Corano: la rivelazione diventa libro

Corano la rivelazione diventa libro 4

Corano la rivelazione diventa libro 4

Traduzione da testi di Denis Gril

È con brividi e tremori che Muhammad ricevette l’insegnamento di Dio. Parole che trasmetteva, a mano a mano, ai primi credenti. La memoria dei fedeli permise di redigerle. Non mancava, ormai, che stabilire un ordine fra quei frammenti.

Per i musulmani, il Corano è la parola di Dio rivelata al Profeta Muhammad con l’intermediazione dell’angelo Gabriele. Per il lettore occidentale, abituato alla progressione cronologica della Bibbia, la sua lettura resta di difficile accesso.

Delineiamo rapidamente, per cominciare, il contesto religioso nel quale risuonò questa nuova ed ultima Rivelazione.

Rammentiamo anche come la tradizione musulmana ne racconta gli inizi. Ciò perchè, quale che sia l’importanza dei risultati ottenuti con la ricerca storica per spiegare la genesi dell’Islam, questa rappresentazione tradizionale conduce più direttamente il lettore al cuore della predicazione coranica quale la vivono i credenti nella sua unità e nella sua durata.

Precisiamo dunque sin d’ora che, secondo il Corano stesso, la Parola di Dio – dall’archetipo divino e celeste del Libro (la “Madre del Libro”) – è discesa due volte: una, in modo totale ed unico, nel corso dell “Notte del Destino”;  l’altra, simile allo scintillio in processione delle stelle, da quando Muhammad ebbe compiuto 40 anni sino alla sua morte avvenuta nel 632. Nella fondazione dell’Islam come religione e comunità, il Libro ed il Profeta sono dunque intimamente e storicamente uniti, come si cercherà di mostrare ripercorrendo il processo della Rivelazione.

Non bisogna immaginarsi l’Arabia preislamica né come un deserto, né come il dominio esclusivo del paganesimo, anche se la maggior parte degli Arabi restano attaccati alle loro divinità tribali. Alla Mecca, antica città di mercanti carovanieri a metà strada tra la Siria e lo Yemen vicino all’Etiopia cristiana, i culti pagani non escludono una certa presenza del monoteismo. Il cristianesimo si è espanso alla periferia della penisola, e delle colonie ebree si sono stabilite nello Yemen ed a Yathrib (che diventerà Medina).

Il futuro profeta aveva dunque certamente sentito parlare delle Scritture delle  “Genti del Libro”, anche se tanto il Corano quanto la tradizione lo qualifica come “Ummî “, cioè non capace di leggere né di scrivere. I Quraysh della Mecca adoravano, da parte loro, alcuni dèi di un panthéon più o meno comune a tutti gli Arabi. Essi occupavano una posizione privilegiata nell’economia religiosa della penisola, in quanto avevano l’incarico della custodia  del santuario panarabico della Ka’ba, visitata durante tutto l’anno e soprattutto durante il grande pellegrinaggio (hajj). Lungi dall’abrogare questo rito, l’Islam ne farà il simbolo del ritorno alla religione di Abramo.

In quest’epoca, che alcuni sembrano aver vissuto in un’attesa messianica, degli uomini, gli hanif , si staccano dal culto degli idoli, tanto per necessità interiore quanto per  l’influenza giudeo-cristiana, o per ricordo del culto del Dio unico connesso al nome d’Abramo. Uno di loro, Muhammad Ibn ‘Abdullah, è designato implicitamente dal Corano ed esplicitamente dalla tradizione come un discendente d’Ismaele.

