Dalla hirqa alla tarîqa
CONTINUITÀ ED EVOLUZIONE NELL’IDENTIFICAZIONE E LA CLASSIFICAZIONE DELLE VIE
Traduzione da testi di Denis Gril
Si ha l’abitudine, quando si parla delle vie spirituali del sufismo, di dire per esempio che la tarîqa qâdiriyya o la tarîqa rifâ‘iyya sono state fondate rispettivamente da ‘Abd al-Qâdir al-Ğilânî ed Ahmad al-Rifâ‘î nel VI/XII secolo. Non affronteremo, qui, la questione di sapere se tale via è stata fondata effettivamente dal santo eponimo cui essa si ricollega ma, piuttosto, dimostreremo che la questione non si pone esattamente in questi termini. Se, infatti, diventa corrente nell’epoca ottomana e fino ai giorni nostri impiegare il temine tarîqa (pl. turuq) per designare una via spirituale particolare, conformemente al senso di questa parola, ma che talvolta si chiama ‘ordine mistico’ o ‘confraternita’ per sottolinearne la dimensione sociale, quest’impiego non sembra risalire all’epoca medievale in cui, nel suo insieme, tarîqa conserva il senso di via iniziatica, un certo modo di progredire verso Dio sotto la direzione d’un maestro.
Le epoche ayyûbide e soprattutto mammalucca ed il loro equivalente in Oriente, hanno visto la fioritura d’una letteratura specifica, che consegna la trasmissione delle vie da maestri a discepoli o piuttosto da maestri a maestri: i trattati di hirqa (pl. hiraq). Questa letteratura non s’è inaridita bruscamente con l’avvento dell’Impero ottomano nel Vicino Oriente ma, nondimeno, si è progressivamente trasformata in trattati sulle turuq finendo col diventare, sulla fine dell’epoca ottomana, una specie di nomenclatura sistematica delle vie esistenti o passate, con l’intenzione di preservare, di conservare per il futuro la memoria di una storia della lunghezza di diversi secoli. I trattati di hirqa poi di tarîqa pongono, effettivamente, numerose questioni agli storici del sufismo. Quale significato dare all’affermazione del termine tarîqa nel senso di una realtà spirituale e sociale chiamata a diffondersi e ramificarsi?
Che tipo di chiarimento apportano questi trattati sul sufismo dei loro tempi e quali aspetti lasciano nell’ombra? Come sfruttare le lunghe enumerazioni di catene di trasmissione dai quali sono costituiti in gran parte e che cosa ci insegnano queste ultime sull’evoluzione del sufismo quale pratica iniziatica e culturale? Si procederà in maniera cronologica alla presentazione di tali trattati a partire dal XIII fino al XVIII secolo, cercando di fornire, in conclusione, un inizio di risposta a queste domande.
La hirqa 1, che significa pezzo di stoffa o di vestito, è legata, dapprima, all’importanza che comincia ad assumere agli inizi del III/IX secolo la muraqqa‘a, abito distintivo dei sûfî, costituito da pezzi di stoffa cuciti insieme, emblema della povertà materiale e spirituale dell’itinerante verso Dio 2. Dei trattati o per lo meno dei capitoli sono stati dedicati alla maniera in cui i lembi di tessuto costituenti la hirqa dovevano essere cuciti, ai loro colori ed al significato di questi 3. All’epoca in cui sono composti i primi trattati di hirqa, questo termine ha assunto il significato di investitura o di ricollegamento iniziatico, come attestato da un trattato di sufismo della seconda metà del V/XI secolo 4. Ricevendo il discepolo nella via, il maestro gli consegna una stoffa od un vestito, oppure ne lo riveste 5.
Secondo Suhrawardî (539-632/1145-1234), la hirqa simboleggia il legame fra il maestro ed il discepolo, costituisce il segno della fiducia e della sottomissione (‘alâmat al-tafwîd wa-l-taslîm) all’autorità divina e profetica e rivivifica il patto d’alleanza (mubâya‘a) dei Compagni con il Profeta 6. Il fatto d’indossare la hirqa corrisponde, nell’ordine esteriore, alla comunicazione di uno stato interiore che passa dal maestro al discepolo, “come una lampada accesa con un’altra lampada (ka-sirâĝ yuqtabasu min sirâĝ)” 7. La hirqa costituisce, quindi, il primo passo nella via, l’iniziazione nel senso proprio che condurrà alla realizzazione spirituale grazie al compagnonaggio (suhba), l’attaccamento al maestro e la sua frequentazione intima e regolare (mulâzama).
Sebbene al-Suhrawardî menzioni il dono da parte del Profeta di un lembo di stoffa nera, con delle strisce gialle e rosse, ad Umm Hâlid bint Hâlid, secondo un hadît considerato uno dei fondamenti scritturali della hirqa, riconosce che il rituale che circonda, alla sua epoca, la consegna della hirqa, proviene dall’iniziativa di maestri della via (min istihsân al-ŝuyûh) e che il Profeta non l’ha mai praticata in questa forma. Constata, parimenti, che ai suoi tempi tutti i maestri non rivestono i loro discepoli con la hirqa 8. Questa per lui significa, pertanto, più il supporto dell’iniziazione che l’iniziazione stessa, formalizzata o meno da un rito specifico. Infatti distingue, come si continua a fare ancora ai giorni nostri, fra la hirqat al-irâda, il ricollegamento d’aspirazione spirituale in virtù del quale il discepolo od aspirante (murîd) s’impegna a seguire la via sotto la direzione di un maestro e la hirqat al-tabarruk, il ricollegamento di benedizione, per beneficiare della benedizione e dell’influsso spirituale di uno ŝayh e di tutto il lignaggio dei suoi maestri.
Chi si ricollega ad un maestro in questo modo non è legato a tutte le esigenze della relazione maestro/discepolo, però deve osservare una condotta conforme alla Legge ed alle regole della gente della Via (âdâb al-qawm). Apparentemente, è la moltiplicazione di questi ricollegamenti di benedizione che ha dato la nascita ai trattati di hirqa. Come si vedrà, però, questo tipo di ricollegamento può derivare dal ricollegamento d’aspirazione ad un maestro egli stesso ricollegato a diverse vie.
Naĝm al-Dîn Kubrâ (nato verso il 540/1145-1146, morto nel 617/1221), contemporaneo di Suhrawardî, sviluppa anche lui i significati spirituali ed il simbolismo delle differenti forme di hirqa in un breve trattato dandone in dettaglio, fra l’altro, certi usi nonché i loro significati 9.
I primi trattati di affiliazione iniziatica
Da quando si è cominciato, certamente secondo il modello di trasmissione dell’hadît, a prender nota della trasmissione del magistero spirituale? Sulamî, che ha svolto un ruolo importante nell’elaborazione del sufismo quale corpo di pratiche e di dottrina, nel suo Tabaqât al-sûfiyya annota, a proposito di Ibrâhîm b. Adam (3a informazione), che “si accompagnò” ovvero si fece discepolo (sahiba) di Sufyân al-Tawrî ed anche di Fudayl b. ‘Iyâd; a proposito di Sarî al-Saqatî, che a lui “si accompagnò”; a proposito di Ŝaqîq al-Balhî, che “era stato il maestro (ustâd) di Hâtim al-Asamm, si era accompagnato ad Ibrâhîm b. Adam 10 ed aveva preso da lui la via (ahada ‘anhu al-tarîqa)”.
In tal modo, di generazione in generazione, si annodano, nell’opera, catene di trasmissione che ancora non dicono il loro nome. Qušayrî, discepolo, fra gli altri, di Sulamî, cita quest’affermazione del suo principale maestro ed iniziatore, Abû ‘Alî al-Daqqâq: “Ho preso questa via da Nasrabâdî, Nasrabâdî l’ha presa da Ŝiblî, Ŝiblî da Ğunayd, Ğunayd da Sarî, Sarî da Ma‘rûf al-Karhî ed al-Karhî da Dâwûd al-Tâ‘î e Dâwûd al-Tâ‘î ha incontrato i sapienti” 11. L. Massignon, che segnala quest’ultimo riferimento, si è interrogato su quelli che lui chiama gli ‘isnâd iniziatici’. Sfortunatamente, le ricerche di cui ha gettato le prime basi si perdono in un’ipercritica storicistica la cui vita cessa bruscamente 12. Egli evoca anche il fatto che “molti mistici, ripugnando di servirsi di giustificazioni tanto artificiali quanto quelle di tali isnâd, affermano sfrontatamente d’aver ricevuto la hirqa da al-Hidr (o Hadir)”. Ora, l’esempio d’Ibn ‘Arabî dimostra che la hirqa hadiriyya non contraddice né sostituisce le altre.
Epoca ayyûbide e mammalucca
Ibn ‘Arabî sembra esser stato il primo autore ad aver dedicato un’opera a parte, anche se, è vero, solo una breve epistola, all’enumerazione di diversi ricollegamenti iniziatici attraverso la ricezione di una hirqa 13. Il fatto è paradossale. Dopo una precoce apertura spirituale segue, in Andalusia e nel Magrib, l’insegnamento di numerosi maestri che non trasmettevano nessuna hirqa ma formavano i discepoli tramite il compagnonaggio. Nelle Futûhât al-Makkiyya ammette che non riconosceva nessun valore a questa forma d’iniziazione, fino al momento in cui constatò che al-Hidr in persona la trasmetteva. A questo proposito, dice: “Non ero un fautore della hirqa tale quale è conosciuta ai giorni nostri. Infatti la hirqa, per noi, significa il compagnonaggio, l’adab e la pratica delle virtù (tahalluq).
Sebbene la sua trasmissione per mezzo d’una veste non risalga fino al Profeta – su di lui il rito unitivo e la pace divina – essa esiste, però, nel compagnonaggio e nella formazione spirituale (adab), ciò che il Corano designa come «…veste di pietà …» (libâs al-taqwuâ, Corano VII 26). È diventato uso dei maestri che hanno una propensione per gli stati spirituali (ashâb al-ahwâl), quando constatano in uno dei loro compagni una qualche imperfezione e vogliono perfezionare il suo stato spirituale, che il maestro faccia tutt’uno con il suo discepolo (ittahada bihi). Prende la veste che indossa su di sé, in quello stato e se la leva rivestendone colui il cui stato vuole perfezionare, sicché lo stato si propaghi a questi che, a questo punto, lo realizza pienamente. Tale è la veste (libâs) che conosciamo, trasmessa dai maestri realizzati” 14.
Nel suo Nasab al-khirqa 15 Ibn ‘Arabî, dopo un’introduzione sui significati più profondi della hirqa e su ciò ch’essa esige in tema di virtù e di pratiche devozionali, enumera le diverse catene di trasmissione tramite le quali l’ha ricevuta. La prima lo ricollega ad ‘Abd al-Qâdir al-Ğilânî, con la mediazione d’un discepolo di quest’ultimo. Segue un’altra catena che parte da Muharramî, il maestro di Ğilânî, che risale fino a Ğunayd ed agli Ahl al-bayt, su su fino al Profeta ed a Gabriele. Ibn ‘Arabî domanda al suo maestro e trasmettitore, Yûnus b. Yahyâ al-Qassâr, che cosa ha ricevuto il Profeta da Gabriele. Gli risponde: “La scienza e la formazione spirituale (adab)”, il che coincide con l’osservazione di Suhrawardî precedentemente citata. La seconda catena, ricevuta a Fâs, lo ricollega, per mezzo d’uno ŝayh originario di quella città e di un altro originario di Tawzar, alla linea di d’Ibn Hafîf di Ŝirâz e, tramite quest’ultimo, a Ŝaqîq al-Balhî, Ibrâhîm b, Adam, fino ad Uways al-Qaranî. La terza catena lo ricollega, con il tramite di due intermediari e direttamente ad al-Hidr. Questo personaggio è presentato qui come del tutto reale. Nella Durrat al-Fahira, Ibn ‘Arabî descrive il modo in cui ha ricevuto, come il suo maestro da al-Hidr, la hirqa sotto forma di una tunica di cotone 16.
Facciamo osservare, qui, che si tratta di trasmissione e di ricezione di catene di trasmissione ma non di vie identificate come tali.
Il secondo trattato che costituisce una pietra miliare nell’emergere dei trattati di hirqa è quello di Qutb al-Dîn M. b. A. b. ‘Alî al-Qastallânî (614/1218-686/1287) 17, Irtifå‘at al-rutba bil-l-libâs wa-l-suhba, “L’innalzamento del grado grazie alla veste ed al compagnonaggio” 18. Il padre dell’autore, Abû-l-Abbâs, discepolo dello šayh al-Qurašî, apparteneva all’ambiente di Fustât, irrigato dalla spiritualità andalusa 19. Dopo la morte del suo maestro, si stabilisce alla Mecca. Grazie a lui, suo figlio Qutb al-Dîn conobbe numerosi šuyûh. Questi ritornò in Egitto, ove finì i suoi giorni come imâm del Dâr al-hadît al-Kâmiliyya. Tradizionista, ci tiene a precisare che i criteri d’autenticità sono meno stretti in materia di trasmissione spirituale che in materia di hadît.
