Fatiha

Sura I

Al-Fâtiha

L’Aprente [1]

Pre-Egira*, n. 5, di 7 versetti.

1. In nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso [2].

2. La lode [appartiene] ad Allah [3], Signore dei mondi [4],

3. il Compassionevole, il Misericordioso,

4. Re del Giorno del Giudizio [5].

5. Te noi adoriamo e a Te chiediamo aiuto [6].

6. Guidaci sulla retta via [7],

7. la via di coloro che hai colmato di grazia [8], non di coloro che [sono incorsi] nella [Tua] ira [9], né degli sviati [10].

Nella recitazione liturgica si aggiunge: «Amin».

* Tradizionalmente vengono distinte le rivelazioni fatte prima dell’Egira del Profeta (pace e benedizioni su di lui) durante la sua permanenza alla Mecca, dalle rivelazioni fatte dopo l’Egira nel periodo detto medinese. All’inizio di ogni sura daremo questa indicazione storica: «pre-Eg.» o «post-Eg.» seguita da un numero che indicherà l’ordine cronologico accettato dai musulmani.

[1] Secondo la grande maggioranza dei commentatori questa sura fu rivelata alla Mecca. Essa è nota anche come «as-sab‘u-1-mathâni» (i sette ripetuti) con riferimento ai suoi sette versetti la recitazione dei quali è obbligatoria nell’assolvimento dell’adorazione rituale (vedi Appendice 2).

La Fâtiha è l’invocazione ad Allah (gloria a Lui l’Altissimo) più nota e sentita. Recitando la prima parte di essa (verss. 1-5) il devoto testimonia la sua fede nell’Unità di Allah (tawhid) qualificandoLo con i Suoi attributi più belli, riconosce la Sua assoluta autorità su questo mondo e sull’Altro, Lo identifica come l’Unico destinatario dell’adorazione e della richiesta di aiuto. Nella seconda parte (verss. 6-7) il musulmano rivolge un accorato appello al suo Signore (gloria a Lui l’Altissimo) affinché lo guidi sulla retta via e lo allontani dalla Sua disapprovazione e da ogni smarrimento.

Abû Hurayra (che Allah sia soddisfatto di lui) riferì che l’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui) disse: «Allah, Benedetto e Altissimo ha detto: “Ho diviso la Fâtiha in due parti uguali tra Me e il Mio servo, la prima parte Mi appartiene, la seconda è la sua e gli concederò quello che Mi chiede”. Recitate la Fâtiha – proseguì l’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui). Quando il servo dice: “La lode [appartiene] ad Allah, Signore dei mondi” Allah dice: “il Mio servo Mi ha lodato!”; quando il servo dice: “il Compassionevole, il Misericordioso”, Allah dice: “il Mio servo Mi esalta”. Quando il servo dice: “Re del Giorno del Giudizio”, Allah dice: “il Mio servo Mi rende gloria”. Quando recita: “Te noi adoriamo e a Te chiediamo aiuto”, Allah dice: “questo versetto è tra Me e il Mio servo, gli concederò quello che chiede”. Quando conclude con: “Guidaci sulla retta via, la via di coloro che hai colmato dei Tuoi doni, non di quelli che sono incorsi nella Tua ira, né degli sviati”, Allah dice: “queste parole appartengono al Mio servo e gli concederò quello che chiede”». (Hadith qudsî, plur. «al-ahâdîth al-qudûsiyya» lett. discorso santo. Rivelazioni che Allah (gloria a Lui l’Altissimo) ha dato al Suo Inviato (pace e benedizioni su di lui) senza ordinargli di includerle nel Corano. Questo hadith è riferito dagli Imam Muslim, Tirmîdhî, Abû Dâwud, Ibn Mâja, An Nasâ’î e Mâlik.

[2] Questa formula si chiama Basmala e si trova all’inizio di tutte le sure del Corano eccetto la sura IX. Essa ha una funzione sacralizzante e, al contempo, costituisce un’invocazione ad Allah (gloria a Lui l’Altissimo) affinché accetti l’azione che segue.

Tabari cita una tradizione riferita da Ibn ‘Abbâs (che Allah sia soddisfatto di lui) secondo la quale le prime parole che Gabriele (pace su di lui) rivolse a Muḥammad (pace e benedizioni su di lui) furono: «Di’: mi rifugio in Allah, l’Audiente il Sapiente, contro Satana il lapidato. Di’: bi-smi’Llâhi ’ar-Rahmâni, ’ar-Rahîm».

La Basmala è composta di due parti, la menzione del Nome divino «bi-smi’llâhi» (in nome di Allah) seguita da due delie qualità o attributi con i quali Allah Stesso (gloria a Lui l’Altissimo) ha voluto che Lo identificassero i Suoi servi: «ar-Rahmân, ar-Rahîm» (il Compassionevole, il Misericordioso). Pronunciando la prima parte della Basmala il musulmano dice «comincio la lettura nominando Allah». Prosegue poi nominando i due aggettivi «Rahmân» e «Rahîm», che derivano dallo stesso verbo che significa fare misericordia.

Ci sono molti pareri a proposito della differenza tra questi due Nomi e interi saggi sono stati scritti in merito. Come accade sempre di fronte alla Grandezza dell’Altissimo (gloria a Lui) la scienza e la conoscenza umana non sono mai esaustive. Dovendo comunque proporre una traduzione, abbiamo accettato l’opinione di chi ritiene che «ar-Rahmân» indichi la caratteristica divina di aver compassione per il creato (e abbiamo tradotto con «il Compassionevole»), moto che genera la misericordia per il creato stesso (e abbiamo reso «ar-Rahîm» con «il Misericordioso»).