Secondo una tradizione riportata da Bukhâri , il Profeta, attirato da Dio con delle visioni luminose, si ritirava in una grotta del Monte Hirâ, assai vicino alla Mecca (da allora chiamato “la Montagna della Luce”). Là ricevette la visita dell’Angelo che, stringendolo a sé fino a soffocarlo, gli ordinò: «”iqrâ”», “recita!” o “leggi!”. Questa prima parola, per la sua ambivalenza, associava la parola alla scrittura. Alla terza ingiunzione, Muhammad recita questi primi versetti: «”Recita, in nome del tuo Signore che ha creato!/  Ha creato l’uomo da un’aderenza (o: da un grumo di sangue):/ Recita! Il tuo Signore è Il più generoso/ Ha insegnato col Calamo/ Ha insegnato all’uomo ciò che questi ignorava.”» (Corano XCVI 1-5).

La redazione scritta trasmette le tappe della Rivelazione

Spaventato, Muhammad ritorna a casa sua, chiedendo di essere avvolto in un mantello, come se non potesse sopportare quanto aveva appena ricevuto. Temeva d’essere stato posseduto da un  jinn o un dèmone, come i poeti o gli indovini? Khadija, sua moglie, lo rassicura con un argomento indicativo dei valori della società preislamica, ripresi nel Corano: “Per Allâh, Dio non saprebbe piombarti nella confusione perchè tu rispetti i legami parentali, addolcisci la pena agli altri, aiuti gli infelici, nutri l’ospite e ti comporti secondo giustizia.” Ma Khadija si reca comunque da uno dei suoi parenti, Waraqa Ibn Nawfal, che s’era fatto cristiano e conosceva le Scritture. Questi annunciò a Muhammad che aveva appena ricevuto la Legge (nâmûs, dal greco nomos) rivelata a Mosé e che avrebbe dovuto affrontare, come tutti i profeti, l’ostilità del suo popolo.

Dopo un lungo periodo, l’Angelo tornò con questi versetti: «”O tu che ti copri!/ Alzati ed ammonisci/ e magnifica il tuo Signore/ e le vesti tue, purificale/  e la sozzura fuggi!“». E forse poco dopo: «”E non dare per ricevere/  e pazienta pel tuo Signore/  e quando si soffierà nella tromba/  quello sarà un giorno terribile/ non facile per i miscredenti.“» (Corano LXXIV 1-10). L’ordine si faceva pressante: avvertire gli uomini d’un castigo imminente, consacrarsi all’adorazione dopo essersi purificati di tutto ciò che insozza il corpo e l’anima, in particolare gli idoli; dall’altro lato, mostrarsi di una generosità senza riserve, e pazientare nell’attesa dell’Ora.

Da quel momento, la Rivelazione non cessa di discendere, evocata da avvenimenti minimi o gravi, intimi o pubblici della vita di Muhammad e dei suoi contemporanei. Come, a partire da tutto ciò, la Parola divina diventa l’esemplare del Corano (mushaf)? A mano a mano che vengono rivelati, versetti e sure sono intensamente recitati  ed imparati a memoria. Solo alcuni credenti che sapevano farlo, lo scrissero su ogni tipo di supporto, dato che la pergamena era rara. Fin che il Profeta fu in vita, non fu possibile raccoglierne la totalità. I suoi primi successori si incaricarono di stabilirne il testo definitivo. Il  terzo califfo, Uthmân Ibn ‘Affân, facendo appello alla doppia testimonianza dell’orale e dello scritto, fissò la versione da allora invariabilmente riprodotta. La soppressione di tutte le altre testimonianze scritte non passò senza proteste da parte di alcuni compagni. Ma, nonostante qualche autore attestasse l’esistenza di versioni differenti – soprattutto nell’ordine delle sure – nessuno degli esmplari più antichi si discosta da quello di Uthmân.