Enumera, all’inizio, cinque hirqa, tutte ricevute da maestri iraniani o d’origine iraniana, il che indica chiaramente donde giunga quel modo di trasmissione. Questi cinque maestri sono:
- ‘Abd al-Muhsin b. Qarâmurz b. Hâlid al-Hufayfî al-Abharî (morto alla Mecca nel 624E). La catena di trasmissione risale ad al-Fudayl b. ‘Iyâd fino ad Ibn Mas‘ûd. La formula “ha indossato” si ferma al maestro del maestro di Qutb al-Dîn per essere sostituita, dopo, con l’espressione “è stato il discepolo od il compagno di…” (sahiba), il che fa risalire qui agli inizi del VI/XII secolo la pratica della trasmissione tramite la hirqa.
- Nâsir b. ‘Abdallâh b. ‘Abd al-Rahmân al-‘Attâr al-Misrî (morto alla Mecca nel 634E, all’età di 96 anni). La trasmissione risale ad ‘Abd al-Wâhid b. Zayd, Kumayl b. Ziyâd, ‘Alî b. Abî Tâlib, ma anche in questo caso l’investitura tramite la hirqa si arresta ai due maestri di questo ŝayh. La catena, poi, continua con l’espressione: “ed il suo ŝayh era…”;
- Ŝihâb al-Dîn ‘Umar al-Suhrawardî, lo ŝayh al-ŝuyûh di Bagdad (m. 632/1234). L’autore precisa che ricevette la hirqa nel 626E, all’età di12 anni, il che si spiega con la reputazione di santità di cui godeva suo padre alla Mecca. Descrive così l’iniziazione ad opera di Suhrawardî: “Mi fece indossare con le sue mani la hirqat al-tasawwuf, alla porta del Ribât al-Sidra. Mi diede una tunica (qamîs) nuova, un copricapo a calotta (tâqiya) e m’avvolse la testa con un turbante. Mi diede anche, sempre di mano sua, più volte da mangiare, burro ed altri alimenti”. La trasmissione della veste risale più lontano, in questo caso, fino ad Ahmad al-Aswad al-Dînawarî, ricollegato a Mamŝâd al-Dînawarî (m. nel 299E), e, per un’altra via, fino ad Abû-l-Abbâs al-Nahâwandî, tramite Ibn Hafîf (m. 371E) e, dopo di lui, Ruwaym, con la semplice particella ‘da’ (min) a Ĝunayd, discepolo (sâhib) di Sarî al-Saqatî, che è stato il compagno(sâhiba) di ‘Alî al-Ridâ e così fino ad ‘Alî b. Abî Tâlib. Sarî è stato anche il compagno di Dâwûd al-Tâ’î, anche lui ricollegato, tramite Habîb al-‘Aĝamî e di Hasan al-Basrî, ad‘Alî b. Abî Tâlib. La hirqa, propriamente detta, risale qui all’incirca alla metà del IV/X secolo.
- Naĝm al-Dîn Abî-l-Nu‘mân Baŝîr b. Abî Bakr al-Ĝa‘farî al-Tabrîzî, che insegnò alla Nizâmiyya a Bagdad ed all’haram della Mecca. L’espressione “mi ha rivestito” (albasanî) ricollega, qui, il maestro fino a Ŝiblî e Ĝunayd;
- Ŝams al-Dîn ‘Abd al-Rahmân b. ‘Abd al-Latîf b. Ismâ’îl Ibn Abî Sa‘d al-Sûfî. Precisa di aver ricevuto dalle sue mani la hirqa, senza però indicarne la trasmissione;
- Bahâ’ al-Dîn ‘Alî b. Hibat Allâh Ibn al-Ĝummayzî al-Ŝâfi‘î da Abû Tâhir A. b. M. al-Silafî (m. nel 576/1180 ad Alessandria) 20. Il resto della catena non è menzionato. Semplice allusione alle divergenze in merito.
Si osserverà che, da una parte, di questi maestri Qutb al-Dîn ha ricevuto sia l’insegnamento che la hirqa. Quest’ultima, pertanto, rappresenta il versante spirituale di una trasmissione spesso a due facce. Dall’altra, fra queste sei hirqa, solamente quella di Suhrawardî si ritrova nelle nomenclature più tarde tanto di hirqa quanto di tarîqa. La hirqa in quel periodo resta, quindi, prima di tutto la trasmissione d’un’influenza spirituale di maestro in maestro, senza rinviare necessariamente alle autorità eponime con le quali saranno identificate più tardi le vie, come quella di Suhrawardî. Infine, certe catene di trasmissione indicano chiaramente, risalendo all’indietro nel tempo, il passaggio dal compagnonaggio fondato prima di tutto su un impegno reciproco del maestro e del discepolo ad una trasmissione più formale, veicolata e simboleggiata con la consegna di un abito.
La seconda parte del testo, dedicata al compagnonaggio non sigillato dalla consegna di una hirqa, enumera dei maestri appartenenti allo stesso ambiente, prima di tutto quello dei discepoli di Quraŝî, che Qutb al-Dîn ha conosciuto grazie a suo padre, poi quello uscito dalla linea di Abû Madyan. Egli osserva, così, a proposito dello ŝayh berbero Abû Lakût al-Dukkâlî, che aveva conosciuto in gioventù, che faceva parte dei compagni-discepoli (ashâb) di Abû Muhammad Sâlih, lui stesso uno dei discepoli di ‘Abd al-Razzâq, a sua volta discepolo di Abû Madyan, “il maestro dei maestri”. Questo vecchio modo di esprimersi diventerà, tramite gli scritti di autori più tardi, la hirqa madyaniyya. Questa corrisponde, inizialmente, ad un’ascendenza spirituale ma senza hirqa in senso proprio. Alla fine, evoca l’ambiente dei sûf î di Fustât e di Alessandria. Questo modo di classificare per famiglie spirituali o raggruppamento geografico ricorda molto la Risâla di Safî al-Dîn, che ha conosciuto in Egitto gli stessi ambienti di Qastallânî. Senz’ombra di dubbio, la trasmissione della hirqa resta segnata, in questo testo, dalla sua origine iraniana.
Nel corso dei secoli VIII/XIV e IX/XV, i trattati di hirqa si moltiplicano. Essi possono confondersi con un’iĝâza, come il breve testo intitolato Silsilat al-nisba al-mutawâtira bayna-l-murîdîn fî lubs al-hirqa al-mubâraka wa ahd al-‘ahd wa-l-talqîn: “La catena del ricollegamento unanimemente riconosciuto fra i discepoli riguardo all’investitura iniziatica benedetta, della presa del patto e della trasmissione (del dikr) 21”. L’autore, Ismâ’îl b. ‘Abd al-Latîf Ibrâhîm Ibn al-Ĝawharî al-Misrî al-Ŝâfi‘î, non sembra esser noto altrimenti. Ha ricevuto dal suo maestro Yûsuf b. ‘Abdallâh al-Kûrânî (m. nel 768E) 22 un’iniziazione che risale a Suhrawardî, con la mediazione di Nûr al-Dîn ‘Abd al-Natanzî e, da qui, a Ĝunayd. Per due vie, una che passa attraverso lo ŝayh Ĝa‘far al-Haddâ’ fino ad Uways al-Qaranî e l’altra attraverso Sarî al-Saqatî e gli Ahl al-bayt. Contrariamente agli esempi precedenti, la filiazione è indicata semplicemente con l’espressione “ha preso da” (ahada min). In conclusione, al-Kûrânî trasmette all’autore quel che egli ha ricevuto a sua volta. La hirqa, qui, si confonde con la trasmissione della via.
Senza costituire, propriamente parlando, un trattato di hirqa, l’enumerazione di Ibn Mulaqqin (723/1323 – 804/1401 ) 23 in una delle appendici delle sue Tabaqât al-awliyâ’ 24 di differenti hirqa trasmesse da otto ŝuyûh, non se ne discosta granché. Il primo, Zayn al-Dîn Abû Bakr b. Qâsim al-Hanbalî, gli trasmette 12 vie da ‘Abd al-Qâdir al-Ĝîlânî, da Suhrawardî, da Abû Tâhir al-Silafî ecc.. Dal secondo, Ĝamâl al-Dîn Yûsuf b. M. b. Nasr Allâh al-Mu‘addî al-Hanbalî, riceve tre vie: Ĝîlânî, Ŝâdîlî ed Ibn Qufl. Il terzo, Radî al-Dîn al-Husayn b. ‘Abd al-Rahmân, nipote di Muhibb al-Dîn al-Tabarî, gli trasmette la hirqa di Suhrawardî nel 755 E nella sua zâwiya di Bulâq. Il quarto, il qâdî al-qudât ‘Izz al-Dîn b. ‘Abd al ‘Azîz, nipote di Badr al-Dîn Ibn Ĝamâ‘a l’ha rivestito della hirqa di Suhrawardî, di quella di Ibrâhîm al-Kâzarûnî e di Sa‘d al-Dîn al-Hamawayh. Il quinto, Abû Hayyân al-Ġarnâtî, il celebre sapiente andaluso, gli fa dono d’una iĝâza e gli trasmette la hirqa di Suhrawardî tramite Qastallânî e di un altro maestro. Il sesto, Abû ‘Abdallâh Ibn al-Nu‘mân lo ricollega ad Ahmad al-Rifâ‘î e lo stesso vale per il settimo, anche lui andaluso, Ibrâhîm b. Ahmad al-Tabûrî al-Andalusî, che lo ricollega, tramite Qutb al-Dîn al-Qastallânî, a tre vie di cui si fa il nome nell’Irtifâ‘ al-rutba. Per finire, l’ottavo, M. al-Ŝayh Ahmad al-Ġazzî al-Asqalânî, lo ricollega a Suhrawardî e, per due volte, a Rifâ‘î.
Si constata da un lato una certa interferenza fra hirqa ed iĝâza e, dall’altro, la trasmissione con l’ausilio d’un’opera di hirqa precedente, quella di Qastallânî, comunque sotto l’autorità di un maestro. Si può scorgere, in questa moltiplicazione delle affiliazioni, un riflesso della pratica degli ‘ulamâ’, dediti ad accumulare il maggior numero possibile di licenze, al fine di dare un fondamento alla loro autorità. L’intenzione è differente per le hirqa, il cui obiettivo consiste nel raccogliere l’influenza spirituale di tutta una linea di santi e di maestri e, tramite questa, quella del Profeta. Il primo maestro di Ibn Mulaqqin confida a quest’ultimo di non poter lasciare l’Egitto essendone il guardiano (hafîr); quest’allusione alla gerarchia dei santi conferisce alla trasmissione di questo maestro un valore particolare. Osserviamo, infine, che queste affiliazioni multiple sembrano riservate all’ambiente degli ‘ulamâ’, prefigurando solo parzialmente, dunque, le future turuq.
Il trattato dello yemenita Ahmad b. Abî Bakr al-Raddâd (747/1347 – 821/1418) 25 segna una tappa in questo tipo di letteratura. Ci è giunto in una forma riassunta: Talhîs al-wâfiyya fî asl hukm hirqat al-sûfiyya, seguito da una poesia vertente sul medesimo argomento: Nizâm al-durr al-maknûn fî hukm hirqat al-faqr al-masûn 26. La prima parte del testo costituisce una difesa della hirqa quale modo privilegiato di trasmissione dell’influenza spirituale profetica, angelica e divina. Quest’apologia della hirqa si fonda su un hadît autentificato da un isnâd chiamato ‘la catena d’oro’ (silsilat al-dahab), trasmesso segnatamente dal celebre tradizionista Abû Tâhir al-Silafî 27 e dal suo allievo, lo ŝayh Fahr al-Dîn al-Fârisî 28, entrambi originari dei dintorni di Ŝiraz, poi per via degli Ahl al-bayt fino ad ‘Alî b. Abî Tâlib:
“… L’Inviato di Dio – su di lui il rito unitivo e la pace divina – ha detto: ‘Allorché fui innalzato fino al settimo cielo, Gabriele – su di lui pace divina – mi prese la mano, dopo che Dio mi ebbe rivolto la parola e mi ebbe fatto entrare in Paradiso. Vi vidi un palazzo di giacinto in cui si trovava un cofano di luce, chiuso da una serratura di luce. Chiesi: “O amico mio, o Gabriele, che cos’è questo cofano?”. Rispose: “Esso contiene la tua gloria (fahru-ka) e la gloria della tua comunità dopo di te fino al Giorno della Resurrezione: contiene la veste di povertà (hirqat al-faqr)”. Quindi aprì il cofano, estraendone la veste di povertà e la indossò. Mi disse: “O Muhammad, Dio mi ha ordinato di fartela indossare. Non rimetterla che a colui che ne è degno”! ’”. ‘Alî b. Abî Tâlib aggiunge: “Fece girare questa veste per il Paradiso, dicendo: ‘La povertà è la mia gloria (al-faqr fahrî) e la gloria della mia comunità fino al Giorno della Resurrezione!’ ” (pagg. 3-4) 29.
