si rechi… » (Corano XIX 71)41.

A Uhud, il Profeta dice, di Mâlik b. Sinân, che gli ha succhiato il sangue delle ferite: “Il mio sangue s’è mescolato al suo; il Fuoco non lo toccherà”42. Non dice altra cosa di Surra, la serva abissina della sua sposa Umm Salâma: quando viene a sapere che, invece di vuotare il suo vaso da notte, ne ha bevuto il contenuto: “Si è circondata di un muro contro il fuoco” (al-Kândihlawî, 1968, II 581-2).

Anche il caso di ‘Abdallâh  b. Al-Zubayr è un po’ particolare, poiché in lui l’assorbimento del sangue conferma il suo carattere bollente e valoroso ed annuncia il suo destino tragico. In questi diversi esempi, la consumazione di materie normalmente impure e proibite  non soltanto non è stato riprovata, ma augura la felicità postuma di coloro che le assumono. Conformemente all’ambivalenza del termine harâm, l’illiceità diviene sacro, poiché è trasformata dalla fede di coloro che agiscono con una tale fede nella sacralità e la realtà escatologica del corpo profetico, che oltrepassano i limiti terrestri della Legge, ritrovandosi sotto la protezione dell’intercessore per eccellenza.

Il corpo conservato

L’Islâm non conosce il culto delle reliquie, se con ciò si intende il corpo morto, in tutto od in parte. Il corpo vivente del Profeta, però, è stato oggetto della venerazione che si è visto. La madre del suo giovane servitore Anas b. Mâlik, che il Profeta ha visitata e presso la quale ha fatto un riposino, raccoglie in un flacone, mentre lui dorme, le gocce di sudore che cadono dal suo corpo. Quando lui si risveglia, le domanda che cosa sta facendo, al che lei risponde: “È il tuo sudore, lo metteremo nel nostro profumo, poiché è il migliore dei profumi” (Muslim, 1329 E, Fadâ’iI 83, VII 81).

Parimenti, i suoi capelli sono trattati come delle reliquie quando lui è ancora vivo e dopo la sua morte. Hâlid  b. al-Walîd portava nel suo copricapo dei capelli del Profeta che aveva raccolti quando questi si era desacralizzato al termine della ‘umra. È a quei capelli che si attribuiscono le sue vittorie (Bayhaqî , 1985, VI 249). Umm Salâma, la moglie del Profeta, conservava dei capelli in una specie di campana (ĝulĝul) d’argento. Quando qualcuno era colpito dalla febbre o dal malocchio, se ne estraevano i capelli, li si immergeva in dell’acqua con cui poi si aspergeva il viso del paziente (Burî, 2001, libâs 66, VII: 374-375; Bayhaqî , 1985, I 236). Grazie alla mediazione dei suoi capelli, si è quindi tramandata la venerazione del corpo del Profeta dopo la sua morte.

Questa parte del suo corpo, così come certi oggetti reliquie (muhallafât al-rasûl, âtâr al-nabî) conservati dalle dinastie regnanti, hanno perpetuato la sua presenza sulla terra. Morto il Profeta, non si poteva più toccare nessuna parte del suo corpo. Ciononostante, la terra di Madîna, già resa sacra quand’egli era ancora in vita e supporto di guarigione43, diventata il ricettacolo del corpo sacro, diviene oggetto d’una venerazione  espressa da numerosi poeti, come l’autore della Burda:

“Nessun profumo è paragonabile ad una terra che contiene le sue ossa. Fortunato colui che ne respira l’aroma e vi posa le labbra”. (Bûsîrî, 1973: 242, al-Burda, verso n. 58).