Le sue 114 sure – a parte la prima, la Fâtiha o “quella che apre il Libro”sono disposte approssimativemente per ordine di lunghezza decrescente. Globalmente, tale sequenza riproduce in senso inverso il processo storico della Rivelazione. Le lunghe sure dell’inizio (dalla II alla IX, tranne la VII) riflettono il secondo periodo della predicazione, l’espansione dell’Islam a Medina. Una serie di sure di media lunghezza (dalla X alla XLVI eccetto le XIII, XXII, XXIV e XXXIII) risale senza dubbio alla seconda fase dell’epoca meccana: la storia dei patriarchi e dei profeti biblici ed arabi e dei loro popoli ribelli vi corrisponde all’indurimento dei Quraysh. Seguono due serie di sure medinesi  a cagione della loro dimensione (dalla XLVII alla XLIX e dalla LVII alla LXVI). La personalità del Profeta e quella della sua comunità vi si trovano particolarmente affermate. Il resto del Corano ritorna progressivamente ai primi enunciati della Rivelazione (tranne qualche eccezione: XCVIII e XC, d’epoca medinese).

Non è dunque impossibile rintracciare la  progressiva apparizione dei principali temi del Corano, e dunque dell’Islam come religione e comunità.. Dio s’indirizza dapprima al Profeta come “il tuo Signore” per marcare il legame d’intimità e d’elezione che unisce l’Inviato a Dio. Questa elezione è anche quella d’un popolo: «”Il vostro Signore è il Signore dei vostri primi progenitori“», oltre che quella d’un luogo sacro: “il Signore della Casa“, cioè della Ka’ba. Questo popolo e questo santuario avranno, più tardi, un ruolo essenziale nella storia dell’Islam e dell’affermazione del culto.

Il “Signore della Casa” ricorda ai Quraysh che li ha sempre protetti contro i nemici e la fame (sure CV e CVI). Stigmatizza anche la loro superbia ricordando la piccolezza dell’uomo e l’imminenza dell’Ora, che sorprenderà colui che si fa distrarre dalla vita di questo mondo: «La percotente!/ Cos’è la precotente?/ Saprai cos’è la percotente?/Il giorno in cui gli uomini saranno come farfalle sparse/ e le montagne saranno come fiocchi di lana cardata/ così chi avrà pesante la sua bilancia/ quegli avrà una vita ultraterrena beata/ ed invece chi avrà leggera la sua bilancia/ suo sarà l’Abisso/ e chi ti farà sapere cos’è l’Abisso?/ E’ un fuoco ardente.» (Corano CI 1-11).

Le descrizioni paurose della fine del mondo come un immenso ribaltamento cosmico ed un riassorbimento della creazione, sono a poco a poco sostituite dai racconti di questa creazione e dai numerosi richiami alla Resurrezione. L’uomo deve morire per vivere. Mentre instaura l’adorazione del Dio unico, senza compartecipi, sono riprovati la cupidigia e l’avarizia dei ricchi Quraysh, sono esaltate le virtù di carità e solidarietà. La separazione diventa radicale fra “quelli che hanno creduto ed hanno compiuto opere di bene” e “quelli che hanno negato” Dio, i Suoi segni ed i Suoi profeti. Le descrizioni del Paradiso e dell’Inferno si moltiplicano.

Il Corano parla anche sempre più di sé stesso, rivelazione opposta all’ispirazione dei poeti e degli indovini, ma identica alle Scritture anteriori: «In verità ciò si trova nelle pagine antiche/ le pagine di Abramo e di Mosè.» (Corano LXXXVII 18-19). Dapprima molto brevi, spesso allusivi, i racconti profetici guadagnano in ampiezza. Mosè e Faraone, i personaggi più spesso citati, illustrano la relazione del Profeta col suo stesso popolo: «”In verità vi abbiamo inviato un messaggero che testimoniasse  di voi così come abbiamo inviato un messaggero a Faraone.”» (Corano LXXIII 15). La figura di Muhammad sembra scomparire dietro quella di tutti gli altri profeti e messaggeri: Adamo, Noè, Abramo, Giusppe, Davide, Salomone, Gesù ecc. Ma è solo in quanto ne è il “Sigillo” (Corano XXXIII 40) inviato «...come una misericordia per i mondi...» (Corano XXI 107).