L’autore aggiunge questo commentario in base all’autorità di Abû Tâhir al-Silafî: “La hirqa passò dal Profeta ad ‘Alî, ad Hasan al-Basrî, ad Habîb al-‘Aĝamî, a Dâwûd al-Tâ’î, a Ma‘rûf al-Harhî, a Sarî al-Saqatî, a Ĝunayd e, a partire da Ĝunayd, i maestri si suddivisero (tafarraqat al-maŝayh) 30”. Poco dopo, designa Ĝunayd come “colui dopo il quale tali vie (tarâ’iq) si ramificarono e gli uomini delle verità essenziali (riĝâl al-haqâ’iq) si divisero”. In quell’VIIII secolo dell’Egira, ci si ricollega, ricevendo la hirqa, ad una linea di maestri che si comincia a concepire quale via specifica. Da Ĝunayd sono usciti i grandi maestri: ‘Abd al-Qâdir al-Ĝîlânî 31, al-Rifâ‘î, Abû Madyan, al-Suhrawardî, Ibn al-‘Arabî, Abû Hâmid ed Ahmad al-Ġazâlî, al-Kâzarûnî, e Naĝm al-Dîn al-Kubrâ. Al-Raddâd enumera così, tramite questi personaggi, le principali vie di trasmissione del tasawwuf, inglobate in una certa rappresentazione della hirqa che ha certamente ricevuto dal proprio maestro.
Insiste sul fatto che c’è, fin dalle origini, trasmissione iniziatica formale, contrariamente a coloro che ritengono che all’inizio ci fosse soltanto il compagnonaggio:: “Quelli che hanno realizzato la verità fra i maestri ed i sapienti sono concordi nel dire che la trasmissione (al-yad) fra il Profeta e lo ŝayh al-Ĝunayd fu una trasmissione di compagnonaggio, di formazione spirituale (adab) e di investitura (lubs) di mano in mano (min yad li-yad) 32” (pag. 5).
Questa rappresentazione si basa nel contempo su una concezione formale e rituale e su un altissimo significato del ricollegamento iniziatico, espresso parimenti in un’altra tradizione, già riportata da Suhrawardî. Secondo quest’ultima, la hirqa trae la sua origine dalla tunica di Giuseppe, veste paradisiaca con la quale Abramo era stato rivestito da Gabriele quand’era stato gettato nella fornace da Nemrod. Si ritrova qui il senso dell’espressione coranica “la veste di pio timore (e protettrice)” (libâs al-taqwâ), citata da Ibn al-‘Arabî nel suo Nasab al-hirqa. Al-Raddâd aggiunge, a ciò, “il nobile segreto ed il senso sottile” connesso alla hirqa che, se fosse svelato, “farebbe cadere tutti gli intermediari ed annullerebbe ogni ricollegamento” (pag. 7). In tal modo allude al fatto che l’intermediario, Gabriele, il Profeta o Maestro, non è, dal punto di vista della trasmissione iniziatica, che il velo trasparente della teofania espressa nel versetto: «In verità, quei che stringon patto con te, lo stringono in realtà con Dio; la mano di Dio è sopra la loro…» (Corano XLVIII 10).
Nella seconda parte del trattato, l’autore enumera le cinque hirqa che ha ricevuto per il tramite del suo maestro Abû-l- Ma‘rûf Ismâ‘îl b. Ibrâhîm al-Ĝabartî (722-806/1322-1403) 33 e che egli considera uno dei più importanti della sua epoca: quella di ‘Abd al-Qâdir al-Ĝîlânî, con numerose vie, una delle quali trasmessa da Fâtima, la figlia di Qutb al-Dîn al-Qastallânî – trasmissione di una via tramite una donna merita di essere segnalata -; quella di Ahmad al-Rifâ‘î, di Ŝihâb al-Dîn al-Suhrawardî, di Abû Madyan con la mediazione del suo discepolo andaluso Abû Ahmad Ĝa‘far Ibn Sîd Bûnu ed, infine, quella di Ibrâhîm al-Kâzarûnî.
La terza parte tratta di alcune regole e significati della hirqa. Riprende, seguendo il Suhrawardî delle ‘Awârif al-ma‘ârif, la distinzione fra un ricollegamento che impegna totalmente il discepolo (hirqa irâda) o che gli permette semplicemente d’identificarsi con la Gente della Via (hirqa taŝabbuh) o, in altri termini, il ricollegamento che permette d’accedere alla conoscenza (hirqa ta‘rîf) e quello che onora semplicemente colui che ne beneficia (hirqa taŝrîf). Sebbene ritenga che la hirqa sia essenzialmente una, ne propone comunque una gerarchia ternaria:
- al-hirqa al-maĝâziyya, ovvero ‘metaforica’, o hirqa al-ta’lîf, iniziazione dei simpatizzanti che cercano di assomigliare alla Gente della Via e grazie alla quale si familiarizzano (ya’lafûn) con ciò che possono afferrare della Via (maŝâhid al-tarîq);
- al-hirqa al-ĝawâziyya, ovvero ‘di passaggio’, o hirqa al-ta’rîf, iniziazione effettiva in virtù della quale i discepoli prendono conoscenza delle prove e della guida e dell’assistenza divine;
- al-hirqa al-iĝâziyya, ovvero ‘di permesso’, (o di licenza, che fa passare), o hirqa al-tasrîf, (che conferisce u potere), destinata a quelli che guidano sulla Via e chiamano a Dio …
Seguono alcune considerazioni sui diversi abiti che possono fungere da hirqa, sulle virtù benefiche e protettrici di questa e qualche osservazione sul sufismo, di cui la hirqa è, in definitiva, veicolo e simbolo.
Si può citare, per fare un paragone, l’opera dell’hanbalita damasceno Ŝams al-Dîn Muhammad b. Abî Bakr Ibn Nâsîr al-Dîn (777-842/1375-1438) 34: Iftâ’ hurqat al-hawba bi-ilbâs hirqat al-tawba 35 (Placamento del bruciore del peccato per mezzo del rivestimento della veste del pentimento). Il titolo stesso rivela un orientamento differente rispetto al trattato precedente. Come al-Raddâd, tuttavia, difende la trasmissione ininterrotta tramite l’investitura della hirqa e, come lui, riceve le cinque hirqa, da Ĝîlânî,. Rifâ‘î, Abû Madyan, Suhrawardî e Kâzarûnî. Tuttavia, hanbalita ed ammiratore di Ibn Taymiyya 36 e basandosi sull’autorità di quest’ultimo, proclama la superiorità della hirqa qâdiriyya. Come in al-Raddâd ed in Ibn Mulaqqin, si ritrovano, in questo testo, numerosi isnâd e catene di trasmissione che convalidano l’autorità di quelle trasmissioni e rivelano l’appartenenza dei grandi ‘ulamâ’ dell’epoca mammalucca al tasawwuf e lo stretto legame fra hirqa e trasmissione dell’hadît.
Questo legame è illustrato parimenti dal trattato di Burhân al-Dîn Ibrâhîm b. ‘Alî b. Ahmad Ibn Burayd al-Dayrî al-Halabî tumma al-Qâhirî tumma al-Dimaŝqî al-Ŝâfi‘î al-Qâdirî (816-880/1413-1475) 37; Miftâh al-matâlib wa ruqyat al-tâlib 38. L’autore ha ricevuto la hirqa di Ĝîlânî dal suo maestro ‘Abd al-Rahmân b. Abû Bakr b. Dâwûd al-Hanbalî al-Qâdirî (m. 856-1452) 39 e per altre vie. Evoca, a tal proposito, la presenza della Qâdiriyya al Cairo.Ha ricevuto, allo stesso tempo, una via che risale ad ‘Izz al-Dîn al-Fârûtî, oltre alla hirqa qâdiriyya, alla ahmadiyya ed alla suhrawardiyya. Per quanto si faccia eco delle critiche rivolte alle catene di trasmissione della hirqa da parte di tradizionisti come al-Dahabî, non sembra farle proprie e, come gli autori precedenti, evoca le esigenze spirituali che gli sono connesse. Precisa, segnatamente, quali debbano essere le qualità dei maestri nonché le conoscenze che devono abbracciare. Distingue la trasmissione della hirqa e quella del dikr (talqîn al-dikr), che egli stesso ha ricevuto dallo ŝayh Madyan b. Ahmad b. ‘Umar al-Aŝmûnî (m. 861-1443) 40.
Alla fine dell’epoca mammalucca, il trattato di Ĝalâl al-Dîn Ahmad b. M. al-Karakî (m. 912-1506) 41, Nûr al-hadaq fî lubs al-hiraq 42, “La luce delle pupille nell’investitura delle hirqa” segna nel contempo continuità ed evoluzione. L’autore riprende, nell’introduzione, qualche citazione dal Nasab al-hirqa nonché altri passi d’Ibn ‘Arabî e riferisce di una tradizione sull’origine paradisiaca della hirqa: sarebbe stata portata da Gabriele ad Adamo dopo la caduta, in segno di accettazione del suo pentimento e del gradimento divino. Allo stesso modo, il discepolo ritrova in questa veste il soffio sottile del suo maestro. La hirqa è riposta in una visione della santità che prolunga la profezia tramite “le vie della catena” (turuq al-silsila) che annuncia già il modo in cui saranno considerate le vie nella loro globalità in epoca ottomana: “I santi sono protetti poiché sono un ramo della profezia che è infallibile, in quanto è un ramo della missione profetica Lo ŝayh è protetto nel suo ‘istante’ (waqt) poiché tiene fra le mani le vie della catena confermata dall’assistenza di Dio” (f. 5b).
L’autore, in séguito, elenca numerose hirqa che ha ricevuto dal suo maestro Ŝams al-Dîn M. b. ‘Alî b. Abî Bakr al-Bakrî, che risiedeva ad al-Husayniyya, al Cairo 43 e questi dal suo maestro Abû-l-Fath M. b. Halîl b. Ibrâhîm al-Mâlaqî, nonché da altri maestri. La prima hirqa menzionata è quella di Abû-l-Su‘ûd Ibn Abî ‘Aŝâ’ir (m. 644) 44. Oltre a quest’ultima, si enumerano dieci hirqa, la maggior parte delle quali trasmesse tramite più vie e risalenti ai seguenti ŝuyûh: ‘Abd al-Qâdir al-Ĝîlânî, Ahmad al-Rifâ‘î, Abû Madyan, Abû-l-Haĝĝâĝ, Ahmad al-Badawî, al-Suhrawardî, Ibrâhîm al-Disûqî, al-Ŝâdilî, Yûsuf al-Kûrânî, Muhammad Wafâ’. Le vie non sono ancora enumerate come tali, ma sempre con il tramite di una hirqa. Esse, nondimeno, riflettono una certa forma d’istituzionalizzazione. Le tradizioni riportate in merito di Abû-l-Haĝĝâĝ al-Uqsurî e di Ahmad al-Badawî nonché la menzione, a proposito di quest’ultimo, dei Sutûhiyya, riflettono la costituzione di una rete che può già esser qualificata come di confraternita. I titoli di ŝayh maŝâyh al-sâdât al-burhâniyya a proposito di Nûr al-Dîn ‘Alî al-Abûdarî dimostrano chiaramente che per certe vie per lo meno una certa forma di organizzazione piramidale ha già avuto luogo.
Per quel che concerne questo tipo di trattato, d’altronde, si constata un’interferenza, già sensibile all’inizio ed ancora molto di più in séguito alla trasmissione per opera interposta, senza dubbio a causa dell’influenza dell’hadt e della pratica della munâwala, consistente nel consegnare a qualcuno un’opera insieme alla trasmissione delle tradizioni ch’essa contiene. Si può constatare questo fatto grazie alla menzione del testo di Qastallânî e delle catene di trasmissione menzionate da Ibn Mulaqqin nelle sue Tabaqât al-awliyâ’ oppure di personaggi chiave quali Ismâ’îl al-Ĝabartî. Questa constatazione rafforza l’impressione che la moltiplicazione di queste hirqa rifletta da un lato una certa modalità di relazione in seno al mondo degli ‘ulamâ’, da un altro la diffusione di una certa spiritualità e di modelli di santità che impegnavano esclusivamente coloro che seguivano effettivamente la formazione iniziatica di un maestro.