Il Profeta è morto e sepolto e la presenza del suo corpo fa della terra (turba) della sua tomba, dei suoi dintorni e di Madîna una terra-reliquia, come lo diventerà, per gli sciiti, la terra di Karbala e, per altri, quella della tomba dei santi44. Ciononostante, la rappresentazione del Profeta nella sua tomba non è quella d’un corpo morto. Su di un altro piano senza dubbio più sottile di quello della corporeità ordinaria, i profeti sono considerati viventi nelle loro tombe. Il Profeta racconta di essere passato, nella notte del Viaggio notturno, da Mosè “mentre stava ritto in piedi, in preghiera, nella sua tomba” (wa huwa qâ’im yusallî fî qabri-hi)45. Mentre insegna ai Compagni l’eccellenza del giorno del Venerdì raccomandando loro di praticare intensamente la preghiera o la domanda di grazia per lui in quel giorno, “perché – dice – la vostra preghiera mi è presentata (fa-inna salâta-kum ma‘ruda ‘alayya), questi si interrogano: “Come sarà presentata la nostra preghiera, quando tu non sarai più che ossa in polvere (wa qad arimta) ?”. “Dio – risponde loro – ha proibito alla terra di mangiare i corpi dei profeti” (Ibn Hanbal, s.d., IV 8. Wensinck, 1992, I 347).

Di quale corpo si tratta? D’un corpo fra quelli di questo mondo e dell’altro nella vita intermedia del barzah, prolungando qui le opere d’adorazione? La questione ha preoccupato gli stessi autori, che si danno da fare per nutrire la venerazione del Profeta (s.A.’a.s.), citando aneddoti che illustrano la sua presenza vivente e percettibile a coloro che visitano la sua tomba o se ne stanno ai suoi lati 46, come Sa‘îd b. al-Musayyib (m. 94/712-3), che rimase rinchiuso presso la tomba in occasione degli avvenimenti di al-Harra (63/683); per tre giorni non si fece l’appello alla preghiera alla moschea del Profeta (s.A.’a.s.) e Sa‘îd non era informato dei tempi delle preghiere che attraverso un mormorio proveniente dalla tomba (Dârimî, s.d., muqaddima 15, I 44).

Come i martiri, morti ma viventi, il corpo dei profeti, testimone in questo mondo e nell’altro per gli uomini, resta dunque animato da una vita, dalla vita degli spiriti liberati dai limiti della vita corporea ordinaria e suscettibile di manifestarsi in una maniera quasi – sensibile agli esseri dotati di sensibilità spirituale. L’affermazione da parte del Profeta, da un lato che “Dio ha proibito alla terra di mangiare i corpi dei profeti” e, dall’altro, che “Non c’è nessuno che mi saluti senza che Dio mi renda lo spirito affinché gli restituisca il saluto”47, dà da pensare che il corpo nella tomba resti veicolo d’una presenza e d’un’influenza che spiegano perché si visiti e si saluti il Profeta come quand’era vivo.

Queste tradizioni, insieme a molte altre, costituiscono il fondamento delle visite alle tombe (ziyârat al-qubûr). Esse pongono, come in tutte le tradizioni religiose, il problema della relazione persistente fra il corpo e l’anima nella tomba. Una tradizione profetica insegna che “c’è, nell’uomo, un osso che la terra non mangia mai ed a partire dal quale sarà ricomposto il Giorno della Resurrezione”. “Quale?”, gli fu chiesto. “Il sacrum (‘aĝm o ‘aĝam al-fanab)”48. È significativo che la terra in contatto con il corpo defunto, la turba, abbia finito col designare l’edificio costruito al di sopra della tomba, l’equivalente della qubba, inizialmente una tenda, dopo di ché quella forma architettonica che va dal cubo all’emisfero e simboleggiante l’unione della terra con il cielo.

Questa dimensione escatologica del corpo è condivisa da tutti gli esseri, in quanto tutti sono chiamati alla resurrezione. Affrontare la questione della terra e del corpo di resurrezione49, secondo i dati del Corano e della Sunna, oltrepassa il quadro del presente studio. Ricordiamo semplicemente che la luce primordiale del Profeta (s.A.’a.s.) avendo preso corpo al momento della sua nascita terrestre, spiega perché sia il primo a resuscitare:

“Io sono il signore dei Figli di Abramo nel Giorno della Resurrezione, sia detto senza vanagloria (wa lâ fahr); sono il primo per il quale la terra si fenderà il Giorno della Resurrezione, sia detto senza vanagloria; sarò il primo intercessore il Giorno della Resurrezione, sia detto senza vanagloria”50.