La sura della “Vacca” (al Baqara), la seconda e la più lunga del Corano, include dei versetti appartenenti ai diversi momenti del periodo medinese. Per questa ragione rappresenta uno degli ultimi periodi della Rivelazione. Numerosi passaggi tanto isolati quanto ripetuti o ricorrenti, celano un’innegabile unità di composizione di cui bisogna tener conto durante la lettura del Corano.

Le lettere isolate Alif – Lâm – Mîm inaugurano la sura e simboleggiano il mistero divino, dal quale è disceso il Libro rivelato ed anche Muhammad e tutti i profeti. La fede in questo mistero divide l’umanità in credenti e miscredenti, ma anche in “ipocriti”, quelli la cui fede non è che vana apparenza. Al racconto della creazione, succede l’investitura dell’uomo in qualità di vicario (halîfa) di Dio sulla terra, la tentazione di Adamo da parte di Iblîs e la caduta. Comincia allora la storia dell’umanità, sequenza di deviazioni e pentimenti dopo l’alleanza primordiale “tâq“. I Figli d’Israele sono i principali attori di questa storia: l’Esodo, il Sinai, il Deserto, la Terra Promessa. Più degli altri, hanno gustato il dolce frutto della manna e l’amaro della disobbedienza. Il Corano riconosce in essi il popolo eletto, ma rimprovera loro – si tratta allora degli Ebrei di Medina – di rifiutare ostinatamente una profezia al di fuori del loro popolo.

Il patriarca Adamo riconosciuto quale antenato

In seguito, il cambiamento dell’orientazione nella preghiera rituale, da Gerusalemme alla Ka’ba edificata da Abramo ed Ismaele, afferma la restaurazione della pura religione abramica e fa dei musulmani i testimoni dell’umanità nel Giorno della Resurrezione. La seconda parte della sura, consacrata per la maggior parte alla Legge sacra, comincia col ricordare che le opere pie sono prima di tutto la fede ed il bene fatto al prossimo. Vi si parla anche di atti rituali quali il digiuno ed il pellegrinaggio, oppure della legislazione della famiglia e dei beni. L’esempio dei re guerrieri Saul e Davide conclude le diverse menzioni della lotta sulla via di Dio, cimento della nuova comunità. Quanto all’eccellenza di Gesù, essa si manifesta soprattutto con la resurrezione dei morti, tema centrale in questa sura. 

Tale è anche il senso della storia della “Vacca”, da cui la sura prende il nome. Quest’ultima termina con una professione di fede che include Dio, gli angeli, i Libri ed i messaggeri  e con una preghiera con cui i credenti implorano l’aiuto divino contro i miscredenti ma anche contro la loro propria debolezza.

Come il Corano ordina loro, tutti i musulmani, uomini, donne e bambini, leggono il  testo sacro. Le preghiere rituali obbligatorie e supererogatorie non potrebbero collegare l’uomo a Dio senza la recitazione della Sua Parola, non fosse altro che la Fâtiha. Il Corano non ha smesso di essere imparato a memoria, recitato secondo delle regole molto precise, meditato e studiato. Fu ed è tuttora spesso la prima scuola dei giovani musulmani. Lungi dal non esser altro che un codice di leggi in mano ai dottori, il Corano è un’esortazione per ognuno, un appello al ricordo incessante di Dio (dikr) ed alla riflessione sui versetti/segni (âyât) del Libro e del mondo. Dall’epoca dei compagni del Profeta, è stato studiato e commentato: è così nata un’immensa letteratura esegetica, filologica, giuridica, teologica e spirituale, nonché politica. Tutte le questioni di cui dibatte la comunità vi sono ricondotte come alla fonte di ogni sapere. Imponendo la sua forma ad ogni pensiero ed azione, il Corano li ricolloca nella storia universale della Rivelazione.

 

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