Nel caso di Karakî, senza peraltro che questi lo esprima chiaramente, è evidente che attraverso la mediazione di suo padre Hayr al-Dîn e dello ŝayh al-Abûdarî, è stato prima di tutto educato e formato nella via di Ibrâhîm al-Disûqî. Se la hirqa veicola nel suo principio l’essenziale degli insegnamenti del sufismo, come gli autori tengono a ricordare, cionondimeno essa assai spesso non ne resta che l’aspetto esteriore, benefico certo ma necessitante d’essere corroborato da un impegno autentico presso un maestro della via. Questa riserva, emessa a proposito di quest’opera ma che può essere applicata anche a molte altre, spiega al tempo stesso l’interesse di questo genere di fonti colme d’informazioni sull’ambiente degli ‘ulamâ’, nonché la loro relazione col sufismo. Si viene a sapere, così, che al-Mâlaqî ha ricevuto la hirqa qâdiriyya da Maqrîzî il quale, a sua volta, l’ha ricevuta da Ibn Mulaqqin tramite una trasmissione hanbalita risalente a Muwaqqaf al-Dîn Ibn Qudâma, quindi per la stessa via di Ibn Taymiyya. Il Nûr al-hadaq meriterebbe uno studio a parte per le numerose informazioni che contiene su ogni tipo di personaggi.
L’appartenenza e la destinazione dei trattati di hirqa nell’ambiente dei sapienti trovano la loro illustrazione nell’opuscolo di Suyûtî (849-911/1445-1505), scritto per un discepolo: Sanad Ĝalâl al-Dîn al-Suyûtî bi-lubs al-hirqa al-talqîn wa-l-suhba 45. Il testo comincia direttamente così: “Ho indossato la hirqa benedetta dello ŝayh Kamâl al-Dîn Muhammad b. M. ‘Abd al-Rahmân al-Misrî al-Ŝâfi‘î, conosciuto come Ibn Imâm al-Kâmiliyya, alla Mecca, davanti alla Ka‘ba, nell’anno 869, su sua indicazione ed in base ad un’iniziativa nata da lui, poiché non mi era venuto in mente che potessi esserne degno. Mi diede il permesso di rivestirne chi volevo. Lo scrisse di sua mano, dicendo: ‘Ho ricevuto la hirqa da un bel po’ di persone, fra cui…’ ”.
Sono menzionati due ŝuyûh: Ŝams al-Dîn M. Ibn al-Ĝazarî (m . 833/1429), noto soprattutto per le sue opere sulle letture del Corano, che trasmette tramite la via di ‘Izz al-Dîn Ahmad al-Fârûtî, le hirqa ahmadiyya (rifâ‘iyya) e suhrawardiyya – come s’è già visto – e Taqî al-Dîn al-Ŝimanî, che gli trasmette parimenti la hirqa di Suhrawardî, quella di Abû Madyan ed ancora quella di Suhrawardî, con Qastallânî quale intermediario. Dopo questa iĝâza, Suyûtî cita diversi aforismi e punti di vista sulla hirqa, fra cui quello famosissimo di Ibn al-Salâh, che riteneva che le condizioni della trasmissione della hirqa fossero meno esigenti di quelle dell’hadît. In questo filone, Suyûtî ha composto un altro testo breve, intitolato: Ithâf al-firqa 46 bi-rafw-l-hirqa (La gratificazione del gruppo grazie alla rammendatura dell’abito vecchio) 47, ove si impegna a dimostrare che al-Hasan al-Basrî ha incontrato davvero ‘Alî b. Abî Tâlib, ricevendone l’insegnamento, contrariamente all’opinione dei tradizionisti i quali, in tal modo, invalidano la catena di trasmissione della maggioranza delle hirqa.
Così, con Suyûtî ed altri prima di lui, il cerchio si chiude: la hirqa si è modellata sull’hadît e l’hadît viene in aiuto della hirqa. Quest’ultima è diventata affare dei sapienti, riflettendo pertanto solo parzialmente la realtà storica del sufismo dell’epoca. La via di Abû Madyan, per esempio, è sempre presente nell’Egitto del IX/XV secolo? Basandosi in parte su una tradizione libresca, la letteratura della hirqa conserva un’eredità ed una memoria che rivivifica per mezzo di una ritrasmissione diretta, come le raccolte di ahâdît. Essa assume, nondimeno, una funzione vitale – e Suyûtî ne è la dimostrazione perfetta – contribuendo a modellare, per tutta l’epoca ayyûbide e mammalucca, ed anche oltre, un tipo di sapiente musulmano rigoroso in materia di giurisprudenza, più o meno in materia di hadît e più elastico ed aperto in materia di spiritualità, ricettivo alla presenza dei santi per vivificare la scienza della Legge.
Menzioniamo ancora, in questa fine d’epoca mammalucca, un contemporaneo damasceno di Suyûtî, come lui autore prolifico, Ĝamâl al-Dîn Yûsuf b Hasan b. ‘Abd al-Hâdî, noto come Ibn al-Mibrad (848-909/1444-1503) 48 ed il suo trattato: Bad’ al-‘ulka bi-lubs al-hirqa (L’inizio della via per mezzo dell’investitura della hirqa) 49. Rappresentativo della tradizione hanbalita siriana, si riferisce ad Ibn Taymiyya, cita abbondantemente il suo predecessore Ibn Nâsir al-Dîn e la sua opera Itfâ’ hurqat al-hawba, nonché Qastallânî ed anche Abû Mûsâ al-Madînî, l’autore di Istid‘â’ min al-libâs min kibâr al-nâs 50.
L’autore ha ricevuto innanzi tutto la hirqa qâdiriyya grazie a tre ŝuyûh qâdiri ed hanbaliti. Nomina, ma senza esserne stato rivestito direttamente, la hirqa bistâmiyya 51. Conclude il suo trattato con un ritorno alla trasmissione per il tramite del compagnonaggio e la formazione spirituale (adab) usando, a proposito di uno dei suoi maestri, la seguente formula: ta’adabbtu bi, “sono stato formato spiritualmente da” Abû Hafs ‘Umar al-Lu’lu’î. Tramite questo ŝayh ed altri due intermediari, risale ad Ibn Raĝab, Ibn Qayyim al-Ĝawziyya ed Ibn Taymiyya e, da là, fino ad Ibn Qudâma, ‘Abd al-Qâdir al-Ĝilânî ed Ibn al-Ĝawzî, riuniti qui tutti insieme, un po’ loro malgrado. La hirqa si confonde, in questo caso, con la tradizione hanbalita, veicolo, qui, d’una spiritualità parzialmente condivisa ma alquanto differenziata, a seconda della modalità d’appartenenza dei suoi membri al tasawwuf.
Al termine della presentazione di questi documenti e trattati composti fra il XII ed il XV secolo, bisogna rilevarne le caratteristiche principali ed interrogarsi sull’immagine e la realtà del sufismo che riflettono, per apprezzarne le continuità e le evoluzioni fra il XVI ed il XVIII secolo.
Questa letteratura è apparentata, in parte, a quella dei mu‘ĝam al-ŝuyûh, fahrasa, tabt, in cui un autore fornisce un elenco dei suoi maestri e dei suoi permessi (iĝâza) 52. La differenza, nel caso della hirqa, nasce dal fatto che la trasmissione concerne unicamente un’influenza spirituale risalente al Profeta e trasmessa per vie diverse. Come si è constatato, e sebbene ciò non sia stato spiegato, certi trattati di hirqa, in particolare quello di Qastallânî, hanno potuto fungere da veicolo di trasmissione. In ciò, la trasmissione delle vie spirituali segue in parte il modello di quella dell’hadît, soprattutto quando gli autori, come gli hanbaliti o Suyûtî, sono degli specialisti in quest’ultima scienza. Gli autori, consci delle incertezze storiche incombenti su certe trasmissioni, soprattutto fra le prime generazioni dopo l’epoca dei Compagni, precisano con cura che le esigenze in materia di trasmissione iniziatica non sono le stesse 53.
Nell’esposizione delle ramificazioni delle catene iniziatiche si ritrova, parimenti, il procedimento di derivazione (tahwîl), consistente nell’esporre un primo lignaggio e poi un secondo, innestandosi ad uno dei trasmettitori del primo e partendo in una nuova direzione. Grazie a questo espediente, una hirqa può presentarsi tanto in maniera lineare, quanto nella maniera di un albero genealogico, avente ramificazioni e derivazioni molteplici. Queste ramificazioni corrispondono alla realtà delle vie fondate dai maestri, tali quali sono attestate da altre fonti, segnatamente quelle agiografiche? Numerose hirqa appaiono sia come trasmissioni da maestri a discepoli, sia da maestri a maestri. Se si segue la classificazione di Suhrawardî, queste trasmissioni sembrano appartenere nella maggior parte dei casi alla hirqat al-tabarruk, come quelle trasmesse a Qastallânî quand’era ancora giovanissimo54.
Si constata, allo stesso tempo, che certi personaggi, come Ismâ’îl al-Ĝabartî, svolgono un ruolo di demoltiplicazione delle hirqa, trasmettendo allo stesso discepolo l’insieme di quel che hanno ricevuto. È chiaro, in base a ciò, che non si tratta, nella maggioranza dei casi, della trasmissione da maestro a discepolo, che fa del secondo il successore del primo nell’iniziazione e nella formazione spirituale, che va a sfociare nella costituzione delle vie in quanto tali, caratterizzate da una catena e da un insieme di pratiche specifiche. È importante osservare che i trattati che integrano la trasmissione di una via in una visione più larga della trasmissione iniziatica della Via, come quelli di al-Raddâd o di Karakî, cominciano a classificare la hirqa in una maniera che preannuncia le future classificazioni della tarîqa. Quelle che Karakî elenca riflettono una certa realtà del sufismo egiziano del suo tempo, dato che ci si trovano la hirqa di al-Badawî e quella di Ibrâhîm al-Disûqî.
Tuttavia, è doveroso riconoscere che se i trattati di hirqa preannunciano le future turuq, sarebbe scorretto pensare ch’essi descrivono la realtà dell’insieme delle vie del sufismo nell’area geografica e l’epoca in cui sono stati composti. Essi sono, piuttosto, l’eco di una pratica di affiliazione multipla, frequente nell’ambiente dei maestri e di alcuni loro discepoli e largamente accettata dall’ambiente degli ‘ulamâ’. Senza confondersi, queste due sfere si sovrappongono e s’interpenetrano, facendo della hirqa,come abbiamo già osservato, il lato interiore della trasmissione profetica. In ciò risiede tutto il suo interesse, nonché i suoi limiti.
Epoca ottomana
Bisogna vedere in Ŝa‘rânî (898-973/1493-1565) il personaggio chiave della transizione fra l’epoca mammalucca e quella ottomana, il doppio contrassegno della continuità e del cambiamento? Nell’introduzione alle sue Anwâr al-qudsiyya, continua a distinguere la trasmissione (talqîn) del dikr dall’investitura della hirqa 55. Entrambe, però, passano per la stessa via, quella della Suhrawardiyya egiziana tramite Nûr al-Dîn al-Natanzî e di Yûsuf al-Kûrânî, a parte il fatto che Ŝa‘rânî riceve il dikr dagli ŝuyûh Muhammad al-Sarwî ed ‘Alî al-Marsafî, così tramite questi due maestri, attraverso Muhammad al-Ŝinnâwî ed anche da Zakariyâ al-Ansârî, mentre è stato rivestito della hirqa solo da quest’ultimo. Sebbene avesse conosciuto egli stesso numerosi maestri, si ha l’impressione che l’autore, in questo manuale pratico del sufismo, voglia mostrare ai suoi discepoli l’esempio di una via unica, ricevuta e trasmessa da lui.
Più o meno un secolo dopo Ŝa‘rânî, Safî al-Dîn Ahmad b. M. b. Yûnus al-Daĝânî al- Quŝŝâŝî (991-1071/1583-1661) 56 dedica, nel suo Simt al-maĝid 57, un passo intitolato “La nostra catena di trasmissione nell’investitura (della hirqa), il patto iniziatico e dell’insegnamento del dikr” (sanadu-nâ bi-l-ilbâs wa-l-bay‘a wa-l-talqîn) ai numerosi ricollegamenti che ha ricevuto dal padre e da uno ŝayh egiziano installatosi a Madîna, Ahmad al-Ŝinnâwî (m. 1024E), pronipote del maestro di Ŝa‘rânî. Dal primo, riceve le vie ahmadiyya (Rifâ‘iyya), ŝâdiliyya e qâdiriyya dallo Yemen, il che induce l’autore ad evocare i libri di al-Raddâd e di Nâsir al-Dîn, più o meno inclusi in questa ricezione/trasmissione dell’influenza spirituale grazie alle opere di hirqa, come si è già constatato.