Non sembra, tuttavia, che la Sunna comporti un insegnamento specifico sul corpo del Profeta (s.A.’a.s.) nell’al di là. Il Corano parla in generale della ‘costituzione ultima’ (al-naŝ‘at al-âhira) nella quale l’uomo sarà ricreato (Corano XXIX 20 e LIII 47), del ruolo del corpo come testimone degli atti dell’uomo al momento del giudizio (Corano XXIV 24; XXXVI 65; XLI 20-21), del corpo adamitico primordiale che ritrova ogni uomo entrando in Paradiso51. Gli uomini, nell’al di là, ed in particolar modo i loro volti, sono contrassegnati dalla luce divina o privi di essa, secondo il loro divenire postumo. In una delle sue invocazioni, il Profeta (s.A.’a.s.) domanda a Dio un’illuminazione totale, interiore e postuma, degli organi della percezione ma anche di tutte le parti del corpo sottolineando, in tal modo,  il suo ruolo quale ricettacolo o tempio di luce che si prolunga nell’al di là:

“O mio Dio, mettimi una luce nel cuore ed una luce nella tomba, una luce davanti a me ed una luce dietro di me, una luce alla mia destra ed una luce alla mia sinistra, una luce al di sopra di me ed una luce sotto di me, una luce nel mio udito ed una luce nella mia vista, una luce nei miei capelli, una luce nella mia pelle, una luce nella mia carne, una luce nel mio sangue ed una luce nelle mie ossa …” (Tirmidî, s.d., IV 235).

I corpi di quelli che si saranno purificati in questo mondo ne porteranno la traccia nell’altro. Essi avranno, come i cavalli, una stella bianca sulla fronte e delle balzane sui piedi ed è da questo segno che il Profeta (s.A.’a.s.) li riconoscerà e li accoglierà nel suo Bacino per spegnere la loro sete52. Quest’immagine dell’illuminazione del corpo di resurrezione, grazie ai riti corporei compiuti in questo mondo, concerne quindi l’insieme dei credenti. Il Profeta, comunque, certamente svolge una funzione di radunatore, come di passaggio attraverso altri luoghi escatologici. L’immagine della stella e delle balzane suggerisce che il corpo, nel corso del viaggio da questo mondo all’altro, è prima di tutto il salire in groppa all’anima.

Le cure di cui è oggetto ed i riti che permette di compiere sono soltanto l’espressione visibile della purificazione e del cammino interiore dell’anima. Tutto ciò è già compiuto per il Profeta, che fa ritorno agli uomini per chiamarli a Dio. In questo mondo, il suo corpo era per i credenti allo stesso tempo modello ed anche mezzo d’intercessione, poiché il corpo è, per il Profeta come per il santo, un ricettacolo di benedizione ed un pegno d’intercessione. Nell’altro mondo, i corpi degli uomini non sono più veli, ma rivelatori della loro condizione; per il Profeta, conta solo la sua funzione di testimone e d’intercessore53.

Verso una conclusione: il corpo e la Rivelazione

Nel Corano e nella Sunna, come nella tradizione spirituale dell’Islâm, i racconti escatologici mirano a far prendere coscienza dapprima del divenire e, in un secondo tempo, dell’origine dell’uomo e, prima e dopo, il corpo è presente e testimone. La fine del mondo, nella sua duplice dimensione micro e macrocosmica: morte dell’individuo e distruzione del mondo, seguita dalle fasi successive dell’al di là, non è una fine che in apparenza. Essa, in realtà, riconduce l’uomo verso la sua creazione prima, così spesso ricordata nel Corano. Lo stesso dicasi per i cicli parziali dell’umanità, raccontati nelle storie profetiche. Il ricordo delle alleanze successive con i Figli d’Israele nella sura al-A‘râf termina con l’evocazione d’un patto primordiale:

«Ed allorché prese, il tuo Signore, dai Figli d’Adamo, dai lombi loro la progenie loro e fece loro render testimonianza a discapito loro: “Non son forse Io il vostro Signore?”. Dissero: “Certo che sì, testimoniamo”…» (Corano VII 172).