Preghiamo Allah (gloria a Lui l’Altissimo) che voglia usarci di queste Sue eccelse qualità, perdoni la nostra inadeguatezza ed accetti il nostro sforzo. Amin.

[3] «La lode [appartiene] ad Allah»: disse l’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui): «Non c’è niente che Allah ami più che la lode a Lui, per questo Si è lodato da Se Stesso dicendo “al-hamdu li-Llâh”». La formula di cui Si serve Allah (gloria a Lui l’Altissimo) significa «tutte le lodi appartengono ad Allah», Egli è l’Unico degno di essere lodato.

[4] «Signore dei mondi.» Il plurale cui si applica la Signoria divina ha dato impulso a molte interpretazioni. Secondo Ibn ‘Abbâs si tratta del mondo dei jinn e di quello degli uomini. Altri parlano di mondi angelici e mondi terreni, altri ancora ne traggono spunto per ipotizzare l’esistenza di altri mondi abitati al di là delle nostre attuali conoscenze.

[5] «Re del Giorno del Giudizio»: il Giudizio finale di tutti gli uomini, successivo alla loro resurrezione, è uno dei fondamenti della dottrina islamica. In quel Giorno ognuno sarà retribuito per la sua vita terrena (altra traduzione: il Giorno della Retribuzione).

[6] «Te noi adoriamo e a Te chiediamo aiuto»: l’adorazione spetta ad Allah (gloria a Lui l’Altissimo) e solo a Lui, e alla stessa maniera la richiesta di aiuto deve essere rivolta a Lui solo.

[7] «Guidaci sulla retta via»: dopo la lode, il riconoscimento della Sua Signoria sui mondi e sul Giudizio e la dichiarazione di massima sudditanza che si concretizza nell’adorazione e nella rinuncia a qualsiasi altro patrono che Allah Stesso, l’uomo chiede al Suo Signore (gloria a Lui l’Altissimo) che gli conceda una guida sulla retta via, un sistema dottrinario, spirituale e legale che lo conduca attraverso questa prova terrena fino al premio dell’Altra Vita.

[8] In questo ultimo versetto è contenuta l’affermazione che già prima della rivelazione del Corano la misericordia dell’Altissimo era operante tra gli uomini, producendo comportamenti fortemente illuminati dalla fede e guidati dal timor di Allah (gloria a Lui l’Altissimo). Secondo un commento di Ibn ‘Abbâs (che Allah sia soddisfatto di lui) «coloro che hai colmato dei Tuoi doni» sono i Sinceri (siddiqùn), quelli che hanno avuto il martirio testimoniando la fede (shuhadâ) i Devoti (salîhûn).

[9] «quelli che [sono incorsi] nella [Tua] ira»: tutta l’esegesi classica, ricollegandosi fedelmente alla tradizione afferma che con questa espressione Allah (gloria a Lui l’Altissimo) indica gli ebrei («Yahûd»).

A questo proposito sarà bene precisare che nel Corano troviamo tre diversi modi di identificarli: 1) Banî Isrâ’il (Figli di Israele), nel senso di discendenti di Giacobbe (detto anche Israele), destinatari della Legge rivelata a Mosè (pace su di lui); 2) «alladhîna hâdû» (quelli che si sono giudaizzati) e cioè quelle popolazioni diverse dai discendenti di Giacobbe, che hanno abbracciato la religione israelita, e 3) «yahûd» (da Giuda figlio di Giacobbe).

[10] «gli sviati»: sulla base di alcuni ahadith autentici dell’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui), l’esegesi classica ritiene che costoro siano da identificare nei cristiani che accettando il dogma trinitario si sono allontanati dalla purezza monoteistica.

Secondo eminenti commentatori, tra cui Fakhr-d-Dîn ar-Ràzi (m.606h/I210), l’espressione avrebbe un più ampio e generale significato e si riferirebbe ad ogni anima perversa e corrotta, negatrice della verità e miscredente.

Tra i tentativi di esegesi contemporanea riportiamo quello di Alberto Ventura (A. Ventura, Commento alla Fatiha, Marietti, Genova 1992), che articola in senso più psicologico-morale l’identificazione dei due gruppi: «Se è dunque evidente chi siano i beneficiari della grazia divina, non vi è accordo fra gli interpreti sull’identificazione di “quelli coi quali sei adirato” e di “quelli che vagano nell’errore”. Svariati commenti identificano queste due categorie rispettivamente con gli Ebrei e i Cristiani, e ciò in base a due altri passaggi coranici (v, 60 e v, 77) che, a nostro avviso un po’ forzatamente, sono stati considerati decisivi al riguardo. Questi versetti parlano infatti di genti con le quali Dio si è adirato (ghadiba ’alayhi) o che hanno vagato erranti (qad dallù), ma è in realtà difficile riferirli ad Ebrei e Cristiani nel loro complesso e non piuttosto a particolari gruppi sorti in seno alla Gente del Libro. È quindi più probabile, come molti hanno sentito, che non ci si voglia qui riferire a particolari professioni religiose – il che, fra l’altro, indebolirebbe alquanto la forza di questa preghiera – ma che l’intenzione sia piuttosto quella di prendere le distanze da due tipologie di peccato spirituale, da due atteggiamenti umani che sono in contrasto con il percorso della retta via».

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