Riceve, parimenti, da suo padre la Suhrawardiyya egiziana, come Ŝa‘rânî tramite ‘Alî al-Marsafî. Descrive Ŝinnâwî come uno che “riunisce le catene (salâsil) dell’Ahmadiyya (Badawiyya), Ŝâdiliyya, Rifâ‘iyya, Qâdiriyya, Rifâ‘iyya (bis), Quŝayriyya, Naqŝabandiyya e tutte le hirqa risalenti a Ĝunayd, Hadiriyya, Ilyâsiyya, Uwaysiyya, Giŝtiyya, Firdawsiyya” (pag. 65). I libri svolgono qui, una volta di più, un ruolo nella trasmissione:quello del suo maestro, Bay‘at al-itlâq wa talqîn al-dikr wa-l-musâfaha wa-l-muŝâbaka 58, ma soprattutto quello d’un maestro più antico, Muhammad Ġawt, nel suo libro al-Ĝawâhir al-hams, ove sono riportate quattordici catene di trasmissione contenute in altre due opere: al-Daraĝât al-Ittisâl bi-l-ġawt. Ciò equivale a riconoscere quante vie comincino ad essere oggetto d’una letteratura specifica ove la loro enumerazione, anche se concerne eminentemente il ricollegamento dell’autore, cominci a prevalere sulla trasmissione propriamente detta.
Si tratta soprattutto di vie orientali, di cui la letteratura del Vicino Oriente non tiene conto generalmente e la cui ricezione è stata resa possibile dalla presenza dell’autore e del suo maestro a Medina o alla Mecca. Si tratta, nel complesso, di vie indiane oppure di branche indiane di certe vie originarie dell’Iran e dell’Asia centrale: Ŝattâriyya, Ĝiŝtiyya, Ĝiŝtiyya (bis), Firdawsiyya (branca della Kubrawiyya), Suhrawardiyya (indiana), Suhrawardiyya (bis), Qâdiriyya, Tayfûriyya (Ŝahmadâriyya), Uwaysiyya, Firdawsiyya (bis), Halwatiyya, Hamdâniyya (branca della Suhrawardiyya), Naqŝabandiyya.
Che dire della hirqa che risale ad Ibn al-‘Arabî passando, fra gli altri, per Ŝa‘rânî, Suyûtî, il maestro di quest’ultimo nel suo Sanad, Ibn Imâm al-Kâmiliyya, Ŝams al-Dîn al-Ġazârî, un intermediario e quindi ‘Izz al-Dîn al-Fârût, vicino a Wâsit, personaggio chiave che si ritrova nella trasmissione di diverse vie? Dopo la menzione di Ibn ‘Arabî stesso, la staffetta riprende grazie al Nasab al-hirqa che diventa, da quel momento, il supporto della trasmissione. Pur citando l’affermazione di Ibn ‘Arabî in base alla quale la hirqa non risale oltre i maestri degli inizi del IV secolo dell’Egira, Quŝŝâŝî cionondimeno difende la sua continuità fino al Profeta, appoggiandosi a Suyûtî ed altri, il che mostra quanto tale questione preoccupasse ancora gli ambienti degli ‘ulamâ’ ricollegati al tasawwuf. Questo passo del Simt al-maĝîd, insomma, perpetua in parte la forma e l’argomento dei trattati di hirqa dell’epoca mammalucca, mettendo l’accento precisamente sulle vie, sbocco naturale delle trasmissioni precedenti.
Hasan b. ‘Alî al-‘Uĝaymî (1049-1113/1639-1702) 59, discepolo di Quŝŝâŝî, proveniente da una famiglia yemenita installatasi alla Mecca, compone un’epistola raggruppante quaranta vie: Risâlat al-turuq o Risâlat fî-l-turuq (al-sûfiyya), secondo gli autori 60. Non abbiamo avuto accesso diretto a questo testo, conservato in al-Salsabîl al-ma‘în fî-l-tarâ’iq al-arba‘în, “La fonte pura di Salsâbil sulle quaranta vie”, di Muhammad al-Sanûsî (1202-1276/1787-1859) 61, che lo cita sicuramente per intero 62. L’opera è simile a quelle del genere sulla hirqa, come il Simt al-maĝîd, dato che ‘Uĝaymî cita a più riprese la trasmissione ricevuta dal suo maestro, principalmente tramite Ahmad al-Ŝinnâwî. Egli, però, esce da questa cornice, facendo della sua epistola una specie di sintesi fra la trasmissione propriamente detta , l’eredità iniziatica di certi grandi maestri e le vie identificate come tali.
Non distingue più fra la trasmissione della hirqa ed il talqîn al-dikr e dettaglia determinate forme d’invocazioni specifiche come quelle dei Qalandariyya o quelle attribuite ad Hallâĝ. L’opera, all’inizio, risale all’origine delle vie: la Siddîqiyya che si ricollega ad Abû Bakr; la Uwaysiyya, ovvero ricezione dell’influenza spirituale di un maestro deceduto attraverso la sua entità spirituale (rûhâniyya), sul modello di Uways al-Qaranî; egli fornisce quale esempio il ricollegamento del suo maestro attraverso la rûhâniyya di Ibn al-‘Arabî ed evoca, in aggiunta, l’iniziazione conferita da al-Hadir. Poi cita la via di al-Ĝunayd, di cui dà in dettaglio i principi fondamentali e comincia, subito dopo, l’enumerazione delle vie. Queste, tuttavia, non si riducono a quel che generalmente s’intende con tarîqa. Egli, infatti, dedica tutto uno sviluppo alla “via dei maestri, depositari fedeli, gente del biasimo” (tarîq al-sâda al-umanâ’ al-malâmiyya). Si tratta, con ogni evidenza, d’un tipo spirituale, illustrato qui da Dû-l-Nûn al-Misrî ed Abû Yazîd al-Bistâmî, nonché della trasmissione di certi libri di Sulamî.
La classificazione delle vie identificabili storicamente non segue un ordine chiaro, tranne per il fatto che la menzione di determinate turuq è seguita da quella delle loro ramificazioni, come la Kubrâwiyya, che dà origine alla Hamadâniyya, alla Rukniyya e la Nûriyya o la Ŝattariyya indiana, prolungata dalla Ġawtiyya e la ‘Iŝqiyya. Si trovano, così, delle vie che non sono altro che l’illustrazione dell’insegnamento di certi grandi maestri dell’epoca classica e che non hanno, di fatto, originato alcuna trasmissione: la via di Ibn Hafîf, di Harrâs e di Sahl al-Tustârî. La scelta di queste quaranta vie non corrisponde, quindi, ad una visione diacronica o sincronica della diffusione del sufismo, bensì ad una volontà di far coincidere con questo numero simbolico una tradizione di trasmissione (i quaranta ahâdît) e le diverse modalità della santità (i quaranta abdâl), veicolate tramite delle vie il cui nome rinvia spesso più ad un modello che non ad fondatore.
Bisogna ricordare, qui, un’altra opera di ‘Uĝaymî, il Habâyâ al-zawâyâ (I recessi occulti delle zawâyâ) 63. Questo testo reca una testimonianza eccezionale sulla vita spirituale ed intellettuale nella Mecca del XVII secolo, nella quale si incontrano e talvolta si stabiliscono ŝuyûh ed ‘ulamâ’ del Vicino Oriente, dell’Occidente e dell’Oriente islamici. L’autore enumera, nella prima parte, un certo numero di zawâyâ, di tombe di santi o di vie presenti alla Mecca menzionando, il più delle volte, la hirqa ricevuta dai maestri residenti in quei luoghi e, nel caso delle tombe, dei loro successori. Oltre a preziose annotazioni topografiche, biografiche ed agiografiche, questo testo composto in un luogo privilegiato testimonia della circolazione degli uomini e della spiritualità di cui sono portatori.
L’autore ha conosciuto maestri originari del Marocco, dell’Egitto, dello Yemen, dell’Iran, dell’Asia centrale e soprattutto dell’India. Dal punto di vista della trasmissione, questo testo, come il precedente e quello di Quŝŝâŝî, rappresenta un periodo di transizione nel quale la pratica della hirqa conserva tutta la sua realtà, nonché quella, sempre distinta e correlata, del talqîn al-dikr ma dove le vie, a causa della loro diffusione nel tessuto urbano, sono ben identificate. La presenza ottomana si fa sentire, relativamente discreta, con la Takkiyya Gulŝaniyya e la Takkiyya Mawlawiyya. Questa fonte, dunque, potrebbe costituire il punto di partenza per uno studio sul sufismo nella Mecca del XVII secolo. Essa potrebbe, inoltre, dar luogo ad una ricerca sulla cultura religiosa di un sapiente quale è l’autore che enumera, nella seconda parte, i suoi maestri e le numerosissime iĝâzât ricevute dagli uni e dagli altri. C’è una mole ragguardevole di informazioni bio-bibliografiche da sfruttare. Nel quadro di questo studio, questa seconda parte attesta il legame forte fra hirqa ed iĝâza nella formazione di un sapiente che opera la sintesi delle scienze esoteriche ed essoteriche. Essa si presenta nella forma di un muĝ‘am, visto che i maestri vi sono elencati per ordine alfabetico, esattamente come le vie che cominceranno nei due secoli seguenti ad essere classificate con quel sistema.
Alla fine del XVIII secolo, nella Risâla fî lubs al-hirqa 64 di Murtadâ al-Zabîdî (1145-1205/1732-1791)65, l’assimilazione della hirqa alla tarîqa diviene evidente. L’autore situa quest’epistola incompiuta nel prolungamento di tutta la letteratura anteriore sull’argomento e menziona, nell’introduzione, diverse sue fonti: al-Qastallânî, al-Karakî, Ahmad b. Abdallâh Ibn Abî al-Futûh al-Tâwûsî e la sua Risâlat al-wasâ’it al-tamâniyya ilâ hadrat al-Mustafâ wa-l-turuq al-sab‘a ‘aŝar al-mutaŝa‘‘iba min tilka al-wasâ’it, nonché l’epistola di ‘Uĝaymî sulle quaranta vie. Constata che queste opere sono ben lungi dall’abbracciare tutte le vie, occidentali od orientali, che sono state oggetto di esame da parte della letteratura del tasawwuf , nonché le vite dei santi. Si propone, pertanto, di riunire e di menzionare queste vie una dopo l’altra (turuqan turuqan).
La sua concezione della via è ancor più ampia e comprensiva di quella di ‘Uĝaymî. Egli include tanto le tawâ’if del Marocco citate da Ibn Qunfud nel suo Uns al-dikr quanto le vie attribuite, un po’ come ha fatto Huĝwirî nel suo Kaŝf al-mahĝûb, ai grandi maestri del sufismo. Avendo in mente la memoria della tradizione e della cultura araba-islamica, Zabîdî mira a riunire la doppia eredità dei libri e della trasmissione diretta degli ŝuyuh. Il suo principale maestro, per l’investitura della hirqa e per il talqîn al-dikr è, come lui, d’origine yemenita: Waĝîh al-Dîn ‘Abd al-Rahmân b. Mustafâ al-‘Aydarûs, della famiglia dei Bâ ‘Alawî dell’Hadramaut (1135-1181/1723-1779) 66. L’isnâd della hirqa riunisce più trasmissioni: passa innanzi tutto per Ibrâhîm al-Kûrânî, poi per Quŝŝâŝî e, da là, per Ŝa‘rânî, che l’ha ricevuta per tre vie differenti: quella di Zakariyyâ al-Ansârî, quella di Suyûtî, che risale, passando per Ibn al-‘Arabî, fino a Ĝîlânî e quella di ‘Alî b. ‘Abd al-Dâkir, anche’essa ricollegata a Ĝîlânî, da Suyûtî, un’altra via che passa per Ibn Haĝar al-‘Asqalânî ed Ismâ’îl al-Ĝabartî e risale su su fino a Quŝayrî e così via.
Quanto alla catena del talqîn al-dikr, essa ricollega l’autore a Suhrawardî per diverse vie. Un’altra via, più rara, che passa per il suo maestro, lo ricollega ad Ibrâhîm al-Kûrânî, ‘Abd al-Qâdir al-Fâsî ed Ahmad al-Maqqarî e, proseguendo, fino ad Abû-l-Naĝâ Sâlim, ad Ibn al-‘Arîf ed a Ĝunayd, con il tramite di Ibn al-‘Arabî, il che mostra chiaramente che questo tipo di trasmissione, ancora in un’epoca così tarda, non corrisponde necessariamente alle vie identificate come tali. Dopo qualche insegnamento sul dikr, comincia una lista delle turuq classificate per ordine alfabetico. L’opera, lasciata incompiuta, non va oltre la menzione delle tre vie il cui nome inizia con la lettera alif.
Zabîdî, però, ha ripreso la sua opera in un altro trattato, l’‘Iqd al-ĝawhar al-tamîn fî dikr wa turuq al-ilbâs wa-l-talqîn 67. L’opera comincia, come la precedente, con la menzione della letteratura anteriore, seguita da un insegnamento sul dikr, ispirato in parte dal Miftâh al-falâh d’Ibn ‘Atâ’ Allâh al-Iskandarî. Le vie sono, poi, elencate per ordine alfabetico dalla lettera alif fino alla lettera yâ’. Si tratta, dunque, d’un mu‘ĝam nel doppio senso di dizionario e di autobiografia, in questo caso iniziatica, visto che l’autore menziona la via per mezzo della quale ha ricevuto ognuna di queste vie, essenzialmente, tramite il suo maestro al-‘Aydarûs.