Il corpo è già presente in quest’assunzione d’impegno. Leggendo il Corano, si rimane colpiti dall’importanza accordata al corpo dell’uomo ed a tutte le fasi del suo sviluppo, a partire dall’eiezione iniziale della goccia di sperma. La sura al-Qiyâma (LXXV), ‘La Resurrezione’, illustra in maniera particolarmente densa questo ritorno, dalla fine all’inizio, che conferisce al corpo il suo ruolo di ricettacolo della Rivelazione e, così facendo, sacralizzandolo. La resurrezione è, prima di tutto, ricordata nei suoi minimi dettagli corporei e poi con i segni cosmici che la precedono, così come il giudizio degli atti di cui l’ uomo ha coscienza già in questo mondo. Un passaggio sembra rompere, qui, il ritmo della sura costituendone, in realtà, il centro.

È fatta raccomandazione al Profeta (s.A.’a.s.) di non muovere la lingua per affrettare la venuta della Rivelazione, dato che spetta a Dio riunire il Corano in lui, dandone la prima lettura. Implicitamente, questa fretta del Profeta (s.A.’a.s.) è messa in relazione, su di un altro piano, con quella dell’uomo comune che desidera ‘quella che ci preme’, ossia la vita immediata a detrimento dell’altra, quando gli uomini saranno distinti in base ai loro volti luminosi o preoccupati. Dall’evocazione dell’al di là, la sura ritorna a quella dell’uomo agonizzante ed alla postura del suo corpo allorché l’anima sarà ricondotta verso il Signore. A quelli che non tengono in alcun conto la Rivelazione ed i suoi comandamenti, è ricordato che l’uomo non è stato creato invano e che egli resusciterà proprio come è stato creato uomo o donna, a partire da una goccia di sperma.

La struttura ciclica della sura e l’insistenza sulla composizione e ricomposizione del corpo, possono essere messe in relazione con l’ordine progressivo del Corano, al quale il Profeta (s.A.’a.s.) si deve conformare fin nei movimenti del suo corpo. Esse permettono d’intravedere le ragioni profonde della sacralità del corpo profetico54. La Rivelazione appare nel Corano, così come nelle tradizioni che parlano degli effetti fisici della discesa, come il processo in virtù del quale la Parola prende corpo per ridiventare parola55. Le tre pressioni estreme da parte dell’Angelo affinché il Profeta (s.A.’a.s.) potesse recitare la parola iqra’, possono essere assimilate ad una morte fisica od iniziatica, che conferisce l’accesso ad un altro stato o ad un altro grado di coscienza. I diversi passaggi che il Corano consacra alla ricezione del Verbo o dello Spirito da parte di Maria, illustrano nel modo più chiaro possibile il ruolo del corpo nella trasmissione della Parola:

«E Maria, figlia d’Imrân, colei che preservò intatto il suo sesso; in ella insufflammo, allora,  dello Spirito Nostro. E credette nelle parole del suo Signore…» (Corano LXVI 12).

La menzione del sesso celebra l’imene verginale del corpo e dello Spirito.

Maria dà alla luce un’incarnazione del Verbo e dello Spirito, desiderando morire e, a causa di ciò, il suo corpo dev’essere confortato (Corano XIX 22-6). In quanto al Profeta, quest’ultimo si identifica con tutti i modelli profetici che gli sono proposti; dal corpo provato di Giobbe al corpo sublimato dell’Ascensione, ridisceso verso gli uomini. Sulla terra, il suo corpo profumato si unisce a quelli delle sue spose. Egli fa del matrimonio la sua Sunna, quindi una delle vie d’accesso a Dio, così sacralizzando tutto ciò che perviene all’unione dei corpi, nei due sensi dell’harâm. Allo stesso modo in cui i credenti e le credenti venerano il suo corpo sacro, le sue spose, testimoni della sua intimità, devono, a partire da un certo momento, ritirarsi dietro il velo della loro sacralità, in quanto spose del Profeta e madri dei credenti (Corano XXXIII 53 e 6). Il corpo è un rivelatore e ci sono delle cose che non si devono rivelare ed altre che, invece, si possono consumare.

NOTE

1) Corano XXVI 193-4: «Discese tramite lo spirito fedele / sul tuo cuore affinché tu fossi fra gli ammonitori.»

2) Corano II 126: «Ed allorché disse, Abramo: “Signor mio, rendi questa contrada sicura…”…»

3) Il Profeta disse, scorgendo Madîna al suo ritorno da Haybar: “O Dio mio, io dichiaro sacro (uharrimu) il territorio contenuto fra le sue due formazioni di pietre nere, come ha fatto Abramo con La Mecca”: Burî, 2001: ĝihâd 71, n. 2889 e 74 n. 2893. Per le altre versioni, vedere Wensinck, 1992, I 452.