In conclusione, questo trattato assume la forma di una iĝâza in cui l’autore autorizza a trasmettere quelle vie non soltanto ad alcune persone, fra le quali il commendatario del libro ma, parimenti, ad ogni lettore, a condizione che osservi un comportamento degno d’una tale trasmissione 68. I differenti collegamenti meriterebbero uno studio più approfondito; così, per esempio, il primo, con la Ahmadiyya, risale ad Ahmad al-Badawî; curiosamente, Zabîdî riconduce questa via alla Ŝâdiliyya. Alla lettera tâ’, enumera un insieme di turuq che portano il nome di diversi ŝuyûh e rappresentanti della spiritualità islamica.
Un procedimento come questo sta ad indicare una quasi-identificazione dell’eredità del tasawwuf con le turuq. Queste ultime, tuttavia, non sono affatto identificate con le “confraternite”, cioè la dimensione sociale ed orizzontale del tasawwuf ma, al contrario, con vie di trasmissione, a degli isnâd che autentificano il legame di queste vie con i maestri fondatori e, tramite essi, alla fonte profetica. Ciò è tanto più vero in quanto un autore come Zabîdî, esattamente come i suoi continuatori del XIX secolo, non cerca di raggruppare le turuq per grandi famiglie, ma in base alle loro ramificazioni. La nozione di tarîqa risalente ad un fondatore eponimo non è assente, dato che precisa che tale via è una branca della Qâdiriyya, della Halwatiyya, della Naqŝabandiyya e così via. Ma quel che conta è la trasmissione e questa è, necessariamente, ramificata.
L’esempio di Zabîdî evidenzia la complessità dell’evoluzione di questa letteratura dedicata alla trasmissione iniziatica. L’emergere del termine tarîqa quale denominazione della trasmissione, ossia come identificazione con l’eredità spirituale del sufismo, non esclude totalmente il riferimento alla hirqa, che resta la forma dell’investitura iniziatica. Ci si è già interrogati sulla relazione fra questa letteratura e la realtà concreta delle vie. Si può concludere, nel caso di Zabîdî, che, componendo un dizionario alfabetico, riflette una tendenza del suo tempo, le cui avvisaglie si possono scorgere già nel corso del secolo precedente, esattamente come finisce con l’assimilare la hirqa dei sûfî all’iĝâza degli ‘ulamâ’, che si è potuto constatare durante l’epoca mammalucca.
Uno ŝayh turco contemporaneo di Zabîdî, Mustafâ Sidqî b Ibrâhîm al-Sîwâsî, conosciuto con il nome di Dabbâġzâdeh e soprannominato Mudarris (m. 1996-1782) 69 compone, nel 1277E, una classificazione ridotta delle vie, intitolata Kitâb al-tarâ’iq al-itnay ‘aŝar, “Il libro delle dodici vie” 70. Dopo alcune considerazioni sulla nozione di via e sul numero dodici, al quale riconduce l’insieme delle vie esistenti, propone un’enumerazione delle principali vie che riflettono senza dubbio la visione d’uno ŝayh turco-ottomano. Ha vissuto nei paesi arabi? La sua scrittura, comunque, non è quella d’un arabofono. L’ordine in base al quale enumera le vie non permette di sapere se scrive in un contesto turco-ottomano oppure arabo-ottomano. D’altra parte, intercala determinate tarâ’iq lasciate da parte per il carattere limitato del numero dodici.
È opportuno, infine, osservare che le vie sono designate generalmente in base al nome del loro fondatore: “la prima via: lo ŝayh ‘Abd al-Qâdir al-Ĝîlânî” e non la Qâdiriyya oppure, ancora, “l’esposizione degli stati dello ŝayh al-sayyid Ahmad al-Rifâ‘î” e non la Rifâ‘iyya, il che dimostra una volta di più che nello spirito dell’autore la via è prima di tutto quella d’un maestro fondatore e della sua influenza spirituale e non un’entità sociale. Contrariamente a Zabîdî, non si tratta più, qui, di trasmissione e neppure di hirqa tranne, curiosamente, a proposito d’Ibn ‘Arabî e della tarîqa Akbariyya, ove si ritrovano le differenti trasmissioni del Nasab al-hirqa, il che attesta una volta di più l’impatto di questo piccolo trattato sulla letteratura posteriore.
L’autore menziona anche, qui, una trasmissione tramite al-Ġazzâl ed Ibn al-‘Arîf, stranamente seguendo Ĝîlânî, senza dubbio un errore dovuto all’amalgama di diverse fonti. Si fa eco, inoltre, seguendo ‘Alî al-Qârî, di certi ‘errori’ d’Ibn ‘Arabî nei Fusûs al-hikam e nelle Futûhât, il che dimostra, al tempo stesso, il posto occupato da Ibn ‘Arabî nel sufismo dell’epoca ottomana ed il persistere delle polemiche intorno alla sua opera.
I principali maestri intercalati sono i seguenti:
1) Ĝîlânî; 2) Rifâ‘î; 3) Hawâĝah ‘Abd al-Hâliq al-Ġuĝduwânî = tarîqa Hwâĝegân; 4) Naĝm al-Dîn Kubrâ; 5) Ibn al-‘Arabî; 6) Suhrawardî + Ahmad Yasawî + Mu‘în al-Dîn al-Ĝiŝtî; 7) Ŝâdilî; 8) Hâĝî Bektâŝ; 9) Badawî; 10) Ĝalâl al-Dîn Rûmî + tarîqa Sa‘diyya = Sa‘d al-Dîn al-Ĝibâwî; 11) tarîqa Halwatiyya; 12) Naqŝabandiyya (differente dal n° 3?).
Si può constatare che alla fine della lista il termine tarîqa tende a prendere il sopravvento, conformemente ad un uso allora stabilito, come se l’autore fosse diviso fra la volontà di mantenere il riferimento al fondatore e l’uso del tempo.
Il XIX secolo ottomano, in Turchia in particolar modo ma non soltanto, come mostra la ripresa da parte di Sanûsî delle quaranta vie di ‘Uĝaymî, ha prodotto una letteratura relativamente abbondante sulle turuq. Il dizionario alfabetico dello ŝayh rifâ‘î turco Muhammad Kamâl al-Dîn Harîrî-zâdeh (1267-1299/1851-1882), Tibyân wasâ’il al-haqâ’iq fî bayân salâsil al-tarâ’iq, “La dimostrazione dei mezzi d’accesso alle realtà divine tramite l’esposizione delle catene delle vie” 71, costituisce il termine eloquente di una lunga evoluzione. Di dimensioni più ridotte, il Kitâb al-turuq al-sûfiyya bi-l-diyâr al-misriyya 72, composto da un autore anonimo su richiesta del naqîb al-aŝrâf e responsabile della maŝyahat al-turuq al-sûfiyya, Muhammad Tawfîq al-Bakrî (m. 1932) 73, riproduce il modello delle 40 vie, limitandolo all’Egitto. La menzione, per certe turuq, delle loro diverse ramificazioni, permette all’autore di arrivare al numero 40. Quest’opera rappresenta il termine di un’evoluzione: la via, metafora di un cammino interiore, tende a diventare un’istituzione sociale in un paese moderno, ove nulla deve sfuggire al controllo amministrativo dello Stato..Qui, però, si tratta soltanto di un quadro formale, che illustra in parte, ma non nella sua totalità – ed ancor meno in profondità – la realtà del tasawwuf nell’Egitto contemporaneo.
Conclusione
Questo rapido colpo d’occhio, assai incompleto e limitato al Vicino Oriente 74, dovrebbe, per essere pienamente significativo, essere esteso ad altre aree del mondo islamico. Esso pone due serie di interrogativi. Il primo concerne la natura, l’interesse ed i limiti della letteratura concernente inizialmente la trasmissione e l’investitura iniziatiche e progressivamente le vie che ne sono scaturite. Queste fonti costituiscono una miniera di informazioni sugli uomini che hanno trasmesso nel corso dei secoli una pratica ed una scienza al tempo stesso distinte e strettamente legate a quelle dei sapienti dell’Islâm. Esse situano figure note o sconosciute in un insieme di reti più o meno estese nel tempo e nello spazio.
Da questo punto di vista questi testi, spesso manoscritti e comunque mai pubblicati, devono trovare il loro posto nella vasta letteratura biografica della civiltà arabo-islamica. Ma, dal punto di vista della storia del sufismo, che cosa ci portano idi più queste fonti? Il loro contenuto dottrinale non è trascurabile, poiché molto spesso gli autori introducono l’enumerazione delle trasmissioni con considerazioni sulla Via, che non si ritrovano necessariamente altrove. Il loro interesse principale, però, risiede nei legami che stabiliscono fra i personaggi menzionati, maestri e discepoli o fra maestri e maestri. Questi trattati possono riempire parzialmente le lacune lasciate da un approccio al sufismo che privilegia gli autori più significativi oppure le figure più rappresentative della santità. Essi, quindi, dovrebbero essere in grado di aiutare a scrivere una storia più continua della spiritualità, incrociando i loro dati con quelli della letteratura dottrinale ed agiografica.
Il limite inerente a queste fonti sta nel fatto che esse concernono, essenzialmente, l’ambiente dei maestri, esattamente come la letteratura biografica si occupa solo di quello dei sapienti. Evidentemente, è la letteratura di questo genere a comportarsi così ed è anche la spiegazione del persistere della letteratura della hirqa attraverso i secoli, dall’epoca ayyûbide alla fine dell’Impero ottomano per il Vicino Oriente, parallelamente a quella della ricezione e della trasmissione del sapere esoterico: iĝâza, mu‘ĝam, maŝyaha, tabt, barnâmâĝ. Questi due tipi di letteratura sono, come abbiam visto, permeabili a vicenda 75.
Tuttavia delle evoluzioni, lente ma percettibili, si fanno avanti, ponendo una seconda serie di interrogativi: in qual misura quei testi ci permettono di venire a conoscenza delle evoluzioni che caratterizzano il sufismo ottomano fra il XVI ed il XVIII secolo del Vicino Oriente? Il punto di partenza per quest’indagine è stata una questione di denominazione e, perciò, di identificazione. Con tarîqa, infatti, al giorno d’oggi si suole designare comunemente una realtà al tempo stesso spirituale e sociale, inclusa in un insieme più vasto, ricollegata ad un santo fondatore e relativamente esclusiva d’un’altra appartenenza. Se questo impiego del termine tarîqa ha una certa pertinenza nella nostra epoca, da quand’è che esso si è imposto? I trattati di hirqa, particolarmente numerosi in epoca mammalucca, dimostrano chiaramente che la molteplicità delle affiliazioni era la regola, quanto meno per i maestri stessi, come certi ricercatori hanno già rilevato.
Spesso, pertanto, si percepisce in tale autore la preponderanza di un maestro che frequentemente trasmette, com’è il caso di Ismâ‘îl al-Ĝabartî a Raddâd, oppure Ahmad al-Ŝinnawî a Quŝâŝî, diverse vie. Ma chi autorizza qualcuno a proclamarsi maestro a sua volta, con la facoltà di dirigere dei discepoli? Questa domanda, fondamentale per il mantenimento di una tradizione vivente di direzione spirituale, è affrontata assai raramente in questo tipo di letteratura. Essa è certamente implicita nel talqîn al-dikr ma solo parzialmente, poiché anche qui prevale la molteplicità. In realtà, l’emergere della letteratura della hirqa in epoca ayyûbide, la sua diffusione nell’epoca mammalucca e la sua graduale sostituzione progressiva, in epoca ottomana, con una tendenza all’enumerazione delle vie designate già allora col termine tarîqa, dimostra che quest’evoluzione ha luogo nella cornice più ampia di un’economia del sapere e dell’ambiente che ne è detentore.
La generalizzazione e la moltiplicazione del fenomeno dell’iĝâza si verifica pochissimo tempo prima di quello della hirqa ed è sorprendente che nel momento in cui la trasmissione tradizionale del sapere degli ‘ulamâ’ cominci ad essere minacciato dall’introduzione, nel corso del XIX secolo, da un’altra concezione della scienza e dell’insegnamento, il termine iĝâza è impiegato sempre di più per designare la trasmissione del magistero spirituale ad un discepolo. Infine, il rapporto maestro/discepolo o il compagnonaggio, elementi costitutivi della via quale pratica e cammino iniziatico, ha pochissimo da spartire con la hirqa. Quel ch’è in gioco nella letteratura di cui abbiamo cercato di seguire l’evoluzione nasce dalla rappresentazione del ruolo che i maestri del sufismo ritengono di dover assumere in seno alla comunità. È un caso se la letteratura della hirqa si sviluppa nel momento in cui, nel sufismo, la figura del Profeta quale Uomo perfetto ed universale (insân kâmil) e Realtà muhammadiana sovratemporale diviene centrale, nel momento in cui si comincia a festeggiare il mawlid al-nabî, evento nel mondo della luce profetica primordiale ed in cui si generalizza la pratica della preghiera sul Profeta con formule che si rifanno alla dottrina della Realtà muhammadiana? La hirqa, ricettacolo della presenza profetica, si diffonde attraverso vie di trasmissione tanto molteplici quanto le forme della santità erede della profezia.