4) Per i cinque privilegi concessi al Profeta, Burî, 2001, tayammum1 n. 335. Vedere i riferimenti delle altre versioni in Wensinck, 1992, II 271.

5) Secondo la versione di Ibn Isbâq (m. 150/767): “O voi uomini, le vostre vite (lett.: i vostri sangui) ed i vostri beni sono proibiti/sacri per voi finché non incontriate il vostro Signore, come questo giorno è sacro, come questo mese è sacro…”; Ibn Hiŝâm, 1955, II 603.

6) Sulle diverse rappresentazioni della persona del Profeta ed il loro sviluppo nell’Islâm, l’opera di Andrae, 1918, resta senza pari. Sull’amore e la venerazione del Profeta in generale e nel sufismo in particolare, vedere anche Schimmel, 1985.

7) L’articolo Djism  in EI2 s’ispira prima di tutto alla tradizione filosofica.

8) Corano VII 148 e XX 88. Nella storia di Salomone, come in quella del Vitello d’oro, il verbo alqâ, ‘proiettare’, esprime la discesa e l’introduzione d’uno spirito in un corpo. Questo stesso verbo è usato per la proiezione del Verbo in Maria, dello Spirito della Rivelazione sui profeti e del Corano su Muhammad, come ‘parola pesante’, cosa che la Sunna esprime in termini assai fisici (rispettivamente, Corano IV 171, XL 15 e LXXIII 5).

9) Corano X 92 e Qurtubî 1952-1967 VIII 380.

10) Nell’hadît di Gabriele, in cui questi appare con la forma di un viaggiatore vestito di bianco (Muslim, 1329 E, I 28-30). In un’altra tradizione l’angelo si presenta al Profeta, in presenza di sua moglie Umm Salâma, sotto forma di un Compagno, Dihyâ al-Kalbî (Buhârî, 2001: fadâ’il al-qur’ân 1 n. 4980). Su altre tradizioni simili, con altri Compagni, vedere Bayhaqî, 1985, VII 65/78.

11) IV 92-93 (ĝasad) e XIV 365-366 (ĝism).

12) Wensinck, 1992, a questi due termini. Il Profeta, per esempio, così risponde a colui che gli aveva chiesto quand’era che la profezia gli si era imposta: “Allorché Adamo era fra lo spirito ed il corpo (bayna-l-rûh wa-l-ĝasad)”, Tirmidî, s.d., vol. I. Ibn Hanbal, s.d., IV 66.

13) Sugli sviluppi di questo racconto fondatore nello sciismo, vedere Amir-Moezzi, 1992: 145-154.

14) Corano XVI 98: «E quando leggi il Corano, allora rifugiati presso Dio da Satana il lapidato.».

15) Sull’apertura del cuore prima del Mir’âĝ, vedere Buhârî, 2001, manâqib al-Ansâr, 42, n. 3887.

16) Su questo fatto controverso e le differenti versioni del racconto vedere, fra gli altri, Ibn Katîr, 1986, III 108-117. Le cinque preghiere quotidiane, risultato dell’Ascensione celeste, consacrano il ruolo del corpo nel compimento dei riti.

17) Buhârî, 2001, ‘alât 12 n. 370; vedere, inoltre, Wensinck, 1992, V 82.

18) Ibn Hiŝâm, 1955, I 182. Del monaco, è detto che si mise “a guardare certe parti del suo corpo (aŝyâ’ min ĝasadihi), secondo la descrizione che aveva di lui”.

19) Salmân racconta: “Quando l’Inviato di Dio mi vide passare dietro di lui, seppe che cercavo di riconoscere qualcosa di cui avevo la descrizione. Lasciò cadere il suo vestito dal di sopra della sua schiena. Vidi il sigillo e lo riconobbi. Subito mi gettai su di lui per abbracciarlo piangendo…”. Su questo ‘sigillo’, vedere, fra gli altri, le tradizioni riunite da Tirmidî, 1985: 37-44. Vedere anche i riferimenti sulla descrizione del corpo del Profeta, segnalati infra.