I maestri della via vengono in possesso, come i sapienti della Legge, ma in maniera più interiore e sottile, di un’eredità profetica tanto più necessaria in quanto i poteri temporali non beneficiano più – o quasi – della legittimazione dell’autorità califfale. Su questo punto di vista, l’epoca ottomana non produce assolutamente una rottura ma piuttosto una differenziazione di relazione con le vie spirituali, che i sultani integrano nella rappresentazione della loro legittimità. In questo senso la tarîqa, che soppianta la hirqa solo un po’ alla volta e relativamente tardi, per lo meno nel contesto delle opere che abbiamo esaminato, proviene forse, concettualmente, da una maggiore capacità d’istituzionalizzazione.
I maestri che, fra il XVII ed il XVIIII secolo, hanno composto i trattati sulle vie, concepivano le loro opere come una specie di strutturazione interiore della comunità? L’emergere di nuove vie o di vie rinnovate fra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo ed il ruolo spirituale, sociale e politico che esse hanno svolto, la posizione centrale di personaggi quali Murtadâ Zabîdî all’interno di una vasta rete di scienza e di spiritualità fra Oriente ed Occidente, la riattualizzazione del trattato di ‘Uĝaymî nel XIX secolo ad opera di Sanûsî, la composizione un po’ più tardi d’un’enciclopedia alfabetica delle vie nel cuore della capitale ottomana alla fine dello stesso secolo, tutto ciò lascia pensare che l’emergere della tarîqa quale modo d’espressione del tasawwuf potrebbe essere considerato per lo meno tanto una strategia quanto un’evoluzione verso una forma di confraternita. Incontestabilmente, gli autori dei trattati di hirqa e poi di tarîqa si facevano un’alta idea di ciò che rappresentava la trasmissione dell’influsso profetico.
NOTE
- L’articolo ‘Khirqa’ in EI2 V, 18 (J.-L. Michon) fornisce un primo esame dei differenti significati del termine.
- Nel IV/X secolo, hirqa non sembra aver ancora preso il suo senso tecnico. Sarrâğ riferisce due tradizioni relative a due maestri di ognuno dei quali è detto, per descrivere la povertà del suo abbigliamento, che portava due pezzi di stoffa usata: ‘alayhi hirqatân.
- Huĝwîrî (m. fra il 465 ed il 469/1072-1077), nel suo capitolo sulla muraqqa‘a, fa un resoconto delle divergenze dei sûfî in merito al loro abito distintivo, difendendone la legittimità e precisando le condizioni del suo uso. Associa una volta (pag. 47) il termine hirqa a muraqqa‘ât, con un senso pressoché equivalente e dichiara di aver composto un’opera intitolata: Asrâr al-hiraq wa-l-ma‘ûnât: ‘I segreti degli abiti e dei mezzi di sostentamento’. L’abito, qui, è messo in relazione con lo stato spirituale di colui che lo indossa ma non con la trasmissione iniziatica.
- Cfr. M. b. Tâhir b. A. Abû-l Fadl al-Maqdisî, conosciuto come Ibn al-Qaysarânî, nato a Gerusalemme nel 448/1006 e morto a Baġdad nel 507/1113, Safwat al-tasawwuf, bâb al-sunna fî lubsi-him al-hirqa min yad al-ŝayh. Il capitolo seguente tratta della muraqqa‘a. L’autore, muhaddit, si preoccupa più di riunire gli indici scritturali che non di svilupparne il significato.
- Vedere, su quest’argomento. G. Bőwering, ‘Règles et rituels soufis’, in ‘Les Voies d’Allâh’, A. Popovic e G. Veinstein, Parigi, Fayard, 1996, pag. 143.
- Ŝihâb al-Dîn ‘Umar al-Suhrawardî, ‘Awârif al-ma‘ârif, a cura di ‘Abd al-Halîm Mahmûd, Il Cairo, Dâr al-ma‘ârif, cap. 12, I 172-8.
- ‘Awârif al-ma‘ârif, pag. 173.
- “Abbiamo visto maestri che non indossano la hirqa e che fan seguire la via a qualcuno senza farla indossar loro, ma inculcando loro le scienze e le regole della via”, ‘Awârif al-ma‘ârif, pag. 178.
- Cfr. “Le vie della conoscenza del mantello mistico” (Kitâb turuq ma‘rifat al–hirqa) e “I buoni costumi dei sûfî” (âdâb al-sûfiyya), trad. di P. Ballanfant in Naĝm al-Dîn Kubrâ, La pratique du soufisme, Nîmes, Éditions del ‘Éclat, 2002, pagg. 265-274 e 148-152.
- Cfr. Sulamî, Tabaqât al-sûfiyya, ed. Nûr al-Dîn Ŝarîba, Il Cairo, 1969, pagg. 27, 40, 48 e 61.
- Qušayrî, Risâla, ed. ‘Abd al-Halîm Mahmûd, Il Cairo, 1972, pagg. 578-579, capitolo sul compagnonaggio (suhba).
- Cfr. L. Massignon, Essai sur les origines du lexique technique de la mystique musulmane, Parigi, Vrin, 1968, pagg. 128-132.
- Quest’anteriorità resta da confermare od infirmare. Ihsân Danûb al-Tâmirî ed ‘Abdallâh al-Qadahât, gli editori delle Rasâ‘il min al-turât al-sûfî fî lubs al-hirqa, Amman, Dâr al-Râzî, 2002, nella loro introduzione segnalano un’opera del tradizionista šafi‘ita Abû Mûsâ M. b. ‘Umar b. A. al-Madînî al-Isfahânî (501-581/1108-1185) intitolata Istid‘â’ al-libâs min kibâr al-nâs, senza darne i riferimenti, cfr. pag. 28. Su quest’autore, vedere la lunga nota informativa di Dahabî in Siyar a‘lâm al-nubalâ’, Beirut, 1984, XXI 152-9; Dahabî cita il suo Mu‘ĝam ma non questo testo; vedere, inoltre, Mu‘ĝam al-mu’allifîn XI 76. Il primo testo pubblicato in queste Rasâ‘il è quello d’Ibn ‘Arabî.
- Al-Futûhât al-Makkiyya, ed 1329E, riprod. Beirut, Dâr Sâdir, I 187, cap. 25 (dedicato ad al-Hadir).
- Oltre che nell’edizione popolare, il testo è stato presentato, tradotto e commentato da Claude Addas, Le livre de la filiation spirituelle, Marrakesh, al-Quobba Zurqua, 2000. La presentazione e la traduzione erano state pubblicate in precedenza in ‘Ayn al-hayât, Quaderno di Studi della Tariqa Naqshabandiyya n° 5, 1999, seguite da una “Nota complementare sui riti d’iniziazione nelle turuq” di Michel Chodkiewicz. Il testo è pubblicato, inoltre, con il titolo Nisbat al-hirqa, in Rasâ’il min al-turât al-sûfî fî lubs al-hirqa, pagg. 41-61.
- Cf. Le livre de la filiation spirituelle, pagg. 19-20. Claude Addas segnala, nel contempo, la menzione nel suo Diwân, il caso di alcune hirqa trasmesse da egli stesso a discepoli di sesso femminile: op. cit., pagg. 24-25.
- Su di lui, vedere GAL S I 80-10, Kahhâla, Mu‘ĝam al-mu‘allifîn, VIII 299.
- Rasâ’il min al-turât al-sûfî, pagg. 64-93, secondo il manoscritto di Damasco, Maktabat al-Asad, Zahiriyya, n° 7195, ff.294-302. Qastallânî è anche l’autore d’un trattato di sufismo: Iqtidâ’ al-ġâfil bi-l-‘âqil, citato a più riprese da Suyûtî nel Ta‘yid al-haqîqat al-‘aliyya wa taŝyîd al-tarîqat al-ŝâdiliyya, ed. ‘Abdallâh b. M. b. al-Siddîq al-Ġumârî, Il Cairo, 1994, pag. 30. ‘Abd al-Hayy al-Kattânî nel suo Fihris al-fahâris wa-l-atbât wa mu‘ĝam al-ma‘âĝim wa-l-maŝyahât wa-l-musalsalât, ed. Ihsân ‘Abbâs, Beirut, Dâr al-Ġarb al-islâmî, 1982, pag. 178, cita l’opera di Qastallânî con il titolo: Irtiqâ’ al-rutba… .
- Su di lui, vedere Safî al-Dîn, Risâla, ed. D. Gril, Il Cairo, Ifao, 1986, notizia riportata alle pag. 210-211.
- Su Silafî, vedere EI2 IX, 630-632 (C. Gilliot). Questo tradizionista, originario dei dintorni di Ŝiraz, era assai legato agli ambienti del sufismo d’Oriente quanto d’Occidente.
- Rasâ’il min al-turât al-sûfî, pagg. 96/107.
- Su di lui, vedere, G II 205, S II 282, Mu‘ĝam al-mu’allifîn XIII 313-4, Ibn Haĝar, al-Durar al-kâmina, IV 463, Ŝa‘rânî, al-Tabaqât al-kubrâ, II 60-1, al-Munâwî, al-Kawâkib al-Durriyya. Yûsuf al-Kûrânî è egli stesso autore d’un trattato sulla hirqa, intitolato Rayhânat al-qulûb fî-l-tawassul ilâ-l-mahbûb; su questo testo, che menziona le differenti modalità dell’iniziazione e la catena che ricollega al-Kûrânî a Suhrawardî, vedere Kattânî, Fihris al-fahâris, pag. 452.
- Su di lui, vedere Sahâwî, al-Daw’ al-lâmî‘, VI, 105; GAL II 92-3, S II 109-10, Mu‘ĝam al-mu’allifîn, VII, 297-298.
- Ed. Nûr al-Ŝarîba, Il Cairo, 1973, pagg. 494-510.
- Su di lui, vedere Sahâwî, al-Daw’ al-lâmî‘, I, 260-2, Ahmad al-Ŝarĝî al-Zabîdî, Tabaqât al-hawâss ahl al-sidq wa-l-ihlâs, Il Cairo, 1321E, pagg. 30-32, GAL II 189, Mu‘ĝam al-mu’allifîn, I 178.
- Manoscritto Dâr al-kutub, tasawwuf Taymûr 291, pellicola n° 26459, 22 f. Cf. D. Gril, “Sources manuscrites de l’histoire du soufisme à Dâr al-kutub, un prémier bilan”, Annales islamologiques, 28, 1994, pagg. 134-135..
- Su di lui, vedere nota 19. Al-Raddâd indica che il ricollegamento di Silafî alla via di Ĝunayd passa per Ibn Fawrak, il discepolo di al-Aŝ‘arî, stando ad un trattato di hirqa: al-I‘lâm bi-nisbat hirqat ŝuyûh al-sûfiyya al-a‘lâm, d’un certo M. b. Mûsâ b. al-Nu‘mân (pag. 13).
- Su di lui, vedere Safî al-Dîn, Risâla, notizie pagg. 227-228.
- Altra versione, leggermente differente, di questo stesso hadît, a pag. 10.
- L’autore segnala anche una variante: la via degli imâm: ‘Alî, Husayn, Zayn al-‘Abidîn, Muhammad al-Bâqir, Ĝa‘far al–Sâdiq, Mûsâ al-Kazim, Dâwûd al-Tâ’î e così via (pag. 4).
- L’autore precisa, subito dopo, che quasi tutti i sûfî dello Yemen sono ricollegati alla via di Ĝunayd tramite Ĝîlânî ed il suo discepolo yemenita ‘Alî al-Haddâd (pagg. 17-18).
- Si osserverà che tale espressione è impiegata nell’hadît (yadun li-yad) a proposito della vendita e dell’acquisto (bay‘) di cui il patto iniziatico e profetico (bay‘a) riproduce su un altro piano il modello, conformemente al simbolismo del commercio nel Corano. A questo riguardo, vedere M. Chodkiewicz, Note complementaire, pagg. 46-47.
- Su di lui, vedere Tabaqât al-hawass, pagg. 37-40, Ŝawkânî, al-Badr al-tâli‘,I 39, n° 86. Sulla sua Vita, scritta da un discepolo di Al-Raddâd, vedere D. Gril, “Sources manuscrites de l’histoire du soufisme à Dâr al-kutub”, pagg. 114-115. Ĝabartî fu anche il maestro di ‘Abd al-Karîm al-Ĝîlî.
- Su di lui, vedere Ibn Haĝâr, al-Durar al-kâmina, III 397, Sahâwî, al-Daw’ al-lâmî‘, VIII 103, 284, Ŝawkânî, al-Badr al-tâlî‘, III 397, GAL S II 120, Mu‘ĝam al-mu’allifîn, IX 112, D. Gril, “Sources manuscrites de l’histoire du soufisme à Dâr al-kutub”, pagg. 127, 19f. Una sua epistola sul pentimento è stata pubblicata recentemente: al-Dabb ‘amman tâba min al-danb talaban li-mardât al-rabb, ed. A. Farîd al-Mazîdî, Beirut, Dâr al-kutub al-‘ilmiyya, 2005.