20) Alcuni si spogliavano dei loro vestiti per compiere le circoambulazioni intorno alla Ka’ba, in occasione del pellegrinaggio (Ibn Hiŝâm, 1955, I 202-203).

21) Secondo la testimonianza di ‘Â’iŝa: cfr. ‘Iyâd, s.d., I 66.

22) Nasâ’î, 1930, VII 61; Ibn Hanbal III 128. Vedere il commento di questo hadît da parte di Ibn ‘Arabî, 1946: 216-226.

23) Muslim, 1329 E, salât, 112; I 320. Sulla vista di dietro come davanti, vedere anche Bayhaqî, 1985, VI 73 e, sulla vista di giorno come di notte: VI 74-75.

24) “Non ho mai toccato una seta o un broccato più soffice della mano del Profeta, né ho sentito un odore più profumato di quello del Profeta”, ha aggiunto ‘Â’iŝa, in base a Buhârî, 2001, n. 3561 manâqib 23 (sifat al-nabî). Vedere, inoltre, Muslim, 1329 E,  fadâ’il: 80-85, VII 80-82 ed Ibn Haĝar al-Haytamî, 2002,VIII 282-283.

25) Passa la mano anche sulla mammella di un agnello che quindi ritorna a dare il latte, ibidem, 84.

26) Su altre guarigioni, soffiando mentre sputa insieme, Bayhaqî, 1985: VI 173-4.

27) Corano XVII 82: «E facciamo discendere, pel Corano, quel che è guarigione e misericordia per i credenti…».

28) Sulla fisiognomica, vedere T. Fahd: ‘firâsa’, EI2 , II 937-938 e, in rapporto più stretto con il nostro argomento: Ibn ‘Arabî, 1919, cap. VIII sulla fisionomica d’origine ispirata o sapienziale. In particolare, pagg. 164-168, le differenti parti del corpo sono messe in relazione con i caratteri che esse rivelano. Il contenuto di questo capitolo è ripreso in Ibn ‘Arabî, 1329 E, II 235-241, cap. CXLVIII.

29) Vedere l’insieme delle tradizioni raccolte, per la maggior parte di esse, da ‘Alî per il tramite di Sa’d, s.d., I 410-25 (fikr sifat rasûl Allâh); Tirmidî, 1985, 21-35; questa stessa tradizione vi è raccolta da ‘Alî con il tramite di Ibrâhîm, figlio di Muhammad b. al-Hanafiyya); Ibn Katîr, 1986, VI 11-29. Vedere altre versioni in Ibn Ŝabba (m. 264/877), 1410E: 602/616; Suyûtî, 1967, I 178/190; Muttaqî al-Burhânpûrî, 1971, VII 161/177 (dal Ĝam al-ĝawâmi’ di Suyûtî) nonché gli sviluppi di Qastallânî, 1326/1907, I 248/287 (quest’autore include, nell’enumerazione delle qualità fisiche, un passaggio sulla purezza e l’eloquenza della lingua del Profeta, giocando sul senso fisico e linguistico). Vedere anche Andrae, 1910: 199-212. Questi ritratti del Profeta meriterebbero uno studio a sé, tanto dal punto di vista del lessico molto particolare che vi è utilizzato, che da quello di un possibile confronto con i tratti della fisiognomica e le descrizioni dei fondatori di altre tradizioni religiose e spirituali.

30) Quest’espressione proviene dall’hadît. La si trova, soprattutto, in una tradizione in cui Hasan, figlio di ‘Alî, dice di aver interrogato suo zio materno Hind Ibn Abî Hâla (un figlio di Hadîĝa) sull’aspetto fisico del Profeta, dato che “era rinomato per come descriveva l’ ‘ornamento ’ del Profeta” (kâna wassâfan ‘an hilyat al-nabî) (Tirmidî, 1985: 27 ed Ibn Sa’d, s.d., I 422).

31) Precisazione del trasmettitore.

32) Buhârî, 2001, manâqib, n. 3437. Vedere anche il racconto del Mi‘râĝ in Ibn Hiŝâm, 1955, 400.

33) Come nella storia del monaco Bahîrâ o di Salmân al-Fârisî (Ibn Hiŝâm, 1955, I 182-183 e 220) o quella del monaco Nestor, molto simile a quella di Bahîrâ, quando il Profeta fa ritorno in Siria all’età di 25 anni (Abû Nu‘aym al-Isfahânî, 1320 E: 54).

34) Corano VII 157: «Quei che seguono l’Inviato, il Profeta illetterato, colui di cui trovano scritto, presso di loro, nella Torah e nel Vangelo…».

35) Bisogna evocare, in aggiunta, le tradizioni sulle immagini dei profeti e del Profeta, mostrate a dei Compagni che ve lo riconobbero, sia in un monastero a Busrâ, in Siria, ai tempi del Profeta, sia a Damasco, durante il Califfato di Abû Bakr, alla presenza di Eraclio che fa portare un grande cofano dorato, dotato di compartimenti chiusi a chiave. Ogni comparto contiene l’immagine di un profeta su un tessuto di seta. Hiŝâm b. al-‘As, che narra l’episodio, descrive il fisico di ogni profeta e riconosce l’immagine di Muhammad, contenuta nell’ultimo comparto. Quando egli ed il suo compagno chiedono ad Eraclio da dove gli viene quel cofano, quest’ultimo risponde che proviene da Adamo, che è stato preso in carico dal Dormiente e poi consegnato a Daniele da Dû-l-Qarnayn (Bayhaqî, 1985, I 384-90). Questa tradizione, segnalata da Hamidullah, 1960, è stata commentata da Vâlsan, 1962-1963.

36) Ibn al-Ĝawzî, 1976, II 39-67. Vedere anche Suyûtî, 1967 I 149/177; questi parte dal sigillo della profezia, mette insieme le caratteristiche delle differenti parti del corpo con le capacità fisiche ed intellettuali (l’udito, la voce, l’intelligenza, l’andatura, il sonno, la potenza sessuale, l’assenza d’ombra o di polluzione notturna) e termina con la specificità della sua urina e dei suoi escrementi. Seguono le tradizioni sulla sua apparenza fisica e le sue virtù (cfr. supra) .

37) Cfr. Ibn Mâĝa, 1972, tahâra, 15, hadît n. 301. La stessa affermazione è attribuita ad ‘Imrân b. Husayn (Ibn Hanbal, s.d., IV 439).

38) Muslim, 1332 E, Fadâ’il al-sahâba 83, VII 116-117; Ibn Hanbal, s.d., VI 88, 150 e 167; Tabarî, 1971, III 15-7.

39) Yûsuf al-Kândihlawî, Hayât al-sahâba, II 590, secondo ‘Abd al-Razzâq e Ba’awî.

40) Alla fine della vita del Profeta, in occasione del Pellegrinaggio dell’Addio, questa pratica sembra diffusissima. Ad al-Abtah, al ritorno da Minâ, Bilâl esegue il richiamo alla preghiera rituale, entra nella tenda del Profeta, uscendone con il recipiente del quale si è servito il Profeta per fare le abluzioni e tutti si precipitano per prendere un po’ dell’acqua rimastavi (Buhârî, 2001, manâqib, n. 23, sifat al-nabî, hadît n. 3566, V 36-37).

41) al-Kândihlawî, 1968, II 581-2, secondo Bayhaqî ed Abû Nu‘aym (Hilyat al-awliyâ’, I 330). Vedere anche pag. 583, il caso di Safina, giovane affrancato dal Profeta, che beve il sangue che il Profeta lo aveva mandato a gettare.

42) al-Kândihlawî, 1968, II 581-2, secondo Ibn Haĝar al-Haytamî, Maĝma‘ al-zawâ’id, VIII 270.

43) Vedere, su questo argomento, le tradizioni citate da Samhûdî, 1984, I 67-69.

44) I viaggiatori per mare partenti da Tunisi portavano della terra della tomba di Muhriz b.Halaf, il santo protettore della città. Ne gettavano un po’ in mare per calmare le tempeste. Abû Hâmid al-‘Amâhî: Tuhfat al-albâb, citato da Idrîs, 1959: 328.

45) Muslim, 1329 E, fadâ’il 164: VII 102. Ibn Hanbal, s.d., III 120. Un’altra tradizione generalizza questo caso: “I profeti sono vivi nelle loro tombe, in preghiera” (Subkî, 1371 E: 179-80).