- Manoscritto Dâr al-kutub, tasawwuf 796, pellicola n° 33977; cfr. D. Gril, “Sources manuscrites de l’histoire du soufisme à Dâr al-kutub”, pag. 135.
- Sul ricevimento, da parte di Ibn Taymiyya, della hirqa qâdiriyya, vedere G. Makdisi, “Ibn Taymiyya: A Sufi of the Qadiriyya Order”, American Journal of Arabic Studies, I, 1973.
- Su di lui, vedere Sahâwî, al-Daw’ al-lâmî‘, I 80, G II 122, Mu‘ĝam al-mu’allifîn, I 62. Egli è anche l’autore d’una compilazione di biografie di ‘Abd al-Qâdir al-Ĝîlânî; cfr. D. Gril, “Sources manuscrites”, pag. 125.
- Manoscritto Dâr al-kutub, târih Tal‘at 1969 pellicola n° 13497; cfr. D. Gril, “Sources manuscrites”, pag. 135.
- Su questo ŝayh di Damasco, la sua zâwya ed il suo trattato dedicato parzialmente alla hirqa: Adab al-murîd (ms. di Damasco, Zâhiriyya 3667), vedere E. Geoffroy, Le soufisme en Égypte et en Syrie sous les derniers mamelouks et les premiers ottomans, Damasco, Ifead, 1995, indice a Ibn Dâ’ûd. Vedere, in questo studio, il passo dedicato alla hirqa, pagg. 195-196.
- Su di lui, vedere E. Geoffroy, Le soufisme en Égypte et en Syrie sous les derniers mamelouks et les premiers ottomans, indice.
- Su di lui, vedere GAL II 167, Mu‘ĝam al-mu’allifîn, I, 218 e l’introduzione all’edizione del suo Lisân al-ta‘rîf bi-hâl al-walî al-ŝarîf Sayydî Ibrâhim al-Disûqî, di Ahmad ‘Izz al-Dîn Halaf Allâh, Tantâ, 1969.
- Manoscritto Dâr al-kutub B 25374, pellicola n° 22417, 90f.; cfr. D. Gril, “Sources manuscrites de l’histoire du soufisme à Dâr al-kutub”, pag. 136. Vedere anche Kattânî, Fihris al-fahâris, pag. 685.
- Qual era il suo legame con i Bakriyya? Su di loro, vedere l’articolo di Adam Sabra.
- Su di lui, vedere Safî al-Dîn, Risâla, notizia a pag. 223.
- Rasâ’il min al-turât al-sûfî, pagg. 177-97, nel manoscritto della Biblioteca al-Asad, Zahiriyya, 6916, ff. 31b-36b.
- Il termine firqa (pl. firaq) allude certamente all’hadît secondo il quale la comunità islamica si dividerà in 73 sette o gruppi, uno solo dei quali sarà salvato (al-firqat al-nâĝiya).
- Rasâ’il min al-turât al-sûfî, pagg. 200-213, nel manoscritto della Biblioteca al-Asad, Zahiriyya, 7159, ff. 36b-38b. Gli editori non segnalano che quest’opuscolo è incluso nell’al-Hâwî li-l-fatâwî, Il Cairo, 1352E, riprod. Beirut 1975, II 102-4.
- Su di lui, vedere al-Ġazzî, al-Kawâkib al-sâ’ira bi a‘yân al-mi’a al-‘âŝira, ed. Ĝibrâ’îl Ĝabbûr, Beirut, 1945, I 316, GAL II17-8, Mu‘ĝam al-mu’allifîn, XIII 289-290, E. Geoffroy, Le soufisme en Égypte et en Syrie, indice alla voce Ibn‘Abd al-Hâdî ed Ibn al-Mabrad. Il suo discepolo Ibn Tûlûn (880-953/1475-1546) ha scritto la sua biografia: al-Hâdî ilâ tarĝamat Yûsuf Ibn ‘Abd al-Hâdî riportando, nella sua autobiografia, di aver ricevuto dal suo maestro la hirqa: cfr. al-Fulk al-mashhûn fî ahwâl Muhammad Ibn Tûlûn, Damasco. 1927, pag. 17, nelle Rasâ’il min al-turât al-sûfî, pag. 217.
- Rasâ’il min al-turât al-sûfî, pagg. 127-176, in un manoscritto di Princeton, collezione Garrett.
- Cfr. nota 13.
- Sulla sua presenza in Siria, vedere E. Geoffroy, Le soufisme en Égypte et en Syrie, pagg. 232-233.
- Sul senso preciso di questi termini, vedere Kattânî, Fihris al-fahâris, introduzione, pagg. 67-71.
- Gli autori si appoggiano spesso all’autorità di Ibn al-Salâh al-Ŝahrazûrî (m. a Damasco nel 643/1245), autore di una delle principali referenze in materia di scienza dell’hadît ed egli stesso trasmettitore di una hirqa risalente, attraverso al-Quŝayrî ed il suo maestro al-Daqqâq, a Ĝunayd e, oltre, fino ad ‘Alî, passando per Hasan al-Basrî. Cfr. Sanad Ĝalâl al-Dîn al-Suyûtî, pag. 193 e Suyûtî, Ta’yid al-haqîqat al-‘aliyya, pagg. 13-14.
- La trasmissione della pratica del dikr (talqîn al-dikr) è citata qualche volta in questi trattati, indipendentemente dalla hirqa propriamente detta, senza che ciò implichi – apparentemente – una relazione maestro/discepolo particolarmente stretta: vedere ancora Sanad Ĝalâl al-Dîn al-Suyûtî, pag. 194.
- Al-anwâr al-qudsiyya fî ma‘rifat qawâ‘id al-sûfiyya, ed. Tâhâ ‘Abd al-Bâqî Surûr, Il Cairo-Beirut, 1966, pagg. 30-35 e 49-50.
- Su questo ŝayh di Medina, discendente da un santo di Daĝâna, vicino a Gerusalemme, vedere al-Muhibbî, Hulâsata al-atar, I 343-346, GAL 392, SII 535, Mu‘ĝam al-mu’allifîn, II 170, Kattânî, Fihris al-fahâris, pagg. 970-971 e, sul Simt, pag. 1061.
- Al-Simt al-maĝid fî ŝa’n al-bay‘a wa-l-dikr wa talqînihi wa salâsil ahl al-tawhîd, Haydarâbâd, Dâr al-ma‘ârif al-‘utmâniyya, 1328E. Su quest’opera ed il suo autore, vedere lo studio di Rachida Chih.
- Citato da Kattânî, Fihris al-fahâris, pag. 254, secondo la trasmissione di Quŝŝâŝî.
- Su di lui, vedere GAL II 392. S II 536-537 (confusione fra il padre ed il figlio), Ziriklî, al‘Alâm, II 223 (stando a Murâdî, Silk al-Durar, II 31), Mu‘ĝam al-mu’allifîn, II 264, ‘Abd al-Hayy b. ‘Abd al-Kabîr al-Kattânî, Fihris al-fahâris wa-l-atbât wa mu‘ĝam al-ma‘âĝim wa-l-maŝyahât wa-l-.musalsalât, 1982, ed. Ihsân ‘Abbâs, Beirut, Dâr al-Ġarb al-islâmî, pagg. 810-813.
- Cfr al-Kattânî, Fihris al-fahâris, pagg. 447-4449; vedere l’interessante corrispondenza fra ‘Uĝaymî ed il suo amico e condiscepolo, Abû Sâlim al-‘Ayyâŝî, l’autore della Rihla, in merito a questa Risâla.
- Su Sanûsî, vedere EI2, IX 24-25 (J.-L. Triaud) e K. S. Vikor, Sufi and Scholar on the Desert Edge, Muhammad b ‘Alî al-Sanûsî and his Brotherhood, Londra, 1995.
- Al-Salsabîl al-ma‘în, Beyrut, 1968 (pubblicato a cura del re di Libia, pronipote dell’autore, Muhammad Idrîs al-Mahdî al-Sanûsî).
- Manoscritto di Dâr al-kutub, târîh, 2410, pellicola 1577, 131 f.; cfr. D. Gril, “Sources manuscrites”, pag. 137.
- Manoscritto di Dâr al-kutub, tasawwuf, Halîm 57 ,19 f.; cfr. D. Gril, “Sources manuscrites”, pagg. 138-139.
- Su di lui, vedere le fonti citate in EI2 VII 446, GAL II 287-288, S II 398-9, Mu‘ĝam al-mu’allifîn, XI 282-283 e soprattutto le ricerche di S. Reichmuth, oltre al suo lavoro: “Martadâ al-Zabîdî (d. 1791) in Biographical and Autobiographical Accounts. Glimpses in Islamic Scholarship in the 18th Century”, Die Welt des Islams, 39, 1999 e “Notes on Martadâ al-Zabîdî’s Mu‘ĝam as a Source for al-Jabartî’s History”, Jerusalem Studies in Arabic and Islam, 25, 2001, pagg. 374-383.
- Su di lui, vedere GAL S II478-479, Mu‘ĝam al-mu’allifîn, V 195-196, e l’articolo di M. Chodkiewicz, “Un traité yéménite sur l’unicité de l’Être, les Latâ’if al-ĝûd fî mas‘alat wahdat al-wuĝûd di Waĝîh al-Dîn al-‘Aydarûsî”, ‘Ayn al-hayât, I 1995, pagg. 13-29. Stando alla formula cui Zabîdî fa seguire il nome del suo ŝayh, questi doveva essere ancora vivente al momento della redazione della Risâla. ‘Abd al-Rahmân b. Mustafâ al-‘Aydarûs è sepolto al Cairo davanti all’entrata del Mausoleo di Sayyida Zaynab.
- Manoscritto di Dâr al-kutub, tasawwuf, Taymûr 332, pellicola 14639 101 pagine; cfr. D. Gril, “Sources manuscrites”, pag. 139 e l’articolo di S. Reichmuth. A quest’ultimo vanno i miei ringraziamenti per averci segnalato e messo a nostra disposizione una copia di questo testo pubblicato, seguendo altri manoscritti, da Âbid Yasar Koçak nella sua tesi Al-Murtaża al- Zabîdî ve ‘Ikd al-cavhar al-samîn‘i, Università di Istanbul, 1986.
- Zabîdî ha composto anche un’altra opera sul medesimo argomento, citata da S. Reichmuth e da E. Geoffroy nell’articolo “tarîqa” EI2, X, pagg. 262-265; Ithâf al-asfiyâ bi-raf‘ salâsil al-awliyâ, cfr. Kattânî, Fihris al-fahâris, pag. 181.
- Su di lui, vedere Mu‘ĝam al-mu’allifîn, XII 259,
- Cfr. manoscritto di Dâr al-kutub, tasawwuf, Halîm, 53, 32 f.; cfr. D. Gril, “Sources manuscrites”, pag. 139.
- Su di esso, vedere, GAL S II 866 e l’introduzione in turco all’edizione del suo commentario alla Fâtiha: Ihlâs sûresi tefsîri: el-Mevridü l-hass bi l-havâs fî tefsîr-i Sûreti l-ihlâs, di Yakup Çiçek, Istanbul, 1996. Il manoscritto autografo del Tibyân, in corso di pubblicazione, si trova alla Süleymaniyye, Ibrahîm Ef., n° 430, 431, 432.
- Cfr. Manoscritto di Dâr al-kutub, târih 3737, pellicola 35275, 23 f; cfr. D. Gril, “Sources manuscrites”, pag. 140.
- Su di lui, vedere F. de Jong, Turuq and Turuq linked Institutions in Nineteenth Century, Leida, 1978,. 125-188 e, su quest’opera, pag. 222.
- Segnaliamo, a titolo d’esempio per il mondo orientale, l’opera di Shâh Waliyyu’llâh al-Dihlawî (1114-1176/1703-1762): al-Intibâh fî salâsil awliyâ’ Allâh wa asânid wâritî Rasûl Allâh, citato da Kattânî, Fihris al-fahâris, pagg. 204-205.
‘Abd al-Hayy b. ‘Abd al-Kattânî (m. 1962) nel suo Fihris al-fahâris (composto nel 1346/1927-1928), enumera indistintamente le opere che trattano la trasmissione, sia che si tratti di hadît, della hirqa o di qualsiasi altra forma di trasmissione iniziatica. Questo riferimento fondamentale potrebbe servire da punto di partenza per uno studio più esteso di quest’ultima trasmissione che, attraverso quel tipo di sapiente, si protrae ancora ai giorni nostri solo in maniera assai ridotta, senza confondersi con la trasmissione del magistero spirituale o la semplice baraka per via della quale si perpetuano le turuq.
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