46) Subkî, 1371 E, 179-196 con riferimento a Bayhaqî, che aveva consacrato un opuscolo (ĝuz’) a tale problema. Fîrûzâbâdî, 1966: 127-132. Ibn Haĝar al-Haytamî: 2002 138-142. Anche Suyûtî ha consacrato un breve trattato alla questione, partendo da quello di Bayhaqî. Critica qualche affermazione di Subkî (Suyûtî, 1352 E, II 139-155; poi, ancora, Suyûtî, 1967, III 403-406).

47) Ibn Hanbal, s.d., II 527 ed Abû Dawûd, s.d., manâsik 96, II 218, n. 2041. Citato, fra gli altri, da Ibn Qayyim al-Ĝawziyya, 1968:18-19.

48) Ibn Hanbal, s.d., II 315. Si può leggere ‘aĝam ‘nocciolo’ oppure ‘aĝam ‘fondamento’ (asl) della coda (Lisân al-‘arab, XV 285). Si tratta, pertanto, della parte inferiore del sacrum, così chiamato perché era offerto agli dèi nei sacrifici di animali. Sulla nozione di ‘nocciolo d’immortalità’, vedere Guénon, 1927: 87-91.

49) Corbin, 1960. Vedere soprattutto la scelta di testi nella seconda parte.

50) Ibn Hanbal, s. d., III 2. Vedere anche Buhârî, 2001, anbiyâ’  35,  n. 3414, ove il Profeta mette in guardia i suoi Compagni dalla loro tendenza a dichiararlo superiore agli altri profeti. Afferma: “Sarò il primo ad essere resuscitato”, ma precisa che vedrà allora Mosè tenersi al Trono e si domanderà se il suo atterramento sul Sinai lo dispenserà dall’essere atterrato dal soffio della Tromba  oppure se sarà stato resuscitato prima di lui.

51) Buhârî, 2001, anbiyâ’  1,  n. 3326: “Dio ha creato Adamo d’una taglia di sessanta cubiti… Ogni uomo che entri in Paradiso, ritroverà la forma d’Adamo, poiché gli uomini non hanno cessato di diminuire fino ad ora”.

52) Buhârî, 2001, wudû’  3,  n. 136. Muslim, 1329 E, tahâra 34, I 149-150.

53) Si osserverà, tuttavia, che in una visione totale della persona del Profeta, la sacralità del suo corpo e la sua intercessione in questo mondo e nell’altro non sono mai separate. È quel che si può osservare in un’opera recente, ove si trova la maggior parte delle tradizioni citate qui ed altre ancora: Ibn ‘Alawî al-Mâlikî al-Hasanî, 1993. In quest’opera, l’autore, insegnante all’harâm di La Mecca, per contrastare una certa tendenza dell’Islâm moderno contemporaneo, produce un corpus dettagliato di riferimenti attestanti le molteplici modalità dell’intercessione profetica, la specificità dei corpi profetici e la venerazione, incoraggiata dal Profeta stesso, di cui era oggetto il suo corpo, quand’era ancora vivo (vedere in particolare pagg. 213-230).

54) La relazione fra la Rivelazione e la sacralità del corpo è sottolineata soprattutto in questa tradizione trasmessa da al-Hasan al-Basrî: “Colui al quale ha parlato lo Spirito Santo (h al-quds), non è permesso alla terra di mangiare del suo corpo” (Suyûtî, 1967, III 403, secondo al-Zubayr b. Bakkâr, Ahbâr al-Madîna).

55) La discesa della Parola nel corpo può essere considerata come il coronamento del processo di risalita dello spirito verso Dio tramite la recitazione e l’elevazione della Sua Parola, il che è la definizione del combattimento sulla via di Dio. Ciò spiega perché i martiri morti in combattimento, testimoni della Parola e di appena un grado al di sotto di quello della profezia, rispondono a Dio, che domanda loro che cosa desiderino di più in Paradiso: “Noi Ti chiediamo che i nostri spiriti siano rinviati nei nostri corpi del basso mondo, per poter essere uccisi sulla Tua via” (Ibn Mâĝa, 1972, ĝihâd 16, n. 2801).

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